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Bollettino Ufficiale n. 05 del 31 / 01 / 2008

Deliberazione della Giunta Regionale 7 gennaio 2008, n. 12-7984

Approvazione Linee Guida sulla collaborazione tra Servizi dell’Amministrazione della Giustizia, Servizi dell’Ente Locale ed Autorita’ Giudiziarie Minorili nell’applicazione del D.P.R.n.448/88-Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

(omissis)

LA GIUNTA REGIONALE

a voti unanimi...

delibera

-di approvare, per le ragioni in premessa descritte, le “Linee Guida sulla collaborazione tra Servizi dell’Amministrazione della Giustizia, Servizi dell’Ente Locale e Autorità Giudiziaria Minorile nell’applicazione del D.P.R.448/88-Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” di cui all’Allegato 1, parte integrante della presente deliberazione;

-di approvare, altresì, gli ulteriori Allegati di seguito elencati, anch’essi parte integrante della presente Deliberazione:

-Allegato 2: Modulo di richiesta di indagine sociale da parte della Procura presso il Tribunale per i Minorenni;

-Allegato 3: Modulo comunicazione di chiusura delle indagini preliminari;

-Allegato 4: Linee guida del Progetto Riparazione.

La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell’art. 61 dello Statuto e dell’art. 14 del D.P.G.R. n. 8/R/2002.

(omissis)

Allegato 1

LINEE GUIDA SULLA COLLABORAZIONE TRA SERVIZI DELL’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, SERVIZI DELL’ENTE LOCALE E AUTORITA’ GIUDIZIARIE MINORILI NELL’APPLICAZIONE DEL D.P.R. 448/88-DISPOSIZIONI SUL PROCESSO PENALE A CARICO DI IMPUTATI MINORENNI

I SOGGETTI

L’Autorità Giudiziaria

La Polizia Giudiziaria

I Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia

Centro Giustizia Minorile

Ufficio Servizio Sociale Minorenni Pag. 5

Centro Prima accoglienza

Istituto Penale per Minorenni

Il Centro per la Mediazione Pag. 7

I Servizi del territorio

Servizi socio assistenziali ed educativi

Servizi sanitari (Ser.T., N.P.I., DSM e Servizi di Psicologia)

I Servizi del Privato Sociale: le comunità educative e terapeutiche

COMMISSIONE DEL REATO: IL MINORE IN CPA

Provvedimenti in materia di libertà personale

(artt. 16 e seguenti del D.P.R. 448/88)

Minori arrestati, fermati, accompagnati (artt. 16,17,18bis D.P.R. 448/88)

INDICAZIONI PER UN PERCORSO DI PRESA IN CARICO NELL’AMBITO DELLE INDAGINI PRELIMINARI

L’Indagine Sociale

Titolarità dell’Indagine Sociale e compiti dei Servizi interessati

La relazione sociale

Contenuti della relazione sociale

LA PRESENZA IN UDIENZA ( ART. 12 DPR448/88)

Udienza di convalida

Udienza preliminare

OSSERVAZIONE DEL MINORE IN VISTA DI UNA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE PER IRRILEVANZA DEL FATTO (ART. 27 D.P.R. 448/88)

LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA ALLA PROVA (ART. 28 D.P.R. 448/88)

Quando e chi può proporre la messa alla prova

Le modalità di collaborazione nella costruzione e gestione del progetto

Contenuti e durata della messa alla prova

Cosa succede alla fine della messa alla prova

La messa alla prova per i minori stranieri

IL MINORE IN ISTITUTO PENALE

L’INSERIMENTO IN COMUNITÀ DEI MINORI SOTTOPOSTI

A PROVVEDIMENTO PENALE

Inserimenti in comunità ex art. 22 D.P.R. 448/88

Inserimenti in comunità ex art. 28 D.P.R. 448/88 ed art. 47 L. 354/75 (Ordinamento Penitenziario)

Inserimento in comunità ex art. 36 D.P.R. 448/88

IL PROGETTO RIPARAZIONE

IL PASSAGGIO PENALE CIVILE

I MINORI STRANIERI

TITOLARITÀ DEGLI ONERI SOCIO-ASSISTENZIALI PER INTERVENTI

SOCIO-ASSISTENZIALI DA EROGARSI AI MINORI DIMESSI DAL

CENTRO DI PRIMA ACCOGLIENZA E DALL’ISTITUTO PENALE MINORILE

LA RACCOLTA DATI E IL MONITORAGGIO

LA FORMAZIONE CONGIUNTA

ALLEGATI

2. Modulo di richiesta di indagine sociale da parte della Procura della Repubblica presso il tribunale Minorenni

3. Modulo di comunicazione di chiusura indagine preliminare

4. Progetto Riparazione - Linee guida


I SOGGETTI

I soggetti che, a vario titolo, concorrono all’applicazione della normativa riguardante il processo penale minorile e che, quindi, sono parte attiva nell’attuazione delle linee guida sono:

l’Autorità Giudiziaria, la Polizia Giudiziaria, i Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia, i Servizi socio-assistenziali e sanitari degli Enti Locali ed i Servizi del privato sociale.

* L’Autorità Giudiziaria

* Il Pubblico Ministero è l’organo dello Stato “promotore di giustizia”, essenzialmente in ambito penale ma anche, e particolarmente, nel settore minorile, in quello civile. Presso tutti i Tribunali per i minorenni sono costituiti gli Uffici di Procura della Repubblica ovvero dei magistrati del Pubblico Ministero (PM), le cui funzioni, nel penale, sono

- lo svolgimento delle indagini preliminari

- la richiesta al giudice, per lo più durante tali indagini, di misure cautelari

- la direzione della polizia giudiziaria

- l’esercizio dell’azione penale (che è obbligatoria, ove il PM non ritenga infondata l’ipotesi accusatoria) E’ da segnalare, peraltro, che in ambito minorile vi è un istituto particolare quale il proscioglimento per irrilevanza del fatto, che il PM può chiedere se giudica l’accusa fondata ma valuta, nel contempo, che procedere oltre sarebbe, per quel minore e per quello specifico reato, se esso è tenue ed occasionale, pregiudizievole per le esigenze educative del giovane.

- la partecipazione alle udienze dei vari giudici (partecipazione che, peraltro, non è sempre obbligatoria)

- l’esecuzione della pronuncia del giudice, una volta che essa sia passata in giudicato.

In ambito civile il PM minorile può raccogliere informazioni ed effettuare accertamenti (non disciplinati specificamente sul piano normativo) finalizzati al miglior esercizio del potere di iniziativa civile ovvero ad investire il Tribunale per i Minorenni di richieste specifiche di provvedimenti limitativi della potestà dei genitori, mirati sugli effettivi bisogni di un determinato minore.

* Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni è il capo dell’Ufficio di Procura minorile. Ciascuno dei magistrati della Procura, i Sostituti Procuratori della Repubblica, svolgono le funzioni di PM presso il T.M.; si è nel primo grado del processo, grado che inizia con l’esercizio dell’azione penale (dopo la conclusione delle indagini preliminari) e si conclude con la sentenza di primo grado e con l’eventuale trasmissione degli atti, in caso di impugnazione, alla Corte d’Appello (Sezione per i minorenni).

* Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello svolge, di norma tramite i Sostituti Procuratori Generali, funzioni di PM presso la Corte d’Appello (si è, quindi, nel giudizio di secondo grado). A differenza della Procura della Repubblica presso il T.M., la Procura Generale non è, tecnicamente, un Ufficio specializzato in ambito minorile, anche se i suoi magistrati possono, di fatto, acquisire esperienze specifiche trattando non occasionalmente della materia minorile e familiare in genere.

La funzione giudicante è esercitata:

* dal Giudice per le indagini preliminari (GIP), l’organo monocratico (si tratta di un unico giudice) che durante le predette indagini (di cui, peraltro, non è titolare, spettando tale titolarità al PM) svolge varie funzioni e, in particolare:

* provvede sulle richieste del P.M. volte alla convalida dell’arresto, del fermo o dell’accompagnamento a seguito di sorpresa in flagranza di reato (art.18 bis D.P.R. 448/88) di un minore;

* provvede sull’eventuale richiesta del PM di applicazione al ragazzo di una misura cautelare, richiesta che può essere formulata nel contesto della procedura per la convalida di arresto/fermo e accompagnamento, ma anche al di fuori di tale contesto, cioè nei confronti dell’indagato libero;

* provvede sull’eventuale richiesta di archiviazione degli atti formulata dal PM o, diversamente, sulla richiesta di proscioglimento per irrilevanza del fatto (v.sopra);

* dispone circa gli eventuali incidenti probatori richiesti, sempre nel corso delle indagini preliminari, dal PM o dall’indagato.

* dal Giudice dell’udienza preliminare (GUP), che nel processo minorile è collegiale: un magistrato del T.M. (diverso da quello abbia svolto, nel medesimo procedimento, funzioni di GIP) e due giudici onorari (un uomo ed una donna)

* dal Giudice del dibattimento, che è il T.M. nella sua composizione ordinaria (due magistrati e due giudici onorari, questi ultimi un uomo ed una donna) e che tratta i processi che non siano stati definiti all’udienza preliminare (definizione che è molto frequente poiché l’udienza preliminare si può concludere, oltre che con il proscioglimento dell’imputato nel merito, con il proscioglimento per difetto di imputabilità o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto o per esito positivo della prova; ma anche con la condanna dell’imputato in caso di giudizio abbreviato o, nel rito ordinario, con l’eventuale condanna a sanzioni sostitutive - cioè la semidetenzione e la libertà controllata - sanzioni d’altronde applicabili anche da parte del GUP, in seguito a giudizio abbreviato, in luogo della normale pena detentiva).

* dalla Sezione per i minorenni della Corte d’Appello, specificamente competente in materia minorile (ma, di solito, anche per le varie questioni familiari), che è il giudice del secondo grado del processo. La Sezione è composta, di norma o quantomeno tendenzialmente, da magistrati della Corte d’Appello che abbiano già esperienza in ambito di famiglia e di minori. I singoli processi vengono trattati da un collegio composto da cinque giudici, di cui tre magistrati e due onorari.

* dal Tribunale di Sorveglianza per i minorenni ovvero il T.M. che, sempre nella sua composizione ordinaria (v.sopra), tratta procedure in materia di misure alternative alla detenzione (affidamento in prova, semilibertà, ecc...), misure di sicurezza, rinvio dell’esecuzione della pena, ecc...La sua competenza cessa al compimento da parte del condannato del 25° anno di età.

* dal Magistrato di sorveglianza per i minorenni, giudice monocratico per tutta una serie di incombenze specifiche e componente del collegio del Tribunale di sorveglianza per i provvedimenti di competenza collegiale. Anche per il M.S. vale il limite di competenza del 25° anno di età del condannato.

* La Polizia Giudiziaria

Si tratta del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizie Municipali (Comuni), delle Guardie Provinciali e Forestali, della Polizia Penitenziaria.

Esso svolge le indagini sui reati commessi, autonomamente finchè il PM non abbia assunto la direzione di esse; ma ha anche compiti di prevenzione, generale e specifica (impedire cioè che i reati “vengano portati a conseguenze ulteriori”).

Presso le Procure della Repubblica (tutte, quindi anche presso quelle minorili) sono costituite Sezioni di Polizia Giudiziaria, il cui personale collabora direttamente con i P.M. e, nella materia minorile, è specializzato, tanto che esso viene delegato non solo per indagini penali ma anche per la trattazione di affari civili (non di rado, del resto, i “ragazzi del penale” sono gli stessi che il T.M. ha seguito/segue/ seguirà anche sul piano civile).

* I Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia

I Servizi Minorili dipendono dai Centri per la Giustizia Minorile, strutture amministrative decentrate del Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia.

* I Centri per la Giustizia Minorile, che hanno competenza regionale o interregionale, svolgono attività di vigilanza, coordinamento, indirizzo, programmazione, controllo e verifica dei Servizi minorili dipendenti; espletano inoltre compiti di amministrazione e attività di promozione e di collegamento con gli Enti locali e le associazioni del privato sociale e del volontariato, di studio, ricerca e documentazione e attività di sperimentazione.

Le finalità istituzionali dei Servizi minorili sono:

* Dare esecuzione ai provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria Minorile

* Assistere e sostenere il minore e la sua famiglia in ogni stato e grado del procedimento penale offrendo allo stesso chiarificazioni rispetto alla vicenda giudiziaria

* Assicurare i rapporti con l’Autorità Giudiziaria procedente fornendo alla stessa elementi di conoscenza sulla situazione personale, familiare e sociale dei minori

* Predisporre programma educativi individualizzati attivando i processi di responsabilizzazione e promozione del minore

* Operare in stretta connessione e collaborazione con i Servizi dell’ente locale

* Attivare il sistema di rete territoriale

I Servizi minorili sono: l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, il Centro di Prima Accoglienza, l’Istituto Penale per Minorenni e le Comunità ministeriali (non attivate sul territorio regionale).

* L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) interviene a favore dei minorenni indagati o sottoposti a procedimento penale concorrendo alle decisioni dell’Autorità Giudiziaria e alla loro attuazione nonché alla promozione e tutela dei diritti dei minorenni. L’utenza del servizio è quindi costituita da soggetti indagati o sottoposti a provvedimenti penali anche a carattere non detentivo o limitativo della libertà, fino al compimento del 21° anno d’età (naturalmente per reati commessi da minore). Per i soggetti sottoposti a sospensione del processo con messa alla prova, la competenza dell’USSM si può protrarre fino al compimento del 25° anno d’età.

Nel perseguire i propri compiti l’USSM collabora con gli altri Servizi minorili e con i Servizi sociali, sanitari ed educativi dell’ Ente Locale, nonché con agenzie e risorse del privato sociale.

L’ufficio mantiene inoltre una residua competenza civile nell’ambito della sottrazione internazionale di minorenni, partecipa alle èquipe multidisciplinari su abusi e maltrattamenti e collabora con i servizi territoriali per la realizzazione di progettualità allargate in ambito di prevenzione.

Le figure professionali presenti all’USSM sono: il direttore, assistenti sociali, psicologi e mediatori culturali.

* Il Centro di Prima Accoglienza (CPA) è una struttura presso la quale i minori fermati, arrestati o accompagnati dalle forze dell’ordine permangono per un massimo di novantasei ore in attesa dell’udienza di convalida. Il CPA non deve avere caratteristiche di tipo carcerario e deve essere situato, ove possibile, presso gli uffici giudiziari minorili.

Le figure professionali presenti in CPA sono: il direttore, educatori, psicologi, operatori di polizia penitenziaria, mediatori culturali. Ai minori ospiti in CPA è assicurata quotidianamente l’assistenza sanitaria.

* L’Istituto Penale per Minorenni (IPM) è una struttura che ospita minorenni in custodia cautelare, minorenni in esecuzione pena e ultradiciottenni che, per reati compiuti prima del compimento del diciottesimo anno d’età, rimangono in carico alla Giustizia Minorile fino ai ventuno anni.

All’interno dell’IPM è prevista un’apposita sezione per l’esecuzione della misura alternativa alla detenzione della semilibertà e della sanzione sostitutiva della semidetenzione.

All’IPM di Torino è presente anche una sezione femminile.

Al fine di garantire i diritti e soddisfare i bisogni dei minori ristretti nell’IPM vengono organizzate attività scolastiche, professionali, di animazione culturale, sportive e ricreativa.

Ai ragazzi ristretti è assicurata quotidianamente l’assistenza sanitaria.

Le figure professionali presenti in IPM sono: il direttore, educatori, psicologi, operatori di polizia penitenziaria, il cappellano, personale sanitario, mediatori culturali, insegnanti, istruttori ed operatori che conducono le attività oltre che personale amministrativo e di ragioneria.

A Torino:

* Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria

Corso Unione Sovietica 327

Tel 011/6194280, fax 011/6194299, cgm.torino.dgm@giustizia.it

www.cgmtorino.it

* Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni

Via Berruti e Ferrero 1 A

Tel 011/6194260, fax 011/6194279, ussm.torino.dgm@giustizia.it

* Centro di Prima Accoglienza

Corso Unione Sovietica 325

Tel 011/6194255/6, fax 011/6194259, cpa.torino.dgm@giustizia.it

* Istituto Penale per Minorenni “Ferrante Aporti

Via Berruti e Ferrero 3

Tel 011/6192201, fax 011/6194249, ipm.torino.dgm@giustizia.it

* Il Centro per la Mediazione

Il Centro per la Mediazione è stato avviato su iniziativa della Regione Piemonte, del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, del Comune di Torino, della Procura e del Tribunale per i Minorenni di Torino, nell’ambito del Progetto Riparazione.

Il Centro per la Mediazione è un luogo di incontro tra persone contrapposte sul piano giudiziario (autore di reato e persona offesa) o coinvolte in un conflitto, davanti ad un terzo neutrale, il mediatore, con lo scopo di facilitarne la comunicazione.

Il Centro è composto da un’équipe di operatori dal diverso profilo professionale (giuridico, pedagogico, psicologico, sociale, educativo, anche dipendenti di Enti istituzionali) che hanno seguito specifici corsi di formazione alla mediazione dei conflitti.

L’attività del Centro è gratuita

* Centro per la Mediazione

Via Stampatori n. 5 (ingresso da Via Barbaroux)

10121 Torino

tel. 011 542395

fax. 011 542358

* I Servizi del territorio

* I Servizi socio assistenziali ed educativi

La Legge regionale n. 1/2004 individua nella gestione associata ed in particolare in quella consortile, la forma idonea a garantire l’efficacia e l’efficienza degli interventi e dei Servizi sociali entro gli ambiti territoriali ottimali coincidenti con i Distretti Sanitari o multipli di essi, al fine di assicurare la migliore integrazione con i servizi sanitari.

Attualmente sono presenti nella Regione Piemonte le seguenti forme gestionali:

* Consorzi di Comuni;

* Comunità Montana;

* Convenzioni (tra Comuni, tra Comunità Montane e tra Comuni e Comunità Montane);

* delega in forma associata all’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.);

* gestione in forma singola, consentita esclusivamente per Comuni capoluogo di Provincia.

Il Servizio Sociale territoriale svolge una funzione diretta alla realizzazione di interventi in favore di minorenni soggetti ai provvedimenti delle Autorità Giudiziarie nel campo della competenza civile, amministrativa e penale in raccordo con quella propria dei Servizi minorili dell’Amministrazione di Giustizia.

A norma degli artt. 6 e 9 della Legge processuale minorile (D.P.R. 448/88) i Servizi socio assistenziali svolgono le inchieste sulle condizioni di vita e le risorse personali, familiari, sociali ed ambientali del minore in collaborazione con l’Ufficio di Servizio sociale per i minorenni di Torino (sul punto, si rinvia a quanto meglio specificato nel paragrafo “Titolarità dell’Indagine Sociale e compiti dei Servizi interessati”).

I Servizi socio assistenziali sono chiamati a collaborare con quelli Giudiziari anche in tema di misure cautelari ed in occasione dell’elaborazione di un progetto di intervento per la messa alla prova del minore (art. 28, 29 del c.p.p.m.). Si segnala altresì che il Servizio sociale ha facoltà di proporre, ove ritenuto opportuno e qualora ve ne siano i presupposti, l’attivazione del Progetto Riparazione, ai sensi dell’art. 9 DPR 448/88 e dell’art. 133 c.p..

La collaborazione tra i Servizi dell’Amministrazione della giustizia e i Servizi territoriali trova attuazione anche per i progetti che sostanziano i provvedimenti relativi alle misure alternative (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà, libertà anticipata) sostitutive (semidetenzione e libertà controllata) e le misure di sicurezza (riformatorio e libertà vigilata).

I Servizi territoriali svolgono una funzione di raccordo tra il sistema penale e la società, in particolare con l’ambiente del minore, evitando l’interruzione e favorendo l’instaurazione dei processi educativi dello stesso. Allo scopo si segnala che ai sensi dell’art. 45 della Legge regionale n.1/2004 (Servizi e prestazioni per i minori), i Piani di zona prevedono la realizzazione di vari servizi tra cui quelli socio educativi per l’infanzia e l’adolescenza, l’educativa territoriale, il supporto e l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

In sintesi, le funzioni richieste ai Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia e ai Servizi territoriali sono molteplici (indagini conoscitive, assistenza all’imputato, elaborazione di progetti educativi, interventi di sostegno e di controllo) e richiedono una corretta programmazione degli interventi, per una distribuzione e definizione di carichi di lavoro, di responsabilità e di competenze professionali.

* I Servizi sanitari (Ser.T.- N.P.I.- D.S.M. e Servizi di Psicologia )

Il Servizio Sanitario regionale assicura in modo particolare tramite i servizi specialistici di Neuropsichiatria Infantile, i Servizi per la Patologia da Dipendenza, i Dipartimenti di Salute Mentale ed i Servizi di Psicologia, la collaborazione con i vari organi delle Autorità Giudiziarie nei procedimenti che coinvolgono minorenni, secondo la normativa vigente.

Resta ferma la necessità di un accordo complessivo riguardo la collaborazione con le Autorità Giudiziarie in materia di procedimenti civili e penali relativi i minori.

In particolare nel caso di procedimenti penali a carico di minorenni, a fronte di specifica richiesta da parte dell’Autorità Giudiziaria, qualora si rilevi la presenza nel ragazzo di problemi comportamentali, tali da far supporre l’esistenza di disturbi della personalità non ascrivibili solo a problematiche socio-familiari ed ambientali o nell’ipotesi di una psico-patologia manifesta, il servizio sanitario, sia nella fase d’indagine ex art. 6 e 9 del D.P.R. 448/88 sia in quelle successive, nell’ambito della propria programmazione d’attività, svolge le seguenti azioni:

* Attività clinica finalizzata a:

- Conoscere il minore con eventuale definizione di diagnosi con lo scopo di contribuire al meglio alla definizione di specifico progetto di intervento;

- Supportare il minore e i famigliari all’attuazione del progetto;

- Monitorare l’evoluzione del minore e della situazione nel suo complesso.

* Incontri con operatori dei vari Uffici dell’Autorità Giudiziaria, dei Servizi sanitari, dei Servizi minorili della giustizia, dei Servizi territoriali socio-assistenziali, di Enti o istituti a vario titolo coinvolti (Comunità, Scuole, Enti locali, etc.). Gli incontri sono finalizzati ad una miglior impostazione e gestione dei rispettivi progetti d’intervento a favore dei singoli soggetti coinvolti.

* Monitoraggio complessivo delle attività svolte. Sarà realizzato un report annuale sulle varie attività svolte dai Servizi sanitari specialistici per un confronto periodico con tutti gli altri Enti coinvolti. Lo scopo dell’azione è:

- Migliorare la comprensione delle specifiche necessità dei minori sottoposti a procedimento penale;

- Migliorare la conoscenza del fenomeno nel suo complesso anche tramite un confronto con i dati in possesso degli altri Enti coinvolti, ipotizzando anche momenti formativi per gli operatori;

- Migliorare la conoscenza delle attività svolte;

- Identificare eventuali aspetti “critici” con ipotesi per il loro superamento e per migliorare le attività di recupero del minore e, quando è possibile, per un coinvolgimento responsabile delle loro famiglie.

Per quanto concerne i minori stranieri non accompagnati o accompagnati da adulti privi di permesso di soggiorno (e privi, pertanto, di residenza anagraficamente accertabile), la ASL competente per la presa in carico resta quella individuata in base al territorio dove si trovava il minore nel momento dell’arresto o del fermo (flagranza di reato - cfr. art. 380-381-382 c.p.p. - o fermo per “indizi di delitto” - cfr. art. 384 c.p.p.).

Limitatamente alle aziende Sanitarie Locali della Città di Torino, ai sensi della D.G.R. n.66-4308 del 13.11.2006 di “Presa d’atto del documento relativo all’emergenza/urgenza psichiatrica in età evolutiva”, si ritiene opportuno che venga adottato come criterio per la presa in carico dei suddetti minori quello inerente al “principio di rotazione” tra le ASL cittadine, salvaguardando, tuttavia, l’esigenza di continuità per i trattamenti in corso.

Per le restanti Aziende Sanitarie Locali della Regione, se ravvisata la reale esigenza e fermo restando la competenza territoriale sopra richiamata, potranno essere individuati uno o più criteri attinenti al “principio di rotazione”.

* I Servizi del Privato Sociale: le comunità educative e terapeutiche

Sono Servizi, gestiti in prevalenza da organizzazioni del privato sociale, che accolgono minori con una situazione familiare pregiudizievole per la loro crescita e sviluppo e/o con problematiche sociali/relazionali, disabilità, disturbi del comportamento. Si configurano quali residenzialità a carattere parafamiliare come previsto dalla legge 184/83 art. 2 e s.m.i. e dalla legge 328/2000, art. 22 comma 3.

La legge 328/2000 all’art. 8 stabilisce che le Regioni definiscano i requisiti delle strutture sulla base di quelli minimi fissati dallo Stato. In ottemperanza a tale disposto, la Regione Piemonte, con deliberazione n. 41-12003 del 15 marzo 2004, ha indicato le tipologie nonché le caratteristiche strutturali e gestionali delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori.

Le comunità del privato sociale costituiscono una risorsa alla quale fare riferimento sia per dare esecuzione ai provvedimenti penali dell’Autorità giudiziaria che per sostanziare i progetti elaborati dai Servizi minorili e dai Servizi dell’Ente Locale a favore dei ragazzi in area penale.

Sul territorio piemontese non esistono comunità gestite dall’Amministrazione della Giustizia, presenti invece a Genova, Bologna e nel sud Italia.

La normativa sul processo penale minorile prevede, peraltro, l’utilizzo in primis di strutture residenziali pubbliche e private, di associazioni o cooperative che operino in campo adolescenziale, che siano riconosciute e autorizzate dalla Regione competente e con utenza mista (presenza di minorenni in area penale e di minorenni non sottoposti a provvedimento penale).

In ambito penale vengono quindi utilizzate le stesse comunità educative, terapeutiche per soggetti assuntori di sostanze stupefacenti o terapeutiche per minori con problemi psichiatrici, utilizzate dai servizi dell’Ente Locale.

COMMISSIONE DEL REATO: IL MINORE IN CPA

Al di là dei casi di denuncia del minore in stato di libertà, in altri casi il ragazzo può essere denunciato in stato di restrizione della libertà personale, con accompagnamento da parte delle Forze dell’Ordine al CPA di Torino ovvero presso il luogo di residenza o altro luogo di privata dimora.

Provvedimenti in materia di libertà personale (artt. 16 e seguenti del D.P.R. 448/88)

Gli ufficiali ed agenti di Polizia Giudiziaria cha hanno eseguito l’arresto o fermo del minorenne, ne danno immediata notizia al Pubblico Ministero, nonché all’esercente la potestà dei genitori ed eventuale affidatario e informano tempestivamente i Servizi minorili della Giustizia.

Qualora il Pubblico Ministero disponga che il minorenne sia condotto presso il Centro di Prima Accoglienza, sarà questo Servizio minorile ad essere informato dell’imminente accompagnamento.

Qualora il Pubblico Ministero disponga che il minorenne sia condotto presso l’abitazione familiare o altra dimora abituale, sarà informato l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni e, ove il Magistrato lo ritenesse concretamente utile, anche il Servizio Sociale territoriale. Verrà comunque garantita, quantomeno dall’USSM, la presenza all’eventuale udienza di convalida.

Minori arrestati, fermati, accompagnati (artt. 16,17,18bis D.P.R. 448/88)

I minori arrestati, fermati, accompagnati per i quali il Pubblico Ministero ha disposto che siano condotti presso il Centro di Prima Accoglienza, vengono accolti presso la struttura sita in Torino, Corso Unione Sovietica 325 (con accesso anche dal civico 327, negli orari di chiusura del Tribunale per i Minorenni).

Tra i compiti istituzionali del Centro di Prima Accoglienza si individuano:

* attività di accoglienza, informazione , sostegno e chiarificazione;

* attivazione delle risorse personali, familiari e ambientali del minore;

* collegamento con le risorse del territorio;

* rapporti diretti con l’Autorità Giudiziaria procedente, volti a fornire gli elementi di conoscenza e valutazione della situazione;

* stesura di una “relazione di sintesi”, da parte dell’equipe tecnica, per il GIP (Giudice Indagini Preliminari) e il Pubblico Ministero in occasione dell’"udienza di convalida" che si svolge presso il CPA;

* preparazione delle dimissioni del minore;

* accompagnamento del minore in caso di applicazione di misure cautelari ed affidamento ai Servizi competenti.

L’équipe tecnica interdisciplinare del CPA è costituita dall’educatore, dallo psicologo, dall’assistente sociale dell’USSM, dal mediatore culturale e dall’agente di Polizia Penitenziaria. L’équipe assicura un intervento di ascolto, di orientamento, di chiarificazione, di sostegno e di assistenza. Il personale tecnico segue il minore in questo primo momento della vicenda penale garantendo, altresì, il sostegno alla famiglia, che può accedere a colloquio, salvo espresso divieto da parte dell’Autorità Giudiziaria procedente.

L’equipe del CPA prende contatti con i Servizi Sociali territoriali al fine di acquisire gli elementi di conoscenza del minore da parte di quegli uffici. Con i referenti del caso sarà, altresì, valutata l’opportunità della loro partecipazione all’udienza di convalida. L’assistenza in udienza è sempre garantita, in ogni caso e secondo un protocollo operativo, dagli operatori dei Servizi Minorili della Giustizia.

Nell’ipotesi di remissione in libertà ordinata dal GIP in sede di Udienza di Convalida o di immediata liberazione da parte del Pubblico Ministero, il CPA favorisce i contatti ed il rientro nel contesto territoriale.

Tali interventi sono realizzati in collaborazione con Enti pubblici e soggetti del privato sociale, la cui competenza ad intervenire, sia dal punto di vista tecnico che finanziario, viene individuata secondo i criteri previsti dallo specifico paragrafo: “Titolarità degli oneri per interventi socio-assistenziali da erogarsi ai minori dimessi dal Centro di Prima Accoglienza e dall’Istituto penale minorile”.

Le dimissioni dei minori dal Centro di Prima Accoglienza possono avvenire:

* per ordine del Pubblico Ministero che, nell’ambito delle prime 48 ore dal momento dell’arresto, può decretarne l’immediata liberazione senza fissazione dell’udienza di convalida;

* per ordine del Giudice per le Indagini Preliminari che, nell’ambito delle successive 48 ore e su richiesta del Pubblico Ministero, fissa l’udienza di convalida. Il Giudice, oltre a convalidare o non convalidare l’arresto, il fermo o l’accompagnamento del minore, assume decisioni in merito alla sua libertà personale ordinandone:

1. La remissione in libertà: prevede che il minore durante il procedimento resti libero.

2. L’applicazione della misura cautelare delle prescrizioni: hanno una durata temporale di due mesi (in qualche caso rinnovabili) e prevedono per il minore il rispetto di alcuni impegni definiti dal giudice. Il giovane viene affidato ai Servizi Minorili della Giustizia, nello specifico all’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, che avrà in carico il caso.

3. L’applicazione della misura cautelare della permanenza in casa: il ragazzo viene affidato ai familiari ed ha l’obbligo di non allontanarsi dall’abitazione, se non in presenza di specifiche autorizzazioni; anche in questo caso il minore è affidato ai Servizi Minorili della Giustizia: è l’USSM che si farà carico del caso.

4. L’applicazione della misura del collocamento in comunità: il ragazzo viene affidato ad una comunità, presso la quale sarà accompagnato a cura degli operatori del CPA. Il minore dovrà rispettare le regole della struttura di accoglienza e non si potrà allontanare senza autorizzazione; gli operatori della comunità potranno contare sulla collaborazione di un assistente sociale dell’USSM che avrà in carico il minore. L’elaborazione di un progetto da parte dell’équipe potrebbe consentire al giovane di proseguire - sul piano civile - la permanenza in comunità, successivamente alla scadenza della misura penale. Nel caso in cui il minore non rispetti la misura o si allontani senza autorizzazione, la comunicazione dovrà tempestivamente giungere alle Forze di Polizia e, tramite l’USSM, al Giudice competente, il quale potrà ordinare che il giovane venga ricercato e sottoposto a custodia cautelare, per un periodo massimo di 30 giorni.

5. L’applicazione della misura della custodia cautelare: il minore viene condotto a cura degli operatori del CPA presso l’Istituto Penale per i Minorenni (IPM). Il minore è affidato all’équipe tecnica dell’IPM. Se il processo non viene fissato entro il termine di scadenza della custodia, il ragazzo viene scarcerato ed attenderà la fissazione dell’udienza da libero o eventualmente sottoposto a prescrizioni (art. 24 D.P.R. 448/88).

Il momento della dimissione del giovane dal Centro di Prima Accoglienza è curato dagli operatori della struttura, che hanno il compito di spiegare al minore e, quando presente, alla famiglia, il significato delle decisioni assunte dall’Autorità Giudiziaria, garantendo altresì l’accompagnamento del giovane in questa fase, nonché il passaggio delle informazioni ai Servizi che lo prenderanno in carico.

INDICAZIONI PER UN PERCORSO DI PRESA IN CARICO NELL’AMBITO DELLE INDAGINI PRELIMINARI

L’ indagine sociale

Nell’ambito del processo minorile, il Pubblico Ministero gestisce, in prima persona o tramite Polizia Giudiziaria delegata, la fase delle Indagini preliminari, raccogliendo gli elementi di prova ed assumendo notizie immediate sulla personalità del minore, al fine di valutarne la capacità e la maturità e di individuare il successivo percorso, sia in termini penali che civili.

La normativa in oggetto prevede un limite temporale per le indagini preliminari che ordinariamente è di sei mesi, con possibilità di proroga in casi particolari sino ad un massimo di due anni.

All’interno delle indagini preliminari, pertanto, sono da porre in atto una serie di interventi da parte degli operatori dei diversi Servizi coinvolti (Servizi Minorili del Ministero della Giustizia e Servizi socio-assistenziali territoriali), secondo le indicazioni operative di seguito specificate.

L’Autorità Giudiziaria richiede l’indagine sociale ai Servizi Minorili del Ministero della Giustizia ed ai Servizi sociali territoriali tutte le volte in cui le notizie altrimenti acquisite o acquisibili sulla situazione personale, familiare e sociale del ragazzo non sono sufficienti al fine di valutare la maturità psicofisica del minore e la rilevanza del reato.

Il Pubblico Ministero può chiedere l’indagine sociale fin dal primo atto delle indagini preliminari, oppure quando ritiene necessario verificare, fin da subito, la necessità di un progetto (che potrà poi svolgersi ed attuarsi sia attraverso i vari momenti del percorso penale, sia al di fuori del procedimento penale, con interventi di carattere civile).

Il Pubblico Ministero richiede, di norma, l’indagine sociale nel corso delle indagini preliminari e fino al momento della conclusione di queste, che possono sfociare, oltre che nella richiesta di archiviazione degli atti, in richiesta di: rinvio a giudizio dell’imputato (richiesta rivolta al GUP), celebrazione di giudizio immediato (richiesta rivolta al GIP), proscioglimento dell’indagato per irrilevanza del fatto (richiesta rivolta al GIP).

In casi particolari, potrebbe essere svolta, sempre da parte del PM, attività suppletiva/integrativa di indagine, che potrebbe riguardare anche la situazione personale e familiare del ragazzo con relativo coinvolgimento dei Servizi.

Se la richiesta di indagine viene formulata contestualmente alle predette richieste al GUP o al GIP, i Servizi dovranno trasmettere direttamente la relazione alla cancelleria del giudice competente (come specificato nel modulo di richiesta), riportando sempre il numero del procedimento del PM.

Negli altri casi, ovvero quando l’indagine venga chiesta subito o in funzione di valutazioni che lo stesso PM si riserva di compiere in base anche agli esiti di essa, il PM chiederà l’invio della relazione alla sua segreteria entro un termine che verrà indicato caso per caso.

Quando poi il PM formulerà le sue richieste al GUP o al GIP, di ciò verrà dato avviso ai Servizi, affinché questi trasmettano al giudice competente eventuali seguiti o aggiornamenti.

Anche il giudice (dell’udienza preliminare o del dibattimento) può richiedere ai Servizi di svolgere una indagine sociale, quando ritiene non sufficienti o non più aggiornati gli elementi ex art. 9 cit. presenti negli atti del fascicolo e, eventualmente, acquisiti in udienza dall’interrogatorio del ragazzo, dall’audizione degli adulti di riferimento, o in altro modo.

I Servizi che abbiano già contribuito alla redazione dell’indagine sociale, secondo le modalità specificate ai punti successivi, ne curano l’aggiornamento quando vi siano delle modificazioni della situazione del ragazzo da segnalare all’Autorità Giudiziaria.

Al fine di disporre, ove necessario, di notizie aggiornate, la Cancelleria GUP o quella GIP, comunicando ai Servizi la data dell’Udienza, chiede l’invio di relazione di aggiornamento in tempo utile per l’udienza stessa.

Titolarità dell’Indagine Sociale e compiti dei Servizi interessati

L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni del Ministero della Giustizia (USSM) è titolare di tutti i casi di minori sottoposti a provvedimenti penali (misure cautelari, art. 28, sconto pena, misure di sicurezza, misure alternative e sostitutive alla detenzione).

Per quanto riguarda i minori denunciati in stato di libertà, le richieste di Indagine Sociale vengono inviate da parte della Procura o, eventualmente, da parte del Giudice, congiuntamente ai Servizi socio-assistenziali territoriali ed all’USSM, che opereranno in collaborazione, con compiti e responsabilità che assumono livelli e contenuti diversi, in relazione all’assunzione della titolarità dell’Indagine, assegnata secondo quanto di seguito specificato:

a) Tenuto conto della particolare incidenza del fenomeno della devianza minorile sul territorio di Torino città, si prevede un ruolo più pregnante dell’Ufficio Servizio Sociale Minorenni rispetto ai casi afferenti al suddetto territorio, secondo le modalità di collaborazione con i Servizi socio-assistenziali territoriali che verranno individuate in appositi protocolli operativi, da stipularsi tra il Comune di Torino e l’USSM, sentita l’Autorità Giudiziaria.

b) Per quanto riguarda il resto del territorio piemontese, titolare dell’Indagine Sociale è il Servizio socio-assistenziale territoriale competente.

In questi casi, l’impegno dell’USSM si concretizza in:

* trasmissione di informazioni acquisite dal fascicolo penale;

* trasferimento di competenze specifiche sull’iter penale;

* gestione congiunta dei casi, che viene assicurata per:

a) Casi di particolare gravità, in relazione al titolo o alla natura del reato ancorata a criteri oggettivi, in particolare all’entità delle pene previste dalla legge (esemplificativamente: delitti “di sangue”, lesioni gravi, violenze sessuali, rapine, estorsioni, ecc.) ovvero alla situazione personale/familiare del ragazzo (esemplificativamente: nucleo familiare multiproblematico, tossicodipendenza, grave devianza, etc.).

b) Casi in cui è già possibile, in fase di inchiesta, elaborare una progettualità (Attività di riparazione, mediazione, sospensione del processo e messa alla prova).

* Eventuale partecipazione in udienza, secondo modalità da concordarsi (cfr. successivo punto “La presenza in udienza”).

La relazione sociale

La relazione viene inviata alla Procura della Repubblica per i minorenni o, se per il procedimento è già stata depositata la richiesta di rinvio a giudizio o di giudizio immediato, al Tribunale (Cancelleria GUP o GIP).

E’ opportuno che copia di essa venga inviata:

* all’USSM, qualora sia stata predisposta solo dal Servizio Sociale territoriale;

* al Servizio Sociale territoriale, qualora sia stata predisposta solo dall’USSM.

La Procura si attiverà,quando sia necessaria una comunicazione ai Servizi circa la chiusura delle indagini preliminari, affinché essa sia indirizzata al Servizio titolare dell’indagine e, per conoscenza, a seconda dei casi, all’USSM o al Servizio di territorio.

La relazione deve recare sempre il riferimento al numero del registro del pubblico ministero (R.G.N.R.) e, ove conosciuto, anche al numero del registro del giudice ( R. GUP, R. GIP o R. DIB).

Nell’oggetto, indica il nome e cognome del minore, la residenza anagrafica, il luogo di dimora attuale.

La relazione deve contenere tutti gli elementi necessari all’Autorità Giudiziaria perché questa possa, unitamente agli altri elementi in suo possesso, valutare:

* se il minore al momento in cui ha commesso il fatto era maturo o immaturo; se il minore è al momento attuale maturo o immaturo; nel caso vi siano elementi per ritenerlo immaturo, se sia necessario attivare degli interventi civili di sostegno;

* se il minore sta seguendo un proprio percorso di vita positivo, che il processo penale rischierebbe solo di turbare;

* se può ritenersi che il minore si asterrà in futuro dal commettere altri reati (cosiddetta “prognosi positiva”);

* se il minore ha compiuto un percorso di rielaborazione rispetto al fatto e se ha le risorse (da valutarsi anche in connessione con il contesto socio-familiare) per poter intraprendere e reggere un percorso di messa alla prova.

Contenuti della relazione sociale

Nella relazione sociale occorre riportare i seguenti aspetti:

* descrizione del contesto (sociale e familiare) del minore e dell’influenza che questo eventualmente esercita su di lui;

* storia e situazione personale del ragazzo (caratteristiche soggettive; modo di relazionarsi; relazioni amicali; legami affettivi, impiego del tempo libero, eventuali dipendenze);

* percorso scolastico e/o lavorativo (anche al fine di rilevare la costanza e l’impegno di cui il minore è o meno capace, in vista di un eventuale progetto);

* eventuale conoscenza pregressa del minore e del suo nucleo da parte dei Servizi (con specificazione dei motivi);

* lettura del reato in riferimento al contesto ed alla personalità del minore e sussistenza di una richiesta (implicita o esplicita) o di una disponibilità da parte del ragazzo rispetto a percorsi all’interno del circuito penale (mediazione, messa alla prova, altro). In questo caso è bene indicare anche l’atteggiamento al riguardo della famiglia e del contesto nel quale il ragazzo vive;

* fragilità e fattori di rischio a fronte dei quali é necessario eventualmente attivare interventi civili di sostegno, indicando i motivi. In questo caso riportare anche l’atteggiamento dei familiari e del contesto nel quale il ragazzo vive, rispetto alla possibilità di sostegni;

* punti di forza, potenzialità e competenze del minore;

* elementi progettuali.

LA PRESENZA IN UDIENZA (ART.12 D.P.R. 448/88)

Per quanto riguarda l’assistenza dovuta al minore nell’ambito delle udienze di convalida e delle udienze preliminari (art.12 D.P.R. 448/88), si precisa:

Udienza di convalida

Se il minore è fermato, arrestato o accompagnato ed è presso il CPA, la presenza all’udienza è garantita in ogni caso dai Servizi Minorili della Giustizia, secondo un protocollo operativo. Se il minore è conosciuto, sarebbe opportuna la presenza degli operatori dei Servizi territoriali; in ogni caso, qualora non sia possibile la presenza, le informazioni relative al ragazzo vengono sempre acquisite dai Servizi territoriali.

Gli operatori del CPA prendono contatti con i Servizi Sociali territoriali al fine di acquisire gli elementi di conoscenza del minore da parte di quegli uffici. Con i referenti del caso sarà, altresì, valutata l’opportunità della loro partecipazione all’udienza di convalida.

Se il minore è accompagnato a casa, il PM di turno, che ha disposto l’accompagnamento a casa del ragazzo, invia, se la ritiene concretamente utile, una comunicazione tramite fax ai Servizi territoriali, oltre che all’USSM, informando che si trova in stato di arresto ed accompagnato a casa il minore per il quale è orientato a richiedere l’udienza di convalida.

Se il Servizio territoriale è in grado di predisporre una relazione in tempi brevissimi (2-3 giorni dall’arresto), la relazione dovrà essere trasmessa al GIP ed all’USSM (secondo quanto specificato nel modulo di richiesta di relazione da parte del PM).

Per il territorio di Torino si fa riferimento all’apposito protocollo di cui al punto “Titolarità dell’Indagine Sociale e compiti dei Servizi interessati”.

All’udienza di convalida partecipa l’operatore dell’USSM.

Udienza preliminare

E’ importante che partecipi all’udienza l’operatore che conosce il ragazzo.

In generale, è richiesta la presenza dell’operatore sociale in udienza:

* quando occorre acquisire una relazione aggiornata o informazioni suppletive;

* quando si ipotizza un progetto (in questo caso sarebbe opportuna la presenza in udienza di entrambi i Servizi; in caso di progettualità specifica, ad es. comunitaria, ben potrebbero presenziare anche altri operatori).

OSSERVAZIONE DEL MINORE IN VISTA DI UNA SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE PER IRRILEVANZA DEL FATTO (ART. 27 D.P.R. 448/88).

La richiesta di indagine può avvenire in diversi modi:

* il PM richiede un’osservazione in vista dell’applicazione dell’art. 27 perché il fatto si delinea sin dall’inizio di ridotta rilevanza sociale;

* la richiesta viene effettuata perché il magistrato intende valutare se un fatto illecito, non manifestamente irrilevante di per sé, possa risultare in concreto tale da un’indagine che metta a fuoco la situazione del ragazzo e le eventuali problematiche personali e familiari.

In questi casi, il PM inserisce nella sua richiesta la specificazione “pregasi di verificare in particolare se vi siano esigenze educative del minore che potrebbero essere compromesse dalla prosecuzione del processo ...” (secondo la formula dell’art. 27).

LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO E MESSA ALLA PROVA (art. 28 D.P.R. 448/88)

“Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza, la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne”.

Spesso i Servizi minorili e dell’Ente locale arrivano al momento processuale con una buona conoscenza del ragazzo che sono in grado di trasmettere al collegio giudicante; tuttavia si rileva, a volte, la necessità di ulteriore tempo per approfondire alcuni aspetti della personalità in evoluzione ed il minore stesso ha bisogno, in alcuni casi, di tempo per comprendere, rielaborare, approfondire tematiche cruciali connesse al fatto reato. La finalità espressa chiaramente dalla norma, assume pertanto un valore fondamentale nell’ottica trattamentale.

“Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai Servizi dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i Servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno”

“Il giudice provvede a norma dell’articolo 28 D.P.R. 448/88 sulle base di un progetto di intervento elaborato dai Servizi dell’amministrazione della giustizia in collaborazione con i Servizi socio-assistenziali degli Enti locali”

Entrano in gioco l’intervento educativo, il sostegno, l’orientamento, il progetto e si coinvolge la specificità delle competenze tecniche dei Servizi e del loro mandato istituzionale.

La sospensione del processo con messa alla prova (MAP) risulta un’opportunità per consentire una conclusione “pulita” dell’iter penale in alcune particolari situazioni personali o rispetto a determinati reati. Si pensi ai ragazzi stranieri per i quali una condanna precluderebbe la permanenza regolare sul nostro territorio o ai ragazzi responsabili di reati per i quali l’applicazione del perdono giudiziario o l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova assumono valori simbolici differenti.

Quando e chi può proporre la messa alla prova

La messa alla prova può essere disposta in sede di:

* udienza preliminare;

* udienza dibattimentale;

* udienza presso la Corte d’Appello.

La proposta può essere formulata da:

* Servizi (sia ministeriali che territoriali);

* Autorità Giudiziaria;

* Difesa.

I Servizi minorili, quando lavorano per rispondere alle richieste formulate dalla Procura ex art. 6 e 9 D.P.R. 448/88, sono soliti sviluppare la propria attività professionale con attenzione volta ad individuare “spazi” progettuali compatibili con una proposta di messa alla prova.

La progettazione della messa alla prova può essere anticipata, quindi su iniziativa dei Servizi o quando venga espressamente richiesta dal Magistrato contestualmente all’indagine sociale, ed essere perfezionata all’udienza.

Per formulare un progetto di messa alla prova è necessario, con le puntualizzazioni di cui appresso, il riconoscimento di responsabilità da parte del minore, che deve dare la propria adesione ed impegno in prima persona per seguire il progetto.

L’adesione può essere formale, nel senso della manifestazione di essa nel contesto di un’ammissione formale degli addebiti da parte dell’indagato, ad esempio quando viene interrogato in Procura o dalla Polizia giudiziaria delegata, oppure può essere espressa con modalità informali, nel contesto di colloqui del ragazzo con gli operatori dei Servizi ai quali l’Autorità precedente abbia richiesto un’indagine volta a verificare anche l’eventuale praticabilità di una messa alla prova.

Nella fase dell’indagine preliminare non c’è una pronuncia del giudice, per cui si può avviare una messa alla prova se c’è il riconoscimento dell’addebito o, comunque, un’accettazione del progetto da parte dell’indagato.

Una volta chiusa la fase delle indagini preliminari con la richiesta di invio a giudizio o di giudizio immediato, può accadere che davanti al giudice (GUP se viene celebrata l’udienza preliminare ovvero il giudice dibattimentale, se si procede nella forma di giudizio immediato) l’imputato chieda al GUP il giudizio abbreviato e/o si dichiari, davanti al GUP ovvero al giudice dibattimentale, disponibile ad una messa alla prova (su un progetto eventualmente già elaborato, ovvero ancora da elaborare).

Il giudice, se ritiene la fondatezza dell’accusa o degli addebiti e la praticabilità di una messa alla prova, può disporla.

L’imputato deve, in ogni caso, manifestare una concreta adesione al percorso che gli viene prospettato, poiché questa è una condizione sostanziale necessaria e imprescindibile per l’avvio e la conclusione del progetto. La rilevanza di ciò è tale che, ove tale adesione venisse meno, l’operatore dovrà fare di ciò tempestiva segnalazione all’Autorità giudiziaria per eventuale revoca della messa alla prova o per lo meno per una convocazione del ragazzo da parte dell’Autorità giudiziaria.

E’ necessaria la predisposizione di un progetto, che l’A.G. recepisce nelle prescrizioni che sostanziano il dispositivo.

Qualora all’udienza, pur in assenza di una proposta di messa alla prova, il giudice ne ravvisi la possibilità, dispone un rinvio dell’udienza per dare il tempo ai servizi di formulare il progetto.

Le modalità di collaborazione nella costruzione e gestione del progetto

La messa alla prova è il settore in cui i Servizi hanno il maggior spazio: ciò viene qui sottolineato, affinché i Servizi stessi siano particolarmente stimolati sul piano della progettazione della messa alla prova e della successiva gestione dell’intervento.

Dopo la concessione della misura, il referente per il Tribunale è l’USSM, ma il progetto deve essere gestito in collaborazione USSM/Servizi territoriali, sin dalla fase della formulazione e del reperimento delle risorse locali.

In relazione alla situazione e a eventuali problematiche specifiche del ragazzo e del proprio contesto familiare e socio-ambientale, è altrettanto importante estendere la collaborazione ai Servizi Sanitari (NPI, Ser.T. e Psichiatria Adulti).

Nella fase delle Indagini preliminari l’intervento dei Servizi specialistici potrebbe essere determinato o da una richiesta specifica dell’Autorità Giudiziaria procedente o da una concertazione tra Servizi. Tutto ciò potrebbe portare alla formulazione di un’ipotesi progettuale di messa alla prova coinvolgente anche i Servizi Sanitari.

Ove, poi, il Giudice dovesse effettivamente disporre una messa alla prova, questa si avvierebbe già con il coinvolgimento di più Servizi, con correlativo incremento delle possibilità di riuscita della prova stessa.

Contenuti e durata della messa alla prova

I contenuti del progetto di sospensione del processo e messa alla prova possono essere diversi, a seconda della situazione del ragazzo.

Di norma si richiede di mantenere regolari rapporti con i Servizi, di assumere impegni rispetto al proprio percorso formativo (sia dal punto di vista scolastico sia della formazione professionale) e si possono prevedere interventi connessi alla giustizia riparativa (mediazione ed attività di utilità sociale).

Si possono anche prevedere prescrizioni legate alla situazione specifica del ragazzo, quali l’accettazione della presa in carico da parte dei Servizi specialistici (Ser.T., NPI, Psichiatria Adulti o Servizi di Psicologia dell’Età Evolutiva) e l’attiva adesione a quanto proposto.

Di norma, il ragazzo messo alla prova rimane nel suo contesto familiare.

In alcuni casi, può essere invece necessario un inserimento in comunità, essenzialmente al fine di rafforzare il progetto di messa alla prova, che non “reggerebbe” nel contesto familiare, in quanto fragile, pregiudizievole o assente.

La messa alla prova non è una misura “rigida”, ma può essere modificata nei contenuti, abbreviata o prorogata nei tempi; in questa prospettiva assumono particolare importanza le relazioni periodiche di aggiornamento richieste ai Servizi ed il rapporto con il giudice delegato a seguire la messa alla prova.

Infatti, la legge prevede la possibilità che la messa alla prova sia seguita da un giudice del collegio (togato o onorario).

Il giudice dovrebbe mantenere un rapporto costante con i Servizi, per diversi obiettivi:

* interventi tempestivi in caso di difficoltà, prima che la situazione diventi irrecuperabile;

* proposta di abbreviare la durata della misura se la messa alla prova evolve positivamente. Alcune messe alla prova si evolvono positivamente fin dai primi tempi e, quindi, non è necessario giungere alla data originariamente prevista come termine della misura.

La durata della prova può giungere fino ad un anno per la maggior parte dei reati e fino a tre anni per quelli più gravi. In pratica, nella concreta realtà del Distretto del Piemonte e Valle d’Aosta, in relazione alle più frequenti tipologie dei reati e/o delle situazioni dei ragazzi, la durata media del periodo di prova può essere dell’ordine di alcuni mesi o eventualmente di un anno, fatti salvi i casi più gravi, per i quali si può arrivare, come già detto, fino a tre anni.

Cosa succede alla fine della messa alla prova

Al termine della messa alla prova viene celebrata un’udienza nella quale vengono valutati gli esiti della stessa. Tale valutazione viene effettuata dal giudice, tenuto conto sia dalla valutazione operata dai Servizi (valutazione che deve essere espressa e motivata in relazione) sia di ogni altro elemento di valutazione che questi ritenga di prendere in considerazione.

In caso di esito positivo, i reati commessi e le conseguenti responsabilità del minore vengono del tutto cancellati senza lasciare traccia sul suo certificato penale (si dichiara l’estinzione del reato).

In caso di esito negativo, il procedimento penale riprende il suo corso, rimanendo ferme le imputazioni già formulate.

Nel caso in cui (come talvolta avviene) l’esito sia incerto, il giudice può disporre una proroga della misura nell’ambito della durata massima normativamente prevista. La possibilità di proroga è un’interpretazione introdotta in via giurisprudenziale, interpretazione comunque consolidatasi nell’ambito di questo Distretto.

La messa alla prova per i minori stranieri

La messa alla prova presenta, in concreto, alcune particolarità per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati.

Trattandosi, di solito, di ragazzi che non hanno fissa dimora, vivono in contesti degradati e non dispongono di riferimenti genitoriali o parentali (quantomeno certi ed affidabili), è necessario, di norma, puntare su una sistemazione comunitaria (o, se ve ne fosse la possibilità, su un affidamento familiare preferibilmente a connazionali).

La soluzione comunitaria, che nei fatti è spesso necessaria, comporta problematiche di copertura finanziaria che possono essere rilevanti in relazione alla durata del percorso comunitario e divenire complesse ove per il ragazzo, in tutela o seguito dal TM nell’ambito di una procedura di volontaria giurisdizione, esista anche una presa in carico sul piano civile.

Durata e contenuti della messa alla prova dovranno essere, nella progettualità dei Servizi e ferme restando le statuizioni del giudice che la disporrà, calibrati tenendo conto che:

- trattasi, spesso, di situazioni multiproblematiche e che, come tali, vanno monitorate e sostenute per un lasso di tempo adeguato: i Servizi dovranno attrezzarsi per una messa alla prova che potrebbe essere anche discretamente lunga (non solo e non tanto per la gravità del reato, ma soprattutto per la difficoltà della situazione del giovane);

- l’obiettivo dello strumento processuale (MAP) ovvero la verifica dell’evoluzione (auspicabilmente positiva) della personalità dell’imputato può coincidere, nei fatti, con l’obiettivo del giovane, spesso prossimo alla maggiore età, di una (parimenti auspicabile) integrazione in condizioni di legalità nel nostro tessuto sociale. In tale contesto è comprensibile che il giovane “punti” anche, cercando di superare la prova, all’obiettivo del conseguimento del permesso di soggiorno quale maggiorenne, una volta esaurita la funzione dei permessi di soggiorno per minore età o per motivi di giustizia.

Deve essere, comunque, chiaro, anche per evitare di ingenerare nei giovani attese che potrebbero andare deluse ed il cui soddisfacimento, comunque, non dipende solo dall’esito della messa alla prova, che le disposizioni dell’attuale normativa (cfr., in particolare, l’art.32 D.Lgs n. 286/98) prevedono percorsi e condizioni (“periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile...frequenza di corsi di studio o svolgimento di attività lavorativa retribuita...presenza sul territorio nazionale da non meno di tre anni”) che sono, ovviamente, distinte e autonome da quanto previsto dalle disposizioni sul processo penale minorile, anche se l’esito positivo di una MAP (che abbia, eventualmente, contenuti anche di studio, lavoro, ecc.) può costituire una valida premessa e credenziale per l’esito positivo di una pratica di permesso di soggiorno, comunque rimessa alle valutazioni dell’autorità amministrativa.

Nel caso di una messa alla prova che, per la sua durata (quale fissata fin dall’inizio ovvero prorogata dal giudice), travalichi la minore età, il giovane straniero dovrà, comunque, chiedere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia (individuabili, per l’appunto, nell’esigenza di concludere il percorso della messa alla prova). La segnalazione di ciò alla Questura competente potrà essere fatta dal giudice ma anche dai Servizi che seguono la prova, contestualmente alla proposizione della domanda da parte dell’interessato.

Al di là di possibili modifiche normative in materia di minori stranieri non accompagnati, va ancora segnalato, in prospettiva, che sono stati ipotizzati, ancorché in via sperimentale, percorsi di MAP (in particolare per minori romeni) che si svolgano almeno in parte nel Paese di origine dei ragazzi.

IL MINORE IN ISTITUTO PENALE

L’ingresso di un minore in un Istituto Penale è sempre conseguente ad un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, che può avere per contenuto o una misura cautelare (in attesa del processo) o l’esecuzione di una condanna definitiva (effettivo svolgimento di una pena).

La lettera e lo spirito della legge sul processo penale minorile (accanto alla residualità dei percorsi in misura detentiva per i minorenni) prevedono che - sin dal momento dell’ingresso - il ragazzo sia preso in carico da un’équipe tecnica (educatore e psicologo dell’IPM, assistente sociale dell’USSM, agente di Polizia Penitenziaria, oltre ad altre eventuali figure di volta in volta ritenute significative, come il mediatore culturale e gli operatori degli Enti o di Servizi esterni) in grado di attivare un tempo di esplorazione e progettazione. L’obiettivo primario è quello di valutare congiuntamente la possibilità di progetti alternativi per i minori (sia in caso di misura cautelare che in esecuzione di pena), in modo che la loro permanenza nel circuito detentivo possa avere la minima durata possibile, in relazione (ovviamente) alla posizione giuridica propria di ciascuno.

Tale obiettivo si traduce in un lavoro quotidiano con i minori che attraversi le fasi dell’accoglienza e della conoscenza, il superamento dell’impatto con la struttura, l’approccio con la situazione personale e giuridica, l’attivazione interna di attività formative, ricreative, culturali e sportive, la proiezione esterna a partire dall’individuazione delle abilità e competenze personali, la formulazione di un progetto individuale (assieme agli altri Enti coinvolti e coinvolgibili), l’accompagnamento all’uscita.

Di norma, gli operatori dei Servizi territoriali possono accedere in IPM per effettuare colloqui con il minore che hanno in carico o partecipare a riunioni di équipe, previa richiesta scritta alla Direzione dell’Istituto da parte dell’assistente sociale dell’USSM che segue il ragazzo.

Al momento delle dimissioni dall’IPM, qualora vi sia l’applicazione di una misura cautelare meno affittiva (collocamento in comunità e permanenza a casa), l’Istituto provvede all’esecuzione del provvedimento. Se il minore esce in stato di libertà, viene affidato ai propri familiari.

L’IPM favorisce, per i minori in uscita senza riferimenti parentali, il rientro nel contesto territoriale attraverso contatti con i soggetti pubblici la cui competenza ad intervenire, sia dal punto di vista tecnico che finanziario, viene individuata secondo i criteri previsti dallo specifico paragrafo: “Titolarità degli oneri socio-assistenziali per interventi socio-assistenziali da erogarsi ai minori dimessi dal Centro di prima accoglienza e dall’Istituto penale minorile”.

Per i giovani stranieri maggiorenni non regolari non sono previste - salvo l’esistenza di provvedimenti personali - modalità specifiche da applicarsi al momento della scarcerazione.

L’INSERIMENTO IN COMUNITA’ DEI MINORI SOTTOPOSTI A PROVVEDIMENTO PENALE

Gli inserimenti dei minori in comunità possono realizzarsi come esecuzione della misura cautelare del collocamento in comunità (art. 22 D.P.R. 448/88), come contenuto prescrittivo del progetto di messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/88) o di affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 D.P.R. 448/88), come esecuzione della misura di sicurezza del riformatorio giudiziario (art. 36 D.P.R. 448/88).

Nel caso di un ragazzo inserito in comunità con procedimento penale, gli educatori della struttura collaborano con i Servizi dell’Amministrazione della Giustizia a cui egli è affidato e che, per mandato istituzionale, mantengono i rapporti con l’Autorità Giudiziaria.

L’inserimento in comunità di un minore sottoposto a provvedimento penale ha caratteristiche prescrittive che vincolano sia il ragazzo sia la struttura e pertanto, ad esempio, in caso di ripetute trasgressioni o comportamenti incompatibili con la vita di comunità, eventuali dimissioni vanno concordate con il Servizio inviante prevedendo tempi che consentano l’individuazione di altra idonea risorsa.

Inserimenti in comunità ex art. 22 D.P.R. 448/88

La misura cautelare del collocamento in comunità è disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o fermo quando il minore è in CPA. Può anche essere disposta come modifica della misura cautelare più affittiva (custodia in carcere) su istanza della difesa o su proposta degli operatori che hanno in carico il minore; può essere disposta come aggravamento della misura cautelare della permanenza a casa.

La durata della misura è legata al titolo di reato e all’età del minore e i termini decorrono nuovamente in caso di fissazione dell’udienza preliminare.

Il ragazzo collocato in comunità con la misura cautelare partecipa alla vita e alle attività della comunità, attenendosi alle regole della stessa; le uscite dalla comunità senza accompagnamento educativo devono però essere autorizzate dall’AG .

In caso di allontanamento dalla struttura, gli operatori della comunità, oltre alla denuncia alle forze dell’ordine, devono tempestivamente dare comunicazione all’Ufficio di Servizio Sociale Minorenni; questi riferisce al GIP che può disporre l’aggravamento della misura in custodia cautelare fino ad un massimo di 30 giorni, al termine dei quali può essere ripristinato il collocamento in comunità.

L’ inserimento in comunità ex art. 22 disposto dal GIP nell’udienza di convalida, in considerazione dei tempi estremamente ridotti previsti dalla normativa (massimo 96 ore) che spesso non consentono di approfondire la conoscenza del ragazzo, né di formulare uno specifico progetto, può essere assimilato ad un “pronto intervento” .

Inserimenti in comunità ex art. 28 D.P.R. 448/88 e art. 47 L. 354/75 (Ordinamento Penitenziario)

La sospensione del processo e messa alla prova è disposta dal giudice dell’udienza preliminare o dal giudice del dibattimento su progetto formulato dai Servizi della giustizia e dell’Ente locale con l’adesione del ragazzo. Il progetto può prevedere la permanenza in comunità.

L’affidamento in prova al Servizio sociale è una misura alternativa alla detenzione che viene disposta dal Tribunale di Sorveglianza sulla base di un progetto formulato dai Servizi a favore di un ragazzo che sia stato condannato ad una pena non superiore a tre anni o/e abbia un residuo di pena non superiore a tre anni; la permanenza del ragazzo in comunità può costituire una prescrizione alla quale il ragazzo deve strettamente attenersi.

L’USSM deve riferire periodicamente al Magistrato di Sorveglianza e il beneficio può essere revocato dal Tribunale di Sorveglianza in caso di ripetute violazioni delle prescrizioni.

La durata della permanenza in comunità non è vincolata alla durata del provvedimento di messa alla prova o di affidamento in prova al Servizio sociale in quanto il progetto potrebbe subire modifiche in itinere o prevedere percorsi di autonomia o di rientro in famiglia.

Il progetto individuale, da sottoporre all’AG, è di norma formulato e condiviso anche con le équipe educative delle strutture comunitarie.

In questi due tipi di inserimento, l’allontanamento dalla comunità, che deve comunque essere segnalato tempestivamente all’USSM, non comporta automaticamente la revoca del provvedimento o del beneficio.

Inserimento in comunità ex art. 36 D.P.R. 448/88

La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario viene disposta dal Tribunale per i Minorenni nelle funzioni di Tribunale di sorveglianza nei casi in cui il ragazzo è riconosciuto non imputabile (perché inferiore agli anni 14 o ritenuto incapace d’intendere e di volere al momento della commissione del fatto), ma pericoloso socialmente; l’esecuzione della misura di sicurezza è di competenza del Magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo ove la misura deve essere eseguita che impartisce le prescrizioni per l’esecuzione della misura stessa; la misura del riformatorio giudiziario viene eseguita nella forma del collocamento in comunità.

La durata massima della misura è indeterminata, non inferiore ad un anno, in quanto legata al protrarsi o alla cessazione della pericolosità sociale.

Nel caso di allontanamento della struttura, gli educatori devono dare tempestiva comunicazione all’USSM che ha l’obbligo di segnalarlo al Magistrato di sorveglianza.

Questa misura si attua soprattutto presso le comunità terapeutiche che ospitano ragazzi con disagio psicologico o psichiatrico.

IL PROGETTO RIPARAZIONE

Il Progetto Riparazione nasce nell’ambito dell’attività del Settore Minori della Commissione Tecnica Consultiva Disadattamento, Devianza, Criminalità istituita ex art. 13 D. Lgs. 272/89. A conclusione di una prima sperimentazione effettuata su alcuni territori, con la DGR 162 - 21893/97 del 1997, il Progetto Riparazione viene esteso all’intero territorio regionale.

Nel febbraio 1999, la Regione Piemonte, il Centro per la Giustizia Minorile, il Comune di Torino, il Tribunale per i Minorenni e la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni formalizzano il Progetto Riparazione attraverso un apposito Protocollo d’Intesa, successivamente rinnovato il 14 novembre 2006.

Il Progetto si ispira ai principi della giustizia riparativa e prevede:

* Attività di Mediazione penale

* Attività di Utilità Sociale.

Per giustizia riparativa si intende ormai concordemente un modello alternativo di giustizia che vede coinvolti la vittima, l’autore del reato e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la ripresa o l’avvio di un dialogo tra le parti, la loro eventuale riconciliazione, la riparazione, anche simbolica, del danno ed il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

Attraverso gli interventi propri della giustizia riparativa si persegue la responsabilizzazione del minore verso il singolo o la collettività danneggiati e il coinvolgimento della vittima del reato, offrendole la possibilità, attraverso la mediazione, di essere soggetto attivo nella vicenda che la riguarda, dando voce alla sofferenza, alla necessità di comprensione degli eventi, al bisogno di riparazione.

Da oltre dieci anni si realizzano sul territorio regionale interventi di mediazione tra vittima e autore del reato attraverso l’attività del Centro per la Mediazione e percorsi di giustizia riparativa, attraverso l’impegno dei giovani, nei confronti dei quali procede l’autorità giudiziaria minorile, in Attività di Utilità Sociale attivati dai Servizi territoriali e dai Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia.

La mediazione può essere attivata in qualsiasi momento del procedimento penale così come le attività di utilità sociale.

I Servizi sociali del territorio e i Servizi minorili possono effettuare segnalazioni al Centro per la Mediazione e attivare progetti di Attività di Utilità Sociale secondo le modalità contenute nel documento “Linee guida” che costituisce parte integrante del Protocollo d’Intesa interistituzionale sul Progetto riparazione.

IL PASSAGGIO PENALE-CIVILE

Le esperienze fatte negli ultimi anni indicano che una risposta realmente utile e “duratura” al reato di ogni minorenne, sia italiano sia straniero, non si basa tanto - o solo -sulle varie forme di restrizione della libertà personale, bensì su una persuasione, forte, della necessità di stipulare un “contratto sociale” che consenta un recupero del soggetto, una sua integrazione ed inclusione sociale.

Gli Enti Locali, riconoscendosi quali garanti di non esclusione, si devono impegnare, quindi, oltre che nelle attività preventive, nelle azioni di recupero della devianza minorile attraverso la predisposizione di progetti coordinati in particolare con il Centro per la Giustizia Minorile. Facendo questo si riconosce il minore quale portatore di diritti di cittadinanza e, nel medesimo tempo, si fa garante del rispetto del medesimo anche per chi, a causa della sua origine e condizione, non può usufruirne a detrimento della sua integrazione sociale.

La Regione, dal canto suo, si impegna, assieme agli altri attori sociali, a individuare politiche e progetti che rendano praticabili anche per i ragazzi stranieri percorsi di non esclusione, proprio in quanto è ormai assodato che il modello “punitivo” non sempre è il più adeguato a rispondere alle complesse dinamiche sociali, che si sviluppano nel difficile percorso di integrazione fra modelli culturali diversi, che a volte sono in contrapposizione tra loro.

La predisposizione degli interventi rispetto ai comportamenti “trasgressivi” dei ragazzi e dei giovani deve, quindi, collocarsi nel “prima” che i ragazzi entrino in carcere, per evitare loro l’esperienza carceraria; nel “dopo” per intraprendere percorsi di cittadinanza ed evitare la recidiva, riservando alla presenza nel carcere un ruolo di osservazione e di aggancio per percorsi esterni.

Risulta evidente, quindi, come l’affermazione dei diritti e degli interessi dei minori si leghi ad obiettivi generali da perseguire, sanciti per legge e quindi vincolanti in sede di programmazione locale, quali quelli di promuovere lo sviluppo evolutivo degli stessi in situazione di difficoltà, emarginazione e devianza fornendo servizi e prestazioni di sostegno e supporto ai ragazzi e ai relativi nuclei familiari.

Ciò anche al fine di permettere la permanenza dei minori nel proprio ambiente di vita garantendone nel contempo lo sviluppo.

A tale proposito risulta, pertanto, necessario offrire opportunità e dare continuità agli interventi a favore dei minori coinvolti in ambito penale per favorire il passaggio dal penale al civile e per “restituire” alla Comunità locale, che a questo punto se ne fa di nuovo carico, il cittadino che rientra nella società civile dopo una esperienza di estromissione.

Le funzioni di sostegno la cui titolarità è in capo principalmente ai Comuni, singoli o associati secondo le modalità di cui alla L.R. 1/2004, devono essere svolte attraverso servizi ed interventi all’interno di programmazioni e progettualità complessive che vedano coinvolte varie istituzioni (Enti Locali, ASL, Scuola, Autorità Giudiziaria Minorile, Amministrazioni dello Stato in particolare quella della Giustizia) e il privato sociale sia quello commerciale/imprenditoriale che il volontariato (legge 285/97 e 328/2000).

In questa logica, la Regione Piemonte auspica che le indicazioni sopra enunciate vengano accolte e recepite dai Comuni e dai Consorzi Socio Assistenziali e nel medesimo tempo si rende promotrice di opportunità e sperimentazioni mirate.

In tal senso è necessario, quindi, promuovere accordi con il Ministero della Giustizia attraverso la collaborazione del Centro Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.

Tali accordi potrebbero, ad esempio, riguardare l’individuazione di prassi operative (buone pratiche) all’interno di un quadro di collaborazione tra Enti diversi con la predisposizione di interventi globali a favore dei minorenni e giovani adulti sottoposti a procedimento penale, residenti nei vari Comuni o stranieri ivi dimoranti.

A tale proposito è stato opportuno avviare una ri-programmazione globale degli interventi socio-educativi-lavorativi a favore dei giovani dell’area penale minorile, attraverso l’attività svolta dalla Sotto - Commissione Tecnica Minori ex art. 13 D.Lgs 272/89.

In particolare, si ritiene importante attivare quei servizi della “discriminazione positiva” che potrebbero assicurare, su progetti concordati, la continuità degli interventi a favore dei minori sottoposti a misura penale, per il periodo successivo al termine della stessa, fra i quali:

o Percorsi di Orientamento individuale;

o Tirocini formativi e lavorativi;

o Accompagnamenti educativi e di sostegno scolastico individualizzato;

o Inserimenti in strutture residenziali o semiresidenziali e in servizi a “bassa soglia”;

o Inserimenti in Affidamento Diurno, e/o Residenziale con Sostegno Professionale.

Tali interventi possono essere attivati, nel corso del procedimento penale, nel periodo immediatamente precedente alla misura penale (es. messa alla prova), durante la stessa e successivamente per garantire la continuità di un progetto qualora lo stesso abbia dato soddisfacenti risultati.

Gli interventi sopra indicati dovrebbero, poi, riguardare i diversi soggetti coinvolti della Pubblica Amministrazione che agirebbero di concerto fra di loro in una logica di lavoro integrato e in quanto titolari di proprie competenze attinenti a queste aree di intervento (Servizi Sociali, Educativi, Lavoro, Orientamento e Formazione Professionale) e potrebbero successivamente tradursi in Protocolli operativi veri e propri con il Centro per la Giustizia Minorile.

Sarebbe opportuno, inoltre, promuovere, se necessario, su progetti concordati tra gli operatori dei Comuni e gli operatori dei Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia, l’attivazione degli interventi di cui sopra, nella fase precedente all’applicazione di una misura penale, garantendone la relativa copertura economica secondo i criteri, le modalità e le procedure già esistenti.

Sarebbe, infine, opportuno organizzare e predisporre, in accordo con i Servizi Sociali Ministeriali, l’accompagnamento dei minori e dei giovani sottoposti a misura penale per i quali viene previsto lo svolgimento delle Attività di Utilità Sociale nell’ambito del progetto “Riparazione” da svolgersi preferibilmente nei territori di appartenenza degli stessi.

Qualora si giunga alla formulazione di Protocolli di Intesa tra i Comuni, loro Consorzi ed altre Istituzioni e il Centro per la Giustizia Minorile è opportuno predisporre idonei criteri, procedure e strumenti per la segnalazione dei casi e per l’esercizio delle attività di monitoraggio, verifica e valutazione sulla realizzazione di quanto previsto dagli stessi Protocolli d’Intesa.

I MINORI STRANIERI

La legge minorile richiede che i minori stranieri non accompagnati, indagati o imputati in un procedimento penale, debbano avere un rappresentante legale che faccia le veci degli esercenti la potestà genitoriale, ove questi non siano prontamente rintracciabili sul territorio nazionale o comunque reperibili in alcun modo.

E’ previsto, a pena di nullità, che il decreto di fissazione d’udienza e l’informazione di garanzia siano notificati all’esercente la potestà genitoriale o, in mancanza di questa figura, al tutore (art. 7 D.P.R. 448/88).

La conseguenza di una mancata notifica degli atti sopra richiamati potrebbe comportare una regressione del procedimento davanti al Pubblico Ministero ed una impossibilità di celebrare il processo.

Per evitare questo, la Procura presso il Tribunale per i Minorenni procede a segnalare al Giudice Tutelare competente in relazione alla residenza o dimora effettiva del minore tutte le situazioni in cui, sin dalla fase delle indagini preliminari, si prospetta un processo o, da subito, l’esigenza di indagini (incidenti probatori, perizie, ecc.) che richiedano la fissazione di udienze e il compimento di scelte processuali rilevanti, fornendo, di volta in volta, al Giudice Tutelare tutti i dati conosciuti relativamente alla identità personale ed alle condizioni di vita del minore.

Ove non fatta prima, la segnalazione viene inviata comunque nella fase conclusiva delle indagini, quando si concretizza la prospettiva del processo.

Per i minori senza fissa dimora presenti sul territorio regionale, la Procura Minorile segnala il caso al Giudice Tutelare del luogo di dimora, sempre per l’apertura di tutela.

Problemi e dubbi possono sorgere ogni qualvolta l’identità del minore non sia documentalmente accertata, ferma restando la certezza della sua identità fisica (perché sottoposto a rilievi fotodattiloscopici che ne attestano la identità, appunto, come persona fisica e che consentono di individuare anche le diverse generalità che, di volta in volta, il minore può avere reso alle forze dell’ordine o ai magistrati). In tal caso, comunque, la Procura per i Minorenni provvede ugualmente a segnalare il minore al Giudice Tutelare, specificando questa circostanza e fornendo anche eventuali notizie ed indicazioni circa il presunto domicilio effettivo del minore. Pacifica è, invece, la soluzione in caso di dubbio sulla effettiva minore età dell’indagato, dovendosi presumere la minore età, infatti, la segnalazione e correlativa richiesta di apertura di una tutela va comunque fatta.

Al di là di questi aspetti di carattere giuridico, si ritiene opportuno sottolineare, dal punto di vista sostanziale, che i progetti per i minori stranieri (vuoi di supporto a possibili misure cautelari vuoi in vista di una messa alla prova) dovrebbero attingere a risorse legate, in particolare, alla mediazione culturale, all’educativa di strada, ad un auspicabile coinvolgimento della comunità di connazionali del ragazzo presenti sul territorio, ad Associazioni che si occupano di stranieri, ecc.

TITOLARITÀ DEGLI ONERI SOCIO-ASSISTENZIALI PER INTERVENTI SOCIO-ASSISTENZIALI DA EROGARSI AI MINORI DIMESSI DAL CENTRO DI PRIMA ACCOGLIENZA E DALL’ISTITUTO PENALE MINORILE SENZA APPLICAZIONE DI ULTERIORI MISURE PENALI

L’art. 39, comma 1, della L.R. 1/2004 dispone che “gravano sui Comuni ... gli oneri relativi agli interventi socio-assistenziali da erogarsi agli aventi diritto anagraficamente residenti presso i Comuni medesimi”.

Per quanto concerne i minori il Comune (o l’Ente gestore nel cui ambito territoriale tale Comune è ricompreso) competente all’assunzione degli oneri connessi ad interventi socio-assistenziali è quello di residenza dei genitori naturali, se esercenti la potestà.

Quando sia venuta meno la potestà dei genitori le spese socio-assistenziali gravano sul Comune presso il quale il minore era residente precedentemente all’intervento socio-assistenziale.

L’art. 2 della legge 328/2000 recita: “hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi sociali i cittadini italiani, ...i cittadini appartenenti all’Unione Europea, nonché gli stranieri individuati ai sensi dell’art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza ...”

L’art. 41 sopra citato, a sua volta, statuisce che “gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale...”.

In base al combinato disposto delle norme richiamate competono al Comune di residenza anagrafica (e quindi all’Ente gestore nel cui ambito territoriale il Comune stesso è ricompreso) dei genitori esercenti la potestà gli oneri per gli interventi socio-assistenziali da destinarsi a minori (siano essi cittadini italiani o stranieri iscritti nella carta di soggiorno dei genitori) dimessi dal CPA o dall’ IPM (quando sia venuta meno la potestà dei genitori si applica la disposizione sopra richiamata).

Per quanto concerne i minori stranieri non accompagnati o accompagnati da adulti privi di permesso di soggiorno (e privi, pertanto, di residenza anagraficamente accertabile), la titolarità dell’intervento sotto il profilo tecnico e delle spese socio-assistenziali per servizi da erogarsi a favore dei dimessi dal CPA o dall’IPM gravano sul Comune (o sull’Ente nel cui ambito territoriale tale comune è ricompreso), presso il quale si trovava il minore, quando venne effettuato l’arresto o il fermo (flagranza di reato - cfr. art. 380-381-382 c.p.p - o fermo per “indizi di delitto” - cfr. art. 384 c.p.p.).

Infatti è l’evento dell’arresto o del fermo che, successivamente alle dimissioni dal CPA o dall’IPM, decreta il bisogno socio-assistenziale.

Ferma restando la titolarità dei medesimi interventi, così come individuata in base al criterio sopra richiamato, qualora non vi sia coincidenza tra Comune tenuto ad assumersi gli oneri socio-assistenziali e Comune presso il quale il minore soggiornava (qualora individuabile) pur non essendovi anagraficamente residente, precedentemente alla commissione del reato, i Servizi sociali dei suddetti Comuni possono accordarsi per stabilire, caso per caso, nell’interesse del minore, eventuali modalità di collaborazione per la realizzazione della presa in carico tecnica dopo le dimissioni.

In ogni caso, a fronte della complessità della problematica trattata, sarà cura da parte delle Amministrazioni, secondo le rispettive competenze procedere ad ulteriori approfondimenti, onde valutare la possibilità di rivedere i criteri per l’individuazione della competenza tecnica ed economica, al fine di assicurare una maggiore funzionalità degli interventi di cui trattasi.

LA RACCOLTA DATI E IL MONITORAGGIO

La Regione Piemonte realizza un periodico monitoraggio dell’attuazione delle presenti linee-guida, anche sotto il profilo degli oneri economici a carico degli Enti gestori, al fine di evidenziare la concreta operatività delle indicazioni in esse contenute, anche attraverso appositi incontri di verifica con tutti i Servizi coinvolti, da realizzarsi preferibilmente a livello decentrato sul territorio, in collaborazione con le altre Istituzioni interessate.

I dati in tal modo raccolti ed inerenti, a titolo esemplificativo, la tipologia degli interventi realizzati, il numero e le caratteristiche dei minori seguiti, i progetti e le sperimentazioni eventualmente attivate, potranno confluire nella Banca Dati dell’Osservatorio Regionale Infanzia e Adolescenza e nell’istituendo Sistema Informativo dei Servizi Sociali, previsto dall’art. 15 L.R. 1/2004, secondo modalità da individuarsi onde assicurare la tutela della riservatezza delle informazioni, sia in fase di rilevazione sia di elaborazione e restituzione agli Enti interessati, in ottemperanza alla normativa vigente.

LA FORMAZIONE CONGIUNTA

Per promuovere l’attuazione delle presenti Linee Guida, la Regione Piemonte, in collaborazione con il Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, le Autorità Giudiziarie Minorili e le altre Istituzioni competenti, organizza attività di formazione congiunta destinate agli Operatori dei Servizi territoriali e dei Servizi Minorili del Ministero della Giustizia.

Obiettivi principali delle attività formative saranno i seguenti:

* diffondere la conoscenza dei contenuti delle Linee Guida;

* sensibilizzare rispetto alle tematiche della giustizia riparativa, alle attività di mediazione e alle attività di utilità sociale;

* assicurare un’omogenea interpretazione ed applicazione delle medesime su tutto il territorio regionale;

* rafforzare ulteriormente le modalità di collaborazione già attive tra i diversi Servizi coinvolti nella tutela dei minori sottoposti a procedimento penale;

* promuovere la conoscenza di esperienze innovative sperimentate sul territorio piemontese nel settore penale minorile.

I seminari formativi si svolgeranno secondo le seguenti modalità:

* destinatari: Responsabili ed Operatori dei Servizi socio-assistenziali e sanitari e dei Servizi Minorili del Ministero della Giustizia, Operatori pubblici e privati operanti nel settore d’intervento a favore dei minori soggetti a provvedimenti penali;

* numero di seminari: non inferiore a 5, da svolgersi a livello decentrato (uno per quadrante - Alessandria, Cuneo, Novara e Torino - più uno per gli operatori della sola città di Torino), al fine di favorire il più possibile la partecipazione dei Servizi. Si potranno prevedere eventuali ulteriori seminari, valutate le richieste da parte dei Servizi interessati.

* durata: un’intera giornata.



Allegato 2

Modulo di richiesta di Indagine Sociale da parte della Procura

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D’AOSTA

P.M. dott..... Segreteria n.... (fax n...)

Proc.n. RGNR

All’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni
via Berruti e Ferrero n.1/A - 10135 Torino

Al Servizio socio-assistenziale.......

Oggetto: Accertamenti, ai sensi degli artt.6 e 9 del DPR 448/88 (disposizioni sul processo penale minorile), sulla personalità dell’indagato.........

Si richiede, con la presente ed ai sensi della normativa sopra richiamata, lo svolgimento di un’indagine sulla situazione del giovane menzionato in oggetto, indagato in procedimento penale pendente presso questa Procura per il reato di cui......, commesso in......il

L’indagine non deve riguardare quanto attiene alla commissione - o meno - del fatto da parte del giovane (ogni accertamento sul punto compete al magistrato od alla polizia giudiziaria da lui delegata) ma deve puntare, in linea con quanto previsto dall’art.9 DPR 448/88, all’acquisizione di “elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili”.

Questa è la formula, necessariamente omnicomprensiva, della legge, per la cui concreta applicazione nel caso specifico si può, comunque, fare riferimento anche ai contenuti delle Linee Guida di cui alla Circolare della Regione Piemonte del..... (n....), che sono state elaborate anche con il contributo di questa Procura minorile, oltre che del Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta. Si fa richiamo ad esse anche per il concreto riparto delle competenze fra USSM e Servizio locale, nel quadro di un rapporto globalmente collaborativo fra l’uno e gli altri.

Si consideri, in particolare, che:

- nel caso in cui dall’approccio al caso emergessero elementi sintomatici della presenza nel ragazzo di problemi comportamentali possibile indice di disturbi della personalità non ascrivibili solo a problematiche socio-familiari-ambientali e/o di problematiche di alcoolismo-tossicomania-tossicodipendenza potrà essere chiesta (se necessario per il tramite di questa A.G.) la collaborazione, altresì, di Servizi specialistici di zona quali, a seconda delle connotazioni del caso, il Servizio di NPI, il Servizio di psicologia dell’età evolutiva od il SER.T;

- ove il ragazzo e/o il suo nucleo familiare fossero già conosciuti si dovrà riferire anche sui contenuti e sugli esiti degli interventi effettuati, tanto se operati solo a livello di Servizi quanto se avvenuti con il coinvolgimento dell’Autorità Giudiziaria;

- ove, al di là di quanto rilevante ai fini penali, emergessero dall’indagine elementi rilevanti per la tutela giudiziaria civile del minore, essi pure dovranno essere, nel contesto, segnalati a questa Procura, titolare del potere/dovere d’iniziativa sul piano civile;

- in caso di disponibilità dell’indagato (la cui responsabilità per il reato ascrittogli può essere affermata solo dal giudice, ovviamente dopo l’eventuale esercizio dell’azione penale da parte del P.M., all’esito delle indagini preliminari) e tenuto conto, ove egli fosse ancora minorenne, anche della posizione degli esercenti la potestà su di lui, potrà essergli proposta la partecipazione a forme di giustizia riparativa quali le attività di utilità sociale (AUS) e/o la mediazione con la vittima del reato, da attuarsi, comunque, nel quadro delle Linee Guida sulla giustizia riparativa approvate dalla Regione Piemonte nel 2006 (per la mediazione occorre fare riferimento all’Ufficio per la mediazione, ubicato in Torino, via Stampatori n.5);

- nell’ambito dell’indagine in discorso potrebbe essere valutata anche l’eventuale praticabilità, ricorrendone le condizioni (valutazione in cui va coinvolto l’USSM, ove non sia già esso a condurre direttamente l’indagine), di un progetto di messa alla prova (MAP), progetto le cui linee potrebbero essere comunicate a questo Ufficio con la relazione di risposta alla presente richiesta.

Si prega di dare riscontro alla presente, con relazione scritta (da inviare, eventualmente, a mezzo fax), indirizzandola a:

NB: a questo punto il modulo potrebbe riportare le ipotesi seguenti e la segreteria del PM dovrebbe sbarrare la voce che, nello specifico, non interessa

.. questo Ufficio- Segreteria del P.M. dott.... entro il.....

... cancelleria GUP (giudice dell’udienza preliminare) del Tribunale per i minorenni di Torino, poiché gli atti del presente procedimento vengono contestualmente - o verranno nel frattempo - trasmessi a tale Ufficio

alla cancelleria GIP del Tribunale per i minorenni di Torino

Si raccomanda, per evitare eventuali disguidi, di citare SEMPRE, nella risposta, il numero di RGNR (registro generale delle notizie di reato) che compare in alto a sinistra sulla prima pagina della presente.

Si ringrazia per la collaborazione e si porgono cordiali saluti

Il Procuratore della Repubblica per i minorenni di Torino


Allegato 3

Modulo comunicazione chiusura indagini preliminari

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D’AOSTA

P.M. dott..... Segreteria... (tel. n; fax n.)

Proc.n. RGNR

All’Ufficio di Servizio Sociale per i minorenni
Via Berruti n.1/A - 10135 Torino

Al Servizio socio-assistenziale di.....

OGGETTO: Indagine relativa all’indagato....


In relazione al procedimento penale a carico del nominato in oggetto, per il quale è già pervenuta relazione a questa Procura, si comunica che le indagini preliminari vengono ora chiuse con la trasmissione del fascicolo all’Ufficio GUP/GIP del Tribunale per i minorenni di Torino, sì che ogni comunicazione ulteriore (eventuali seguiti, aggiornamenti, ecc...) va inviata a tale Ufficio e non più a questa Procura. Si raccomanda di citare comunque il numero di RGNR sopra indicato.


Cordiali saluti


Il Procuratore della Repubblica per i minorenni di Torino


Allegato 4

PROGETTO RIPARAZIONE - LINEE GUIDA mediazione e attività di utilità sociale

La mediazione

“Lo scopo primario della mediazione è di svolgere un percorso di riconoscimento reciproco tra le parti alla presenza di un terzo neutrale che lo rende possibile e lo sostiene, e di realizzare quindi una giustizia non riduttiva perché fondata su una relazione che si ricostruisce , su di un ordine che non viene imposto, ma generato dalle stesse persone coinvolte nel conflitto”. (1)

La mediazione si connota quindi come strumento e, allo stesso tempo, come l’ espressione più profonda della giustizia riparativa.

Inoltre, rispetto agli altri strumenti, essa si caratterizza maggiormente in termini di “esperienza di essere” piuttosto che di “esperienza di fare”.

La mediazione, oltre che essere il luogo dell’ascolto, è il luogo della parola, in quanto introduce le persone in uno “spazio protetto di parola”, là dove il disagio ed il conflitto si sono espressi con l’agito. Essa è anche il luogo dove è possibile fare esperienza del “mettersi al posto di”; questo avviene soprattutto nell’incontro tra i confliggenti, ma anche nell’incontro individuale che ciascuno ha con i mediatori, ove si esplica l’esercizio di parola e di identificazione. Infatti il mediatore porta a riflettere sulla posizione dell’altro, gli dà voce e, attraverso domande appropriate, aiuta l’identificazione con i bisogni e vissuti altrui.

La mediazione è dinamica (nessuno sa cosa succederà e ciascuno partecipa al suo divenire), i soggetti sono protagonisti tutti in prima persona e ne costruiscono il percorso e l’esito.

La mediazione attiva un processo trasformativo volto alla responsabilizzazione “dell’uno verso l’altro”.

L’esito positivo intrinseco della mediazione è la trasformazione del proprio punto di vista, la diversa percezione dell’altro ed un clima di riconoscimento reciproco che si esprimono attraverso le parole, i toni di voce, i silenzi, i gesti, la postura e l’atteggiamento vicendevole. L’esito estrinseco della mediazione positiva è l’eventuale ulteriore accordo riparativo a cui le parti possono giungere. Il contenuto di ogni accordo raggiunto in mediazione deve essere volontario, ragionevole e proporzionato alla gravità del reato.

Principi fondamentali della mediazione:

* partecipazione libera (è facoltà degli interessati aderirvi o meno), volontaria (l’intero percorso si regge sulla sola volontà collaborativa delle parti) e consensuale (ogni esito, materiale o simbolico, positivo o negativo, è frutto dell’incontro e dello scambio interpersonale) alle proposte di mediazione-riparazione.

Il libero consenso deve essere fornito dall’inizio e le parti possono revocarlo in ogni momento. In particolare, per quanto riguarda la mediazione penale, è fondamentale che le parti riconoscano un coinvolgimento diretto nel conflitto scatenato dall’evento reato o nella relazione preesistente.

* confidenzialità e riservatezza. Il contenuto dei colloqui di mediazione non può essere riferito a terzi e questo, da un lato consente di costruire un setting in cui le persone si sentono libere di esprimersi (fatti, sentimenti, emozioni), dall’altra tutela gli interessi delle parti. Il requisito della riservatezza è talmente cruciale che anche il legislatore italiano, nella norma che regola la competenza penale del Giudice di Pace, non manca di precisare la inutilizzabilità, ai fini della deliberazione, delle dichiarazioni rese dalle parti davanti ai mediatori (art29 c.4 D. Lgs. 274/00). Deroga a questo principio il venire a conoscenza di gravi ed imminenti reati di cui andrebbero informate le autorità competenti - Raccomandazione Europea (99) n. 19 -. A conclusione del percorso i mediatori si limitano a comunicare agli invianti, concordandolo con gli interessati, l’andamento e l’esito del percorso di mediazione. Qualora non si realizzi l’incontro “faccia a faccia” tra le parti, viene data comunicazione della non fattibilità della mediazione; questa circostanza si verifica in assenza del consenso di almeno uno degli attori coinvolti o in base a valutazioni di non opportunità/idoneità all’incontro effettuate dai mediatori.

* gratuità dell’intervento in quanto la mediazione si configura come un “servizio” e come tale deve essere generalmente fruibile come espressamente indicato sia dalla Raccomandazione Europea R(99) 19 che dai Basic Principles.

* imparzialità ed indipendenza dei mediatori. Nella mediazione penale esse si traducono in una posizione di equi-prossimità ad entrambe le parti, autori di reato e persone offese, al di là dei loro ruoli sociali o processuali. Il mediatore, a garanzia di neutralità, non deve essere coinvolto professionalmente nel processo penale del minore. I dipendenti di enti pubblici, nel loro ruolo di mediatori, rendono conto del loro operato solo all’equipe di mediazione.

Collocazione temporale della mediazione penale

La mediazione può essere attivata in qualsiasi momento del procedimento penale minorile con la consapevolezza che, a seconda della fase procedurale in cui si colloca e a seconda di chi effettua l’invio, essa genera aspettative differenti sia nel minore che nell’autorità giudiziaria procedente. La scelta del momento in cui l’intervento può essere proposto, affinché sortisca un effetto positivo e sia nel contempo coerente con il percorso educativo cui tende il processo penale minorile, non può prescindere in ogni caso dal rispetto dei principi fondamentali della mediazione.

1. fase antecedente all’avvio dell’azione penale

In questa fase l’invio in mediazione può avvenire da parte di quei soggetti pubblici o privati (es. forze dell’ordine, operatori scolastici, operatori sociali, società sportive ecc..) che, in ragione della loro attività, vengano a contatto con situazioni conflittuali che vedono coinvolti dei minori e che potrebbero sfociare, con la subitanea proposizione di denunce-querele anche in casi di modesto rilievo sociale, in procedimenti penali che contribuiscono a sovraccaricare il cosiddetto circuito penale ed acuiscono il livello di tensione tra le parti.

L’invio in mediazione deve avvenire col consenso informato degli interessati e dei genitori, quando si tratta di minorenni, a tutela dei loro diritti.

L’intervento della mediazione in tale ambito si caratterizza come innovativo rispetto all’esperienza attuata fino ad ora dal Centro di Mediazione e richiede sicuramente la messa in campo di azioni di sensibilizzazione diffuse sul territorio, finalizzate alla promozione di una cultura mediativa alternativa al modello culturale del “ricorso alle vie legali”.

2. fase delle indagini preliminari

2a. Attivazione da parte del Pubblico Ministero

L’assunzione di responsabilità da parte dei minori che si attivino, già in questa fase, in un facere nel segno della giustizia riparativa, può servire a dare significato alle richieste di definizione del procedimento al termine della fase delle indagini o, nel caso di rinvio a giudizio, a motivare le richieste alternative alla sanzione.

La mediazione, ove il titolo di reato lo preveda, può favorire inoltre il raggiungimento di un accordo conciliativo con conseguente remissione di querela.

Il PM nell’inviare il caso in mediazione indica un tempo di scadenza per l’intervento stesso, tempo che non potrà comunque essere inferiore a tre mesi. Qualora non sia possibile rispettare tale termine temporale, il Centro Mediazione ne dà comunicazione motivata al PM specificando lo stato dell’intervento.

2.b Attivazione da parte dei Servizi minorili della Giustizia o dei Servizi dell’Ente locale

Nelle situazioni in cui i minori riconoscano un loro coinvolgimento nel fatto reato e verbalizzino una disponibilità ad incontrare l’altra parte, l’operatore sociale, dopo aver raccolto il consenso dei genitori, può segnalare il caso al Centro Mediazione dando, contestualmente un’informazione per conoscenza alla Procura della Repubblica presso il TM.

Infatti, per tutta la durata della presa in carico, l’operatore sociale ha la possibilità di utilizzare il piano della relazione col minore sia per lavorare sulla motivazione, sia per “smarcare” l’intervento mediativo da quelli istituzionalmente legati al controllo e all’obbligo di fare.

In tali casi occorre essere consapevoli che, far leva sulla relazione instaurata col minore comporta, di contro, il rischio di adesioni per motivazioni legate proprio a quella particolare relazione (atteggiamento compiacente, passivo, strategico)

La conoscenza del minore e delle circostanze che hanno dato avvio al procedimento penale, consentono, inoltre, di attivare l’intervento nel rispetto dei tempi cronologici ed interiori delle persone coinvolte.

3. Invio nella fase processuale

 3.a. nell’ambito della sospensione del processo e messa alla prova ex art. 28 D.P.R. 448/88

La mediazione (nel senso che al giovane, ormai imputato, è prescritto di fornire disponibilità formale e sostanziale all’incontro con la vittima del reato) può rientrare, come uno dei contenuti possibili, in un progetto di messa alla prova. Ciò in linea con l’obiettivo della prova, centrata sulla “ personalità del minorenne”, da valutare in sostanza, non solo e non tanto dopo il decorso di un certo lasso di tempo ma all’esito di un percorso, guidato, monitorato e sostenuto dai servizi. Il giudice valuterà l’evoluzione della personalità dell’imputato, in un contesto di potenzialità trasformative, anche nella relazione tra le parti.

Proprio su questa potenzialità può far affidamento il giudice nelle situazioni in cui il minore non abbia sufficientemente elaborato le conseguenze del suo reato.

Il percorso di responsabilizzazione del minore, che dà il suo assenso ad impegnarsi nella realizzazione del progetto, viene, da un lato, a rispondere all’esigenza obiettiva, se ritenuta tale dal giudice, di un confronto autore/vittima del reato al di là delle loro “vesti processuali” di imputato e persona offesa ed al di fuori, anche fisicamente, dal “luogo del processo” (l’aula giudiziaria) e, dall’altro, a recepire, se è già maturo o se è, comunque, suscettibile di maturazione, il bisogno del ragazzo di confrontarsi con la sofferenza della parte lesa.

D’altro canto va garantita la tutela della posizione della parte lesa che può non accogliere la proposta di mediazione.

La prescrizione, in questo caso, resterà aperta, senza certezze rispetto all’esito e senza rischio, se disattesa, di invalidare il percorso di messa alla prova.

Trattandosi, comunque, di temi particolarmente complessi, di volta in volta l’AG procedente, in collaborazione con i servizi sociali, valuterà l’opportunità di inserire l’attività di mediazione in un progetto di messa alla prova, per evitare il rischio che si realizzi una formale adesione ad una prescrizione che potrebbe apparire paradossale. L’adesione all’intervento mediativo infatti presuppone un’adesione alla messa in gioco in prima persona, ad un’esperienza di “essere” piuttosto che di “fare”.

3.b Invio da parte dell’AG procedente, indipendentemente dall’esito del processo.

Di volta in volta l’AG procedente, in collaborazione con i servizi sociali, valuterà l’opportunità di proporre l’attività di mediazione. In tali casi l’esito del percorso di mediazione sarà totalmente svincolata dall’iter penale (concluso o meno) e, pertanto, non sarà necessario effettuare alcuna restituzione al giudice.

4.fase di esecuzione della pena

In questa fase l’attivazione può essere effettuata da parte del Magistrato di Sorveglianza, in collaborazione con gli operatori dei Servizi minorili della Giustizia (assistenti sociali, educatori, psicologi). Anche in questo caso le situazioni verranno valutate di volta in volta con criteri analoghi a quelli individuati per la mediazione all’interno dei progetti di messa alla prova.

Il percorso di mediazione

Per quanto attiene alle prassi operative, l’attività di mediazione si sviluppa attraverso le seguenti fasi: l’invio e l’acquisizione del consenso, la verifica di fattibilità, l’incontro “faccia a faccia”, l’accordo conclusivo e la comunicazione finale sull’esito dell’intervento.

* L’invio e l’acquisizione del consenso

Quando l’inviante è il Pubblico Ministero, questi, laddove possibile, raccoglie il consenso del minore e dei suoi genitori nel corso dell’interrogatorio; in ogni caso informa entrambe le parti, attraverso una comunicazione scritta, del successivo intervento del Centro per la Mediazione. Della segnalazione al Centro viene inoltre data comunicazione ai difensori.

Se gli invianti sono, invece, operatori dei servizi sociali o i giudici minorili in altre fasi dell’iter penale, verrà acquisito il consenso alla mediazione solo da parte del minore e dei suoi genitori, mentre quello della vittima sarà successivamente verificato dai mediatori.

* La verifica di fattibilità

Sulla base della segnalazione pervenuta al Centro, i mediatori inviano alla persona offesa, all’ autore del reato ed ai loro genitori nel caso siano minorenni, una lettera contenente l’invito a presentarsi ai colloqui individuali ed un depliant illustrativo dell’attività proposta. Ai colloqui preliminari vengono invitati, separatamente, i protagonisti della vicenda penale che possono essere accompagnati dai genitori o anche dagli avvocati; in ogni caso a costoro è dedicato uno spazio di informazione e di ascolto, mentre il colloquio individuale si svolge solo con la persona coinvolta direttamente nel fatto-reato.

Il colloquio preliminare rappresenta un momento importante in sé, a prescindere dalla possibilità o meno di arrivare all’incontro faccia a faccia e rappresenta uno degli elementi per valutare se esistono le condizioni per proseguire il percorso mediativo.

Nel caso in cui non si ritenga opportuno l’incontro tra le parti il colloquio preliminare sarà stato ugualmente utile per entrambi i protagonisti del fatto-reato: la vittima avrà avuto modo, probabilmente per la prima ed unica volta, di essere ascoltata rispetto ai propri sentimenti di collera ed alla propria sofferenza e il minore sarà comunque indotto a fermarsi a riflettere sulla propria azione e sulle conseguenze che ne sono derivate.

L’incontro “faccia a faccia”

L’incontro di mediazione vero e proprio si svolge senza la presenza di estranei ai fatti e vede la presenza due o più mediatori a seconda del numero di persone coinvolte.

Durante l’incontro, e in genere per la prima volta, il reo e la parte offesa hanno la possibilità di ascoltarsi e di ri-costruire, se lo ritengono importante, una visione condivisa dei fatti.

Il mediatore svolge un ruolo di facilitatore all’interno di un percorso comunicativo spesso difficile e faticoso, di catalizzatore di emozioni, di specchio in cui le parti si riflettono, di osservatore e quant’altro ancora sia necessario ad accompagnare le persone che lo desiderino sulla via dell’intesa.

L’accordo conclusivo

L’incontro faccia a faccia si conclude con l’invito alle parti di esprimere il loro stato d’animo rispetto all’esperienza appena vissuta.

Sono i protagonisti a valutare l’esito del percorso mediativo che li riguarda e a mostrare soddisfazione o, al contrario, delusione e frustrazione.

In ogni caso l’incontro si concluderà con un accordo, con un’intesa, anche quello che al termine continuerà a vedere reo e persona offesa contrapposti e ancorati ai ruoli iniziali; in questi casi ci sarà accordo nel riconoscere che la mediazione non ha cambiato l’atteggiamento reciproco e che pertanto l’esito sarà negativo.

Spesso il confronto, la comprensione reciproca, il raggiungimento di una versione con-divisa dei fatti, il gesto simbolico, le autentiche scuse, sono una soluzione che soddisfa entrambe le parti.

Talvolta occorre invece arrivare a stipulare un accordo che impegna una o entrambe le parti, come ad esempio una remissione di querela o un risarcimento economico, oppure ancora la condivisione di un’azione riparativa simbolica (es. fare qualcosa insieme che renda visibile la riappacificazione).

Qualora l’accordo conclusivo preveda impegni successivi all’incontro di mediazione, i mediatori comunicano alle parti che provvederanno a verificare che il patto venga rispettato.

Un momento importante è quello relativo alla comunicazione ai genitori e ai difensori, eventualmente presenti, circa l’esito della mediazione.

Lo spazio protetto della mediazione va preservato, l’esperienza appartiene solo ed esclusivamente alle parti, tuttavia è fondamentale restituire il tenore dell’incontro ed il clima in cui si è svolto per arginare qualsiasi tentativo di svalutazione o di negazione del valore del risultato raggiunto.

Quando l’episodio per cui si procede penalmente coinvolge due o più minorenni, i mediatori possono valutare l’opportunità di proporre un incontro “faccia a faccia” anche ai genitori. E’ infatti esperienza consolidata dei mediatori che, laddove il conflitto abbia assunto rilevanza anche tra gli adulti, è di fondamentale importanza offrire uno spazio di confronto anche a questi ultimi al fine di abbassare il livello di tensione e di sostenere gli accordi raggiunti dalle parti.

L’esito di una mediazione può considerarsi positivo quando:

* i mediatori hanno la percezione che le parti abbiano potuto esprimere autenticamente i propri sentimenti;

* le parti sono giunte a una diversa visione l’una dell’altra, al riconoscimento reciproco e al rispetto della dignità dell’altro (non necessariamente ad una riappacificazione) superando i ruoli stereotipati di vittima e colpevole;

* si verifica un cambiamento rispetto alle iniziali modalità di comunicazione tra le parti che consente di arrivare ad un gesto riparatorio simbolico e/o materiale.

La comunicazione finale

La comunicazione finale si traduce in una breve nota indirizzata al magistrato o all’operatore sociale inviante, nella quale i mediatori si limitano a riferire, in merito alla segnalazione ricevuta, se la mediazione è stata o meno fattibile, cioè se si è effettuato l’incontro faccia a faccia e, in caso affermativo, se questo ha avuto un esito positivo o negativo.

La mediazione non è fattibile quando manca il consenso di una o di entrambe le parti, oppure quando non è stato possibile rintracciare gli interessati o ancora quando, per motivazioni indipendenti dalla loro volontà (sopraggiunte malattie, decesso, valutazione dei mediatori ), non si è potuta realizzare.

In caso di esito positivo, qualora le parti verbalizzino l’intenzione di ritirare la querela o giungano ad un diverso accordo che prevede una riparazione di tipo materiale, questo diventa parte del contenuto della relazione finale; ogni altra informazione che i mediatori ritengano utile comunicare all’inviante verrà concordata con le parti.

In caso di non fattibilità dovuta al mancato consenso di una o di entrambe le parti la comunicazione non conterrà informazioni atte ad identificare chi non ha voluto aderire alla proposta.

Altrettanto sinteticamente verrà data comunicazione in merito alla mediazione non effettuata, ovvero al caso in cui il conflitto ha trovato una soluzione autonoma ancor prima dell’intervento dei mediatori.

Esiste anche la possibilità di svolgere interventi di mediazione indiretta. Talvolta accade che il mediatore funga da ponte comunicativo a distanza tra le parti rendendo possibile un avvicinamento anche nelle situazioni in cui la resistenza ad incontrare “fisicamente” l’altro è molto forte. L’esito positivo di tali interventi si concretizza spesso nelle scuse scritte che pervengono alla vittime e talvolta anche nel ritiro della querela da parte della persona offesa.

Le Attività di Utilità Sociale

Le Attività di Utilità Sociale (da ora in avanti AUS) si inseriscono all’interno di un paradigma di giustizia riparativa che impegna il reo e la collettività nella restaurazione del legame interrotto dall’evento-reato o, se tale legame era già critico, alla costruzione di esso in termini più autentici, il tutto in un ottica reciprocamente responsabilizzante.

Le AUS possono assumere una valenza anche fortemente educativa ma, nell’ambito di un procedimento penale, ciò che le connota è, in primis, la finalità riparativa, con attenzione per la vittima e coinvolgimento, ove possibile ed opportuno, della stessa.

Il legame con il reato commesso è inscindibile concettualmente e deve essere ben chiarito al ragazzo, mentre le forme concrete che l’AUS può assumere, possono variare a seconda delle possibilità/opportunità di una riparazione diretta/indiretta e delle specifiche caratteristiche di personalità del giovane.

Principi fondamentali delle Attività di Utilità Sociale

* Riconoscimento da parte del minore del coinvolgimento e di una responsabilità personale nell’evento, che tiene conto, non tanto dell’ammissione sul capo di imputazione, quanto delle conseguenze che il fatto-reato ha prodotto in termini di danno arrecato

* Consenso libero e informato del minore e della sua famiglia, possibilità da parte degli interessati di coinvolgere nella decisione di aderire o meno alla proposta riparativa anche il difensore

* Possibilità di attivare le AUS in qualunque fase del procedimento penale minorile come previsto per l’attività di mediazione.

* Connessione, laddove possibile, tra l’attività proposta e la tipologia del reato commesso.

* Non afflittività e rispetto del sistema di garanzie che tutelano la persona sottoposta a procedimento penale; l’attività di utilità sociale non deve essere intesa come punizione (o, peggio, come punizione supplementare), pur comportando un impegno che potrebbe risultare anche di un certo rilievo e che va sostenuto dalla famiglia e dagli operatori ( è essenziale, in ogni caso, che il giovane non consideri l’AUS qualcosa da effettuare “a tempo perso”, un “optional” subordinato a tutti gli altri suoi impegni ed interessi).

* Durata dell’AUS: verrà stabilita dal soggetto proponente (PM, Giudice, operatore sociale) tenendo conto della situazione complessiva del minore e dei suoi impegni. Qualora l’AUS venga inserita tra i contenuti prescrittivi di un progetto di messa alla prova saranno considerati gli aspetti relativi alla qualità, all’incisività e alla durata dell’esperienza.

* Gratuità dell’attività; lo svolgimento di attività di riparazione non comporta alcun riconoscimento economico.

* Coinvolgimento e partecipazione della comunità locale nei programmi di riparazione attraverso le istituzioni pubbliche e private, le cooperative sociali e le associazioni di volontariato.

* Differenza tra volontariato e AUS; il primo sottende una disposizione-motivazione personale all’impegno sociale che riflette una predisposizione individuale e si fonda su scelte ideologiche. L’AUS, invece, trova la sua ragion d’essere nella commissione di un reato e dunque in un fatto esterno alla persona che la svolge.

Collocazione temporale del progetto di Attività di Utilità Sociale

In analogia con quanto illustrato nella parte del presente documento relativa alla mediazione penale, si evidenzia che le Attività di Utilità Sociale possono essere attivate in qualsiasi momento del procedimento penale minorile.

Nulla vieta, se vi è il consenso al riguardo dell’interessato - e, se minore, degli esercenti la potestà - rispetto a proposte della comunità locale (attraverso i suoi rappresentanti ed i suoi servizi) su cui il reato ha inciso, lo svolgimento spontaneo di AUS anche prima della formale instaurazione o della concreta attivazione del procedimento penale, in concomitanza con la denuncia o subito dopo di essa.

Tali attivazioni spontanee potrebbero essere valorizzate in ambito giudiziario con l’applicazione di istituti quali il proscioglimento per irrilevanza del fatto o, in sede processuale, quello per concessione del perdono giudiziale.

Il progetto di Attività di Utilità Sociale

E’ possibile individuare le seguenti fasi di realizzazione del progetto di Attività di Utilità Sociale: la proposta, l’elaborazione e l’attuazione del progetto, la verifica.

* La proposta

Si configurano due possibilità: la prima prevede che siano gli operatori sociali, nell’ambito del mandato relativo allo svolgimento dell’indagine sociale ai sensi dell’art.9 DPR 448/88 che, nel corso della loro attività di osservazione e valutazione del caso, propongono e concordano col ragazzo un percorso di riparazione attraverso l’impegno in un’attività di utilità sociale; la seconda ipotesi prevede che sia il PM stesso o il giudice, nel corso dell’udienza, a proporre o a disporre che il minore imputato o condannato si attivi in un percorso riparativo; viene quindi dato incarico ai servizi referenti del caso di predisporre il progetto.

* L’elaborazione e l’attuazione del progetto

Ottenuta la disponibilità si procede all’individuazione dell’ambito più idoneo per l’attuazione del progetto (tenendo conto delle caratteristiche individuali, delle attitudini, del tipo di reato, della qualità delle risorse a disposizione), si definiscono tempi e modalità dell’impegno e si individua un referente all’interno della risorsa presso cui il giovane svolgerà l’AUS, con funzioni di raccordo con gli operatori che monitoreranno l’andamento del percorso attraverso periodici incontri di verifica.

* La verifica

A conclusione del progetto viene redatta una relazione contenente una valutazione condivisa del percorso riparativo che l’operatore referente presenterà all’AG, in quella fase, procedente.

La verifica viene effettuata utilizzando criteri relativi alla costanza e alla continuità nell’impegno, al grado di coinvolgimento nell’attività alla qualità delle relazioni instaurate ed al livello di interiorizzazione ed elaborazione del significato riparativo dell’esperienza.

Modalità di collaborazione tra Servizi Sociali Territoriali, Ufficio Servizio Sociale Minorenni e Centro Mediazione

* I Servizi sociali territoriali e l’Ufficio di Servizio Sociale per i minorenni (USSM), nel rispetto della segnalazione giunta dall’Autorità Giudiziaria valuteranno, anche congiuntamente, l’opportunità di proporre al ragazzo e alla sua famiglia l’intervento del Centro Mediazione e/o la partecipazione ad un progetto di AUS.

* Gli operatori sociali, senza indagare sulla dinamica del fatto-reato, raccoglieranno elementi sul vissuto del minore, sul suo coinvolgimento nell’evento delittuoso, sulle motivazioni ad aderire alla proposta riparativa.

* L’invio al Centro Mediazione avverrà attraverso una segnalazione scritta, riportante i dati anagrafici del minore, il numero di fascicolo della Procura Minorenni e il capo di imputazione, rilevabile dalla richiesta di indagine sociale. Eventuali approfondimenti avverranno successivamente tra l’operatore segnalante e il mediatore. Sarà compito del mediatore reperire i dati relativi alla parte lesa, attingendo tali informazioni dal fascicolo aperto presso la Procura Minorenni.

* Qualora si ritenga necessario organizzare l’attività di mediazione nel territorio ove dimorano le persone interessate, i mediatori si avvarranno della collaborazione degli operatori dei servizi territoriali per il reperimento di idonei locali in cui effettuare i colloqui e gli incontri.

* Concluso il percorso di mediazione il Centro restituirà all’operatore inviante una nota sintetica contenente indicazioni sull’esito dell’intervento. In caso di esito positivo, qualora le parti verbalizzino l’intenzione di ritirare la querela o giungano ad un diverso accordo che prevede una riparazione di tipo materiale, questo diventa parte del contenuto della relazione finale; ogni altra informazione che i mediatori ritengano utile comunicare all’inviante verrà concordata con le parti.

* Qualora gli operatori dei servizi concordino nell’attivare un’AUS nella fase delle indagini preliminari, ne daranno comunicazione al PM e, successivamente, riferiranno sull’esito del progetto.

* Nel caso in cui gli operatori dei servizi ritengano opportuno proporre il progetto riparativo all’interno di una messa alla prova, si attiveranno presso la Procura e /o il Tribunale per i minorenni affinché il procedimento penale giunga in tempi rapidi ad una definizione (richiesta di rinvio a giudizio e fissazione udienza preliminare)

* Qualora l’impegno in AUS sia frutto di un accordo tra autore e vittima del reato in seguito ad un percorso di mediazione, gli operatori del Centro Mediazione si attiveranno presso i competenti servizi per concordare le modalità di attuazione del progetto riparativo.

NOTE:

(1) Mazzuccato C., Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni polito -criminali e profili giuridici in Cosi , Foddai (a cura di), Lo spazio della mediazione, Giuffrè, Milano, 2003