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Supplemento Ordinario n. 2 al B.U. n. 50

Deliberazione della Giunta Regionale 13 dicembre 2005, n. 6-1749

L.R. n. 21/97 e s.m.i. - Capo VI - Artigianato Artistico e Tipico di Qualità - Art. 27 - Individuazione del Settore Lavorazione Salumi. Modifica D.G.R. n. 24 -2959 del 14 maggio 2001 e approvazione del Disciplinare di Produzione per l’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare - Settore Lavorazione Salumi

(omissis)

LA GIUNTA REGIONALE

a voti unanimi...

delibera

per le considerazioni espresse in premessa;

di modificare la D.G.R. n. 24 -2959 del 14 maggio 2001 con la quale la Giunta Regionale ha definito i settori dell’Artigianato alimentare per i quali procedere all’individuazione delle lavorazioni artigianali che presentano elevati contenuti di tradizionalità e di qualità da tutelare, sostituendo il settore Insaccati e Carni con il settore Lavorazione Salumi, per favorire la promozione e la valorizzazione delle imprese del settore stesso di cui alla L.R. 21/97 s.m.i., in considerazione della professionalità espressa dagli operatori che producono in base a specifiche competenze tecniche;

di approvare il Disciplinare per l’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare - Settore Lavorazione Salumi, allegato alla presente deliberazione quale parte integrante, predisposto dalla apposita Commissione di Disciplinare di Produzione.

La presente deliberazione verrà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, ai sensi dell’art. 61 dello Statuto e dell’art. 14 del D.P.G.R. n. 8/R/2002.

(omissis)

Allegato

DISCIPLINARE PER L’ECCELLENZA
DELL’IMPRESA ARTIGIANA ALIMENTARE

Settore Lavorazione Salumi.

INTRODUZIONE

La tradizione del consumo di salumi è antichissima e le lavorazioni ad essi collegate utilizzano, da secoli, quasi esclusivamente carne suina. Se è vero che a volte, per esigenze proprie o su richiesta di clienti, vengono prodotte piccole quantità di salumi che impiegano parti magre di altri animali come l’asino o il cinghiale, è innegabile che sia il maiale, in Piemonte ed altrove, il vero protagonista.

Da migliaia di anni questo animale è uno dei più fedeli amici dell’uomo; ha sempre vissuto al suo fianco e con tutta probabilità è stato il primo animale addomesticato a fini esclusivamente alimentari. Buoi, cavalli, capre e pecore, infatti, venivano allevati in quanto animali da lavoro e fornitori di prodotti, e macellati solo quando non più in grado di produrre, completando così un ciclo biologico ed esistenziale in cui nulla veniva sprecato. Il maiale, invece, durante l’allevamento non forniva nulla ed era, di fatto, una bocca vorace da sfamare; ma l’investimento veniva ampiamente ripagato da una provvista di cibo in grado di assicurare la sopravvivenza sino alla fine dell’inverno.

Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, ma è certo che è sempre stato uno degli animali più apprezzati dall’uomo. Ovidio, nelle Metamorfosi, afferma che gli uomini nell’età dell’oro erano vegetariani ma, aggiunge, che la prima carne che essi mangiarono fu quella proveniente dal maiale.

Inizialmente, il bestiame veniva allevato unicamente per soddisfare le necessità della famiglia o del villaggio; solo in epoca etrusca iniziano a prendere vita le prime forme di allevamento stabile, specializzato e finalizzato anche al commercio. Una forte testimonianza arriva dagli scavi di Forcello, V secolo a.C., nel mantovano, dove furono ritrovati 50 mila resti di ossa animali, di cui il 60% di suini. Dal loro studio è emerso che appartenevano a maiali di circa due o tre anni di vita e che mancavano gran parte degli arti inferiori. Nasce forse, allora, il concetto di salume.

In epoca romana l’interesse si concentra progressivamente sulla coscia di suino; la sua produzione registra una sempre più precisa messa a punto della materia prima e dei metodi di trasformazione. Il prosciutto diventa l’elemento di maggior pregio ricavato dal suino, protagonista di innumerevoli occasioni di incontro e di festa. Varrone scrisse che “...Nella dispensa di un proprietario terriero non possono mancare salumi e quarti di maiale...”; questo per dire che i romani furono grandi mangiatori di maiali e salumi.

Con le successive invasioni barbariche il suino diventa una delle risorse più importanti del villaggio e delle campagne, sotto forma di insaccati e di carni conservate; prosciutti, spalle e pancette diventano addirittura moneta corrente.

Il Medioevo fu un’epoca in cui la gente ebbe a soffrire carestie e stenti a non finire, soprattutto a causa delle scorribande di popolazioni considerate “barbare” dai Romani; eppure; l’arrivo di questi barbari, i Longobardi prima, i Franchi poi, non fece che assecondare la nostra già consolidata tradizione determinando, al confine con Bologna, una linea di netta separazione tra la Longobardìa e quella Romanìa bizantina che invece preferiva la carne di pecora e di capra.

Nel Medioevo il pascolo del suino ha un rilievo particolare, al punto che i boschi sono misurati in base alla loro capacità di nutrire suini, più che in base alla loro superficie. È ben noto che l’Editto di Rotari, del 643, puniva l’uccisione del magister porcarius con la massima multa, due volte e mezzo la multa per l’uccisione di un servo massaro.

Col passare dei secoli l’allevamento del suino e il consumo dei prodotti da esso derivati, assumono progressivamente maggiore importanza passando dai trionfi rinascimentali, in cui si sviluppa l’arte gastronomica e il suino compare sulle tavole dei banchetti più sontuosi, fino al diciannovesimo secolo, in cui si assiste al sorgere ed alla diffusione dei primi laboratori alimentari e delle prime salumerie.

In Italia, tra il XII e il XVII secolo, si osserva un forte sviluppo dei mestieri legati alla trasformazione delle carni del maiale. In quel periodo si affaccia la figura del norcino che, grazie alla sua abilità, dà vita alla creazione di nuovi prodotti di salumeria. Tali figure professionali iniziano a organizzarsi in corporazioni, o in confraternite, ed assumono importanti ruoli all’interno della società di quel tempo. La loro attività, però, era stagionale, in quanto il maiale veniva ucciso una volta all’anno e non esistevano ancora tecniche di conservazione della carne fresca. I norcini lasciavano le loro città ai primi di ottobre per farvi ritorno alla fine di marzo, quando riprendevano il loro lavoro quotidiano di vendita di paglia o di articoli da giardinaggio. La figura del norcino mantenne intatta la propria fama sino all’indomani della fine della II Guerra Mondiale. Oggi, l’eredità dei norcini è passata agli artigiani e al mondo dell’ industria alimentare, sempre pronta a dar vita a produzioni innovative, recuperando anche antiche ricette del mondo della salumeria.

Le carni del suino, opportunamente lavorate e conservate, rappresentavano la più rilevante fonte di proteine nobili, indispensabili ingredienti di condimento e cottura durante il corso dell’anno, durante il quale il consumo veniva attentamente graduato, osservando per i singoli prodotti il tempo più adatto e l’uso più appropriato. Il tempo e l’uso dipendevano, da una parte, dalla diversa stagionatura richiesta dai singoli prodotti e, dall’altra, dal periodo dell’anno nel quale ci si trovava e, quindi, dai lavori agricoli del periodo, che rendevano più confacente “mettere a mano”, come si diceva, un prodotto o un altro. Alcune parti pregiate del suino macellato, in particolare i prosciutti, venivano talora vendute per l’acquisto di altri prodotti necessari alla famiglia rurale, come il sale, l’olio, lo zucchero, i capi di abbigliamento.

Per la stagionatura, i salami, dopo essere stati tenuti qualche giorno in un locale aerato e leggermente riscaldato (vicino alla cucina) per farli asciugare, venivano trasferiti in un locale idoneo, fresco, in genere la cantina, appesi alle travi ad opportuna distanza in modo che i singoli pezzi non si toccassero mai tra di loro, perché questo dava luogo a marcescenza. Stessa prassi veniva riservata ai cotechini, anche se questi erano destinati al consumo entro uno o due mesi. I prosciutti, le pancette e le coppe, aperte, venivano tenuti per circa dieci giorni in un locale asciutto, su assi di legno per la salatura. Dopo questo tempo, il norcino ripassava presso la famiglia rurale, in particolare per la legatura delle pancette e delle coppe. Queste ultime erano avvolte e legate nella pellicola della vescica del maiale, opportunamente conservata. Anche sommità e base delle pancette, non coperte dalla cotica, venivano coperte con la stessa pellicola. Con l’occasione della seconda venuta, il norcino sentiva se si erano presentati dei problemi per i prodotti lavorati, per porvi rimedio. Le pancette e le coppe, da questo momento, venivano trasferite nello stesso locale nel quale erano stati collocati gli altri salumi, mentre i prosciutti rimanevano in salatura ancora per qualche settimana, poi, venivano sugnati e, almeno per i primi mesi, tenuti a stagionare in un locale più aerato. Il padrone di casa si faceva carico di seguire l’andamento della stagionatura di tutti i pezzi, per consumare, eventualmente subito, i prodotti che presentassero sintomi di difetti, di cattivo odore.

L’uccisione del maiale portava una ventata di novità nella cucina, allora molto povera. Durante l’anno si utilizzavano i vari pezzi che la lavorazione dell’animale forniva. I salami, che per i bambini erano i preferiti di tutti i prodotti, venivano tagliati per qualche emergenza, in occasione di festa o per una visita di riguardo, accompagnati da una bottiglia di vino bianco, raramente bevuto in casa. Le pancette venivano tagliate quando cominciavano i lavori estivi, durante la fienagione e la mietitura. Poi si consumavano le coppe, e da ultimo i prosciutti. A parte i primi giorni che seguivano la macellazione del maiale, per i prodotti deperibili e, peraltro, estremamente poveri di carne, perché costituiti soprattutto da ossa, in famiglia si faceva un uso molto controllato dei vari pezzi del maiale e a nessuno era concesso prelevarne liberamente qualcuno. Solo il padre poteva fare questo, e la sua era un’azione strettamente connessa alla necessità. Un salame durava diversi giorni; non se ne mangiavano mai più di tre fette ciascuno e i pezzi maggiori duravano, dopo il taglio, anche più settimane, mentre un prosciutto poteva durare anche più di un mese.

Dal punto di vista alimentare e gastronomico l’egemonia della carne suina non è mai stata posta in discussione in nessuna delle principali culture culinarie del mondo; parlano da sé le infinite specialità nazionali e regionali a base di carne di maiale. Tale alimento aveva tutte le rosee caratteristiche della prelibatezza e, oltretutto, era grasso, possedendo, dunque, la dote più ricercata in tempi in cui alla grassezza erano associate idee di prosperità, di ricchezza e persino di salute. Il maiale aveva quindi un ruolo fondamentale nella vita e nell’alimentazione umana e, in Italia, questo si applicava specialmente alle regioni settentrionali alpine, dove il clima non consentiva la coltivazione dell’olivo; così il lardo e lo strutto erano i principali grassi impegnati in cucina: infatti si parlava di “civiltà dell’olivo” e di “civiltà del maiale”, a quest’ultima appartiene, indubbiamente, il Piemonte.

Quella con il maiale è stata una convivenza emblematica in quanto ricca di contraddizioni. Basti

pensare ai tanti modi di dire, in cui il termine “maiale” diventa un insulto; oppure, con la letteratura anglosassone, George Orwell, in “La fattoria degli animali”, fa del maiale il personaggio rivoluzionario, diventato ripugnante tiranno; o, ancora, si pensi al “guardiano dei porci” che rappresentava il livello più infimo della scala sociale. Tuttavia, parallelamente, è sempre esistito un amplissimo filone culturale che, invece, riconosce ampiamente l’importanza del suo contributo: dai rituali precristiani e orientali, in cui il sacrificio o la presenza del maiale aveva un ruolo propiziatorio, fino al Medioevo, quando il maiale compare anche nell’iconografia religiosa.

Infine il maiale è da sempre emblema di abbondanza e convivialità. Si pensi al carnevale in cui era usanza mangiare carne di maiale per l’ultima volta prima del periodo di quaresima; bisognava quindi approfittare con celebrazioni, accompagnate da grandi abbuffate e pubbliche distribuzioni di cibo, spesso a base di maiale. In Piemonte ne sono un esempio le molte sagre e feste paesane a base di fagioli e cotiche, salsicce e polenta, salumi e fritture.

Nella nostra Regione il maiale sta vivendo una nuova stagione, dopo essere stato messo per anni alla berlina come cibo “poco sano”, o comunque non compatibile con le moderne esigenze alimentari. Questo recupero si radica tanto nella generale riscoperta di aromi e sapori tradizionali, quanto in una politica della qualità che tale riscoperta ha accompagnato e sostenuto, consentendo di ritrovare o far conoscere prodotti che sembravo destinati all’estinzione, e di dare un senso nuovo ad altri di essi che, in virtù della loro stessa diffusione, rischiavano di perdersi nell’anonimia del mercato massificato dei prodotti industriali.

L’evoluzione dei tempi ha radicalmente mutato, negli ultimi cinquant’anni, il modo di confrontarsi con l’alimentazione in tutti i suoi aspetti. I criteri e le abitudini alimentari degli italiani hanno subito un primo stravolgimento nel secondo dopoguerra, con l’aumento del benessere economico generalizzato e con l’introduzione di una serie di innovazioni tecnologiche che hanno permesso trattamenti semplificati degli alimenti e, conseguentemente, hanno consentito l’estensione dei periodi di conservazione degli stessi. Una seconda rivoluzione è iniziata circa 10/15 anni fa ed è stata orientata verso la ricerca della qualità.

Alla fine della seconda guerra mondiale si desiderava vincere la fame di gran parte della popolazione; l’obiettivo da raggiungere era rappresentato da una alimentazione abbondante e ricca di principi nutritivi, fino ad allora pressoché assenti, accessibile a tutti. Successivamente, gli eccessi consumistici e le continue crisi alimentari, che hanno minato la sicurezza del consumatore, hanno generato un’inversione di tendenza orientata verso la qualità dell’alimentazione. L’eccellenza applicata alle produzioni agroalimentari diviene così l’obiettivo da perseguire: cibarsi poco (o comunque meno di prima) ma meglio. Per raggiungere tale obiettivo si presenta, quindi, la necessità di una riflessione sui criteri di selezione delle materie prime e sulle tecniche di trasformazione.

Dopo la corsa al ribasso dei prezzi dei generi alimentari, iniziata addirittura alla fine degli Anni Cinquanta, si è capito che “buono è bello e magari fa pure bene” e, soprattutto, che “buono a basso costo non sempre è possibile, eccellente mai”: ecco, quindi, la rivincita del prodotto caratteristico e che presenti anche legami con il territorio.

Bibliografia

* Domenico Vera, L’allevamento del maiale in epoca romana, www.museidelcibo.it

* Alda Tacca, Il maiale del Medioevo ai nostri giorni, www.museidelcibo.it

* Romeo Medici, Il maiale nella tradizione rurale, www.museidelcibo.it

* Elenco aggiornato dei Prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte, Bollettino Ufficiale Regione Piemonte, giugno 2002

* Sandro Doglio, Dizionario di gastronomia del Piemonte, Daumerie Editrice 1995

* www.salumi-italia.it

PREMESSA

La stesura del presente Disciplinare si inserisce nel quadro normativo - Titolo II Capo VI della L.R. 9 maggio 1997 n. 21 e s.m.i. L.R. 31 agosto 1999 n. 24 - predisposto dalla Regione Piemonte per la tutela e la valorizzazione delle lavorazioni artigiane che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tradizione dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura, anche di derivazione locale.

Secondo gli intendimenti della legge, la Regione Piemonte intende perseguire i seguenti obiettivi:

- quello della tutela e della salvaguardia di una tradizione artigiana con valenza culturale e storica accumulata nei secoli in Piemonte. Un patrimonio che, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della sua evoluzione, è stato conservato, trasmesso e valorizzato con continuità, tenacia e valenza dagli operatori del settore di generazione in generazione fino ai giorni nostri;

- quello della promozione di un insieme di iniziative che riscoprano, consolidino e rinvigoriscano nei suoi diversi aspetti questo processo, adeguandolo alle esigenze di qualificazione e di innovazione che il contesto economico, sociale e tecnologico attuale pone.

Finalità

Per conseguire gli obiettivi previsti dalla L.R. 21/97 e s.m.i. - Capo VI, Artigianato Artistico, Tipico e di Qualità, art. 26 - è predisposto il presente Disciplinare per l’Eccellenza dell’ Impresa Artigiana Alimentare - Settore Lavorazione Salumi.

Strumento

“Il Disciplinare per l’eccellenza dell’impresa artigiana alimentare” si propone di delineare delle regole, descrivere le caratteristiche e i requisiti, indicare le tecniche produttive adottate, sottolineare gli ingredienti utilizzati e quant’altro occorre ad individuare e specificare le lavorazioni in essere, secondo la legislazione vigente.

Riconoscimento

Potranno ottenere il riconoscimento di Impresa dell’ Eccellenza Artigiana e fregiarsi del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” le imprese operanti nel Settore Caseario e i consorzi di impresa che, già iscritti all’Albo delle imprese, ai sensi della Legge 443/85, dimostrino di possedere i requisiti richiesti dal presente disciplinare.

Il riconoscimento è a1ttuato mediante idonea annotazione nell’Albo provinciale delle imprese artigiane, riportando l’indicazione del settore specifico, la descrizione della tipologia produttiva, l’attribuzione della denominazione di Eccellenza Artigiana, il conferimento del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana”.

Art.1 Percorsi culturali

L’impresa deve saper riconoscere e collocare criticamente la propria attività nel rispetto dei percorsi culturali che hanno prodotto le esperienze storiche dell’Artigianato Tradizionale e di Qualità.

Devono essere considerati quali caratteristiche peculiari dell’impresa che opera nel settore:

* Il richiamo alla tradizione, inteso come capacità acquisita di una cultura specifica, non solo materiale, appartenente ad un ambito operativo.

* L’innovazione, intesa come volontà a ricercare e sperimentare nuove tecniche, all’interno di un territorio, senza stravolgere i legami con la tradizione.

* L’aggiornamento professionale, ovvero la disponibilità a recepire stimoli e sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni preposte o che svolgono attività di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale e del gusto.

* Il legame con le nuove generazioni, vale a dire la disponibilità ad offrire reali opportunità di formazione ed apprendimento, investendo in risorse umane.

* Il legame con il territorio, attraverso la proposta di percorsi del gusto e l’attivazione di sinergie con realtà espressione di una cultura territoriale.

1.1 Elementi caratteristici dell’Impresa Artigiana

Il rapporto tra tradizione e innovazione è la sfida ancora aperta per il mondo dell’artigianato.

La difficile alchimia fra questi due concetti delinea anche la vitalità economica di molte imprese artigiane. La sintesi tra tipicità, legame con il territorio, tradizione e processi innovativi rappresenta il contesto produttivo e l’universo di riferimento del settore.

In questo ambito si possono individuare alcuni elementi che distinguono l’impresa alimentare dell’eccellenza artigiana del Settore da un tipo di produzione seriale e standardizzata.

STAGIONALITA’

La ciclicità delle stagioni accompagna le produzioni artigianali. Specialmente nel settore alimentare, la stagionalità delle materie prime ha dato origine, nel tempo, a prodotti che hanno segnato e arricchito la vita dell’uomo. Una ricchezza che ci giunge non solo dal patrimonio di conoscenze della tradizione laica e religiosa, ma anche dalla necessità di scegliere e utilizzare quegli ingredienti nel loro naturale ciclo stagionale.

Il gusto di aspettare un periodo dell’anno, per ritrovare un sapore o un profumo senza accontentarsi di bontà appiattite lungo una temporalità sempre identica, vuol dire riscoprire la memoria, rinsaldare il legame con lo sviluppo che l’uomo e il suo territorio sono in grado di sostenere.

EQUILIBRIO

Raggiungere e mantenere l’equilibrio tra gli ingredienti a disposizione e la giusta manipolazione sono risultati che fanno parte delle sfide quotidiane dell’artigianato: le materie prime sono materiali vivi che mutano continuamente durante la trasformazione in forme e gusti segnati dal rapporto con la modernità. Qui si gioca con maestria il ruolo dell’artigiano, non solo legato alla tradizione, ma capace di trovare sempre nuovi stimoli, nuove proporzioni, nuovi suggerimenti, nuove presentazioni, innovando le ricette del territorio.

GUSTO

Senso che con l’olfatto è costituito dall’insieme delle percezioni che si registrano in bocca: i sapori, gli aromi, le fragranze. Le lavorazioni artigianali di qualità concorrono ad affinare l’educazione al gusto esaltandone la peculiarità degli ingredienti, coniugando creatività e richiamo alla tradizione.

RISPETTO DEL TEMPO

Il tempo scandisce i ritmi della produzione. Ci vuole tempo per acquisire le materie prime, ci vuole tempo per trasformarle in ingredienti, ci vuole tempo per seguire le lavorazioni, ci vuole tempo per la trasformazione e per la stagionatura. Avere un rapporto sano con i tempi più rallentati del solito vuol dire avere garanzia che in questo caso il tempo gioca a nostro favore: in qualità e cultura del gusto.

QUANTITA’

Per ogni artigiano esiste un volume ottimale di produzione. Esistono realtà con potenzialità più o meno elevate, ma per tutte non può essere superato quel rapporto stretto tra quantità prodotte e cura richiesta che comprometterebbe il livello qualitativo delle lavorazioni.

Verrebbe meno anche quel filo diretto, quel legame “personale” che permette agli artigiani di far tesoro delle valutazioni espresse dai propri clienti, dalle quali possono scaturire nuove opportunità di miglioramento.

Produrre maggiori quantità vorrebbe dire in alcuni casi rinunciare all’eccellenza delle materie prime ed accontentarsi di surrogati di qualità meno sicura. Il “dover aspettare”, il non trovare subito il prodotto che cerchiamo spesso è garanzia della coerenza delle scelte operate che determinano il valore aggiunto delle produzioni artigianali.

SEGRETI

Ogni artigiano sa di essere portatore di un sapere antico, al quale apporta le sue innovazioni, le sue modernità. Vive anche la feconda contraddizione di voler svelare i propri segreti, tramandando a qualcun altro questo “saper fare”, con l’aspettativa che non siano stravolti e semplificati quei gesti che sembrano inutili ma che fanno la differenza.

PECULIARITA’

Ogni artigiano ha una sua peculiarità che lo rende unico. Pur con forti legami con il territorio e la tradizione, non ne esistono due uguali. E’ l’elemento che definisce meglio la figura dell’artigiano, che lo contraddistingue nella diversità e nell’unicità e che spiega l’affezione della clientela.

Si tratta della difesa non solo di prodotti e di gusti, ma anche e soprattutto dell’identità delle persone, della loro abilità nel lavorare e trasformare, nell’infondere caratteristiche speciali di maestria o nell’imprimere i tratti del loro personale sentire.

RESPONSABILITA’

La scelta delle materie prime costituisce il supporto fondamentale su cui poggia la qualità. Un artigiano serio ed eticamente motivato ha una grande competenza e consapevolezza nell’uso delle materie prime che, trasformate con abilità, costituiscono il valore aggiunto della produzione artigiana.

La competenza non può essere improvvisata perché richiede professionalità specifica nel saper effettuare un controllo a monte, su produzioni che spesso precedono il suo lavoro, a garanzia delle fasi successive.

Attività che presuppone una riconosciuta esperienza tramandata, attraverso la conoscenza diretta delle fasi di filiera e dei diversi soggetti coinvolti.

SICUREZZA ALIMENTARE

La sicurezza alimentare è un elemento centrale e prioritario per il consumatore ed un pre-requisito essenziale per la qualificazione della produzione alimentare.

Richiede una responsabilizzazione dell’artigiano quale garante delle produzioni e insieme degli strumenti impiegati che si realizza anche attraverso il principio dell’autocontrollo ed è parte integrante della competenza artigiana.

Art. 2 Processo Produttivo

Il processo produttivo relativo alla produzione di salumi e prosciutti artigianali parte, innanzitutto, dalla selezione accurata delle materie prime, fino al termine della stagionatura o cottura del prodotto finale, prima della commercializzazione; ad esempio, il processo di produzione dei prosciutti inizia con la selezione delle cosce fino alla marchiatura finale ed alla commercializzazione.

L’utilizzo della materia prima è condizionato dalla sua produzione nel territorio piemontese e deve essere conforme alle normative di legge.

Ingredienti

Carni

NaCl (sale)

Aromi naturali è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente

Erbe aromatiche e spezie

E300 (acido L- ascorbico)

E301 (sodio L- ascorbato)

E250 (nitrito di sodio)

E252 (nitrato di potassio)

Zuccheri (fruttosio, destrosio, saccarosio, glucosio)

Budello (naturale e sintetico)

Starter naturali

Vini

Art. 3 Processo di Trasformazione salumi

INSACCATI

La sequenza del processo di trasformazione degli insaccati e le attrezzature impiegate nella lavorazione, indicate di seguito, è meramente esemplificativa, considerata la complessità e la variabilità che caratterizzano la produzione di insaccati nella Regione Piemonte. La lavorazione artigiana degli insaccati ha la primaria caratteristica di essere discontinua, eseguita con macchinari o agevolatrici facilmente tarabili dall’operatore artigiano che, in questo modo, può introdurvi la propria esperienza e creatività.

Nell’ambito degli insaccati crudi, la fase di maggior criticità per il raggiungimento dell’eccellenza sensoriale è la delicata fase di stagionatura, dove nella carne, al fine di renderla maggiormente digeribile, si sviluppa una flora batterica che incomincia a demolire parzialmente le proteine della carne. Durante questa parziale demolizione delle proteine ed in parte delle sostanze grasse, si sviluppano gli aromi tipici degli insaccati, che insieme agli aromi inseriti (spezie) conferiscono al prodotto la propria tipicità organolettica. Il luogo di stagionatura e la sua gestione risultano fondamentali per il controllo della stagionatura e della fermentazione delle carni. Per quanto concerne gli insaccati cotti, la fase più critica per l’ottenimento dell’eccellenza sensoriale è quella della cottura.

In funzione del Reg.to CEE 178/02 ogni fase del processo di produzione deve essere registrata ai fini della rintracciabilità dei prodotti e dei materiali accessori e complementari, nonché delle materie prime.


tabelle


Art. 5 Manualità

L’utilizzo dei macchinari è consentito per velocizzare i tempi di lavorazione, senza peraltro stravolgere gli originari e tradizionali sistemi di produzione.

Nei processi di produzione indicati agli articoli 3 e 4 si evidenzia che la manualità rappresenta senza dubbio l’elemento distintivo che consente di differenziare l’impresa artigiana dall’impresa industriale. Durante le fasi di produzione e/o stagionatura è quindi indispensabile che la manualità sia non solo presente, ma determinante per la qualità finale del prodotto. La capacità e l’esperienza dell’operatore sono infatti indispensabili per governare il processo produttivo al fine di ottenere un prodotto d’eccellenza.

La produzione artigiana non può essere caratterizzata dall’assoluta serialità del prodotto, tuttavia occorre che il prodotto stesso, compatibilmente con il rispetto delle esigenze di stagionalità, non abbia caratteristiche morfologiche ed organolettiche eccessivamente discontinue.

Art.6 Requisiti

Data la complessità del settore, l’imprenditore artigiano deve avere un’approfondita conoscenza delle tecniche di lavorazione tradizionali, dei processi produttivi, delle materie prime e degli ingredienti utilizzati e deve essere in grado di partecipare direttamente alle fasi produttive.

E’ richiesta un’ esperienza di almeno 5 anni nel settore.

Qualora il periodo sia inferiore a quello sopra indicato, possono concorrere al raggiungimento del tetto dei 5 anni i periodi di attività produttiva nel settore (da documentare), in qualità di dipendente o di coadiuvante con mansioni lavorative adeguate.

E’ sufficiente un periodo di lavoro nel settore di 4 anni per chi avesse effettuato un percorso di formazione specifica presso scuole di formazione accreditate (per un minimo di 1200 ore) oppure sia in possesso di una formazione professionale nel settore.

Nel caso di consorzi di imprese, sarà indispensabile che almeno i 4/5 delle imprese che ne fanno parte siano riconosciute imprese dell’Eccellenza Artigiana.

6.1 Norme di ammissione

Le imprese artigiane dovranno provare la propria capacità compilando la domanda- questionario predisposta, allegando:

* curriculum dettagliato in cui evidenziare

1. esperienze produttive

2. eventuale partecipazione ad Esposizioni, Mostre, Rassegne di settore

3. partecipazione attiva a percorsi formativi anche in collaborazione con associazioni di categoria e/o di settore

* documentazione fotografica del laboratorio artigiano

6.2 Accettazione delle domande

Il riconoscimento viene effettuato dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato (C.P.A.) competente per territorio, supportata da esperti, ai sensi delle normative vigenti.

La C.P.A., esaminate le domande e la documentazione prodotta, potrà, qualora ne ravvisi la necessità, richiedere specificazioni attraverso:

* documentazioni aggiuntive

* colloqui diretti

* sopralluoghi presso le aziende dei richiedenti.

6.3 Attività di commercio

Potranno essere riconosciute le aziende artigiane che svolgono, in forma secondaria, attività commerciale a condizione che non si generi confusione tra il prodotto regolarmente realizzato in azienda e quello unicamente commercializzato.

6.4 Titolarità del riconoscimento

Il riconoscimento è attribuito all’impresa ai sensi della L.R. 21/97 e s.m.i., art. 28.

I requisiti richiesti dal Disciplinare devono sussistere in capo al titolare o almeno ad uno dei soci dell’impresa.

Ogni modifica e variazione d’impresa devono essere comunicate alla competente Commissione Provinciale per l’Artigianato che valuta il permanere dei requisiti di eccellenza.

6.5 Denominazione

E’ stata individuata la denominazione “Eccellenza Artigiana” con D.G.R. n. 30 - 322 del 29/06/2000 da attribuire alle imprese che hanno ottenuto il riconoscimento dell’artigianato artistico, tipico, tradizionale di ogni settore e conseguente annotazione specifica all’Albo provinciale delle imprese artigiane.

A tali imprese viene attribuito il marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” approvato con D.G.R. n. 3 - 1713 del 14/12/2000.

L’uso, lo sviluppo e la diffusione di tale marchio è disciplinato da regolamento approvato con D.G.R. n. 4 -1714 del 14/12/2000.

Il richiamo all’ Eccellenza Artigiana in Mostre, Esposizioni, Manifestazioni, potrà essere utilizzato solo se il 90% delle imprese partecipanti risulteranno essere in possesso del marchio di eccellenza.

I concessionari utilizzatori della denominazione in oggetto e dei rispettivi elementi identificativi, si impegnano a proteggere il marchio e la sua immagine e a compiere ogni sforzo per propagandarlo.

In ogni caso, proprietario esclusivo del marchio è la Regione Piemonte.

6.6 Iter procedurale

Al fine di poter riassumere e di chiarire meglio quanto sopra espresso, evidenziamo le procedure di riconoscimento, che risultano pertanto:

* Compilazione della domanda-questionario

* Primo grado di valutazione delle imprese sulla base della domanda- questionario

* Acquisizione di ulteriore documentazione

* Approfondimento con eventuale richiesta di colloquio

* Predisposizione di controlli in azienda

* Previsione della possibilità di ricorso

6.7 Ricorsi

I ricorsi dovranno essere presentati seguendo le stesse modalità previste per i ricorsi su iscrizioni e cancellazioni dall’Albo delle imprese artigiane, alla Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.) che potrà avvalersi della consulenza della Commissione per il Disciplinare del settore.

6.8 Controlli

La Regione potrà, nell’ambito delle revisioni degli Albi provinciali delle imprese artigiane, attuare procedure al fine di verificare il persistere dei requisiti, come previsto dall’art. 44 della L.R. 21/97 e s.m.i.

L’impresa si impegna a dare alla Commissione Provinciale per l’Artigianato competente ogni facoltà per procedere di volta in volta a controlli di accertamento dei requisiti e l’impresa si impegna a dare spiegazioni rilasciando eventuale documentazione fiscale-contabile (fatture, registri, ecc). Le Commissioni Provinciali dell’Artigianato, competenti per territorio, in qualsiasi momento lo ritenessero opportuno, potranno svolgere indagini ed ispezioni per verificare il permanere, in capo all’impresa che abbia ottenuto il riconoscimento di “eccellenza artigiana”, dei requisiti richiesti dai rispettivi disciplinari di produzione.

6.9 Cancellazione del riconoscimento

Qualora si riscontri la non conformità dell’utilizzazione del marchio secondo quanto previsto nel Regolamento Regionale n. 1/R del 15 gennaio 2001 recante disposizioni sull’uso del Marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” e l’inosservanza delle prescrizioni previste dal presente disciplinare, la Commissione Provinciale per l’Artigianato, competente territorialmente, diffida l’impresa dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio, invitandola ad adeguarsi a quanto previsto dal regolamento stesso.

In caso di reiterazione dell’inadempienza e/o di perdita dei requisiti richiesti dai disciplinari, la C.P.A. competente territorialmente, provvede anche ai sensi dell’art. 45 della L.R. 21/97, alla cancellazione dell’annotazione di “Eccellenza Artigiana” dell’impresa dall’Albo, sentito in ogni caso l’interessato.

Art. 7 Botteghe Scuola

Le imprese riconosciute sulla base dei criteri previsti nel presente Disciplinare e di quelli stabiliti dalla Regione Piemonte, sentito il parere della Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.), potranno accedere, ai sensi dell’art. 29 della L.R. 21/97 s.m.i., a tutti i vantaggi di cui usufruiscono le imprese “riconosciute”, tra cui la possibilità di partecipare al progetto formativo/lavorativo “bottega scuola”.

Alcuni riferimenti normativi

D.Lgs del 27 gennaio 1992 n. 109. Attuazione delle direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari

D.Lgs 26 maggio 1997 n. 155 “Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CEE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari

Legge Quadro 8 agosto 1985 n. 443 Legge quadro per l’artigianato

D.Lgs 23 giugno 2003, n. 181 Attuazione della direttiva 2000/13/CEE concernente l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità

Reg. CEE 178/02

Decreto Legislativo 21 maggio 2004, n. 172 “Attuazione della direttiva n. 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti ” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 2004


















La legenda esplicativa relativa ai codici delle Direzioni e dei Settori è pubblicata a pagina del presente Bollettino (Ndr)

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