Torna al Sommario Indice Sistematico

Bollettino Ufficiale n. 04 del 27 / 01 / 2005

Codice 11.4
D.D. 18 gennaio 2005, n. 11

Approvazione linee guida per l’applicazione della legge 13 ottobre 2003, n. 26 “Istituzione dei distretti rurali e agroalimentari di qualità”

La legge regionale 13 ottobre 2003, n. 26, prevede all’articolo 11 (Istruzioni per l’applicazione della legge) che la Giunta regionale emani istruzioni per l’applicazione della legge, sentita la Commissione consiliare competente.

In data 4 ottobre 2004 con atto deliberativo n. 33-13542, la Giunta regionale ha approvato le istruzioni di applicazione della legge, demandando alla Direzione Programmazione e Valorizzazione dell’agricoltura - Settore Politiche comunitarie, di stipulare con l’Istituto di ricerche economiche e sociali del Piemonte (IRES) apposita convenzione per una collaborazione nella redazione di note metodologiche applicative per le Province.

La convenzione è stata stipulata sulla base dello schema approvato con determinazione dirigenziale n. 273 del 22/10/2004.

Visti i documenti redatti con l’ausilio dell’IRES, che rispettivamente individuano i criteri generali per la definizione territoriale dei distretti e le metodologie di redazione dei piani distrettuali;

atteso che esistono sul territorio quattro realtà organizzative distrettuali che stanno attivandosi per la costituzione in distretti agroalimentari;

richiamata la determinazione dirigenziale n. 349 del 29/11/2004, con la quale si destinano euro 715.000,00 (euro 178.750, 00 cadauna) alle realtà organizzative distrettuali di cui al punto precedente e precisamente:

- Distretto della frutta (Province di Torino e di Cuneo);

- Distretto del riso, (Province di Vercelli, Novara, Biella, Alessandria);

- Distretto orticolo (Provincia di Alessandria);

- Distretto floricolo (Province di Novara, Verbano-Cusio Ossola, Biella);

Tutto ciò premesso,

Il Direttore

Visti gli articoli 4 e 17 del decreto legislativo n. 165/01;

Visti gli articoli 3 e 23 della L.R. n. 51/97;

Vista la legge regionale n. 7/01;

determina

sulla base delle considerazioni espresse in premessa:

- di approvare le linee guida per l’individuazione e la definizione dei piani di distretto rurali ed agroalimentari di qualità che si allegano al presente atto per farne parte integrale e sostanziale.

La presente determinazione sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell’art. 65 dello Statuto e dell’art. 16 del DPGR n. 8/R/2002.

Il Direttore regionale
Vito Viviano

Allegato A

Regione Piemonte - Assessorato Ambiente, Agricoltura e Qualità - Direzione n. 11 - Programmazione e Valorizzazione dell’Agricoltura

Legge Regionale n. 26 / 2003 - Linee guida per l’individuazione dei Distretti Agroalimentari di Qualità e considerazioni relative ai Distretti Rurali

In collaborazione con IRES Piemonte

Premessa

Con il termine di distretto si definisce un sistema locale caratterizzato essenzialmente da:

* spiccata specializzazione produttiva, derivante dalla particolare concentrazione in loco dei diversi anelli di una determinata filiera, costituita essenzialmente da piccole e medie imprese;

* particolare fittezza e qualità delle relazioni che intercorrono tra le imprese e tra queste ed il contesto locale (istituzioni, patrimonio ambientale e culturale, società). L’insieme di queste relazioni contribuisce in maniera significativa a sostenere la competitività del distretto.

Nella programmazione locale, l’approccio distrettuale è stato introdotto a partire dal 1991, quando con la Legge. 5 ottobre 1991, n. 317 furono istituiti i distretti industriali di PMI. Parallelamente, la comunità scientifica ha iniziato a studiare, attraverso l’approccio distrettuale, anche il contesto agroalimentare e rurale, proponendo diverse tipologie di sistema locale.

Il D.Lgs. n. 228 del 2001, la cosiddetta “legge di orientamento”, individua due tipologie di sistema locale specifiche del contesto agricolo agroalimentare e rurale: i Distretti Agroalimentari di Qualità ed i Distretti rurali, demandando alle Regioni la delimitazione territoriale.

E’ opportuno considerare che la definizione sopra riportata si attaglia al distretto agroalimentare mentre un distretto rurale, pur essendo anch’esso caratterizzato dalla fittezza delle relazioni, non dovrebbe presentare, proprio in quanto “rurale”, una singola spiccata specializzazione ma, semmai, un sistema produttivo caratterizzato dalla coesistenza ed integrazione di diverse produzioni e funzioni.

Con la L.R. n. 26 del 2003, la Regione Piemonte recepisce le indicazioni fornite, a livello nazionale, dal D.Lgs. n. 228.

In base alla L.R. 26, l’individuazione dei distretti, sul territorio regionale, è deputata alle Province. La L.R. 26, quindi, non solo recepisce la norma nazionale ma la racchiude ed indirizza in un contesto caratterizzato dal decentramento amministrativo e dalla concertazione locale dello sviluppo, attraverso il metodo “dal basso” (bottom-up).

La legge prevede tuttavia che la Regione, in collaborazione con l’IRES Piemonte, predisponga indicazioni metodologiche (linee guida) da fornire alle Province, al fine di rendere omogeneo il processo di individuazione.

In questo documento, vengono proposte le linee guida per l’individuazione dei Distretti Agroalimentare di Qualità, con esplicito riferimento all’art. 2 ( Definizioni) e art. 4 (Requisiti) della legge.

Si propongono inoltre alcune considerazioni relative ai Distretti Rurali, senza entrare nel merito della possibile procedura di individuazione, per le motivazioni che verranno riportate appresso.

1. Linee guida per l’individuazione dei Distretti Agroalimentari di Qualità (DAQ)

1.1. Considerazioni relative alle possibili aree in cui individuare i DAQ

La L.R. 26, a differenza di altri provvedimenti legislativi che sono intervenuti sulla programmazione locale, non prevede l’individuazione da parte della Regione Piemonte di un’area elegibile, demandando totalmente alle Province l’opera di delimitazione dei distretti.

Le linee-guida, pertanto, non possono che avere un valore indicativo. Tuttavia, proprio in ragione della precisa volontà del legislatore di sottolineare l’importanza dei processi “dal basso” nella programmazione locale, si ritiene utile proporre alcune considerazioni che, se recepite dalle Province, potrebbero rendere più omogenea e funzionale l’individuazione dei distretti.

Riprendendo ed interpretando la definizione riportata all’art. 2 della L.R. 26, il Distretto Agroalimentare di Qualità (di seguito abbreviato in DAQ) si presenta come un sistema locale a spiccata specializzazione agricola / agroindustriale, caratterizzato dalla presenza rilevante di una specifica filiera territoriale, della quale dovrebbe “contenere” in larga misura le diverse fasi di produzione primaria, trasformazione e primi anelli della fase distributiva, oltre alla probabile presenza di un indotto. Il DAQ è quindi un territorio relativamente omogeneo sotto il profilo socioeconomico ed ambientale e, per potersi differenziare rispetto all’esterno sulla base delle sue caratteristiche peculiari, deve costituire un “continuo” territoriale non frammentato.

Per identificare una determinata area come DAQ, la L.R. 26 prevede il soddisfacimento di una serie di requisiti. Tra questi, il primo passo è rappresentato dall’individuazione di un’area caratterizzata da una o più produzioni agroalimentari omogenee e significative; tale passaggio, come illustrato di seguito, si può affrontare utilizzando indicatori di specializzazione e di rilevanza (concentrazione).

Restando, per ora, al solo aspetto della specializzazione e concentrazione produttiva, sulla base dell’esperienza e dei numerosi riscontri forniti da ricerche svolte dall’IRES e da altri soggetti, territori con caratteristiche rispondenti ai requisiti della L.R. 26, in Piemonte, si possono individuare essenzialmente:

* nelle aree agricole di pianura, e soprattutto nella fascia costituita dall’asse Torino-Cuneo, nell’area risicola ed in quella dell’Alessandrino;

* nella fascia collinare ad alta specializzazione vitivinicola delle province di Cuneo, Asti ed Alessandria.

Pur non indicando esplicitamente aree elegibili, quindi, si consiglia in prima battuta di orientare prioritariamente l’individuazione dei DAQ in tali zone.

Si prende inoltre atto del fatto che è già stata riconosciuta dalla Giunta Regionale la delimitazione del Distretto Floricolo del Lago Maggiore.

Entrando più nel dettaglio, si possono agevolmente individuare nella regione alcuni casi di particolare rilevanza locale:

* la già citata area risicola, a cavallo delle province di Vercelli, Novara, Alessandria e Biella, nella quale si concentra in modo quasi esclusivo la coltivazione di tale cereale e la presenza di industrie di lavorazione del risone;

* l’area frutticola del Saluzzese, per alcuni versi estensibile alla limitrofa area del Cavourese, caratterizzata dalla presenza di oltre metà degli ettari coltivati a frutta da consumo fresco in Piemonte, e da una rilevante concentrazione delle attività di condizionamento, lavorazione e commercializzazione di tale prodotto;

* l’area della pianura alessandrina, caratterizzata dalle coltivazioni cerealicole e, in un bacino più ristretto territorialmente, dalle produzioni orticole e pataticole, oltre che dalla fase industriale connessa.

In questi casi emerge la netta specializzazione agricola in una singola filiera, elemento utile ai fini della rispondenza allo spirito della L.R. 26 in termini di selettività dell’azione di delimitazione territoriale, a sua volta premessa essenziale per un’efficace politica distrettuale.

Anche l’area a maggiore specializzazione vitivinicola del Piemonte, individuabile in una fascia territoriale che comprende Roero, Langhe e la porzione meridionale del Monferrato, mostra la prevalenza di una singola filiera, ed oltretutto già ad una prima osservazione sembra contenere tutti gli elementi necessari al rispetto dei requisiti previsti dalla L.R. 26. Tuttavia tale area è attualmente già compresa nel più ampio Distretto dei Vini individuato ai sensi della L.R. n. 20 del 1999, caratterizzato da una natura istituzionale non direttamente compatibile con quella prevista dalla successiva L.R. 26 del 2003. Si ritiene pertanto consigliabile, in tal caso, non procedere ad attività di delimitazione di nuove aree distrettuali, senza prima chiarire da parte delle autorità regionali quale debba essere il rapporto tra i due provvedimenti.

Per quanto concerne l’area di pianura compresa tra Torino e Cuneo, è ben nota la sua rilevanza assoluta nei confronti del sistema agroalimentare regionale e la sua specializzazione nelle produzioni cerealicole e zootecniche.

In tale bacino si riscontra, infatti, una particolare concentrazione dei seminativi, delle foraggiere, degli allevamenti bovini da carne e da latte , di quelli suini ed avicoli, oltre ad altre produzioni quali, ad esempio, le orticole e le erbe aromatiche. Tale area, inoltre, ingloba la più ristretta zona frutticola del Saluzzese. Alle produzioni primarie si accompagna una fitta presenza di attività di trasformazione alimentare (macellazione e lavorazione delle carni, molitura e lavorazione dei cereali, industria mangimistica, lattiero-caseario....). Ad esse si affianca una significativa presenza di strutture di servizio di istituzioni connesse alle produzioni agroalimentari.

Si tratta pertanto di un’area molto complessa, caratterizzata dalla presenza di più filiere territoriali intrecciate tra loro ma, al tempo stesso, suddivise in sub-filiere parzialmente indipendenti. Tale complessità e rilevanza è inoltre direttamente proporzionale alle risorse necessarie per sostenere interventi di valenza strategica. Per questo insieme di ragioni, si ritiene che gli strumenti (e le risorse) offerti dalla L.R. 26 non siano adeguati ad affrontare efficacemente - soprattutto in una fase di attuazione sperimentale della normativa regionale, come da più parti ritenuto necessario - le problematiche presenti in tale territorio.

1.2. La procedura di individuazione dei DAQ ai sensi dell’ art. 4 della L.R. 26

Partendo dalle indicazioni suggerite nel paragrafo precedente, e facendo riferimento all’articolo 4 della L.R. n. 26, si propone una serie di indicazioni relative al contenuto dei singoli punti.

La delimitazione dell’area distrettuale può essere ottenuta con metodi diversi e di varia complessità tecnica, che saranno liberamente scelti dagli esperti che cureranno le proposte di individuazione dei Distretti per conto delle Province. Peraltro le tecniche più idonee possono variare a seconda delle caratteristiche dell’area studiata, così come in base al livello di trasparenza e di coinvolgimento attivo delle parti sociali interessate che si intende attuare.

In queste note ci si limita ad indicare attraverso quali elementi sarà possibile mostrare e quantificare la rispondenza dell’area individuata ai requisiti della L.R. 26.

Le fonti dalle quali le Province attingeranno le informazioni necessarie a giustificare la delimitazione, devono essere ufficiali, per ovvie ragioni di trasparenza, reperibilità e controllo (ISTAT, CCIAA, Regione Piemonte, ICE, Mipaf...). In casi particolari, tuttavia, potrebbe essere necessario ricorrere a rilevazioni ad hoc.

Come partizioni territoriali di base da utilizzare nel processo di delimitazione si suggerisce il Comune (per distretti di piccola dimensione) o eventualmente la Regione Agraria Istat (per distretti più ampi e omogenei). Sono sconsigliate altre partizioni, in particolare i Sistemi Locali del Lavoro (SLL) che male si adattano a rispecchiare i caratteri agricoli e rurali del Piemonte.

Art. 4, punto (lettera) a

Questo punto indica, implicitamente, una prima fase di delimitazione dell’area distrettuale, legata alla fase primaria della filiera agroalimentare che lo caratterizza. Ciò implica l’individuazione di un’area caratterizzata da una o più produzioni agroalimentari “merceologicamente omogenee”.

La legge richiede che, relativamente ai prodotti individuati, l’area mostri significatività a livello dell’economia agroalimentare regionale; si tratta di una definizione che può essere esplicitata nei seguenti termini: la produzione del distretto deve essere significativa relativamente al totale regionale del proprio comparto o filiera di riferimento, il quale a sua volta non deve essere scarsamente significativo all’interno del totale agroalimentare regionale.

Il soddisfacimento del requisito di significatività si può agevolmente mostrare utilizzando due semplici indicatori (specializzazione e rilevanza).

L’indicatore di specializzazione testimonia appunto la presenza di una specifica specializzazione agricola nel territorio proposto ed è espresso nella forma dell’indice di specializzazione.

Per le produzioni vegetali esso è calcolato con la seguente formula:

(SAU specifica distretto / SAU specifica Piemonte)
IS= ___________________________________________
(SAU tot. distretto / SAU tot. Piemonte)

Nel caso delle produzioni zootecniche, non potendo ricorrere alla SAU, così come al numero di capi allevati (per problemi di comparabilità con il totale), si può utilizzare il numero di aziende, che risponde sufficientemente bene allo scopo in virtù della relativa omogeneità strutturale delle filiere zootecniche, raggiunta dopo diversi anni di intensi processi di selezione e concentrazione della base produttiva.

La formula da utilizzare per gli allevamenti zootecnici diventa pertanto la seguente:

(aziende con allev. specifici distretto /
aziende con allev. specifici Piemonte)
IS= ____________________________________________
(aziende tot. distretto / aziende tot. Piemonte)

La fonte suggerita per il calcolo dell’IS agricolo o zootecnico è il V° Censimento dell’Agricoltura 2000 (Istat).

Il valore calcolato dell’ IS per l’area distrettuale deve essere maggiore di 1; in caso contrario l’area non mostra una specializzazione superiore alla media regionale e, pertanto, non è congruente con i principi della legge. Un valore di IS sufficientemente selettivo varia da filiera a filiera, a seconda della sua distribuzione territoriale; in alcuni casi la soglia ottimale potrebbe essere anche decisamente superiore ad 1.

L’ indicatore di rilevanza (o concentrazione produttiva) può essere espresso come il rapporto percentuale della SAU distrettuale dedicata alla coltura in esame, rispetto al totale della stessa coltura in Piemonte.

Nel caso degli allevamenti il rapporto deve esse calcolato rispetto al numero di capi allevati.

Produzioni di qualità. Sempre il punto a) dell’articolo 4, riprendendo il D.lgs. 228, prevede che i prodotti caratterizzanti il distretto siano “tutelati e certificati ai sensi della vigente normativa, tradizionali o tipici”. Un’interpretazione letterale del testo porterebbe essere fortemente esclusiva. Il principio può invece essere inteso in senso anche potenziale, essendo una delle finalità dell’istituzione distrettuale l’innalzamento della qualità dei prodotti e dei processi.

Relativamente a tale aspetto, comunque, si ritiene necessario:

* indicare la presenza sul territorio degli areali di produzione DOC, DOP, IGP, PAT relativi ai prodotti caratterizzanti il distretto, possibilmente quantificandone la consistenza;

* indicare la presenza sul territorio di prodotti caratterizzati da altri elementi distintivi quali, ad esempio, marchi di qualità, certificazione di rintracciabilità di filiera UNI 10939 e rintracciabilità di filiera controllata, certificazione BRC e EUREPGAP (settore ortofrutticolo);

* descrivere, per i prodotti caratterizzanti il distretto, le principali potenzialità di sviluppo della qualità.

Compattezza territoriale. L’area individuata dalla prima fase di delimitazione, legata alle produzioni agricolo-zootecniche, deve essere il più possibile costituita da un continuum territoriale unico. La presenza di isole, oltre al corpo territoriale principale, deve essere giustificata dall’esistenza di strette interdipendenze produttive e funzionali.

Art. 4, punto b

Nel rispondere ai dettami del punto b) dell’articolo 4, è possibile prevedere una correzione dei limiti del distretto, che tenga anche conto della distribuzione territoriale dell’industria di trasformazione agroalimentare connessa ai prodotti di cui al punto a) e dei principali sistemi di relazione esistenti.

Il “sistema consolidato di relazioni tra imprese agricole ed agroalimentari” può essere evidenziato documentando la presenza, nel territorio distrettuale, di:

* industria alimentare collegata alla specifica produzione agricola del distretto;

* forme di integrazione di filiera.

Nell’evidenziare la presenza dell’industria alimentare nel Distretto, può essere sufficiente indicare il numero di imprese e di addetti relativi alla branca dell’industria alimentare direttamente connessa con la produzione specifica agricola, calcolando anche l’indicatore di rilevanza (incidenza %) rispetto al totale del Piemonte.

Forme di integrazione di filiera

Individuare, elencare e descrivere le forme di integrazione di filiera presenti sul territorio del distretto. Si fa riferimento sia a forma di integrazione orizzontale (ad esempio iniziative di concentrazione della produzione agricola) sia verticale (ad esempio accordi e contratti tra imprese delle diverse fasi filiera). La cooperazione può essere considerata, sotto questo profilo) una forma di integrazione di entrambi i tipi.

Possibilmente quantificare i volumi di prodotto (o il relativo valore) oggetto delle azioni di integrazione, ricorrendo alle informazioni disponibili presso le relative organizzazioni di riferimento. Si suggerisce anche di valutare l’utilizzo di dati di fonte gestionale (ad es. PSR Misura G, Legge regionale 95/95) che potrebbero essere messi a disposizione dalla Regione Piemonte.

Imprese ed istituzioni molto significative per la lavorazione della produzione primaria del distretto ma collocate in territori esterni e non ragionevolmente inseribili al suo interno, dovrebbero essere considerate a tutti gli effetti come appartenenti al distretto, in termini funzionali.

Art. 4 punto c)

Questo punto prevede che nel Distretto “una parte rilevante dell’innovazione tecnologica ed organizzativa delle imprese agricole ed agroalimentari, nonché dell’assistenza tecnica ed economica e della formazione professionale è soddisfatta dall’offerta locale”

Per documentare tali aspetti è necessario individuare la più ampia gamma di elementi. Tra questi, a titolo esemplificativo:

* istituti di ricerca;

* istituti scolastici specializzati;

* centri di formazione;

* imprese che costituiscono un indotto dei mezzi di produzione (macchinari, servizi...) specifico;

* operatori dell’assistenza tecnica (es. CATA);

* agenzie di promozione.....

E’ opportuno, per ciascun elemento individuato, descriverne brevemente l’attività e, nei limiti del possibile, riportare elementi di quantificazione (ad es. numero di corsi, numero di diplomati, numero di imprese....).

Art. 4 punto d)

Il punto d) prevede che nel Distretto esista una “integrazione tra produzione agroalimentare e fenomeni culturali e turistici”.

Tale aspetto può essere documentato, ad esempio, individuando ed elencando elementi quali:

* le manifestazioni locali di tipo promozionale (sagre, fiere, mostre, convegni);

* iniziative e strutture di carattere culturale ispirate ai caratteri del Distretto (musei, ecomusei, manifestazioni artistiche, rievocazioni storiche, particolari emergenze naturali ed architettoniche);

* presenza di aziende agrituristiche e di attività di ristorazione locale legata almeno parzialmente alle produzioni del Distretto;

* circuiti turistico-culturali legati alle produzioni del Distretto;

* pubblicistica (libri, riviste, programmi TV locali, opuscoli, guide.....).

Anche in questo caso, ove possibile, riportare elementi quantitativi.

Art. 4 punto e)

Questo punto fa riferimento all’ “’interesse delle istituzioni locali nei confronti della realtà distrettuale”.

Tale interesse può essere espresso in senso lato (ad esempio patrocinando studi e ricerche, convegni e dibattiti legati alle specificità del distretto in oggetto), oppure in senso specifico, attraverso l’introduzione del tema distrettuale nei documenti di programmazione locale, oppure predisponendo eventi pubblici di proposta, o ancora varando specifici strumenti attuativi (ad es. quelli della programmazione negoziata quali patti territoriali, contratti di programma, accordi di programma).

Elencare le iniziative in oggetto riportando, dove possibile, elementi quantitativi.

Sintesi e proposta finale

La Provincia, in base agli elementi raccolti e documentati nei punti precedenti, propone una delimitazione definitiva del Distretto, accompagnandola a:

* una sintesi degli elementi stessi e delle caratteristiche generali del territorio distrettuale;

* una serie di elaborati cartografici, realizzati su base comunale, che evidenzino i confini distrettuali e quelli delle principali partizioni amministrative locali, la presenza delle attività agricole ed agroalimentari oggetto della specializzazione distrettuale, i principali elementi territoriali di natura fisica ed infrastrutturale.

Si sottolinea inoltre che la DGR n. 33-13542 del 4.10.2004 “Legge regionale 13 ottobre 2003, n. 26, Istituzione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità. Istruzioni di applicazione della legge” prevede, tra i documenti della proposta di delimitazione dei distretti agroalimentari di qualità avanzata dalla Provincia o dalle Province, ci sia anche un “protocollo di intesa sottoscritto dalle rappresentanze economiche, sociali ed istituzionali dell’area, attestante la comune volontà di procedere alla ricerca di una progettualità economica e territoriale, basata su un approccio integrato e suscettibile di generare uno sviluppo sostenibile”.

2. Considerazioni relative ai Distretti Rurali

Territori con le caratteristiche rispondenti alla definizione di Distretto Rurale (di seguito abbreviato in DR) come previsto dalla L.R. n. 26, in Piemonte, si possono trovare in linea di massima nelle aree montane ed in alcune particolari situazioni di collina.

Una recente individuazione dei territori con caratteri rurali è stata effettuata dalla Regione Piemonte in occasione della programmazione dell’Iniziativa Comunitaria Leader Plus, ed era essenzialmente basata sul criterio della bassa densità abitativa, indicatore molto strettamente correlato con i caratteri tipici della ruralità. Per ulteriori dettagli è possibile consultare il Programma Regionale Leader Plus 2000-2006 della Regione Piemonte.

Peraltro, proprio in base all’iniziativa citata, sul territorio rurale piemontese si sono costituiti partenariati territoriali denominati Gruppi di Azione Locale (GAL) che, partendo dalle indicazioni (assi e misure) contenute in un Programma regionale, si sono dotati di un Piani di Sviluppo Locale (PSL) basato sui principi della programmazione integrata, concertata e “dal basso”, essenzialmente incentrato sulla valorizzazione degli elementi dell’economia e del patrimonio di matrice rurale. I PSL sono costruiti partendo dalle indicazioni (assi e misure) predisposte dalla Regione Piemonte in un apposito Programma.

Il loro contenuto è molto vicino ai termini che la legge 26 indica per i piani di distretto rurale.

L’attuale ciclo di programmazione terminerà nel 2006 ed investe la parte preminente delle aree montane e/o rurali del Piemonte. Si ritiene pertanto opportuno attenderne la chiusura prima di attivare i Distretti Rurali, dato che questi ultimi si andrebbero a sovrapporre, in termini territoriali, strategici e realizzativi, ad un’iniziativa ancora in corso. Peraltro, proprio la conclusione del Programma Leader Plus potrà fornire preziosi elementi di esperienza da utilizzare nell’attivazione dei Distretti Rurali.

Le prime indicazione fornite dalla Commissione Europea relativamente alla struttura dei Piani di Sviluppo Rurale 2007-2013, nell’ambito dei quali viene assegnato un ruolo di rilievo alla programmazione integrata ed al metodo Leader, fanno ritenere che il futuro PSR della Regione Piemonte possa essere il “contenitore” ideale per attivare i Distretti Rurali, dotandoli di adeguate risorse.

Allegato B

Regione Piemonte - Assessorato Ambiente, Agricoltura e Qualità - Direzione n. 11 - Programmazione e Valorizzazione dell’Agricoltura

Legge Regionale n. 26 / 2003 - Distretti Agroalimentari di Qualità Linee guida per l’elaborazione dei Piani di Distretto

In collaborazione con IRES Piemonte

Premessa

La deliberazione della Giunta Regionale n. 33-13542 del 4.10.2004 al p. 9 prevede testualmente che “la Provincia oppure le Province interessate nell’elaborazione del Piano di distretto si attengano allo Schema metodologico predisposto dalla Direzione n. 11 Programmazione Valorizzazione dell’Agricoltura dell’Assessorato Ambiente, Agricoltura e Qualità, con la collaborazione dell’IRES”.

Con il presente documento è fornito uno schema metodologico (Linee guida) riferito alla formazione dei Piani di Distretto Agroalimentare di Qualità (DAQ).

E’ opportuno osservare che detto schema, analogamente alle già emanate “Linee guida per l’individuazione dei Distretti Agroalimentari di Qualità”, intende avere solo valore indicativo. Infatti, il rispetto del metodo “dal basso” (bottom-up) che il legislatore ha attribuito alla programmazione distrettuale comporta di conseguenza che lo schema metodologico proposto non sia prescrittivo. Lo schema deve anzi possedere caratteri di flessibilità tali da renderlo adattabile alle diverse problematiche e sensibilità locali che è compito dell’Amministrazione provinciale interessata valutare. D’altronde, le Province presentano esperienza diretta nella redazione di piani di diversa valenza, dispongono di qualificate competenze interne e possono, se necessario, attivare competenze complementari esterne.

Lo schema metodologico sarà suddiviso in due sezioni:

1 la prima sezione evidenzia la procedura formale di costruzione del Piano di Distretto, ovvero le fasi attraverso le quali può essere costruito il Piano relativo ad un DAQ, partendo dal riferimento normativo generale rappresentato dagli articoli 6 e 7 della legge regionale n. 26/03;

2 la seconda sezione prospetta, in riferimento all’articolo 7 della legge n. 26/03, una possibile articolazione del Piano, e specifica aspetti relativi ai suoi contenuti ed alle procedure per giungere ad una loro corretta definizione.

1. Procedura formale di elaborazione del Piano di DAQ

La LR 26, come l’esperienza maturata nell’ambito dello sviluppo locale, indicano l’opportunità di definire un percorso, tecnico ed istituzionale, attraverso il quale giungere alla definizione del Piano di DAQ.

L’esempio, di seguito offerto, fa riferimento al comma 2 dell’art. 6 (Piano di distretto: elaborazione) ed all’art. 7. (Piano di distretto: contenuti e procedura di approvazione) della legge.

Esso fa essenzialmente perno sulla necessità di dare al Piano un’impostazione “dal basso”, coniugando i passaggi tecnici con opportuni momenti di confronto esterno e di verifica dei contenuti, man mano che questi ultimi si vanno a definire.

Costituzione del Tavolo di partecipazione e del Gruppo tecnico

Il comma 2 dell’art. 6 recita: “La Provincia oppure le Province interessate assicurano la partecipazione delle istituzioni locali e delle rappresentanze economiche e sociali del territorio distrettuale mediante forme permanenti di dialogo istituzionale e di concertazione”.

La norma rinvia nel concreto alla costituzione di un Tavolo di partecipazione (partenariato) delle varie istituzioni locali e delle rappresentanze economiche e sociali del territorio distrettuale, Tavolo che è compito della Provincia realizzare nelle forme ritenute da essa più consone.

Secondo l’Unione Europea il partenariato è “una struttura di partecipazione tra soggetti pubblici e privati che in accordo comune collaborano nell’attuazione di una strategia coerente”. Le motivazioni che inducono alla costruzione di un partenariato derivano dalla considerazione che per la risoluzione di problemi complessi, quali sono quelli legati allo sviluppo di un territorio o di un distretto agroalimentare, debbono integrarsi competenze, esperienze e risorse differenti che si ritrovano in istituzioni e soggetti diversi.

A parità di altre condizioni, il rafforzamento dell’identità e della competitività del distretto dipenderà, oltre che dai percorsi di sviluppo individuati in sede di piano, dalla capacità degli agenti distrettuali (imprese, enti pubblici e società locale) di ristrutturare i modelli di comportamento in modo concertato, con ciò contribuendo alla riorganizzazione del distretto.

Pervenire alla realizzazione di Tavoli dialoganti e cooperativi costituisce non tanto una pre-condizione per il successo di un’operazione di sviluppo locale, bensì uno degli obiettivi del processo stesso di pianificazione. Infatti, perché detti Tavoli abbiano successo, occorre che gli agenti coinvolti facciano esperienza di atmosfera informativa e di reciprocità, il che può aversi solo quando persone diverse si incontrano materialmente e mettono in relazione valori, intenti e preferenze, nella ricerca di un bene comune nel quale abbia a trovare risposta il bene dei singoli.

L’esperienza Leader e degli strumenti della programmazione negoziata (nello specifico, dei Patti Territoriali) dovrebbe fornire importanti spunti su come promuovere e organizzare una partecipazione responsabile, collaborativa e “decidente” delle forze sociali e delle istituzioni locali.

Si ritiene inoltre necessario che la Provincia istituisca un Gruppo tecnico provinciale, organismo ristretto che si occuperà operativamente della stesura del Piano e delle attività di analisi propedeutiche. Il Gruppo tecnico dovrà avere natura intersettoriale e multidisciplinare, in modo da assicurare la presenza di tutte le conoscenze essenziali per la redazione del Piano. Il Gruppo tecnico si rapporterà direttamente al Tavolo di partecipazione, al quale presenterà i risultati delle diverse fasi di lavoro, e dal quale riceverà orientamenti e pareri.

La procedura

La procedura di formazione del Piano di DAQ può essere suddivisa in tre fasi principali:

- fase propedeutica, che comprende le attività di studio e quelle di sensibilizzazione delle rappresentanze locali;

- fase progettuale propriamente detta, nella quale avviene la definizione dei contenuti del Piano;

- fase istituzionale, che comprende tutti i passaggi successivi alla progettazione, necessari a trasformare il Piano da documento di intenti a strumento operativo.

Nel complesso la procedura è articolata nei seguenti passaggi, che si dovrebbe avere cura di seguire nell’ordine indicato:

1. Analisi della situazione esistente e valutazione delle prospettive …. (ex art. 7 comma 2 lettera a) e della consistenza ed efficacia delle forme di integrazione tra imprese… (ex art. 7 comma 2 lettera b).

2. Sensibilizzazione delle rappresentanze delle istituzioni locali, economiche e sociali del territorio distrettuale alla logica dello sviluppo locale e ai progetti di innovazione (articoli diversi della LR 26 e DGR attuativa).

3. Definizione provvisoria della strategia e dell’architettura generale del Piano (Assi), individuazione provvisoria dei Progetti di innovazione.

4. Elaborazione del testo preliminare del Piano di Distretto.

5. Confronto e dibattito in sede di Tavolo di partecipazione, con relativo formale pronunciamento.

6. Elaborazione definitiva del Piano di Distretto secondo i contenuti dell’art. 7 comma 2 della legge (indicazione di politiche agricole e rurali) e secondo le indicazioni contenute nelle presenti Linee-Guida.

7. Adozione da parte della Provincia o delle Province del Piano di distretto e trasmissione alla Regione Piemonte (ex art. 7 comma 1 e comma 3).

8. Approvazione, da parte della Giunta Regionale, dei contenuti del Piano, verifica della coerenza con le normative esistenti, prima indicazione delle risorse regionali (ex art. 7 comma 3).

9. Accordo di programma" tra Regione, Province e gli altri attori istituzionali coinvolti nella realizzazione del Piano per individuazione definitiva e finanziamento dei Progetti di innovazione (ex art. 8 comma 1 e comma 2).

10. Inserimento dei Progetti di innovazione nei Programmi Operativi Provinciali (ex art. 8 comma 2).

Nell’esempio di procedura di formazione del Piano DAQ di seguito esposto (Schema 1):

- gli Attori istituzionali e sociali sono indicati in grassetto normale;

- le Attività di pianificazione sono indicate in corsivo;

- i Risultati dell’attività di pianificazione sono indicati in grassetto corsivo.

Schema 1

2. La struttura ed i contenuti del Piano di DAQ

L’articolazione del Piano di DAQ discende normativamente da quanto disposto dall’articolo 7 comma 2 della legge n. 26/03; di fatto il Piano di DAQ traduce gli esiti finali del lavoro metodologico di formazione del Piano.

Essenzialmente il Piano, partendo dagli elementi emersi dall’analisi del contesto, individua alcune politiche rilevanti, dalle quali discendono interventi operativi definiti Progetti di Innovazione.

La legge indica i contenuti minimi del Piano. La terminologia utilizzata dalla legge, tuttavia, richiede alcune puntualizzazioni. Si consiglia inoltre di strutturare il Piano ricorrendo ad una formula più articolata rispetto a quella minima, al fine di rendere più evidenti i rapporti logici e funzionali tra strategia generale e azioni operative (i Progetti di innovazione). Si entrerà inoltre nel merito dei passaggi cruciali dell’elaborazione, quelli che legano l’analisi della situazione esistente alla formulazione della strategia e Progetti.

La struttura del Piano: articolazione gerarchica

L’articolo 7 comma 2 della legge n. 26/03 individua i contenuti minimi dello stesso:

a) un’analisi sintetica della situazione esistente e delle prospettive della produzione, trasformazione, commercializzazione, distribuzione e consumo del prodotto o dei prodotti del distretto, nonché delle problematiche ambientali e territoriali;

b) una descrizione della situazione esistente ed una valutazione delle prospettive delle diverse forme di interrelazione ed interdipendenza tra imprese della produzione e della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli ed altri soggetti locali;

c) l’indicazione delle politiche agricole e rurali rilevanti per il distretto, la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole ed agroindustriali, delle risorse ambientali e territoriali, del paesaggio agrario e delle tradizioni rurali;

d) la definizione di Progetti di innovazione.

I contenuti relativi al punto c) in particolare richiedono una specificazione ulteriore. Essi sottintendono che avvenga l’individuazione di elementi (politiche rilevanti) aventi il carattere di assi strategici, senza tuttavia definirli formalmente in questo modo. Tali assi (politiche) dovrebbero a loro volta derivare dall’individuazione di una strategia complessiva del Piano, la cui presenza esplicita, tuttavia, non compare tra i contenuti minimi indicati dalla legge.

I Progetti d’innovazione (punto d) sono definiti, nei loro contenuti, nella DGR n. 33-13542 del 4.10.2004 “Legge regionale 13 ottobre 2003, n. 26, Istituzione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità. Istruzioni di applicazione della legge”. Essi presentano caratteristiche ben delimitate e strettamente operative, simili a quelle tipicamente attribuite alle Misure, quando non alle Azioni, nei più recenti documenti di programmazione. Si rileva pertanto, nell’articolato minimo del Piano, un salto logico e funzionale tra il punto c) e il punto d), che si ritiene opportuno colmare.

Per le ragioni sopra esposte, si suggerisce quindi di articolare maggiormente i contenuti del punto c), individuando in forma esplicita:

- la strategia generale del piano, accompagnata ad un eventuale Tema catalizzatore;

- le politiche rilevanti, da tradurre in Assi del Piano.

Il contenuto del Piano, quindi, si arricchirebbe di un livello di strutturazione gerarchica intermedia tra l’enunciazione della strategia (di carattere forzatamente generale) ed i Progetti d’innovazione (per loro natura fortemente operativi). Il livello intermedio è appunto costituito dall’individuazione di Assi, ognuno dei quali è l’esplicitazione delle “politiche rilevanti” definite come articolazione della strategia.

Ciascun Asse, raggrupperà un insieme di Progetti di innovazione legati tra loro da un comune obiettivo strategico specifico. In una tale struttura, i Progetti possono essere considerati come Misure di ciascun Asse, ed apparirà più evidente il loro legame funzionale rispetto agli obiettivi da realizzare.

Lo schema 2 descrive sinteticamente la struttura sopra esposta.

I contenuti del Piano

Oltre alla maggiore strutturazione della parte concernente gli interventi da attivare, si ritiene indispensabile che il Piano contenga anche elementi quali la valutazione della coerenza ed una sintetica valutazione ambientale.

Sulla base delle considerazioni sin qui presentate, si propone quindi una più articolata definizione dei contenuti del Piano.

1. Analisi dei principali aspetti socioeconomici, territoriali, ambientali dell’area distrettuale e del suo patrimonio locale.

2. Descrizione della situazione esistente e valutazione delle prospettive (scenari evolutivi) della produzione, della trasformazione e commercializzazione di mercato dei prodotti, nonché dei servizi caratterizzanti il distretto e delle relative problematiche ambientali e territoriali.

3. Descrizione della situazione esistente e valutazione delle prospettive delle diverse forme di interrelazione e di interdipendenza tra le imprese coinvolte nella produzione e commercializzazione dei beni e servizi caratterizzanti il distretto ed altri soggetti locali (pubblici e privati).

4. Analisi SWOT del distretto (minacce, opportunità, punti di forza, di debolezza e spunti strategici).

5. Illustrazione della strategia (obiettivo strategico o globale) del Piano ed indicazione delle politiche agricole e rurali rilevanti per il distretto da cui far discendere gli Assi sui quali il Piano è strutturato. Definizione dell’eventuale Tema Catalizzatore.

6. Per ogni Asse: descrizione dell’obiettivo specifico e degli indicatori di risultato, definizione dei Progetti di Innovazione ad esso appartenenti (intesi come Misure dell’Asse)

7. Illustrazione in termini di obiettivo operativo, descrizione tecnica, indicatori di realizzazione, fonti di finanziamento, ecc. dei Progetti di Innovazione suddivisi per ciascun Asse.

8. Valutazione della coerenza del Piano.

9. Valutazione ambientale sintetica.

10. Piano finanziario riassuntivo, articolato per anno e per Asse, riportante costo totale e costo pubblico.

11. Disposizioni relative a monitoraggio e valutazione.

12. Elaborati statistici e cartografici. (Allegati).


Schema 2


La DGR di attuazione della LR 26 individua tre tipologie di Progetti d’Innovazione:

1. Progetti di innovazione aziendali;

2. Progetti di innovazione interaziendali;

3. Progetti di innovazione di servizio.

La DGR contiene, per ciascuna tipologia, un elenco di possibili Progetti, conformi ai principi della LR 26, al quale attingere per individuare e combinare tra loro, all’interno di ciascun Asse, quelli di volta in volta utili. Sempre la DGR specifica, inoltre, che il Piano potrà prevedere Progetti diversi da quelli elencati, purché anch’essi in armonia con i principi della legge.

Sempre sulla base di quanto indicato nella DGR di attuazione, nell’ambito dell’articolazione del Piano i Progetti d’Innovazione devono essere definiti in termini di:

- tipologie prescelte (tra quelle indicate nella DGR);

- indicatori fisici di realizzazione;

- cronoprogramma;

- dimensionamento finanziario (costo totale e costo pubblico);

- fonti di finanziamento a cui si ipotizza di accedere.

Si ritiene inoltre consigliabile che si specifichino ulteriormente, per ciascun Progetto d’Innovazione i seguenti elementi:

- interventi ammissibili;

- spese ammissibili;

- beneficiari;

- agevolazioni previste (tipologia di aiuto, intensità di aiuto pubblico cofinanziabile, importi massimi e minimi di investimento ammissibili);

- condizioni di ammissibilità e requisiti;

- ogni altra indicazione utile all’operatività.

Obiettivi ed Indicatori

Ad ogni livello della struttura del Piano, devono corrispondere i relativi obiettivi ed indicatori (Schema 2)

Gli obiettivi devono esplicitare i risultati da raggiungere con l’attuazione del Piano, degli Assi e dei Progetti. Attraverso la definizione degli indicatori, avviene la quantificazione ex-ante dei risultati attesi dal Piano; essi sono anche di aiuto per un equilibrato dimensionamento finanziario. In sede di valutazione ex-post, la quantificazione degli indicatori sulla base delle attività effettivamente realizzate consentirà di misurare gli impatti ottenuti.

A livello di strategia, è collegato un Obiettivo Strategico generale del Piano, che dovrà essere in diretta relazione con le finalità espresse dalla LR 26. Per tale obiettivo, dato il carattere generale, può non essere prevista una quantificazione attraverso indicatori.

A livello di ciascun Asse corrisponde un Obiettivo Specifico, quantificato attraverso uno o più Indicatori di Risultato. Un esempio d’indicatore di risultato può essere la percentuale di imprese di una determinata filiera coinvolte nei progetti dell’Asse, calcolato rispetto al totale delle aziende della stessa filiera presenti nel territorio distrettuale.

A livello di ciascun Progetto d’Innovazione corrisponde un Obiettivo Operativo, a sua volta legato ad uno o più Indicatori Fisici di Realizzazione. Esempi di indicatori di realizzazione sono il numero di interventi aziendali, il numero ed il tipo di macchinari acquistati.

Ogni indicatore dovrà essere accompagnato da una quantificazione ex-ante, che rappresenta il risultato atteso al momento dell’elaborazione del Piano, e che servirà sia a determinare il corretto dimensionamento finanziario dei Progetti, sia come elemento di confronto per la valutazione ex-post al termine della durata di applicazione del Piano.

Il procedimento di definizione degli obiettivi e dei Progetti

L’individuazione delle strategie e degli interventi previsti dal Piano di Distretto deve avvenire in stretta relazione con i risultati ed i bisogni emersi dalla fase analitica. Lo schema 3 sintetizza i passi del processo di definizione del Piano ed i legami tra analisi e contenuti progettuali.

Al tempo stesso è indispensabile che gli obiettivi di ciascun livello del Piano siano coerenti con i principi della LR 26, da un lato, e con l’insieme del Piano, dall’altro (Coerenza interna).

Dall’analisi del contesto e dall’applicazione della metodologia SWOT (individuazione di minacce, opportunità, punti di forza, di debolezza relativi al Distretto) è possibile trarre le prime indicazioni strategiche. La SWOT, per essere efficace, deve essere articolata per ambiti tematici, individuando quelli rilevanti per il Distretto in esame, rispetto ai quali si intende intervenire con le strategie del Piano.

Può essere utile inoltre definire un Tema Catalizzatore, sulla falsariga di quanto è avvenuto nell’attuazione del Programma Leader Plus, che definisca in forma immaginifica e non formale una sorta di idea guida ispiratrice del Piano..

Sulla base dei contenuti della LR 26, la DGR di attuazione indica che il Piano di Distretto deve attivare, mediante i Progetti di Innovazione “iniziative esemplari, aventi carattere ”pilota", trasferibili e sostenibili economicamente e dal punto di vista ambientale, in grado di agevolare il consolidamento di più strette relazioni culturali, sociali ed economiche tra i soggetti locali e di accrescere la capacità competitiva, l’immagine e l’identità del distretto (e, cioè, di imprese, prodotti e servizi e territorio distrettuali". Di fatto tale enunciato individua gli obiettivi strategici generali ai quali deve tendere un Piano di Distretto

Il Gruppo Tecnico, quindi, in stretta relazione con il Tavolo di Partecipazione, svilupperà una Strategia generale del Piano, coerente con i principi ispiratori della LR 26, dalla quale far discendere alcune politiche rilevanti (vedere DGR). Le politiche rilevanti si espliciteranno negli Assi del Piano.

Anche in questo caso la DGR fornisce elementi in merito, ricordando che gli obiettivi generali sopra riportati devono essere perseguiti mediante:

- la riduzione dei costi di produzione e dei costi di transazione;

- la promozione della multifunzionalità delle imprese agricole;

- il miglioramento della qualità commerciale di prodotti e dei servizi locali;

- l’organizzazione e la qualificazione dell’offerta dei prodotti e dei servizi;

- l’integrazione orizzontale tra le imprese dello stesso settore e quella verticale nell’ambito delle filiere produttive;

- la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali, culturali e produttive locali;

- la salvaguardia dell’ambiente.

Tale enunciato, di fatto, comprende un elenco piuttosto esaustivo dei possibili obiettivi specifici di altrettanti Assi. E’ inoltre possibile individuare ulteriori obiettivi specifici, purché sempre in armonia con i principi della LR 26.


Schema 3


Valutazione della Coerenza

Un aspetto determinante per il corretto sviluppo del Piano è la verifica degli aspetti di coerenza.

Innanzi tutto dovrà essere verificata ed esplicitata la coerenza tra le conclusioni tratte dalla fase analitica e gli obiettivi strategici e specifici adottati dal Piano.

In secondo luogo, è opportuno verificare la coerenza del Piano con i principali atti di programmazione che si rivolgono al medesimo ambito d’intervento (ad esempio Piano di Sviluppo Rurale, LR 95/95, altri provvedimenti regionali e nazionali rivolti all’agricoltura ed all’agroindustria).

Un passaggio molto importante è quello della valutazione della coerenza tra Assi e Progetti del Piano con i principi ispiratori della LR 26. L’emergere di eventuali situazioni di incoerenza indica la necessità di una revisione delle strategie adottate.

A tal fine, si consiglia di adottare uno schema come quello riportato nella pagina successiva (schema 4).

I principi ispiratori possono essere desunti dall’art. 2 della Legge:

- favorire i processi di riorganizzazione interna del distretto, rafforzando il coordinamento e l’integrazione delle relazioni tra le imprese;

- adeguare le strutture produttive esistenti e le infrastrutture di servizio alle necessità economiche, ambientali e territoriali;

- migliorare la qualità di conformità dei processi e delle aziende;

- promuovere la sicurezza degli alimenti;

- sostenere la proiezione sui mercati nazionali ed internazionali delle imprese;

- valorizzare le produzioni agricole ed agroalimentari;

- migliorare la qualità territoriale, ambientale e paesaggistica dello spazio rurale;

- contribuire al mantenimento ed alla crescita dell’occupazione.

Un ultimo aspetto essenziale è la valutazione della coerenza interna del Piano, ovvero delle relazioni di possibile sinergia, interazione o conflitto tra i singoli Assi e Progetti. L’emergere di situazioni di potenziale conflitto rende perlomeno necessario motivarne la presenza e, eventualmente, indicare quali contromisure possono essere messe in atto per evitare effetti negativi. Questo tipo di valutazione può essere riassunto ricorrendo all’esempio dello Schema 5.

Schema 4 e Schema 5

Valutazione ambientale

La LR 26 /2003 è basata su chiari principi di sostenibilità ambientale. E’ pertanto indispensabile che la dimensione ambientale sia adeguatamente tenuta in conto nell’elaborazione dei Piani di Distretto.

La parte relativa alla descrizione del contesto, quindi, dovrà prevedere una trattazione analitica, ove possibile quantificata, della situazione dell’ambiente nel territorio distrettuale, con una particolare attenzione ai temi più strettamente connessi alla specializzazione del Distretto ed alle strategie che si intendono adottare nel Piano. Si suggerisce di impostare tale descrizione per ambiti tematici, quali ad esempio: aria, acque superficiali e sotterranee, suolo (inquinamento, instabilità idrogeologica....),  paesaggio agricolo e rurale, biodiversità (con particolare attenzione alla presenza di aree protette), salute umana e sicurezza alimentare.

Il Piano dovrà inoltre comprendere una sintetica valutazione dei possibili impatti ambientali di ciascun Progetto di Innovazione, effettuata in forma qualitativa secondo l’esempio riportato nello schema 6.

Schema 6

Gli impatti ambientali devono essere valutati in relazione alla presenza sul territorio di particolari criticità ambientali ed alla presenza, negli Assi e nei Progetti del Piano, di eventuali obiettivi ambientali espressamente dichiarati.

Qualora l’impatto previsto di un certo Asse o Progetto risulti negativo, gli estensori del Piano dovrebbero avere cura di indicare gli obiettivi irrinunciabili di sostenibilità e le contromisure da attuare per annullare o mitigare gli esiti ambientalmente sfavorevoli.

Monitoraggio e valutazione

La LR 26 (art. 10) prevede l’effettuazione di rendicontazioni periodiche sull’attuazione della legge stessa. A tal fine è necessario che le Province sviluppino, per ogni Piano di Distretto, un’adeguata attività di monitoraggio.

E’ pertanto necessario che durante la gestione del Piano si tenga traccia informatica di tutti gli atti amministrativi, in particolare delle domande presentate dai beneficiari e relativi dati gestionali, avendo inoltre cura di corredare tali informazioni con tutti i codici che possono facilitarne l’elaborazione successiva (codice fiscale e partita IVA, codice ATECO di attività economica, natura giuridica, codice comunale ISTAT).

L’elaborazione dei dati di monitoraggio dovrà avvenire anche in relazione agli indicatori di risultato e di realizzazione previsti nel Piano.

Anche se non espressamente previsto dalla LR 26, si ritiene necessario che, al termine della durata stabilita per ciascun Piano di Distretto, le Province effettuino una valutazione ex-post. Solamente tale valutazione potrà permettere di formulare giudizi metodologicamente corretti sull’esito del Piano, consentendo inoltre di individuare eventuali criticità emerse, dalle quali trarre insegnamento per le iniziative future.

La strutturazione del Piano attraverso obiettivi ed indicatori, così come proposta in queste Note, nasce anche per tenere conto di tale esigenza.