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Non solo vendere il tartufo, ma proporlo come un’esperienza, una storia di successo, un forte legame con territorio ed un volano per l’economia. E’ con questo spirito che nel piano didattico degli istituti alberghieri e nelle agenzie professionali piemontesi verrà introdotto un modulo sperimentale di insegnamento, breve ma denso di contenuto, sul tartufo, sia quello bianco d’Alba, ma sulla sua scia anche i tartufi neri e invernali, che costituiscono un tratto distintivo della gastronomia piemontese in tutto il mondo.
È questa una delle novità emerse nel corso della prima riunione della Consulta per la valorizzazione per patrimonio tartufigeno regionale, che, rinnovata a seguito dell’insediamento della nuova Giunta, ha iniziato i suoi lavori presieduta dal vicepresidente Fabio Carosso.
Tanti i temi affrontati, a partire alla costatazione di come nel corso del tempo si sia assistendo a una diminuzione della superficie destinata al tartufo nero, l’unico coltivabile, attraverso la tecnica della “micorizzazione” (associazione simbiotica tra il fungo e la pianta). In questo caso di tratta si stimolare la diffusione di piante che ben si prestino alla crescita del tartufo nero e di evitare che quelle esistenti vengano tagliate. La soluzione potrebbe essere quello di prevedere un più alto incentivo economico per i contadini che investono sul lungo periodo sulla produzione tartufigena, invece che su altre coltivazioni.
Un altro problema preso in esame è stato quello della certificazione delle piante, procedura oggi non esistente in Piemonte. Per questo l’Ipla (Istituto piemontese per le piante da legno e l’ambiente) insieme al Cnr lavoreranno a delle linee guida per produrre delle piantine tartufigene di qualità e per la loro certificazione.
“Ci troviamo davanti a un lavoro molto impegnativo - ha concluso Carosso - con una visione di progetti a medio lungo periodo”.