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Supplemento Ordinario n. 2 al B.U. n. 05

Deliberazione della Giunta Regionale 31 gennaio 2005, n. 64-14693

Sportello unico per le attività produttive. Adozione dell’integrazione alle indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e D.P.R. 440/2000

A relazione del Presidente Ghigo e dell’Assessore Pichetto Fratin:

premesso che:

- in seguito all’entrata in vigore della normativa sullo sportello unico per le attività produttive (D.P.R. 447/1998 e D.P.R. 440/2000), la Regione, nell’ambito del proprio ruolo di coordinamento e assistenza ai Comuni ed alle strutture da questi istituite, ha elaborato e pubblicato “Linee guida” con finalità d’ausilio interpretativo della normativa de qua;

- la Giunta Regionale ha adottato con propria deliberazione n. 29 - 4134, in data 15.10.2001, pubblicata sul 2° supplemento al n. 43 del B.U.R. del 26.10.2001, le “indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e 440/2000" allo scopo di rendere più agevole, rapida ed efficace l’attività degli sportelli e delle strutture uniche, e di perseguire un adeguato livello di uniformità nell’applicazione delle disposizioni vigenti;

- successivamente alla pubblicazione di tali linee guida, sono entrati in vigore il nuovo Testo Unico dell’edilizia (D.P.R.380/2001) e il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche (D.lgs 259/2003); sono state modificate le norme regionali in tema di commercio ed è proseguito il processo di ridefinizione delle competenze dei vari livelli di enti territoriali in applicazione del principio di sussidiarietà. Al contempo, le esperienze degli sportelli unici hanno evidenziato nuovi aspetti problematici connessi all’esercizio delle proprie competenze.

Valutato che, alla luce delle innovazioni normative de quibus e delle nuove esigenze, si è, dunque, reso necessario elaborare un’integrazione alle indicazioni applicative del 2001, riguardante i seguenti temi: titoli abilitativi edilizi, infrastrutture di telecomunicazioni, attività estrattive e commercio al minuto in sede fissa, nelle medie e grandi strutture di vendita.

Atteso che tali integrazioni, che modificano nelle parti suddette le linee guida del 2001, sono state elaborate secondo quei principi di semplificazione normativa e amministrativa che devono informare l’azione della P.A: principio di non aggravamento del procedimento, principio di specialità, centralità delle esigenze dell’utenza.

Considerato che:

- l’iniziativa si colloca in un quadro organico d’interventi avviati dalla Regione a supporto del più ampio processo di riforma della pubblica amministrazione sul versante dei rapporti con il sistema economico produttivo;

- la stessa si propone di fornire un riferimento interpretativo alle diverse amministrazioni pubbliche coinvolte nel procedimento unico e costituisce, al contempo, uno strumento dell’amministrazione regionale per interventi di razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti di propria competenza coinvolti nel D.P.R. 440.

Tutto ciò premesso, la Giunta Regionale, a voti unanimi espressi nelle forme di legge,

delibera

1) di adottare le integrazioni alle indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e 440/2000 di cui all’allegato facente parte integrante della presente deliberazione.

La presente deliberazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell’art. 65 dello Statuto.

(omissis)

Allegato

SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE (D.P.R. 447/98 e D.P.R. 440/2000)

INTEGRAZIONI ALLE INDICAZIONI
APPLICATIVE REGIONALI

Il testo, adottato dalla Giunta Regionale in data 31 gennaio 2005, è stato redatto dall’avv. Piero Golinelli, consulente esterno, sulla base dell’attività svolta dal Gruppo di lavoro interistituzionale di cui alla D.G.R. 26.3.1999 n. 15 - 26937, coordinato dalla dott.ssa Laura Faina (Settore Attività Giuridico - Legislativa) e dal dott. Luciano Romano (Settore Osservatorio Settore Produttivi Industriali).

Il testo del capitolo 4 è stato preventivamente formulato dall’arch. Patrizia Vernoni (Settore Programmazione ed Interventi dei Settori Commerciali).

INDICE

Premessa

1. Titoli abilitativi edilizi; la d.i.a. edilizia.

2. Infrastrutture di telecomunicazione.

3. Attività estrattive.

4. Commercio al minuto in sede fissa, nelle medie e grandi strutture di vendita.

5. Nota relativa alle varianti al P.R.G. ex art. 5 D.P.R. 447/98.

Premessa.

La Regione Piemonte - nell’esercizio delle sue competenze in materia di procedimento unico per le attività produttive e nell’ambito dell’azione di supporto ai Comuni ed alle strutture da questi istituite, spesso in forma associata, per l’esercizio dei procedimenti anzidetti - ha negli anni scorsi elaborato e pubblicato “indicazioni applicative” delle norme in materia.

Tali “indicazioni” sono state formulate allo scopo di rendere più agevole, rapida ed efficace l’attività degli sportelli e delle strutture uniche, e di uniformare - là dove l’uniformità è utile e senza pregiudizio dell’autonomia locale - l’applicazione delle disposizioni vigenti.

Vi è così stata una prima edizione delle “indicazioni applicative”predette, pubblicata sul B.U.R. n. 24 del 18.6.1999, conseguente al D.P.R. 447 del 1998; a causa del sopravvenire del D.P.R. 440/2000, che ha introdotto modifiche al precedente decreto, è stata elaborata una seconda edizione delle “indicazioni applicative”, edizione che ha sostituito integralmente la prima: essa è stata approvata con deliberazione n. 29-4134, del 15.10.2001, della Giunta Regionale, ed è stata pubblicata sul 2° supplemento al n. 43 del B.U.R., datato 26.10.2001.

Successivamente, sono maturate ulteriori innovazioni normative ed ulteriori esigenze.

Come è noto, è entrato in vigore il nuovo Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001, che ha avuto vigenza a partire dal 30.6.2003); parimenti, è intervenuto il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche (D. lgs. 1.8.2003, n. 259), che ha disciplinato la materia delle infrastrutture di telecomunicazione; sono altresì state modificate le norme regionali in tema di commercio; d’altro canto, è proseguito il processo di ridefinizione delle competenze dei vari livelli di enti territoriali in applicazione del principio di sussidiarietà.

Nel contempo, sono state condotte ulteriori esperienze da parte delle strutture e degli sportelli unici, che hanno evidenziato nuovi problemi e nuovi interrogativi, producendo però anche risposte e consentendo verifiche.

Si è altresì formata una giurisprudenza, ancora instabile e talora contraddittoria su alcuni temi, ma comunque significativa.

La Regione Piemonte ha quindi elaborato e predisposto un’integrazione delle “indicazioni applicative” del 2001, integrazione che reca anche, ovviamente, le modifiche alle linee-guida predette resesi necessarie.

Tale integrazione investe i seguenti temi:

1) titoli abilitativi edilizi, con particolare riguardo alla denuncia di inizio attività;

2) infrastrutture di telecomunicazione;

3) attività estrattive;

4) commercio al minuto in sede fissa, nelle medie e grandi strutture di vendita.

Tali integrazioni sono state elaborate secondo quei principi di semplificazione normativa e amministrativa che devono informare l’azione della P.A.

Accanto al già richiamato principio di non aggravare il procedimento di cui alla l. 241/1990 e s.m.i., che ha caratterizzato l’elaborazione delle precedenti linee guida, ci si è ricondotti al principio di specialità in forza del quale la norma speciale deroga alla norma generale la cui applicazione, nei casi in esame, avrebbe comportato un aggravio del procedimento.

Ciò è stato facilitato dal quadro legislativo oggetto di analisi che ha consentito di assumere come prioritario, nell’ambito del coordinamento delle norme, la centralità dell’esigenza della utenza.

In quest’ottica sarebbe, pertanto, consigliabile alle varie Amministrazioni coinvolte nel procedimento unico, di delineare un iter procedimentale che dia priorità alle pratiche di S.U.

E’ inoltre introdotta (5) una nota relativa alle varianti al P.R.G. ex art. 5 D.P.R. 447/98.

1. Titoli abilitativi edilizi; la d.i.a. edilizia. Rapporti fra il T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) e gli artt. 24 e 25 del d. lgs. 112/1998 e relative norme di attuazione (D.P.R. 447/1998 e 440/2000).

La deliberazione della Giunta Regionale 15.10.2001, n. 29-4134 (2° suppl. al B.U.R. n. 43 del 26.10.2001), recante “indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e 440/2000", ha trattato il tema del titolo abilitativo edilizio destinato a confluire nel procedimento unico disciplinato dai D.P.R. dianzi citati, nel paragrafo 3 del VI capitolo (pagine 39-42 nell’edizione recata dal suppl. B.U.R. su indicato).

La trattazione anzidetta aveva quale presupposto la normativa in materia edilizia vigente all’epoca (anche il T.U. statale sull’edilizia, che già aveva fatto capolino, peraltro nella sua prima stesura e senza entrare “definitivamente” in vigore, non modificava gli aspetti di quella normativa che presentavano rilievo ai fini del procedimento unico da S.U.A.P.).

Il sopraggiungere della legge 21.12.2001, n. 443 (cosiddetta “legge obiettivo”), ha invece introdotto sostanziali modificazioni alla normativa anzidetta e quindi al presupposto stesso delle “indicazioni applicative” regionali in punto.

Le disposizioni recanti le modifiche in questione sono state recepite, come è noto, dal Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 6.6.2001, n. 380) attraverso il D. Lgs. 27.12.2002, n. 301, che ha consolidato in via definitiva le innovazioni di cui alla l. 443/2001.

Infine, il T.U. edilizia è entrato in vigore - per quanto attiene alle norme che qui rilevano - il 30 giugno 2003, ponendo quindi in concreto i problemi a cui si riferiscono le presenti note.

Nulla, o ben poco, sarebbe cambiato - al di là del nomen iuris (permesso di costruire anziché concessione edilizia) - se il T.U. edilizia avesse conservato la sua prima stesura. Dalla legge 443/2001 e dalla ricezione di questa nel T.U. è invece derivata la nota elefantiasi della d.i.a., assurta alla risaputa condizione di titolo abilitativo utilizzabile per una grandissima quantità di interventi stante il disposto dell’art. 22, comma 3, del T.U. edilizia;

parimenti, è derivata l’istituzione dello “sportello unico per l’edilizia”, i cui rapporti con il S.U.A.P. non sono stati definiti in modo articolato dal testo unico anzidetto.

Sono allora sorti, essenzialmente attorno ai due temi dianzi indicati (ma anche con riguardo all’impiego della conferenza di servizi e alla incompatibilità di alcuni termini temporali procedimentali), dubbi e concrete preoccupazioni nella concreta conduzione dell’attività dei S.U.A.P..

Con le presenti note si intende ricercare il più probabile (sotto il profilo della correttezza giuridica) coordinamento fra le disposizioni del T.U. edilizia e quelle in tema di procedimento unico da S.U.A.P.; ciò, anche in funzione del fatto che la Regione si munirà di una propria legge di adeguamento ai principi del testo unico statale per l’edilizia, ai sensi dell’art. 2 del testo unico medesimo e in attuazione delle importanti indicazioni che la Corte Costituzionale ha fornito in materia nella sua più recente attività decisoria.

La considerazione della vigente realtà normativa, che rileva ai fini delle presenti note, consente di osservare quanto segue:

L’art. 1 del D.P.R. 380/2001 - T.U. dell’edilizia - dopo aver chiarito il proprio contenuto, individuato nella disciplina dell’attività edilizia (comma 1), precisa che “restano ferme” tutte le normative di settore aventi incidenza su tale disciplina (comma 2) ed infine - nel comma 3 - stabilisce che “sono fatto salve altresì” le disposizioni di cui agli articoli 24 e 25 del d.lgs. 112/98 “ed alle relative norme di attuazione in materia di realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi” che sono inevitabilmente quelle dei D.P.R. 447/98 e 440/2000; non sono dunque intervenute abrogazioni espresse, neppure parziali, della normativa in tema di S.U.A.P.; ed anzi, è stata esclusa esplicitamente qualsiasi abrogazione tacita, col dichiarare apertis verbis la salvezza della normativa predetta.

Rimane parimenti in vigore l’art. 24 della legge regionale 26.4.2000, n. 44 (modif. l. reg. 15.3.2001, n. 5), che - tra il resto - afferma nel suo secondo comma che “la Regione riconosce lo sportello unico” (per le attività produttive) “quale strumento di promozione del sistema produttivo locale”.

Come è noto, anche a livello giurisprudenziale ha trovato conferma l’affermazione della competenza esclusiva del S.U.AP., per le attività e le materie di cui ai commi 1 ed 1-bis del D.P.R. 447/98 e succ. mod., nei Comuni in cui lo sportello unico per le attività produttive è stato formalmente dichiarato operante, e nei limiti attribuiti a tale operatività (localmente, si vedano T.A.R. Piemonte, sez. 1^, 27.3.2002, n. 745; e soprattutto T.A.R. Piemonte, sez. 1^, 5.10.2002, n. 1572).

Nelle “istruzioni regionali” del 2001, si è trattato il tema del rapporto tra il procedimento unico condotto dal S.U.A.P. e l’endoprocedimento destinato a sfociare nel titolo abilitativo edilizio.

Si è sottolineato, in quella sede, il fatto che la disciplina del procedimento unico anzidetto non aveva abrogato affatto le leggi che disciplinavano le competenze, le regole sostanziali e i procedimenti relativi a quegli assensi di settore che (con eccessiva enfasi) il D.P.R. 440/2000 aveva qualificato come “atti istruttori” rispetto al provvedimento conclusivo del procedimento unico.

In quella stessa sede, si erano applicati anche alle d.i.a. edilizie i criteri alla cui definizione si era pervenuti.

Tutto ciò vale tuttora. Quando l’intervento rientra nelle disposizioni dei commi 1 ed 1-bis dell’art. 1 del D.P.R. 447/98 succ. mod., astrattamente competente non è lo sportello unico per l’edilizia, bensì lo sportello unico per le attività produttive; in altre parole, è a quest’ultimo che deve rivolgersi l’operatore, presentando una domanda unica destinata ad attivare il procedimento unico di cui alla normativa sopra citata.

Solo se lo sportello unico per le attività produttive in concreto non è operante (o non lo è per quel tipo di attività produttiva), dovendosi comunque dare risposta all’istanza dell’operatore, questa sarà data dal solo sportello unico per l’edilizia così come in passato era data dall’ufficio edilizia del Comune. Resta l’inadempienza del Comune nel non aver reso operante il S.U.A.P.; ma ciò non può impedire all’operatore di svolgere le attività conformi alle norme e ai piani. Se nascessero ritardi od ostacoli ingiustificati, potrebbero configurarsi - stante l’odierna legislazione - rischi risarcitori per il Comune.

Se dunque la domanda dell’operatore è proposta al S.U.A.P. ed il procedimento inteso a fornire all’operatore stesso il provvedimento unico finale è il procedimento unico di cui al D.P.R. 447/98, quello edilizio è un endoprocedimento all’interno del quale si applicheranno le nuove regole di cui al T.U. dell’edilizia. Tale endoprocedimento perverrà a produrre un permesso di costruire; oppure non sarà un vero e proprio sub-procedimento perché ci si troverà in presenza di una d.i.a., efficace quando sia decorso il termine entro il quale il Comune competente avrà effettuato le verifiche.

Ma , in ogni caso, il S.U.A.P. dovrà disporre infine di un titolo abilitativo edilizio valido ed efficace.

Come già - nel precedente regime - si è segnalato nelle “indicazioni applicative” del 2001 (pag. 42) le regole del T.U. edilizia vanno applicate all’endoprocedimento edilizio; gli altri assensi (paesistico, idrogeologico, ecc.) sono atti conclusivi di altri endoprocedimenti, che confluiscono in quello proprio del S.U.A.P..

L’art. 6, comma 15, del D.P.R. 447/98 e succ. mod. “fa salve” le norme vigenti che “consentono l’inizio dell’attività previa semplice comunicazione ovvero denuncia di inizio attività”.

Come è noto, ciò ha condotto (anche in applicazione del divieto di aggravare il procedimento) ad escludere le d.i.a. dalle competenze del S.U.A.P..

E’ chiaro il fatto che, in presenza delle odierne d.i.a. edilizie, non è più utilizzabile senza modifiche la scriminante anzidetta.

L’applicazione dei disposti del dianzi citato art. 6, co. 15, D.P.R. 447/98 appare ancora dovuta:

1) in tutti i casi in cui l’attività può legittimamente iniziare sulla base di una semplice comunicazione o denuncia (dichiarazione);

2) in tutti i casi in cui all’operatore non occorra altro che la d.i.a. descritta dal comma 1 dell’art. 23 del T.U. edilizia: vale a dire, la denuncia (con il relativo progetto accompagnato dalla relazione tecnica) che asseveri le due conformità, edilizio-urbanistica ed igienico-sanitaria.

In tali casi, non sembra aver giustificazione il ricorso ad una struttura creata per la gestione delle complessità procedimentali, qual’è lo sportello unico per le attività produttive.

Le d.i.a. sopra indicate saranno quindi prodotte, nei termini formali prescritti, all’ufficio competente diverso dal S.U.A.P..

Ciò, salvo una diversa specifica organizzazione comunale formalizzata in un regolamento locale (salvo restando comunque l’obbligo di evitare attribuzioni di competenze e procedure che aggravino il procedimento).

In ogni altro caso contemplato dalla normativa in tema di S.U.A.P., a questo dovrà essere proposta la domanda di cui all’art. 4 del D.P.R. 447/98 (o di quella di cui all’art. 6 dello stesso decreto).

Il titolo abilitativo edilizio si collocherà all’interno del conseguente procedimento unico, con la connotazione e l’iter formativo derivanti dalla nuova disciplina della materia edilizia.

2. Infrastrutture di telecomunicazione.

Come è noto, la disciplina delle infrastrutture e degli impianti di telecomunicazioni è stata oggetto negli ultimi anni di costante considerazione a livello legislativo, peraltro caratterizzata dal susseguirsi di vicende generatrici di problemi.

Occorre ripercorrere rapidamente la successione degli eventi predetti.

Fino all’anno 2002, la realizzazione o la modifica di impianti di t.l.c. era legittimata da un duplice titolo abilitativo: da un lato occorreva infatti l’autorizzazione “sanitaria”, dall’altro si rendeva necessario l’assenso edilizio comunale. Quest’ultimo, secondo la giurisprudenza (ricorda la sentenza n. 77/2004 del T.A.R. Piemonte, depositata il 28 gennaio 2004) era identificato nella concessione edilizia (tra le altre decisioni, Consiglio di Stato, sez. 6^, ord. 6283, 20.11.2001).

In presenza di tale regime, i Comuni attribuivano un ampio significato al disposto dell’art. 8, comma 6, della legge 22.2.2001, n. 36, il quale - come è noto - conferiva ai Comune stessi la potestà di adottare un “regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

(La norma predetta è tuttora vigente, ma va coordinata con la legislazione sopraggiunta, da cui derivano inevitabili forti restrizioni alla potestà regolamentare predetta).

Va detto che la giurisprudenza - compresa quella piemontese (T.A.R. Piemonte 9.9.2002, n. 1492, fra le altre) - già interpretava restrittivamente la portata della potestà regolamentare di cui dianzi, in pratica riducendo il relativo campo d’azione comunale.

In tale contesto, è entrato in vigore il d. lgs. 4.9.2002, n. 198 (cosiddetto “decreto Gasparri”), che ha abolito la necessità della concessione edilizia, unificato il provvedimento di assenso e dichiarato la compatibilità degli impianti di t.l.c. con qualsiasi destinazione urbanistica.

E’ noto il fatto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 303 del 2003, ha folgorato l’intero d. lgs. 198/2002 per “eccesso di delega”, senza entrare nel merito dei principi e delle regole dallo stesso formulate.

La sentenza della Corte è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 ottobre 2003 ed ha reso inefficace il d. lgs. 198/2002 a far data dal 9 ottobre.

Peraltro, sulla G.U. n. 214 del 15.9.2003 era già stato pubblicato il cosiddetto “codice delle comunicazioni elettroniche” - d. lgs. 1°.8.2003, n. 259 - il cui articolo 221 ne ha determinato l’entrata in vigore alla data del 16 settembre 2003.

Il “codice” predetto costituisce il testo normativo ora vigente, accanto alla legge n. 36 del 2001.

Tale codice ha natura di legge ed è successivo al regolamento recato dai D.P.R. 447/98 e 440/2000.

L’art. 87 del decreto legislativo in questione disciplina compiutamente, ed in modo autonomo rispetto alle altre normative, i procedimenti all’esito dei quali è legittimata l’installazione (o la modifica, od anche la modifica delle caratteristiche di emissione) di infrastrutture per impianti radioelettrici.

Come è noto, le disposizioni predette in primo luogo configurano un procedimento autorizzatorio, del quale l’art. 87 in questione definisce ogni aspetto, giungendo perfino a determinare il modello della relativa istanza per soddisfare le esigenze di informatizzare il settore e di costituire un catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche di origine industriale.

Il procedimento medesimo ha la connotazione propria del procedimento unico, ma presenta uno svolgimento definito autonomamente, senza alcun utilizzo della normativa in tema di sportello unico per le attività produttive. Gli strumenti proprii della semplificazione e dell’economicità amministrativa (unicità della procedura e quindi dell’organo amministrativo che la gestisce; fissazione di termini per l’acquisizione degli atti “di settore”; limitazioni alla potestà di richiedere integrazioni e documenti; impiego della conferenza di servizi) sono adoperati anche nel procedimento di che trattasi, ma il loro uso è definito e disciplinato in modo autonomo, con modalità diverse da quelle proprie del procedimento di cui ai D.P.R. 447/98 e 440/2000.

La conclusione del procedimento medesimo - ove questo conduca a risoluzione positiva - è data da un’autorizzazione.

Quest’ultima non è un titolo abilitativo edilizio né un assenso igienico-sanitario e ambientale, bensì un provvedimento autorizzatorio unico e specifico che consente la realizzazione o la modifica oggetto dell’istanza.

Contrariamente a quanto avviene nel procedimento unico di cui ai D.P.R. 447/98 e 440/2000, non si formano ad opera di amministrazioni di settore veri e proprii provvedimenti conclusivi di endoprocedimenti, destinati a determinare il provvedimento unico conclusivo; si hanno semplici “pronunce” positive o negative (quest’ultima necessariamente motivate) a cui fa seguito, alternativamente e con efficacia assolutamente pari, il rilascio dell’autorizzazione o il silenzio dell’"ente locale" per novanta giorni (comma 9 dell’art. 87).

Nel caso in cui la potenza di ogni singola antenna sia uguale o inferiore ai 20 Watt, “è sufficiente la denuncia di inizio di attività”; anche per questa il “codice” predispone una modulistica. La d.i.a. in questione è anch’essa “unica” ed onnicomprensiva; non le viene però riconosciuta immediata efficacia legittimante: il comma 9 dell’art. 87 del d. lgs. 259/2003 configura anche per tale atto un “accoglimento” da parte dell’Ente locale competente per territorio, accoglimento che si configura in seguito al decorso di novanta giorni dalla presentazione della d.i.a. e del progetto senza che sia stato comunicato un provvedimento di diniego.

(Il T.A.R. per il Piemonte - sent. n. 665/2004, depositata il 21.4.2004 - ha sottolineato l’assoluta perentorietà del termine anzidetto, che determina l’illegittimità dei dinieghi comunicati una volta decorso il termine medesimo, ed ha segnalato che quest’ultimo non decorre dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, bensì dal deposito della d.i.a., o della domanda, e del progetto).

Anche la d.i.a. di che trattasi ha dunque una sua specifica connotazione, che la distingue rispetto alle denunce di inizio di attività appartenenti ad altri settori dell’attività amministrativa.

Appare dunque evidente il fatto che la normativa in tema di procedimento diretto a legittimare l’installazione o la modifica di infrastrutture per impianti radioelettrici (o la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi) ha il carattere proprio di una “lex specialis” prevalente sulle disposizioni più generali.

Tale circostanza viene evidenziata non tanto per ricordare la necessità - che appare invero scontata - di seguire nella materia le procedure di cui all’art. 87 del d. lgs. 259/2003, quanto perché incide sulla questione se i procedimenti di che trattasi debbano essere esperiti dallo sportello unico per le attività produttive o dalle ordinarie strutture del Comune competente per territorio.

Va allora osservato, sul punto, che la normativa speciale anzidetta del “codice delle comunicazioni elettroniche” individua nell’"Ente locale“ il titolare della funzione autorizzativa in questione: si vedano i commi 1 e 2 dell’art. 87. Ancorché l’espressione sia particolarmente prudente (probabilmente al fine di lasciare spazio ad eventuali discipline regionali - potenzialmente diverse fra loro - in tema di distribuzione delle funzioni amministrative), non sembra possibile ricondurre ad essa lo sportello unico per le attività produttive. Risulta piuttosto che le disposizioni del d.lgs. 259/2003, emanate in presenza della normativa in tema di SUAP ed anche dell’ormai consolidata attività degli sportelli medesimi, ed in presenza altresì della specifica disposizione di cui all’art. 1, comma 1-bis, del D.P.R. 447/98, come modificato dal D.P.R. 440/2000 (che fa rientrare ”i servizi di telecomunicazione“ fra gli impianti per i quali operano i D.P.R. anzidetti), abbiano inteso derogare - in forza della loro specialità - ai più datati disposti regolamentari dei decreti presidenziali anzidetti, sui quali - tra il resto - sicuramente prevalgono in termini di gerarchia delle fonti del diritto demandando direttamente ai Comuni (enti locali competenti nella realtà piemontese) la funzione di ricevere le istanze e le d.i.a. (comma 2 art. 87), di svolgere il procedimento (commi 4, 5, 6 e 7), e di rilasciare l’autorizzazione (comma 1).

In effetti, le esigenze di semplicità, di certezza dei tempi e di economicità della procedura sono in tal modo correttamente perseguite.

Ciò, tanto più in quanto la Regione Piemonte ha definito con l’"organismo“ di cui al comma 1 dell’art. 87 del ”codice" (vale a dire con l’ARPA) la modulistica idonea a consentire i controlli dovuti nei tempi (trenta giorni) di cui al comma 4 dell’art. 87.

Non contrasta con i rilievi dianzi formulati il fatto che la pubblicizzazione dell’istanza sia affidata dal comma 4 dell’art. 87 allo “sportello locale competente”; è anzi significativo il fatto che tale disposizione non abbia citato lo sportello unico per le attività produttive.

Anche in questo caso, la prudenza manifestata dalla norma sembra per altro verso intesa a salvaguardare l’autonomia organizzativa locale.

Tale autonomia non viene certo in questa sede contestata: ove la regolamentazione locale ritenga di attribuire espressamente al SUAP la competenza a svolgere i procedimenti di cui all’art. 87 del d.lgs. 259/2003, non si muovono rilievi a tale scelta; ci si limita a ricordare - in tal caso - l’opportunità di adeguate esplicazioni e di compiute motivazioni, nel rigoroso rispetto dello Statuto dell’ente.

Diversamente, si reputa che i procedimenti di cui all’art. 87 del d.lgs. 259/2003 non siano di competenza dello sportello unico per le attività produttive e rientrino nei compiti dei Comuni territorialmente competenti.

La natura di lex specialis che le norme del d. lgs. 259/2003 presentano è stato sottolineata dal T.A.R. per il Piemonte nella sentenza 23.6.2004, n. 1176, sezione 1^, anche rispetto alla normativa generale espressa dal T.U. edilizia; tale natura risulta invero incontestabile: ne deriva necessariamente un “pieno carattere derogatorio” (sentenza citata) nei confronti delle altre normative.

3. Attività estrattive.

Il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione di cave e torbiere è stato disciplinato, come è noto, all’interno della normativa di cui alla legge regionale 22.11.1978, n. 69 (“coltivazione di cave e torbiere”, B.U.R. n. 49 del 28.11.1978). Il procedimento medesimo era caratterizzato dal concorso dell’attività del Comune competente territorialmente, con quella dell’ufficio regionale e della Commissione tecnico-consultiva regionale; il parere di questa Commissione concludeva l’istruttoria svolta dall’ufficio della Regione e, in sostanza, vincolava la decisione comunale da assumere sulla domanda di autorizzazione. E’ nota altresì la rigidezza dell’interpretazione giurisprudenziale in ordine alla mancanza di discrezionalità del Comune rispetto all’istruttoria regionale e al parere della Commissione.

Il procedimento aveva dunque una sua connotazione del tutto particolare, autonoma nei confronti dei percorsi procedimentali generali, caratterizzata da un’articolazione di interventi provenienti da soggetti diversi della P.A.., articolazione che - stante il tempo in cui è nata la legge (anni settanta) - non conosceva lo strumento della conferenza; i momenti nei quali si articolava il procedimento erano i seguenti: domanda dell’operatore al Comune; istruttoria dell’ufficio regionale; parere della Commissione (anch’essa regionale); autorizzazione rilasciata dal Comune.

L’indipendenza del procedimento di cui alla l. reg. 69/1978 rispetto alle procedure amministrative più frequenti e tipiche, è evidente.

La legge regionale 26.4.2000, n. 44, che dedica alle “miniere, risorse geotermiche, cave e torbiere” il Capo VI del Titolo II, da un lato ha sostituito la Provincia alla Regione (nella generalità dei casi) per quanto concerne l’istruttoria dei procedimenti autorizzativi (art. 31, co. 1); dall’altro lato ha introdotto l’impiego della conferenza di servizi istituita presso le Province per i casi ordinari (art. 32), e presso la Regione nell’ipotesi di cui all’art. 33.

Ne deriva un procedimento affidato in sostanza alla conferenza anzidetta, procedimento che vede il Comune (peraltro partecipe dell’attività della conferenza stessa) chiamato solo a ricevere l’istanza e ad emettere il provvedimento finale su di essa, sulla base delle conclusioni alle quali la conferenza è pervenuta (articoli di legge dianzi citati).

Se il provvedimento medesimo autorizza la coltivazione, esso determina - ove occorra - la necessaria variante al Piano Regolatore Generale, assumendo pertanto anche un contenuto a rilevanza urbanistica.

Anche in questa materia si è dunque in presenza, da un lato, di una disciplina del procedimento costituente lex specialis, inevitabilmente prevalente sulle generali disposizioni degli artt. 24 e 25 del d. lgs. 112/98 e delle sue norme attuative recate dal D.P.R. 447/98 come modificato dal D.P.R. 440/2000, dall’altro lato, anche in questo caso ci si trova di fronte ad un procedimento caratterizzato da piena rispondenza ai requisiti di economicità, efficacia e trasparenza pretesi dalla legge 241/1990: in altri termini, ci si trova di fronte ad un procedimento che non ha bisogno di utilizzare le disposizioni in tema di sportello unico per le attività produttive, per porre concretamente in essere quei requisiti.

Il procedimento disciplinato dal D.P.R. 447/98 e dal D.P.R. 440/200 non è, del resto, compatibile con le disposizioni della legislazione regionale dianzi considerata che regolano la procedura in tema di autorizzazione alla coltivazione di cave. I tentativi operati per simulare un procedimento che fosse il frutto della coordinata applicazione di entrambe le normative hanno prodotto ipotesi procedimentali che palesemente violerebbero il divieto di aggravio del procedimento imposto dalla dianzi citata legge 241/90.

Va considerata ancora un’ulteriore circostanza: la coltivazione delle cave, nella misura in cui richiede l’autorizzazione della pubblica amministrazione competente, quasi sempre richiede altresì la valutazione di impatto ambientale o la procedura di verifica preventiva, ai sensi della legge regionale 40/1998.

Il procedimento mirato all’autorizzazione viene quindi avviato attraverso all’applicazione della legge predetta. Anche a causa di tale fatto, molto ricorrente, non appare costituibile un percorso procedimentale che coordini le varie discipline normative (sulla V.I.A., sulle autorizzazioni di cava, sullo sportello unico per le attività produttive) senza aggravare il procedimento.

Le considerazioni dianzi enunciate conducono dunque a rilevare:

1) che l’applicazione simultanea delle varie discipline applicabili al procedimento di autorizzazione di cava, anziché semplificarlo, aggrava il procedimento;

2) che occorre pertanto scegliere un percorso procedimentale escludendone altri;

3) che, a causa della specialità della legislazione in materia, va riconosciuta prevalenza e capacità derogatoria alla normativa sul procedimento autorizzatorio di cui alle leggi reg. 69/1978 e 44/2000, integrata dalle disposizioni della legge reg. 40/1998 in tema di V.I.A..

Non a caso, del resto, la Regione Piemonte già ha emanato - successivamente al D.P.R. 447/98 - varie disposizioni applicative della normativa sul procedimento di autorizzazione di cava che implicitamente escludono il ricorso alle procedure dello sportello unico per le attività produttive; si veda il comunicato della Direzione Industria pubblicato sul B.U.R. n. 16 del 18.4.2001 (pagg. 163-164) e la deliberazione della Giunta Regionale 18.10.2004, n. 24-13678, pubblicata sul B.U.R. n. 47 del 25.11.2004; si vedano anche le delib. G.R. 25.2.2002, n. 40-5384 (B.U.R. n. 12 del 21.3.2002), 7.4.2003, n. 91-8997 (B.U.R. n. 16 del 17.4.2003) e 3.5.2004, n. 16-12428 (B.U.R. n. 22 del 3.6.2004), in tema di recupero ambientale conseguente all’attività di cava.

Quanto dianzi si è considerato conduce a ritenere che non sussista l’obbligo di far transitare attraverso allo sportello unico per le attività produttive i procedimenti indirizzati al rilascio delle autorizzazioni alla coltivazione delle cave.

Resta, ovviamente, salva l’autonomia organizzativa e regolamentare degli Enti Locali, nell’esercizio della quale non risulta preclusa - in linea di principio e a patto di assicurare l’esclusione di aggravi del procedimento - la possibilità di attribuire espressamente al SUAP le competenze comunali nell’ambito del procedimento di che trattasi. Ci si limita a ricordare, anche in questo caso, l’opportunità di adeguate e compiute motivazioni e del rigoroso rispetto dello Statuto dell’ente.

Fondamentale, non solo a fini di trasparenza ma anche di legittimità degli atti, è del resto l’assunzione, da parte del Comune, di un chiaro provvedimento che individui in modo univoco i procedimenti per i quali è istituito ed è operante lo sportello unico per le attività produttive; la giurisprudenza attribuisce invero alla dichiarata operatività (o meno) del SUAP valore di decisiva scriminante: se esiste la dichiarazione predetta, che istituisce, riconosce e qualifica come operante il SUAP per certi procedimenti, è forte il rischio dell’annullamento giudiziale, ovviamente in caso di impugnazione, degli atti compiuti - nei procedimenti predetti - da altri organi comunali quando gli atti stessi erano di competenza dello “sportello”.

4. Commercio al minuto in sede fissa nelle medie e grandi strutture di vendita.

Gli attuali procedimenti per l’attivazione di medie e grandi strutture di vendita, di cui agli artt. 8 e 9 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59", presentano, rispetto all’istituto dello sportello unico per le imprese, attivo in molte realtà comunali, alcune peculiarità:

* sotto il profilo delle modalità di svolgimento dei procedimenti;

* sotto il profilo delle modalità di rilascio degli atti conclusivi.

Sicuramente in entrambi i casi i procedimenti condotti attraverso lo strumento dello sportello unico appaiono funzionali rispetto alle esigenze di razionalizzazione di tempi e modalità. Non sempre, peraltro, la complessità delle tematiche o l’esigenza di salvaguardare particolari prescrizioni di ordine giuridico normativo, ne consentono una piena ed incondizionata applicazione.

Modalità di svolgimento dei procedimenti.

Nel caso delle medie strutture di vendita il procedimento è totalmente radicato presso il Comune sede dell’insediamento commerciale.

L’iter procedimentale è definito a livello comunale, sulla base dei principi fissati dal d.lgs. 114/1998 e delle indicazioni contenute nelle normative regionali sul commercio ed in particolare, nella legge regionale 12 novembre 1999 n. 28 e nella D.G.R. n. 43-29533 del 1 marzo 2000 “D.lgs. 114/1998-art. 9. L.R. 12 novembre 1999 n. 28, art. 3. Disposizioni in materia di procedimento concernente le autorizzazioni per le grandi strutture di vendita. Indicazioni ai Comuni per i procedimenti di competenza. Modulistica regionale. Approvazione.” (da ultimo modificata dalla D.G.R. 100-13283 del 3 agosto 2004).

Le domande di autorizzazione commerciale devono ritenersi accolte qualora non sia comunicato il provvedimento di diniego entro il termine di 90 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza.

L’istituto dello sportello unico, insieme con altri strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa, quale ad esempio, la conferenza dei servizi, appare sicuramente utile al fine di semplificare le fasi del procedimento, nel quale sono spesso coinvolte differenti strutture amministrative comunali e garantire la contestualità nell’adozione degli atti amministrativi conclusivi del procedimento, auspicata dal d.lgs. 114/1998.

Caso delle grandi strutture di vendita Si tratta nello specifico di procedimenti di natura complessa, definiti dalla normativa regionale sul commercio, in attuazione del d.lgs. 114/1998, che vedono coinvolti, per la complessità della materia ed il vasto ambito territoriale interessato, una serie di soggetti a partecipazione obbligatoria, Comune, Provincia, Regione.

L’istituto dello sportello unico é sicuramente funzionale per la fase di procedimento radicata presso il Comune, al quale, essendo comunale la competenza al rilascio dell’autorizzazione commerciale, viene presentata la domanda.

Quindi non si pone in contrasto con le specificità del d.lgs. 114/1998 l’attribuzione della responsabilità del procedimento al Comune, che rilascerà il provvedimento finale.

Tuttavia la fase procedimentale radicata presso il Comune non esaurisce certamente l’intero iter procedimentale che vede, accanto alla fase istruttoria a livello comunale, altre fasi del procedimento in sede regionale e provinciale.

Esigenze di razionalizzazione procedimentale conducono pertanto a non ritenere lo strumento dello sportello unico idoneo ad assorbire lo svolgimento dell’intero procedimento. A garanzia di coordinamento delle modalità di intervento degli attori e di rispetto dei tempi di legge, la legge regionale 28/1999 prevede, in attuazione del d.lgs. 114/1998, una fase peculiare del procedimento radicata presso la Regione, articolata secondo alcune scansioni, sintetizzabili nel modo seguente.

Procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione amministrativa commerciale per l’apertura dell’esercizio.

Per grandi strutture di vendita si intendono gli esercizi commerciali al dettaglio in sede fissa con una superficie di vendita maggiore di mq. 1500 per i Comuni con meno di 10000 abitanti e maggiori di mq. 2500 per i comune con più di 10000 abitanti.

Il procedimento è definito, in attuazione del d.lgs. 114/1998, dalla L.R. n. 28/1999 e dalla D.G.R. n. 43-29533 del 1 marzo 2000 e s.m.i..

In particolare il decreto 114/1998 stabilisce che per l’esame delle istanze per grandi strutture di vendita sia prevista una Conferenza dei Servizi composta da Comune, Provincia, Regione. La Regione ha diritto di veto, per cui il rilascio delle autorizzazioni amministrative è subordinato al parere favorevole della Regione.

Con la legge 28/99 la Regione ha previsto, in particolare, tenuto conto delle esigenze di coordinamento sopra evidenziate, che siano a carico della Direzione regionale competente la fase dell’istruttoria procedimentale complessa nonché l’indizione della Conferenza dei Servizi, spettando al responsabile del settore commerciale la responsabilità della relativa fase procedimentale e la Presidenza della Conferenza dei Servizi.

A sua volta, la deliberazione della Giunta regionale 43-29533/2000 definisce i procedimenti attraverso una puntuale attuazione dei principi ed istituti della legge 241.

In particolare la deliberazione approva le procedure per il rilascio delle grandi strutture di vendita definendo: la modalità di presentazione delle domande di autorizzazione per grandi strutture di vendita, la documentazione necessaria per l’avvio del procedimento, le procedure istruttorie preliminari alla convocazione della conferenza dei servizi, i tempi, i termini e lo svolgimento della conferenza dei servizi finalizzata al rilascio dell’autorizzazione, le modalità di partecipazione alla conferenza nonché l’esercizio del diritto di accesso agli atti. Sono inoltre stabiliti i rispettivi ruoli di Regione, Provincia e Comune.

I termini del procedimento sono perentori (180 gg. dalla presentazione della domanda, secondo il dettame del d.lgs 114/98, con il formarsi dell’assenso dopo tale termine) e si articolano nelle fasi seguenti:

* fase istruttoria: della durata massima di 60 giorni con l’obbligo entro tale termine di convocazione della Conferenza dei Servizi. Tale fase si avvia al momento in cui gli uffici regionali hanno verificato che alla domanda di autorizzazione sia allegata tutta la documentazione prevista dalla DGR/2000. Gli uffici regionali comunicano alla Società richiedente l’avvio del procedimento amministrativo, il nominativo del responsabile del procedimento, i tempi di conclusione del procedimento, così come definito dalla legge 241/90; contemporaneamente all’avvio del procedimento si trasmette al Comune e alla Provincia copia della documentazione allegata all’istanza per la predisposizione delle verifiche di competenza. Al Comune spetta la verifica circa la compatibilità dell’intervento agli strumenti urbanistici vigenti, al piano di adeguamento approvato ai sensi della LR 28/99 e della deliberazione del Consiglio Regionale del 99 e la verifica degli standard a parcheggio previsti dalla legge urbanistica e dagli strumenti urbanistici comunali. Alla Provincia spetta la verifica dell’insediamento rispetto ai Piani territoriali e rispetto alla viabilità. A Comune e Provincia è consentito di interrompere i termini del procedimento per carenza di documentazione senza che ciò, peraltro, possa andare a pregiudicare il rispetto del termine perentorio di conclusione del procedimento (180 gg.). Alla Regione compete la verifica di compatibilità rispetto alla programmazione regionale. Sono richiesti, ai fini al rilascio dell’autorizzazione amministrativa: la destinazione d’uso dell’area che deve essere “commerciale”, l’appartenenza dell’insediamento ad un addensamento e/o localizzazione, la compatibilità territoriale, il fabbisogno dei parcheggi pubblici e privati in relazione sia alla programmazione regionale sia alla legge urbanistica la 56/77. Gli elementi prescrittivi sono soprattutto legati alla risoluzione delle esternalità negative prodotte dalla grande struttura sul territorio, soprattutto per quanto attiene il discorso della viabilità, con una delibazione anche di natura ambientale, con particolare riferimento alle componenti dell’inquinamento acustico ed atmosferico causate dall’incremento di traffico indotto dall’insediamento commerciale.

* fase decisoria della durata di 90 giorni dalla data di Convocazione della Conferenza dei Servizi. Entro i 90 giorni la Conferenza si riunisce quante volte sia ritenuto necessario dalle Amministrazioni a partecipazione obbligatoria, per la disamina dell’istanza, approfondendo tutte le tematiche che ciascuno dei relativi tecnici ritengano utili ai fini della decisione finale. Per ogni seduta di Conferenza dei Servizi viene predisposto apposito verbale, che fa parte integrante del procedimento. Assunte le decisioni di competenza delle singole amministrazioni a partecipazione obbligatoria, entro il 90° giorno dalla data di convocazione, la conferenza stessa adotta a maggioranza la propria deliberazione relativa all’autorizzazione commerciale, ove verranno inserite tutte le prescrizioni ritenute utili e imprescindibili per la realizzazione della grande struttura (fra le prescrizioni figurano l’obbligo di acquisire l’apposita autorizzazione urbanistica regionale nei casi previsti dalla L.R. n. 56/1977 s.m.i. e, sempre nei casi di legge, l’espletamento delle procedure ai sensi della L.R. n. 40/1998).

* fase autorizzatoria: di competenza del Comune sede dell’intervento. Entro i 30 giorni successivi al termine ultimo per le decisioni della conferenza dei Servizi e comunque non oltre i 120 giorni dalla data di convocazione della Conferenza, il Comune deve rilasciare e notificare il provvedimento finale ovvero l’autorizzazione commerciale, da adottarsi in recepimento delle risultanze della conferenza dei servizi. Decorso il termine senza che sia intervenuto il provvedimento finale espresso, l’istanza si intende accolta.

Oltre all’autorizzazione commerciale, l’attivazione dell’esercizio è soggetta al rilascio del permesso a costruire.

Preliminarmente al suo rilascio, e quindi all’attivazione dell’esercizio, si inseriscono altre due fasi procedimentali di natura eventuale:

* l’autorizzazione urbanistica regionale ai sensi della legge 5 dicembre 1977 n. 56 “Tutela ed uso del suolo”, art. 26;

* la fase relativa alle disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione per i centri commerciali classici o sequenziali con superficie di vendita superiore a 2500 mq. e superficie utile lorda di pavimento superiore a 4000 mq., ai sensi della legge regionale 14 dicembre 1998 n. 40 “Disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione”.

Autorizzazione urbanistica regionale

Si tratta di un procedimento autorizzativo ex L.R. n. 56/1977 -art. 26 c. 7 e seguenti- ai fini del rilascio dell’autorizzazione regionale preventiva al rilascio del permesso a costruire per insediamenti commerciali al dettaglio con superficie lorda di pavimento uguale o superiore a mq. 4.000, a prescindere dalla dimensione della superficie di vendita dell’esercizio commerciale (esercizio di vicinato, media struttura, grande struttura) .

Fasi procedimentali

* Avvio del procedimento istanza di autorizzazione da parte del soggetto avente titolo a richiedere la concessione edilizia, oggi permesso a costruire.

* Avvio fase istruttoria dal momento del ricevimento di tutti gli atti previsti e comunque non prima del ricevimento del parere della commissione tecnico edilizia. Qualora l’intervento sia disciplinato da uno strumento urbanistico esecutivo già autonomamente previsto dallo strumento urbanistico generale del commercio o debba essere obbligatoriamente subordinato al rispetto del c. 8 dello stesso articolo, l’istruttoria è avviata solo al ricevimento della certificazione comprovante l’adozione o l’accoglimento del Pec da parte del Comune. In pendenza di tali atti, l’istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione è sospesa fino al suo ricevimento. Il termine massimo per la conclusione de procedimento è di 120 giorni, così come previsto dalla D.C.R. n. 703-15162 del 12-10-1993, decorrenti dal ricevimento della documentazione completa.

* Avvio fase deliberativa il provvedimento finale potrà essere rilasciato solo dopo il ricevimento della certificazione comprovante l’approvazione del Pec nei casi previsti. Il rilascio dell’autorizzazione è subordinato all’esito favorevole della conferenza dei servizi ex L.R. 28/1999 per le grandi strutture di vendita o al rilascio dell’autorizzazione da parte del comune per le medie strutture di vendita o alla comunicazione per gli esercizi di vicinato.

Per le grandi strutture il provvedimento finale conterrà tutte le prescrizioni e gli elementi di cui alla deliberazione della conferenza dei servizi ex L.R. 28/1999 e le prescrizioni di cui alla determinazione dirigenziale di esclusione della fase di valutazione di cui all’art. 12 della L.R. n. 40/1998.

Per le medie strutture il provvedimento finale conterrà tutti gli elementi dell’autorizzazione commerciale rilasciata dal Comune (superficie di vendita, standard e fabbisogno dei parcheggi e di altre aree di sosta e per gli esercizi superiori a mq. 1800 -medie strutture nei comuni con popolazione superiore a 10000 abitanti- le opere viabilistiche necessarie a mitigare gli effetti indotti sul sistema del traffico).

Per gli esercizi di vicinato la sola superficie di vendita.

Occorre ricordare la necessità dell’autorizzazione urbanistica regionale, nei casi individuati dalla legge: il permesso di costruire rilasciato in assenza dell’autorizzazione predetta, quando questa è dovuta, configura una violazione di legge; non si dimentichi altresì che tale violazione determina l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione commerciale ai sensi della l.r. 28/1999

Fase relativa alle disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione per i centri commerciali classici o sequenziali con superficie di vendita superiore a 2500 mq. e superficie utile lorda di pavimento superiore a 4000 mq.

Si tratta di una fase procedimentale prevista dalla legge regionale n. 40/98, volta a verificare la compatibilità ambientale degli insediamenti in progetto. In questa fase si decide se un progetto non obbligatoriamente soggetto a V.I.A. , debba essere sottoposto alla fase di valutazione. Può concludersi con l’esclusione dalla valutazione senza condizioni, con condizioni o con il rimando del progetto alla fase di valutazione.

Fasi procedimentali

* istanza del proponente, corredata dal progetto, da presentarsi all’ufficio Deposito progetti regionale, che provvede a trasmetterne copia alla Direzione regionale al commercio, amministrazione procedente;

* notizia dell’avvenuto deposito mediante pubblicazione sul B.U.R;

* messa a disposizione del pubblico degli elaborati, per 30 giorni dalla data di pubblicazione sul B.U.R., per consentire la presentazione di osservazioni da parte di chi vi abbia interesse;

* decisione da parte dell’amministrazione procedente, sentiti i soggetti interessati e valutate le osservazioni pervenute, sulla base degli elaborati di verifica di cui alla L.R. 40, entro 60 giorni dalla pubblicazione, sulla necessità di sottoporre il progetto alla fase di valutazione. Trascorso il termine suddetto, in assenza di pronuncia dell’autorità competente, il progetto è da ritenersi escluso dalla fase di valutazione. Ove occorra vengono fissate, al fine dell’esclusione, condizioni vincolanti per i successivi provvedimenti;

* indizione, da parte dell’amministrazione procedente, per le decisioni di competenza, di una conferenza di servizi alla quale partecipano tutte le direzioni regionali interessate, con il nucleo centrale e con l’ARPA;

* predisposizione del provvedimento finale a chiusura della fase di verifica, con esclusione dalla VIA senza prescrizioni, o con prescrizioni vincolanti o rimando alla fase di VIA.

Modalità di rilascio degli atti conclusivi

Quanto alle modalità ed alle tempistiche di rilascio dei provvedimenti conclusivi di cui sopra (ed in particolare, dell’autorizzazione commerciale e del permesso a costruire), riferiti sia alle medie che alle grandi strutture di vendita, occorre premettere alle valutazioni circa la possibilità giuridica e l’opportunità di fondere in un unico atto dello sportello unico i provvedimenti autorizzativi commerciale ed edilizio, qualche considerazione sul concetto di contestualità, che compare quale principio informatore in una pluralità di disposizioni normative, sia in riferimento allo svolgimento dei procedimenti, che in specifico riferimento alla natura dell’atto conclusivo del procedimento.

Presupposti normativi della contestualità

D.LGS. 114/1998 art. 6 c. 2 lett. d). “Le regioni fissano i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, affinché gli strumenti urbanistici comunali individuino la correlazione dei procedimenti di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerenti l’immobile o il complesso di immobili e dell’autorizzazione all’apertura di una media o grande struttura di vendita, eventualmente prevedendone la contestualità”.

L.R. 28/1999 art. 7 c. 14 (che ha modificato l’art. 26 della L.R. 56/1977) “Il rilascio delle concessioni ed autorizzazioni edilizie relative all’insediamento delle attività commerciali al dettaglio con superficie di vendita fino a mq. 1500 nei Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti e a mq. 2500 negli altri Comuni è contestuale al rilascio dell’autorizzazione commerciale ai sensi del d.lgs. 114/1998, purché la superficie lorda di pavimento non sia superiore a mq. 4.000. negli altri casi il rilascio delle concessioni ed autorizzazioni edilizie è subordinato alle norme e prescrizioni di cui ai commi seguenti ”.

c. 15 “Nel caso di insediamenti di attività commerciali al dettaglio con superficie lorda di pavimento compresa tra mq. 4000 e mq. 8000, il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia è subordinato alla stipula di una convenzione o atto di impegno unilaterale, ai sensi dell’art. 49, quinto comma, ed a preventiva autorizzazione regionale. Tale autorizzazione è rilasciata in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all’art. 3 della legge regionale sulla disciplina del commercio in Piemonte in attuazione del d.lgs. 114/1998".

c. 16 “Nel caso di insediamenti di attività commerciali al dettaglio con superficie lorda di pavimento superiore a mq. 8000, il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia è subordinato a preventiva approvazione di uno strumento urbanistico esecutivo ed a preventiva autorizzazione regionale. Tale autorizzazione è rilasciata in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all’art. 3 della legge regionale sulla disciplina del commercio in Piemonte in attuazione del d.lgs. 114/1998".

D.C.R. 563-13414/1999 art. 28 “Art. 28. Contestualità delle autorizzazioni commerciali e delle concessioni edilizie

1. Le concessioni e le autorizzazioni edilizie relative alle medie strutture di vendita sono rilasciate, nel rispetto di quanto è previsto dalla legge regionale n. 56/1977, e successive modifiche ed integrazioni, secondo il principio della contestualità con le autorizzazioni commerciali.

2. I procedimenti di rilascio dell’autorizzazione amministrativa per grandi strutture di vendita e di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerente all’immobile devono essere il più possibile correlati al fine della loro contestuale definizione.

3. Le condizioni per il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia sono dettate dall’articolo 26 della l.r. 56/1977, come modificato dalla legge regionale sul commercio. L’autorizzazione prevista da tale articolo può essere richiesta contestualmente all’autorizzazione amministrativa, ma non può essere rilasciata prima della deliberazione della conferenza dei servizi prevista dall’articolo 9 del d.lgs. n. 114/1998 o del rilascio dell’autorizzazione ai sensi dell’articolo 8 dello stesso decreto.

4. Le concessioni o autorizzazioni edilizie per le medie e grandi strutture di vendita sono rilasciate, dopo l’avvenuta approvazione dell’adeguamento degli strumenti urbanistici, o per effetto delle norme sostitutive di cui all’articolo 30, nel rispetto delle presenti norme e dell’articolo 26 della legge regionale n. 56/1977, come modificato dalla legge regionale sul commercio.........Omissis"

Dalle norme evidenziate emerge, in particolare, stanti l’art. 7, c. 14 ss. della l.r. 28/1999 (che ha modificato l’art. 26 della l.r. 56/1977) e l’art 28 c. 1 della D.C.R. 563-13414/1999, che la contestualità fra il permesso a costruire e l’autorizzazione commerciale è prevista solo per gli esercizi rientranti nei limiti delle medie strutture di vendita, purché la superficie lorda di pavimento non superi i mq. 4000. Negli altri casi il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie è subordinato alle prescrizioni dei commi 7, 8, 9, 10 e 11 dello stesso articolo, ovvero all’acquisizione preventiva al permesso a costruire di apposita autorizzazione urbanistica regionale.

Pertanto la eventuale contestualità dei procedimenti può essere riferita agli esercizi di vicinato e alle medie strutture di vendita sempre che l’immobile non abbia superficie lorda di pavimento superiore a mq. 4.000.

Non potrà invece sussistere contestualità di procedimenti e provvedimenti per le grandi strutture e per tutti gli insediamenti che superino i 4.000 mq. di SLP, per i quali la stessa l.r. 56/1977 al c. 6 dell’art. 26 prevede la differibilità del permesso a costruire, che è subordinato alle norme e prescrizioni dei commi 7 ss. (autorizzazione urbanistica preventiva) con integrazione della convenzione o con atto d’obbligo contenente la superficie di vendita ripartita per tipologia di struttura distributiva (art. 26 c. 9).

Da ciò emerge tra l’altro, quale inevitabile conseguenza, una differenziazione temporale fra i vari procedimenti di natura commerciale ed urbanistico edilizio, a cui non deve trascurarsi di aggiungere i procedimenti in tema ambientale previsti dalla l.r. 40/1998 (sopra descritti).

Ciò obbliga conseguentemente a considerare, tra l’altro, tenuto conto della natura complessa del procedimento relativo alle grandi strutture di vendita, caratterizzato dal concorrere di varie fasi procedimentali (commerciale, urbanistica ed ambientale), che la definizione di tempi e modalità di conclusione del procedimento in sede di sportello unico, non può certamente prescindere, per garantire un opportuno coordinamento fra le varie fasi del procedimento complesso, da un’adeguata considerazione:

* dei tempi previsti dal d.lgs 114/1998, recepiti peraltro nella D.G.R. 43-29533/2000 (recentemente modificata dalla D.G.R n. 100-13283/2004) per il procedimento di natura commerciale (180 giorni dalla presentazione della domanda);

* dei tempi previsti per l’autorizzazione urbanistica regionale prevista dalla l.r. 56/1977 -art 26 c. 7 e ss.- (fase procedimentale eventuale da attivare preventivamente al rilascio del permesso a costruire per gli insediamenti commerciali al dettaglio con superficie lorda di pavimento uguale o superiore a mq. 4.000). Il termine previsto dalla normativa per la conclusione del procedimento è di 120 giorni dal ricevimento della documentazione completa;

* dei tempi previsti per le procedure di verifica di compatibilità ambientale (fase procedimentale eventuale da attivare nel caso di centri commerciali classici o sequenziali con superficie di vendita superiore a 2500 mq. e superficie lorda di pavimento superiore a 4000 mq.) Il termine per la conclusione del procedimento è di sessanta giorni dalla data di pubblicazione sul B.UR. degli elaborati tecnici progettuali. Il termine si allunga a centocinquanta a decorrere dall’avvenuto deposito dell’istanza e della documentazione progettuale presso l’Autorità regionale competente, se la verifica preliminare si conclude con il rimando alla fase di V.I.A.

Il provvedimento edilizio (permesso a costruire) è l’ultimo anello della catena procedimentale, rilasciabile soltanto dopo che si siano espletate anche le fasi procedimentali eventuali, da attivare successivamente alla conclusione della fase procedimentale commerciale (Cfr., a tale fine, in particolare, l’art. 27 della D.C.R. n. 563-13414/1999, così come modificato dalla D.C.R. 347-425142003).

Contestualita’ di procedimento e di provvedimento non e’ pertanto, necessariamente, unicita’.

Tornando al punto relativo alla natura del provvedimento conclusivo del procedimento per l’attivazione di una media o grande struttura commerciale o meglio, alla possibilità di concentrare in un unico atto dello sportello unico l’autorizzazione di commercio ed il permesso a costruire, si ritiene che l’atto conclusivo non si possa configurare come atto unico, comprensivo di autorizzazione commerciale e di permesso a costruire.

Ciò, anzitutto, tenuto conto delle sfasature temporali dovute allo svolgimento delle varie fasi procedimentali.

Inoltre al rilascio di un provvedimento unico ostano ragioni di tutela dei diritti soggettivi del soggetto richiedente.

A tale proposito occorre infatti considerare che l’attività commerciale avviata a seguito di autorizzazione commerciale all’apertura è trasferibile ed ampliabile e non è legata all’immobile nel quale si trova ad operare. Si vedano, a tale fine, gli artt. 8 e 9 del d.lgs. 114/1998, che ammettono, accanto alla fattispecie del rilascio di autorizzazione per l’apertura, anche il caso del rilascio di autorizzazione per trasferimento. Con ciò è quindi ammesso che un’autorizzazione originariamente localizzata in un immobile possa successivamente localizzarsi altrove.

Si pensi, a titolo di esempio, all’ulteriore caso per cui uno stesso soggetto, titolare sia di autorizzazione commerciale che di permesso a costruire (in quanto anche proprietario immobiliare) decida, ad un certo punto, di riservarsi la parte di azienda di natura commerciale alienando invece, la porzione immobiliare.

Discende da ciò l’impossibilità di concentrare in uno stesso atto dello sportello unico le due componenti dell’autorizzazione commerciale e del provvedimento edilizio, pena il pregiudizio del diritto del soggetto titolare dell’autorizzazione commerciale.

L’emissione di un provvedimento unico avrebbe, tra l’altro, come ulteriore conseguenza, complicazioni nel caso di eventuale contenzioso, in ordine all’individuazione del soggetto avente legittimazione in sede giudiziale.

La logica del 114/1998 è di evitare che chi ha ottenuto una concessione edilizia abbia, solo per questo, diritto ad ottenere l’autorizzazione commerciale, senza rispettare gli indirizzi di programmazione previsti dagli articoli 8 e 9.

Lo sviluppo della rete commerciale deve avvenire secondo linee programmatiche preventivamente stabilite e non in modo convulso a seguito di singoli permessi a costruire.

A fronteggiare l’eccezione secondo la quale in questo modo si creerebbero i cosiddetti “gusci vuoti” soccorrono le prescrizioni sulla contestualità sopra riportate.

Il concetto di con testualità, laddove questa sia possibile, non può quindi essere, nel caso in esame, inteso nel senso di unicità di provvedimento ma, più propriamente, in modo tale per cui il termine “contestuale” significa che un dato immobile, assentito urbanisticamente, non è un vuoto contenitore, ma è riferito appositamente ad una particolare iniziativa commerciale, compatibile rispetto alla programmazione della rete.

Lo sportello unico potrebbe quindi sicuramente essere la sede più idonea per una preistruttoria, nella quale concertare fra operatori immobiliari ed operatori del commercio, i termini per la realizzazione dell’iniziativa.

Nondimeno, per le ragioni evidenziate, l’istituto dello sportello unico non può trovare applicazione al fine dell’unificazione, in un unico provvedimento conclusivo, dei provvedimenti commerciale ed edilizio.

5. NOTA RELATIVA ALLE VARIANTI AL P.R.G.C. EX ART. 5 D.P.R. 447/1998

Si riporta in massima, per il particolare interesse che essa presenta, la decisione 7.8.2003, n. 4568/03 del Consiglio di Stato, sez. 6^, in tema di varianti al piano regolatore generale formate ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 447/98.

“1. La variante allo strumento urbanistico, ipotizzata dall’art. 5 D.P.R. n. 447/1998 per la realizzazione di impianti produttivi, ammesso che possa essere praticabile per la realizzazione di un complesso alberghiero, non è un atto dovuto, ma discrezionale, sicchè la conferenza di servizi ben può concludersi in senso negativo della variante. Né l’esame di progetti di opere pubbliche o di interesse pubblico in sede di conferenza di servizi comporta senz’altro l’obbligo di indicare le condizioni a cui il progetto può essere approvato, in quanto l’indicazione di tali condizioni ha luogo da parte delle Amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi solo se non emergano elementi comunque preclusivi alla realizzazione del progetto (art. 14-bis, L. n. 241/1990).

2. La concessione edilizia in deroga è consentita dall’art. 41-quater, L. 17 agosto 1942, n. 1150, per gli edifici e impianti pubblici e di interesse pubblico, purchè la deroga non riguardi le destinazioni di zona.

3. Ai fini del rispetto dell’art. 14-ter, L. n. 241/1990, ciò che rileva è che la manifestazione finale di volontà di ciascun Ente partecipante alla conferenza di servizi sia imputabile ad un unico rappresentante, risultato che non è inficiato dalla presenza di più di un rappresentante per taluni Enti, giustificabile per ragioni istruttorie.

4. L’art. 14-quater, L. n. 241/1990, nel prevedere (co. 2°) che la conferenza di servizi deliberi a maggioranza e (co. 3°) che occorra la delibera del Consiglio dei ministri se il dissenso è espresso in conferenza di servizi da un’Amministrazione statale preposta alla tutela del paesaggio, ambiente, territorio, patrimonio storico-artistico, salute, va interpretato nel senso che detta delibera del Consiglio dei ministri occorre solo nell’ipotesi in cui in conferenza di servizi l’Amministrazione statale preposta alla cura di detti interessi ambientali-paesistici sia rimasta in minoranza. Qualora invece l’Amministrazione statale non sia l’unica dissenziente, perché la maggioranza dei partecipanti alla conferenza di servizi si esprime in senso negativo, il procedimento si conclude con la determinazione negativa della conferenza di servizi, e non occorre l’intervento del Consiglio dei ministri."