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Quella dovuta alla COVID-19 è una crisi sanitaria globale che non ha precedenti nella storia recente, che sta procurando sofferenze umane, destabilizzando l’economia globale e sconvolgendo la vita di miliardi di persone in tutto il mondo.
Le misure adottate dai vari Paesi per contenere la diffusione del virus hanno imposto un radicale cambiamento nelle abitudini dei cittadini con ripercussioni su ogni aspetto della società e mettendo in luce la vulnerabilità di un sistema in cui tutte le attività sono profondamente interconnesse l’una con l’altra.
Se l’emergenza sanitaria rappresenta la principale difficoltà che l’umanità deve affrontare oggi, quella del cambiamento climatico costituisce la sfida più impegnativa da affrontare a lungo termine.
Nel primo caso, la ricerca scientifica fatica a fornire risposte certe in merito ai possibili sviluppi della pandemia, mentre nel caso del cambiamento climatico gli scenari e gli impatti - anche in termini economici - degli eventi estremi e delle catastrofi naturali sono ormai ampiamente prevedibili.
Su questo fronte, tuttavia, esiste il timore che la priorità data alla questione sanitaria ed economica faccia affievolire l’attenzione nei confronti dell’emergenza climatica, minando lo sforzo collettivo per contrastare il riscaldamento globale. Le riunioni e le conferenze scientifiche internazionali sono state posticipate o annullate e la stessa attività di ricerca scientifica ha subito un rallentamento. La situazione che si è venuta a creare per fronteggiare l’emergenza sanitaria rappresenta, tuttavia, un’opportunità unica per meglio comprendere i meccanismi che determinano il cambiamento climatico, una sorta di esperimento su vasta scala per studiare gli effetti del rallentamento economico globale sul clima terrestre.
Emergenza sanitaria ed emergenza climatica appaiono, infatti, strettamente legate: se non vi è ancora unanimità nel considerare l’inquinamento atmosferico come uno degli elementi che ha favorito la diffusione del virus, è invece certo che le straordinarie misure adottate per contrastare la diffusione della pandemia abbiano determinato una riduzione delle emissioni inquinanti, con un conseguente miglioramento della qualità dell’aria nelle principali città del mondo. La diminuzione del traffico e la limitazione delle attività produttive, infatti, hanno portato a una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto e, in misura minore, di particolato atmosferico. Si è registrata anche una riduzione delle emissioni di gas climalteranti, tuttavia, questi hanno una permanenza in atmosfera tale per cui non è ancora possibile quantificare gli impatti sulle relative concentrazioni.
Gli effetti positivi delle limitazioni imposte dai governi saranno, però, solo temporanei senza una radicale trasformazione dei sistemi di produzione e di consumo. Il ritorno alla normalità, inteso come riproposizione dei medesimi modelli e comportamenti individuali e collettivi ai quali eravamo abituati prima della diffusione del virus, porterebbe in breve tempo ad annullare questi miglioramenti o addirittura a peggiorare le condizioni, nel tentativo di incentivare una ripresa non consapevole e insostenibile.