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Come cambia il clima sulla montagna piemontese

Passato e futuro in uno studio commissionato dalla Regione

La copertina della ricerca

In montagna gli inverni rigidi scompariranno quasi del tutto intorno al 2080 ed aumenteranno considerevolmente le estati molto calde. Sempre intorno a tale anno le siccità e le precipitazioni intense saranno più frequenti e i cambiamenti climatici incrementeranno probabilmente la frequenza delle alluvioni, in particolare delle piene improvvise.

A sostenerlo è uno studio sui cambiamenti climatici nella montagna piemontese e sull'impatto che essi hanno avuto ed avranno sul territorio montano che la Regione ha commissionato alla Società meteorologica subalpina.

Realizzata con il coordinamento scientifico di Luca Mercalli, la ricerca si sofferma sull'analisi dei dati su clima e atmosfera, neve e ghiacciai, ecosistemi terrestri e biodiversità, ma anche sull'acqua, l'agricoltura, l'economia e la salute umana nelle terre alte. Il testo non sarà pubblicato in forma cartacea, anche per considerazioni di carattere ecologico, ma è disponibile sul sito web della Regione.

"Per poter prendere decisioni politiche condivise - rileva l'assessore regionale allo Sviluppo della montagna e Foreste, Bruna Sibille - è necessario avere un quadro di riferimento e dati il più possibile attendibili sulle prospettive future. Non ci interessa soltanto la prospettiva della copertura nevosa nei prossimi anni per ragionare sullo sviluppo dei siti adibiti allo sci invernale, ci interessa certamente di più capire l'impatto dei cambiamenti climatici sugli eventi eccezionali per programmare gli investimenti e gli interventi per la prevenzione dei rischi idrogeologici".

I dati sulle temperature dal 1900 ad oggi indicano che il riscaldamento sulla regione alpina è stato maggiore di quello globale, con un aumento di 1,2 ° C, che sulle Alpi piemontesi l'aumento è stato inoltre più sensibile in estate che in inverno, che negli ultimi novanta anni si è registrata nel complesso una moderata tendenza alla diminuzione delle piogge, ma con segnali piuttosto deboli e irregolari, e che non si evidenziano variazioni significative nel numero di episodi di precipitazioni intense. Dal 1850 al 2000 i ghiacciai alpini hanno perso la metà della loro superficie complessiva. Studi effettuati sui ghiacciai del Canavese e della Valsesia confermano per il Piemonte questa tendenza di riduzione. Sulle nostre montagne nel periodo 1990-2007 si è anche assistito ad un anticipo di circa quindici giorni della fusione primaverile rispetto al periodo 1961-1989. Sulle zone di bassa montagna (quote inferiori a 1500 metri) si prevede una diminuzione del 35% della durata dell'innevamento per ogni grado di aumento della temperatura. Sarà inoltre possibile un anticipo della "morbida" tardo primaverile-estiva a causa di una più precoce fusione della neve e una più pronunciata magra estiva a causa della diminuzione delle precipitazioni e dell'esaurimento della riserva glaciale.

Per quanto riguarda poi la produzione vegetale, le perdite di raccolto potranno diventare più frequenti a causa di eventi meteorologici estremi (siccità, alluvioni, tempeste, grandinate) e della maggior diffusione di patologie da parte di funghi e insetti.

Le ondate di calore aumenteranno e saranno intense nei prossimi decenni; le valli montane del Piemonte potrebbero quindi beneficiare di una maggiore frequentazione estiva da parte dei residenti nelle città padane soggette al forte aumento termico.

st

Torino, 10/10/2008