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1. Ai fini del recupero dei sottotetti è immediatamente applicabile la previsione dell’articolo 2 bis, comma 1 quater del d.p.r. 380/2001 anche in riferimento alla sentenza n. 119/2024 della Corte Costituzionale? (12.11.2024)
In relazione al combinato disposto della normativa regionale in argomento e a quanto disposto dal comma 1 quater dell’articolo 2 bis (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati) del d.p.r. 380/2001, nel testo introdotto dalla legge 105/2024, norma che tratta anch’essa - a livello statale - la possibilità di recupero dei sottotetti, si rimanda, per quanto riportato sull'argomento, al parere pubblicato , presente tra gli altri nella sezione “Pareri Urbanistico-Edilizi”
2. Quali sono gli effetti della pronuncia di incostituzionalità sui rapporti giuridici ancora pendenti al momento della pubblicazione della sentenza n. 119/2024 della Corte Costituzionale e come si configurano i c.d. “rapporti esauriti”? (12.11.2024)
Il tema afferente l’efficacia delle norme dichiarate incostituzionali trova i principali riferimenti normativi all’art. 136 Cost. (in base al quale “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”) nonché all’art. 30 della Legge n. 87 in data 11.03.1953 (in base al quale “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”).
La pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge comporta non già l’abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullità, o l’annullamento della norma dichiarata contraria alla costituzione, bensì la disapplicazione della stessa.
Secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, in forza degli accennati art. 136 Cost. e dell’art. 30, l. 87/1953, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Consulta, la norma dichiarata incostituzionale non è quindi più applicabile e gli effetti della declaratoria di incostituzionalità si estendono a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, rimanendone esclusi solo i cc.dd. rapporti già esauriti, ossia “quei rapporti che abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate e intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, nonché del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale”.
Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno quindi effetto retroattivo, inficiando, fin dall’origine, la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza. (Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057).
Ciò significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi “di legalità”. La stessa legge dovrà altresì essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento.
Quanto alle ricadute che la pronuncia di incostituzionalità di una norma di legge comporta sugli atti amministrativi che ne costituiscono applicazione, secondo la giurisprudenza amministrativa, la declaratoria di incostituzionalità della norma posta alla base dell’atto amministrativo, non comporta la caducazione automatica del medesimo, ma è necessario che l’atto sia rimosso da un provvedimento adottato in autotutela dalla P.A. ai sensi dell’art. 21-novies della L.241/1990, ovvero da un provvedimento del Giudice amministrativo. In altri termini, se l‘atto non è impugnato, ed è decorso il termine per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela della P.A., lo stesso rimarrà produttivo di effetti giuridici.
I principi suesposti trovano senz’altro applicazione anche in materia edilizia: il problema della legittimità dei rapporti sorti durante la vigenza della norma incostituzionale passa cioè necessariamente dalla valutazione circa la definitività del rapporto stesso.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, “la realizzazione di opere edilizie, di per sé, non è idonea a configurare un rapporto esaurito, in quanto, da un lato, la legittimità delle relative opere non è ancora accertata con sentenza passata in giudicato, dall’altro, non si ravvisa alcuna ipotesi di decadenza dell’Amministrazione dal potere di vigilanza in materia urbanistica ed edilizia, non soggetto a limiti temporali per il suo esercizio”. (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1765 e Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. n. 2441 in data 04.04.2022).
Alla luce di quanto esposto, in relazione agli effetti della declaratoria di incostituzionalità sulle pratiche edilizie, occorre dunque distinguere tra quelle presentate inizialmente in vigenza della norma dichiarata poi costituzionalmente illegittima, ma ancora pendenti a seguito della pronuncia, e quelle regolarmente perfezionate/formatesi a norma di legge (ovvero “consolidate” per effetto di eventi quali la loro inoppugnabilità in sede giurisdizionale o irrevocabilità mediante provvedimenti assunti in autotutela).
Nel primo caso, le istanze presentate (permessi di costruire e sanatorie) o le segnalazioni/comunicazioni (CILA, SCIA) in data antecedente alla pronuncia della Corte Costituzionale ma ancora “pendenti” al momento della sentenza (permesso di costruire non ancora adottato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio, ai sensi dell’articolo 20 del TUED o mancata decorrenza del termine dei trenta giorni previsti dall’articolo 23 comma 6 del TUE per la SCIA alternativa al permesso di costruire o di quello di cui all’art. 19 comma 6 bis della l. 241/1990 per le SCIA ex art. 22 TUE), risultano inefficaci.
Pertanto, le istanze presentante per il rilascio del titolo abilitativo, ancora pendenti, dovranno essere rigettate, mentre le SCIA/CILA dovranno essere dichiarate inefficaci, così come le SCIA alternative al permesso di costruire qualora non sia spirato il termine di cui all’art. 23 comma 6 TUE.
Viceversa, nel secondo caso, le istanze e le segnalazioni/comunicazioni presentate in vigenza della norma dichiarata incostituzionale, ma che hanno dato luogo al rilascio o all’assenso di titoli abilitativi inoppugnabili o irrevocabili in data precedente alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, sono da annoverarsi tra i cc.dd “rapporti esauriti” in quanto cristallizzati per effetto dell’intervenuta decadenza processuale o sostanziale o dell’intervenuta prescrizione della situazione giuridica soggettiva concretamente rilevante (in termini, tra le tante, Consiglio di Stato n. 2441/2022, n. 3474/2016).