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Arboricoltura da legno

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Per arboricoltura da legno si intende “la coltura arborea di origine artificiale, finalizzata prevalentemente alla produzione di legname e biomassa, reversibile a fine ciclo colturale ed eseguita su terreni non boscati” (l.r. 4/2009, art. 4).

A fianco della produzione di legno, da alcuni decenni sono state riconosciute le funzioni ambientali e sociali dell'arboricoltura e più in generale dell’imboschimento (impianti con specie forestali realizzati su terreni agricoli):

  • ricostituzione delle reti ecologiche, miglioramento del paesaggio e protezione delle risorse idriche, in particolare in pianura e nelle aree ad agricoltura intensiva;
  • riduzione dei gas serra, tramite l'assorbimento di carbonio nelle piante e nel suolo;
  • protezione del territorio e del suolo da fenomeni di erosione, perdita di sostanza organica e dissesto idraulico.

In Piemonte, come in tutta l’Italia settentrionale, la tipologia di arboricoltura da legno prevalente è indubbiamente la pioppicoltura specializzata, ma negli ultimi decenni si sono diffusi anche gli impianti con latifoglie autoctone, ad accrescimento meno rapido del pioppo  (arboricoltura a ciclo medio-lungo).

Pioppicoltura

Già dall'Ottocento i filari di pioppo, in particolare di Pioppo nero (Populus nigra), connotavano il paesaggio rurale della Pianura Padana; il legno, leggero e chiaro, veniva utilizzato per realizzare zoccoli, mobili, cassette e tavolame. Negli anni Trenta del Novecento nacque la pioppicoltura moderna, basata sull’uso di cloni a rapido accrescimento, selezionati per la produzione di carta; il legno di pioppo divenne però presto un materiale strategico per sostituire altre materie prime carenti a livello nazionale, anche per fini militari (la costruzione degli aerei utilizzati dall’Italia nella seconda guerra mondiale); ebbe così inizio lo sviluppo dell’industria italiana dei compensati. Protagonista nella selezione dei cloni e nella messa a punto di specifiche tecniche per la coltivazione fu l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato, confluito alcuni anni fa nel CREA – Centro di ricerca Foreste e Legno. Ciò premesso, oggi il legno di pioppo è quello più utilizzato dall’industria nazionale del legno, del mobile e della carta, il terzo settore italiano per importanza nell’export.

A fronte di una domanda di legno di pioppo crescente, negli ultimi decenni è decisamente diminuito il grado di approvvigionamento interno: secondo i Censimenti Generali dell’Agricoltura (che conteggiano solo gli impianti condotti da aziende agricole), le superfici a pioppeto in Italia e in Piemonte si sono dimezzate nel periodo 2000-2010: un calo iniziato fin dagli anni Ottanta (per il Piemonte da 37.000 ettari a 11.000 nell’intervallo 1982-2010), connesso a ragioni soprattutto economiche e di mercato (alti costi del ciclo colturale e prezzi del legno poco remunerativi, a confronto delle colture cerealicole). 
Dall’ultimo inventario relativo alla pioppicoltura specializzata della pianura piemontese (2006) risultava una superficie di circa 12.000 ha, dato confermato dall’Inventario nazionale dell’arboricoltura da legno realizzato dal CREA nel 2017.

Le superfici a pioppeto realizzate in Piemonte negli ultimi 25 anni tramite i finanziamenti dell’Unione Europea (Reg. CEE 2080/92 e i successivi Programmi di Sviluppo Rurale – PSR) assommano a poco meno di 5.000 ettari, con una media di 400-500 ha per ciascun bando aperto dal 1994 al 2018.

Nella nostra regione l’attenzione verso la sostenibilità ambientale della pioppicoltura è stata incoraggiata  già nei primi anni 2000 (misura I del PSR 2000-06) con il finanziamento della certificazione della gestione sostenibile secondo gli schemi FSC e PEFC, seguendo i disciplinari per la coltivazione messi a punto  tramite il progetto Ecopioppo. A partire dal PSR 2007-13 (misura 221) si è invece incentivata la diversificazione clonale, soprattutto con cloni resistenti alle principali avversità biotiche (funghi e insetti), i cosiddetti cloni MSA (a Maggior Sostenibilità Ambientale). Inoltre, a partire dal 2005 (misura H) anche in Piemonte sono stati realizzati impianti "policiclici", in cui i cloni di pioppo si trovano associati alle latifoglie di pregio a ciclo più lungo; in tale ambito la sperimentazione, avviata fin dal 1997 in Lombardia, ha compiuto negli ultimi anni passi importanti, come testimoniato dal progetto LIFE Inbiowood, attuato in Veneto.

Arboricoltura a ciclo medio lungo

Se l'arboricoltura da legno non è un'invenzione recente in Piemonte, è solo nell’ultimo decennio del XX secolo che si assiste all'impiego su ampie superfici delle cosiddette "latifoglie di pregio" quali noce, ciliegio, querce e frassino.
Dopo un timido inizio con il set aside (messa a riposo dei seminativi nell’ambito della Politica Agricola Comunitaria), i cospicui finanziamenti del Regolamento CEE 2080/1992 furono all'origine di un vero e proprio boom: in Italia solo tra il 1994 e il 2000 furono realizzati circa100.000 ettari di piantagioni, delle quali si stima oltre 70.000 di arboricoltura da legno a ciclo medio-lungo con latifoglie (ADL).
In Piemonte l'attuazione di tale regolamento portò alla realizzazione di quasi 6.000 ettari di piantagioni di ADL tra il 1995 e il 2001; altri 1.000 ettari di impianti furono realizzati negli anni 2004-2005 con la successiva Misura H del Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006: nel complesso oltre 2.000 beneficiari e quasi 7.000 ettari nell’arco di 10 anni.
Superfici così estese, in pochi anni e con modalità nuove, non potevano che evidenziare importanti carenze tecniche ed organizzative, dalla progettazione e gestione degli impianti al reperimento di materiale vivaistico di adeguata qualità e provenienza.
Perciò nella seconda metà degli anni Novanta l'arboricoltura da legno con latifoglie di pregio diventò uno degli ambiti prioritari di ricerca e divulgazione nel settore agro-forestale. Di tutto questo, nel 2015, a  20 anni dalle prime realizzazioni su larga scala degli impianti di ADL , si è tentato un primo bilancio ("2080: 20 anni dopo...").

Con l’attuazione delle Misure (221 e 8.1.1) dei successivi PSR   si è registrato un drastico calo delle superfici impiantate con ADL. Ciò è avvenuto per motivi socio-economici (prezzi dei prodotti delle colture cerealicole concorrenti, incertezza dovuta alla crisi economica, assenza di un mercato strutturato e trasparente per il legname delle latifoglie a ciclo medio-lungo prodotto in Italia), ma anche per i risultati produttivi insoddisfacenti degli impianti 2080, dovuti soprattutto alla scarsa conoscenza delle specifiche tecniche di realizzazione e gestione. Dall’altra, anche grazie all’attività di divulgazione, formazione e informazione svolta dalla Regione Piemonte, la qualità delle piantagioni realizzate con la misura 221 (circa 300 ettari in tutto) appare decisamente migliore che nel passato, come evidenziato dalle verifiche tramite Indice di Qualità, effettuate a tappeto a al 5° anno di età.

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