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Bollettino Ufficiale n. 32 del 7 / 08 / 2008

Deliberazione del Consiglio Regionale 29 luglio 2008, n. 209 - 34545

Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione per il riconoscimento di un’autonomia differenziata della Regione Piemonte

(omissis)

IL CONSIGLIO REGIONALE

Visto l’articolo 116 della Costituzione il cui comma terzo ha introdotto la facoltà di definire, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al comma terzo dell’articolo 117 della Costituzione e le materie indicate dal comma secondo del medesimo articolo alle lettere l) limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s);

visto altresì l’articolo 119 della Costituzione;

visti gli articoli 2, 3, 4 e 97 dello Statuto regionale;

richiamato il documento della Giunta regionale presentato al Consiglio regionale nella seduta del 31 ottobre 2006, recante “Prime riflessioni per l’avvio del procedimento di individuazione di ulteriori forme e di condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione”;

richiamato l’ordine del giorno n. 480 “Attuazione dell’articolo 116 della Costituzione” del 31 ottobre 2006 che rinviava alla Commissione consiliare competente il prosieguo della discussione per definire una possibile proposta di percorso, in attuazione del dettato dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione;

considerato che il Piemonte costituisce una realtà matura per sperimentare forme e condizioni particolari di autonomia e che l’ottenimento di spazi più ampi di intervento, come consentito dalla Costituzione, permetterebbe di rafforzare il ruolo nevralgico in ambito socio-economico, anche a beneficio dell’interesse della collettività nazionale e a conferma di quella assunzione di ruolo e di responsabilità sempre assicurati dalla Regione Piemonte;

considerato che nell’individuazione delle materie rispetto alle quali proporre l’avvio di un’intesa con lo Stato, la Regione Piemonte ha seguito i seguenti criteri:

a) funzionalità delle stesse alle scelte strategiche per lo sviluppo economico e territoriale che la Regione intende perseguire;

b) attribuzione di competenze in ambiti nei quali la Regione ha sviluppato significative esperienze;

c) riunificazione delle competenze nelle materie che solo parzialmente sono state attribuite alla potestà legislativa regionale;

considerato che la Regione Piemonte risulta caratterizzata da elementi di peculiarità, consistenti in un articolato sistema delle autonomie locali la cui partecipazione è essenziale per la costruzione di un percorso di autonomia e responsabilità condivise nel pieno rispetto dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale, nel quale rileva la specificità dei territori montani e collinari e nell’essere zona di confine con due Stati e una Regione a Statuto speciale;

considerato che sulla base del confronto con modelli di governo maggiormente autonomi, le relazioni transfrontaliere e la diversità e complessità dei sistemi dei servizi nelle aree montane devono essere considerate nell’ambito dei conferimenti alla Regione per quanto riguarda le politiche transfrontaliere e la gestione di territori e servizi montani;

considerato che la particolare attenzione posta dalla Regione Piemonte rispetto al proprio patrimonio paesaggistico e culturale, obiettivo qualificante del programma regionale, non solo tende ad una sua tutela, ma è volta altresì a valorizzarlo come volano di sviluppo del territorio tanto più utile in presenza di caratteristiche geografiche tipicamente legate a problemi di spopolamento e abbandono, tali da giustificare forme e condizioni speciali di autonomia;

considerato che la peculiarità della conformazione territoriale e orografica della Regione Piemonte, la sua collocazione periferica rispetto allo Stato e la crescente esigenza di incrementare gli scambi ed i collegamenti con gli Stati vicini, richiedono un’organizzazione peculiare delle reti infrastrutturali e trasportistiche, anche alla luce delle ricadute sociali ed economiche che queste comportano;

considerato che la stretta correlazione tra mondo universitario, della ricerca e settori produttivi, come si è strutturata nella nostra Regione, è in grado di influenzare in modo significativo lo sviluppo del territorio e che tale relazione non può prescindere dalle condizioni specifiche del contesto nel quale si colloca poiché deve muovere dai presupposti peculiari della realtà in cui interviene;

considerato che l’ulteriore valorizzazione del tradizionale rapporto intercorrente nel territorio piemontese tra mondo produttivo, Università e ricerca scientifica, consente di generare ritorni di investimento, anche economico, nell’attività di ricerca degli atenei, creando un circolo virtuoso tra mondo accademico, mondo industriale e territorio;

considerata l’opportunità di promuovere lo sviluppo sostenibile anche attraverso lo strumento della responsabilità civile in materia di danno ambientale, riconoscendo alla Regione il diritto al risarcimento del danno in caso di correlazione diretta tra lo stesso ed il territorio regionale;

considerata l’opportunità di consolidare il riconoscimento dell’autonomia regionale in materia di organizzazione sanitaria e della governance del sistema;

considerata l’opportunità di garantire alla Regione la facoltà di promuovere forme di previdenza integrativa su base regionale limitatamente alla previdenza complementare per le non autosufficienze;

considerato che, pertanto, la Regione Piemonte è pronta ad avviare un percorso per la formazione di un’intesa con lo Stato ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione, in applicazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione;

vista la deliberazione della Giunta regionale n. 1-8064 del 28 gennaio 2008;

visto l’intendimento di avviare un percorso per la conclusione di un’intesa ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione sulla base del testo unificato della proposta di deliberazione della Giunta regionale n. 341 e delle proposte di deliberazioni di iniziativa consiliare n. 208 e n. 273 nelle seguenti materie:

- beni paesaggistici e culturali;

- infrastrutture;

- università e ricerca scientifica;

- ambiente;

- organizzazione sanitaria;

- previdenza complementare e integrativa limitatamente agli interventi relativi alle non autosufficienze

delibera

1) di approvare il documento di indirizzo allegato alla presente deliberazione, di cui costituisce parte integrante e sostanziale (allegato A), per l’avvio del procedimento di individuazione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia per la Regione, ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione;

2) di affidare alla Presidente della Giunta regionale il mandato a negoziare con il Governo, in armonia con il principio di leale collaborazione, la definizione di un’intesa ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione, con riferimento alle materie indicate nel documento di cui all’allegato A;

3) di impegnare la Giunta regionale ad assicurare forme e modalità adeguate di coinvolgimento degli enti locali, ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione e degli articoli 2, 3, 4 e 97 dello Statuto regionale;

4) di impegnare la Giunta regionale a riferire ogni due mesi alla VIII Commissione consiliare permanente lo stato della negoziazione con il Governo di cui al precedente punto 2);

5) di attivare l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e rispettando i principi di solidarietà e coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e garantire la loro massima responsabilizzazione e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti.

(omissis)

Allegato A

DOCUMENTO PER L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO DI INDIVIDUAZIONE DI ULTERIORI FORME E CONDIZIONI PARTICOLARI DI AUTONOMIA AI SENSI DELL’ARTICOLO 116, COMMA TERZO, COSTITUZIONE

Iter procedurale e proposte per l’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione con riferimento alle seguenti materie:

* Beni paesaggistici e culturali

* Infrastrutture

* Università e ricerca scientifica

* Ambiente

* Organizzazione sanitaria

* Previdenza complementare e integrativa limitatamente agli interventi relativi alle non autosufficienze

ITER PROCEDURALE PER L’ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 116 DELLA COSTITUZIONE

L’articolo 116, terzo comma, della Costituzione come novellato dalla riforma del 2001, introduce il principio di differenziazione degli ordinamenti delle Regioni a Statuto ordinario.

Tale articolo attribuisce a ciascuna Regione la possibilità di negoziare con lo Stato forme e condizioni particolari di autonomia i cui effetti possono riguardare l’ambito amministrativo e finanziario, ma anche estendersi alle competenze legislative, nei seguenti termini:

- nelle materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni;

- in alcune materie di legislazione statale esclusiva (giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).

L’attuazione del regionalismo differenziato non può tradursi in un’alterazione degli equilibri tra pubblici poteri (Stato, regioni, sistema delle autonomie locali), garantiti dall’assetto costituzionale; per tale ragione l’articolo 116 prevede, seppur nei tratti fondamentali, un procedimento, articolato in più fasi, a conclusione del quale è possibile il raggiungimento dell’intesa su cui si basa l’attribuzione delle forme e condizioni particolari di autonomia.

1) Fase di iniziativa.

L’iniziativa del progetto spetta alla Regione attraverso la predisposizione di una delibera di Giunta, da adottare sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio regionale.

La delibera deve essere oggetto di consultazione da parte degli enti locali, come espressamente richiesto dall’articolo 116 della Costituzione, ad oggi da effettuare in sede di Conferenza Regione - autonomie locali, di cui alla legge regionale 20 novembre 1998, n. 34 (Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli Enti locali), ovvero tramite il Consiglio delle autonomie locali, istituito con legge regionale 7 agosto 2006, n. 30 (Istituzione del Consiglio delle Autonomie locali (CAL) e modifiche alla legge regionale 20 novembre 1998, n. 34 ‘Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli Enti locali’), al momento non ancora operativo.

2) Negoziazione e approvazione della legge statale.

La deliberazione della Giunta regionale deve essere trasmessa al Governo: su questa si avvia una negoziazione tra i due Esecutivi che sfocia in un’intesa da stipulare tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta regionale.

Il testo dell’intesa deve essere approvato con legge dello Stato a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (legge rinforzata). In sede parlamentare, può essere soltanto respinto o approvato, perché esso è frutto di una negoziazione e non può essere modificato senza previa nuova intesa con la Regione. Qualora non vi sia consenso su singoli punti dell’intesa, da parte della maggioranza parlamentare, il Governo è invitato a rinegoziare con la Regione i punti controversi e riportare successivamente il nuovo testo in Parlamento per la sua approvazione.

BENI PAESAGGISTICI E CULTURALI

A seguito dell’entrata in vigore del “Codice dei Beni culturali e del paesaggio”(Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) la necessaria azione di pianificazione ivi prevista stabilisce che, dal raggiungimento dell’intesa tra la Regione (unico soggetto competente alla redazione degli strumenti di pianificazione) e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si possa modificare il panorama esistente dei vincoli e definire procedure autorizzative differenti da quelle attualmente normate dalla legge regionale 3 aprile 1989, n. 20 (Norme in materia di tutela di beni culturali, ambientali e paesistici), anche con il conferimento di delega di funzioni amministrative a comuni e province.

In assenza di tale piano regionale, approvato e accompagnato dalla relativa intesa, è inefficace qualsiasi provvedimento di delega delle funzioni amministrative.

La Regione Piemonte sta predisponendo, a partire dagli studi del Politecnico di Torino, il proprio Piano Paesaggistico Regionale.

Per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali, un elemento da considerare è il variare della potestà normativa a seconda della titolarità dei beni culturali pubblici. La Corte costituzionale ha infatti in gran parte accolto il criterio di riparto delle competenze che era stato delineato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, secondo cui ogni ente territoriale è competente a espletare le funzioni di valorizzazione sui beni culturali che gli appartengono (sentenza 26/2004). Quanto alla competenza legislativa, la Corte costituzionale con la sentenza n. 303/2003 ha ritenuto di fondare sul principio di sussidiarietà l’attrazione della stessa allo Stato ove quest’ultimo detenga, in base allo stesso principio, le funzioni amministrative. Inoltre la titolarità del servizio pubblico implica il potere di dettare le norme per organizzarne il funzionamento; questa “intrinseca valenza organizzativa” dei servizi pubblici fa sì che lo Stato conservi una potestà legislativa piena e regolamentare sulla propria organizzazione amministrativa, ex articolo 117, comma 2, lettera g) della Costituzione.

Tale soluzione ha risolto la problematica contingente all’esame della Corte, ma d’altro canto si è discostata in modo significativo dalla lettera del dettato costituzionale, con riguardo alla disciplina non solo delle potestà legislative ma anche delle potestà amministrative, visto che né l’articolo 117 né l’articolo 118 della Costituzione testualmente ancorano le funzioni all’elemento dominicale, cioè alla titolarità dei singoli beni.

Il Codice dei Beni culturali, poi, è impostato in assoluta sintonia con quanto affermato da tale giurisprudenza costituzionale, giacché impiega il criterio dominicale ai fini del riparto delle funzioni in tema di valorizzazione dei beni culturali.

È appunto l’articolo 112 del Codice a dettare la regola per cui le regioni disciplinano la valorizzazione dei beni che sono nella loro proprietà o materiale disponibilità. Tale disposizione va letta in raccordo con l’articolo 102, che prevede il trasferimento della disponibilità di istituti e luoghi di cultura a regioni ed enti locali da parte del Ministero attraverso lo strumento dell’accordo (mantenendone quindi la titolarità). La funzione amministrativa di valorizzazione (e relativa gestione) compete quindi al soggetto che ha la materiale disponibilità del bene: si deroga al principio di sussidiarietà in favore del legame con il regime dominicale del bene.

Al contrario, sui beni di proprietà statale, l’unico strumento che consenta alle regioni un intervento (nell’impossibilità di dettare una disciplina normativa se non per i beni che si trovano nella loro materiale disponibilità) è quello di tipo consensuale, a partire dal coordinamento delle azioni attraverso gli accordi su base regionale cui fa riferimento l’articolo 112 del Codice.

Pertanto la proposta di riconoscere alla Regione la potestà legislativa relativamente alla valorizzazione, compresa la gestione, dei beni culturali appartenenti allo Stato risponde all’esigenza di garantire, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, di efficienza e di economicità, di responsabilità ed unicità dell’amministrazione di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni e agli enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), una politica della Regione unitaria, coordinata ed indifferenziata su tutti i beni presenti sul territorio regionale, indipendentemente dall’appartenenza del bene stesso.

Alla luce di questo rinnovato panorama normativo, da cui emerge una visione fortemente centralizzata delle competenze, riduttiva del nuovo ruolo regionale, si avanzano le seguenti proposte:

a) abrogazione del parere preventivo da parte della Soprintendenza nei confronti delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalla Regione, ai sensi dell’articolo 146 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, in presenza del piano paesaggistico, come parte integrante del Piano territoriale regionale (PTR), previa sottoscrizione dell’intesa tra Soprintendenza e Regione ex articolo 143, comma 2 del medesimo Codice;

b) trasferimento alla Regione dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela dei beni culturali sia di proprietà pubblica che di proprietà privata, presenti sul territorio regionale, relativamente alle competenze già attribuite ad organi dello Stato (Soprintendenze: archivistica; per il patrimonio storico, artistico e demo-etno-antropologico; per i beni architettonici e per il paesaggio; per i beni archeologici) al fine di evitare differenziazioni ingiustificate tra tutela e valorizzazione.

Allo Stato spetta la potestà legislativa in merito all’individuazione e disciplina delle categorie di beni da tutelare ed alla definizione di norme di principio che garantiscono l’unitarietà del sistema nazionale, ove la tutela del patrimonio storico ed artistico è riferita, ex articoli 5 e 9 della Costituzione, all’insieme delle istituzioni repubblicane, grazie alla valorizzazione delle autonomie locali e del decentramento;

c) riconoscimento alla Regione della potestà legislativa relativamente alla valorizzazione (ivi compresa la gestione) dei beni culturali appartenenti allo Stato, presenti sul territorio regionale, in linea con quanto previsto dal dettato costituzionale. Ciò al fine di garantire una politica della Regione unitaria, coordinata ed indifferenziata su tutti i beni presenti sul territorio regionale, indipendentemente dall’appartenenza del bene stesso.

INFRASTRUTTURE

Le regioni sono chiamate a svolgere un ruolo sempre più rilevante nella regolamentazione ed amministrazione dei servizi pubblici, in considerazione del loro carattere di enti esponenziali degli interessi delle comunità sottostanti, dei cui bisogni collettivi hanno una più diretta, immediata ed approfondita conoscenza rispetto allo Stato centrale.

Nella materia in oggetto, l’esigenza di garantire uno sviluppo armonico del territorio regionale, attraverso la valorizzazione delle risorse e delle peculiarità proprie di ciascuna zona, richiede, in particolare, di fare chiarezza sulla ripartizione di funzioni fra Stato e regioni, attraverso un’individuazione puntuale, delle infrastrutture ferroviarie, degli aeroporti, dei porti e della rete autostradale e stradale da considerare di interesse nazionale.

Riguardo alle grandi reti di trasporto, emerge la necessità di un coinvolgimento della Regione sia nelle scelte di programmazione (delibere CIPE, piani pluriennali ANAS, concessioni autostradali, ecc.), che nelle fasi di progettazione e realizzazione degli interventi, attraverso l’istituzione di appositi osservatori.

In materia di trasporto pubblico locale, la richiesta di trasferimento alla Regione anche delle competenze sulle infrastrutture ferroviarie, in aggiunta ai servizi di trasporto già conferiti con il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59) è motivata dalla necessità di garantire una migliore gestione complessiva della materia assicurando ai cittadini una più elevata qualità dei servizi.

In particolare, per quanto attiene alle “ferrovie secondarie”, cioè quella parte della rete ferroviaria presente sul territorio piemontese che viene attualmente utilizzata solo per l’effettuazione di servizi di trasporto ferroviario regionale e locale, su cui non transitano treni internazionali o nazionali, queste dovrebbero essere ricomprese fra le reti regionali di trasporto, di competenza esclusiva regionale. Infatti, ragionando in via interpretativa sui contenuti dell’articolo 117, comma terzo della Costituzione, proprio per le caratteristiche di traffico sopra richiamate, le “ferrovie secondarie” non possono essere considerate “grandi reti di trasporto”.

La società che attualmente gestisce le infrastrutture ferroviarie per conto dello Stato, ragionando in un’ ottica economica di costi-benefici, non è molto propensa ad effettuare investimenti rilevanti per il mantenimento in funzione, il potenziamento e l’ammodernamento delle ferrovie secondarie; l’attribuzione di queste ultime alla competenza regionale potrebbe portare ad un loro rilancio e valorizzazione, sia per il trasporto merci che per il trasporto passeggeri.

Le proposte di seguito avanzate muovono dalle considerazioni sopra esposte:

a) trasferimento in capo alla Regione delle funzioni di gestione delle reti stradali nazionali comprese nel territorio regionale, ferma restando la competenza statale in merito alla classificazione delle strade. Detta gestione potrebbe essere esercitata direttamente dalla Regione o dalle società concessionarie;

b) necessità di una maggiore chiarezza sulla ripartizione di funzioni fra Stato e Regione, mediante l’inserimento nel Piano Nazionale dei Trasporti di un’individuazione puntuale delle infrastrutture ferroviarie, della rete autostradale e stradale, degli aeroporti e dei porti da considerare di interesse nazionale;

c) trasferimento alla Regione delle strade non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale, in attuazione dell’articolo 101 del d.lgs. 112/1998 che può essere completato con il passaggio di ulteriori tratti ancora di competenza statale;

d) completamento, in materia di trasporto pubblico locale, dei trasferimenti in capo alla Regione delle infrastrutture ferroviarie (binari, stazioni ecc.) che, in aggiunta ai servizi di trasporto già conferiti con il d.lgs. 422/1997 (servizi di gestione), permetterebbero una migliore gestione complessiva della materia assicurando ai cittadini una più elevata qualità dei servizi;

e) trasferimento alla Regione delle competenze relative agli aeroporti di interesse regionale e locale;

f) attuazione dell’articolo 11 del d.lgs. 422/1997 che dispone il trasferimento della gestione governativa dei laghi Maggiore, di Como e di Garda alle Regioni territorialmente competenti, previo risanamento tecnico-economico da realizzare attraverso un piano predisposto dal Ministero dei Trasporti d’intesa con le regioni stesse;

g) per quanto attiene alle grandi reti di trasporto, coinvolgimento della Regione sia nelle scelte di programmazione (delibere CIPE, piani pluriennali ANAS, concessioni autostradali, ecc.), che nelle fasi di progettazione (attraverso la partecipazione ai lavori del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) e realizzazione degli interventi, attraverso l’istituzione di appositi osservatori ambientali. In particolare è necessario che in materia di autostrade di livello nazionale, la Regione venga coinvolta nelle fasi di definizione e determinazione della durata delle concessioni, nonché della successiva gestione.

UNIVERSITA’ E RICERCA SCIENTIFICA

I nuovi spazi di azione che l’articolo 116 della Costituzione potrebbe consentire in questa materia in capo alla Regione sono stretti tra le competenze statali, da un lato, e la forte autonomia dell’ Università dall’altro.

Pur tuttavia si evidenziano i seguenti ambiti di intervento, su cui lo Stato e la Regione potrebbero trovare forme di interazione mediante una diversa applicazione delle normative, il trasferimento alla Regione di risorse statali e la sperimentazione di nuove forme di gestione e di utilizzo della fiscalità regionale:

a) interventi finalizzati al sostegno dell’alta formazione, della ricerca scientifica e dell’internazionalizzazione, alla valorizzazione dei risultati della ricerca e alla promozione della cooperazione tra sistema della ricerca, del sistema industriale e dei servizi;

b) programmazione dei percorsi formativi del sistema universitario regionale, con un ruolo più attivo della Regione nell’istituzione di corsi di studio specificamente connessi con la realtà territoriale, al fine di innescare un circolo virtuoso di efficace collegamento con le peculiarità culturali, sociali, imprenditoriali e dei servizi del territorio (ferme restando le competenze statali in ordine al riconoscimento legale dei titoli di studio);

c) interventi per lo sviluppo degli insediamenti universitari e delle strutture didattico - scientifiche, al fine di sostenere la qualificazione e l’efficacia dell’attività degli Atenei e del sistema universitario regionale nel suo complesso.

d) trasferimento alla Regione di risorse statali per il funzionamento ordinario delle Università e per la programmazione territoriale delle sedi universitarie, articolata localmente attraverso la consultazione del comitato regionale di coordinamento.

Nel settore della ricerca scientifica il possibile campo di intervento regionale è sicuramente più vasto, non trovandosi nella Costituzione, e al di fuori del Titolo V, vincoli o riserve statali. Il problema in questo terreno è quello di contemperare la dimensione nazionale (quando non europea) di scelte sull’assetto complessivo della ricerca con le possibilità della Regione di contribuire fruttuosamente al suo sviluppo.

Una prima strada consiste nel distinguere tra ricerca scientifica regionalizzabile come ricerca pubblica strumentale (cioè quella svolta o promossa per soddisfare le esigenze conoscitive della Regione e del sistema amministrativo locale), nonché quella più strettamente connessa all’innovazione per i settori produttivi, come completamento dell’attribuzione alla Regione della competenza legislativa in materia di industria e ricerca.

Questa distinzione consentirebbe di tracciare una linea verticale di separazione di competenze tra ricerca strumentale e fondamentale della Regione e ricerca strumentale e fondamentale dello Stato.

Seguendo tale ragionamento, una possibile richiesta di attuazione dell’ articolo 116, comma terzo, consente di chiedere il trasferimento di tutte quelle competenze statali sulla ricerca fondamentale connessa alla competitività delle imprese, compresi i trasferimenti strutturali e quelli economici di incentivazione allo sviluppo.

A questo punto si apre la strada per una nuova organizzazione delle funzioni in materia di ricerca, in cui la Regione potrebbe richiedere:

a) la gestione in forma congiunta delle funzioni di indirizzo politico generale del sistema;

b) la gestione delle funzioni di finanziamento pubblico delle istituzioni scientifiche, salvo quelle a rilevanza nazionale.

Le proposte sin qui avanzate, muovono dalla considerazione che la stretta correlazione tra mondo universitario, della ricerca e settori produttivi, è in grado di condizionare in modo significativo lo sviluppo del territorio. Tale sviluppo, peraltro, non può prescindere dalle condizioni specifiche del contesto nel quale si colloca, poiché deve muovere dai presupposti peculiari della realtà in cui interviene. Probabilmente, allora, la dimensione regionale, quale ambito decisionale sufficientemente ampio per garantire l’efficacia di questo tipo di scelte, può trarre grande vantaggio da un rapporto più diretto con il mondo universitario.

In quest’ottica si collocano molti obiettivi dell’intesa programmatica stipulata tra la Regione e le Università piemontesi per il coordinamento dei reciproci interventi: tra gli altri, ad esempio, il trasferimento della conoscenza e dei risultati della ricerca dall’accademia all’industria e lo sviluppo dei rapporti tra gli atenei e le realtà industriali piemontesi.

Questa più stretta relazione tra mondo produttivo e Università, consente altresì di generare ritorni di investimento, anche economico, nell’attività di ricerca degli atenei, creando un circolo virtuoso tra mondo accademico, mondo industriale e territorio.

Inoltre, l’individuazione di obiettivi e progetti comuni tra Regione e mondo accademico, consente una razionalizzazione delle risorse finalizzate allo sviluppo degli atenei, anche attraverso un programma di decentramento più razionale ed efficace delle attività didattiche e di ricerca sul territorio.

Al di là del legame privilegiato con il sistema produttivo, un rapporto più diretto tra Regione e Università presenta interessanti ricadute anche in ambiti più squisitamente sociali quali salute e ambiente, che condizionano direttamente il benessere della popolazione e la sostenibilità delle politiche di sviluppo del territorio.

Per quanto concerne, poi, il sostegno all’internazionalizzazione del sistema universitario che possa attrarre studenti e sviluppare forme di interscambio di docenti e ricercatori, un maggior protagonismo regionale potrebbe contribuire a potenziare gli interventi per il diritto allo studio, con particolare attenzione ai progetti per la creazione di nuove strutture di ospitalità, verificandone la migliore allocazione in relazione alla capacità del territorio di offrire servizi ricreativi e di comunicazione anche con il coinvolgimento degli enti locali interessati.

AMBIENTE

Alla promozione dello sviluppo sostenibile si può contribuire anche tramite lo strumento della responsabilità civile in materia di danno ambientale. Attraverso il recepimento di un importante principio fondamentale di diritto internazionale, quello tradizionalmente noto come “chi inquina paga” si vuole introdurre un regime di prevenzione e riparazione dei danni ambientali, rendendo consapevoli gli operatori che mettono in atto pratiche e comportamenti che possono determinare rischi per l’ambiente riguardo agli obblighi di risarcimento del danno eventualmente causato.

In tale contesto l’azione di risarcimento è finalizzata al recupero economico dei danni ambientali o al ripristino originario della risorsa ambientale danneggiata. Risarcimento che viene pertanto effettuato in forma specifica con il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile o per equivalente, attraverso cioè una precisa quantificazione economico-monetaria del danno o tramite una valutazione equitativa operata dal giudice sulla base della gravità della colpa, del profitto conseguito dal trasgressore e del costo necessario per il ripristino dei luoghi.

Nonostante le aperture della giurisprudenza della Corte costituzionale in favore delle regioni, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) reca un nuovo assetto delle competenze che risulta quantomeno riduttivo nei confronti degli enti territoriali.

In particolare, in materia di danno ambientale, l’articolo 318 del Testo unico ambientale, abrogando l’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), e nel prevedere l’obbligo di risarcimento del danno ambientale, individuava i soggetti legittimati all’esercizio della relativa azione oltre che nello Stato, negli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo. Il Testo unico, sovvertendo detto quadro, all’articolo 311 prevede invece la legittimazione esclusiva dello Stato alla richiesta di risarcimento del danno ambientale, lasciando così gli enti territoriali sprovvisti di un importante strumento di tutela.

Tale accertamento in capo allo Stato della tutela del danno ambientale tuttavia pare difficilmente conciliabile con i principi di sussidiarietà orizzontale e verticale.

Dati questi presupposti e in considerazione degli specifici interessi localizzati sul territorio si potrebbe prevedere il riconoscimento in capo alla Regione del diritto al risarcimento del danno ambientale nell’ipotesi di accertamento di una correlazione diretta tra lo stesso e il territorio regionale che subisce il danno, ferme restando le esclusioni di ipotesi di portata sovra regionale.

ORGANIZZAZIONE SANITARIA

Consolidare il riconoscimento dell’autonomia regionale in materia di organizzazione sanitaria e della governance del sistema. Tale autonomia è stata affermata dalla Corte costituzionale, ma è stata al contempo rimessa in discussione da alcune pronunce della Corte stessa che hanno ricondotto aspetti organizzativi all’osservanza di principi fondamentali della materia, inderogabili da parte delle regioni.

Con l’affermazione dell’autonomia organizzativa si intende, in pratica, evitare che determinate sfere d’intervento, non ascrivibili all’osservanza dei livelli essenziali delle prestazioni e comunque non pregiudizievoli dei diritti garantiti su tutto il territorio nazionale, possano essere sottratte in via interpretativa alla disponibilità del legislatore regionale.

PREVIDENZA COMPLEMENTARE E INTEGRATIVA LIMITATAMENTE AGLI INTERVENTI RELATIVI ALLE NON AUTOSUFFICIENZE

Garantire alla Regione la facoltà di promuovere forme di previdenza integrativa su base regionale, limitatamente agli interventi relativi alle non autosufficienze.

(omissis)