Autonomia sullo stato di emergenza e un vademecum su come pulire i fiumi

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Ambiente e Territorio

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I tragici giorni dell’alluvione che 25 anni fa, il 5 e 6 novembre 1994, sconvolse il Piemonte provocando 70 vittime e quasi 2.300 sfollati tra Torinese, Albese, Astigiano, Alessandrino, Vercellese e Valsesia sono stati ricordati durante una seduta del Consiglio regionale, tenutasi per motivi di capienza nel Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino, aperta agli interventi dei sindaci, dei prefetti, dei vigili del fuoco, dei volontari della Protezione civile, delle associazioni di categoria, dei professionisti che si occuparono dapprima della gestione dell’emergenza e poi della ricostruzione delle case, delle fabbriche, delle aziende agricole e delle strade distrutte dalla furia dell’acqua e del fango. Guarda le immagini

Il presidente della Regione, Alberto Cirio, dopo aver definito quei giorni “uno degli eventi più drammatici che il Piemonte ha vissuto e che ha affrontato con il suo animo sabaudo, con la forza di trasformare le macerie in mattoni e la fine in nuovo inizio”, ha sostenuto che “oggi il Piemonte è più sicuro e può contare su uno straordinario sistema di Protezione civile e di intervento grazie anche alle Forze dell’Ordine”.

Riallacciandosi al maltempo che nei giorni scorsi ha colpito la provincia di Alessandria e il Verbano-Cusio-Ossola, pagato con due vite umane e danni enormi, Cirio ha evidenziato che ci sono ancora priorità su cui è fondamentale intervenire: “La Regione ha inserito nella propria richiesta di autonomia differenziata quella sullo stato di emergenza, per avere la possibilità di autovalutare i danni sul territorio quando si verificano eventi calamitosi, senza aspettare che a farlo sia un ufficio da Roma, perché questo consentirebbe di risparmiare tempo e di agire in modo più tempestivo. Un conto è verificare un danno dopo 24 o 48 ore, un conto dopo due mesi. E’ infatti fondamentale dare supporto ai Comuni nella gestione non solo della crisi, ma anche della messa in sicurezza idrogeologica quotidiana del territorio”.

Il presidente ha inoltre anticipato che verrà proposto al Governo “un vademecum rivolto ai sindaci che dia indicazioni chiare su come pulire i fiumi, senza rischiare una denuncia per violazione delle norme vigenti. La burocrazia ha bisogno di buonsenso. Ne ho già parlato al premier Conte e al capo della Protezione civile, Borrelli, a cui chiederemo di dare supporto pratico e operativo ai Comuni. Il Piemonte sosterrà questo progetto e lo proporrà anche in Conferenza Stato-Regioni, affinché possa essere adottato a livello nazionale. L’obiettivo è avere un documento vidimato dal Governo su ciò che i sindaci possono o non possono fare”.

Tra i relatori anche gli assessori  Luigi Icardi, che ha messo l’accento sul fatto che la popolazione colpita e i volontari hanno saputo fare squadra per avviare il difficile ritorno alla normalità, mettendo in risalto che "oltre al lavoro straordinario dei sindaci e dei volontari, l’intero sistema Paese funzionò con il contributo di tutti, dalla Guardia di finanza ai carabinieri, dai vigili del fuoco agli alpini, e anche il Governo centrale fu ben presente sul territorio”, e Roberto Rosso, che ha voluto richiamare l'attenzione sul fatto che “la mancata pulizia dei fiumi è il problema che spesso causa le alluvioni in Piemonte. È evidente che la questione esondazioni non si potrà mai risolvere definitivamente se, come a Crescentino, il dorso d’asino del Po è più elevato del livello altimetrico del centro città. Sembra incredibile, ma dopo 25 anni i due scolmatori previsti a Trino non sono ancora stati creati, uno è stato realizzato per metà, l’altro per nulla”, ha aggiunto, ricordando “le tre gravi alluvioni appunto di Trino, cittadina dove sono cresciuto: durante la prima ero bambino, ma la ricordo bene perché persi un mio caro amico, risucchiato nelle viscere della città, l’altra nel 1994 che commemoriamo oggi e l’ultima nel 2000 che causò anche dei morti. Passarono sei anni tra le due ultime alluvioni, e in tutto quel tempo l’argine del fiume non fu rifatto, così arrivò la seconda e ancor più tremenda alluvione. Oggi commemoriamo quei tragici giorni, ma questa è anche l’occasione per guardare al futuro e realizzare quel che serve affinché ciò che è accaduto allora non accada più. Non esistono pregiudizi ideologici di destra o sinistra per scongiurare simili sciagure - ha concluso - e per creare le condizioni affinché la gente non debba più piangere sui lutti”.

A concludere i lavori l’assessore alle Infrastrutture e Protezione civile, Marco Gabusi: "Dal 1994 si è sviluppato un sistema di protezione civile che oggi è uno dei migliori d’Italia. La sfida ora sta nell’evitare che il buon intento dei legislatori nel trovare i soldi si areni nei meandri della burocrazia. Accanto a questo occorre sviluppare un percorso culturale per sapere quali sono gli interventi da fare; dobbiamo ripartire dalla conoscenza storica dei fiumi e dal sapere dei geologi e dei tecnici e rendere più digeribili le norme. Il reticolo fluviale minore, i dissesti idrogeologici e le frane sono i rischi maggiori per le nostre comunità. La materia non è semplice, ma abbiamo la forza delle conoscenze acquisite a cui dobbiamo aggiungere un po’ di praticità, sfruttando al meglio i fondi per dare una prospettiva nuova al nostro Piemonte. Ci stiamo impegnando intensamente coinvolgendo tutte le intelligenze che abbiamo, incluso il Consiglio regionale".

Nei corridoi del Centro congressi è stata allestita la mostra fotografica “Un fiume di ricordi”, 32 pannelli con le istantanee scattate in quei giorni da fotografi professionisti e dilettanti visibili nel porticato di Palazzo Lascaris fino a venerdì 8 novembre dalle 10 alle 18.

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