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Supplemento Ordinario n. 2 al B.U. n. 28

Deliberazione della Giunta Regionale 12 luglio 2004, n. 45-13016

L.R. n. 21/97 e s.m.i. - CAPO VI - Artigianato Artistico e Tipico di Qualità - Art. 27 - Rinominazione del Settore Cioccolato, Caramelle, Torrone e approvazione del Disciplinare per l’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare Settore Cioccolato Caramelle Torrone

(omissis)

LA GIUNTA REGIONALE

a voti unanimi...

delibera

di approvare per le considerazioni in premessa la nuova denominazione del Settore Cioccolato Caramelle Torrone;

di approvare, sentito il parere favorevole della Commissione Regionale per l’Artigianato e sentite le Associazioni di Categoria (Confartigianato, C.N.A., CASA), il Disciplinare per l’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare Settore Cioccolato Caramelle Torrone; allegato alla presente deliberazione quale parte integrante, predisposto dalla apposita Commissione di Disciplinare di Produzione.

La presente deliberazione verrà pubblicata sul B.U. della Regione Piemonte, ai sensi dell’art. 65 dello Statuto e dell’art. 14 del D.P.G.R. n. 8/R/2002.

(omissis)

                    Allegato

DISCIPLINARE PER L’ECCELLENZA
DELL’IMPRESA ARTIGIANA ALIMENTARE
CIOCCOLATO, CARAMELLE, TORRONE

   

IL CIOCCOLATO

PRESENTAZIONE

Cenni storici

Carl von Linné, scienziato svedese, nel 1753 attribuì all’albero del cacao il nome scientifico “Teobroma cacao”, che dal greco significa “cibo degli dèi”, riconoscendone così proprietà uniche ed eccezionali.

Quella del cioccolato è una lunghissima storia in cui realtà e leggenda si fondono.

Si ritiene che già nel 5000 a.C. esistessero alcune varietà di pianta di cacao sulla costa del Golfo del Messico e sull’Altipiano centrale: probabilmente i primi a coltivare il cacao furono gli appartenenti alla civiltà Maya.

Successivamente, nella civiltà degli Aztechi, il cacao aveva un profondo significato simbolico (la bacca di cacao era usata durante i rituali per indicare il cuore umano strappato nel sacrificio) oltre ad essere utilizzato nell’alimentazione e come moneta.

Pare che il primo europeo entrato in contatto con la pianta e i frutti del cacao sia stato Cristoforo Colombo durante il suo quarto viaggio esplorativo nel 1502, anche se non si conosce con certezza quando il cacao approdò per la prima volta in Spagna. La maggior parte degli autori hanno attribuito a Hernán Cortés questo merito, ma non esiste una prova storica che affermi tale ipotesi. In ogni caso dalla Spagna il cioccolato si diffuse in tutta Europa approdando anche in Italia. Purtroppo la storia dell’introduzione nel nostro Paese di questo prodotto è ambigua e frammentaria. In proposito esistono diverse versioni. Pur non essendoci prove, quella più accreditata sostiene che il cioccolato fu portato in Italia da Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580); un’altra ipotesi è che, a portare il cioccolato nella nostra Nazione, fu Francesco d’Antonio Carletti, un uomo d’affari fiorentino.

Torino, capitale sabauda, è una delle maggiori depositarie della tradizione cioccolatiera italiana: sino almeno dal tardo ‘700 vi si affermò una ricca serie di attività di piccole dimensioni ma non prive di una certa capacità d’innovazione tecnica.

In effetti, durante il XVIII secolo, mentre le piantagioni di cacao si estendevano in Brasile, Martinica e Filippine, la lavorazione del cioccolato si affermava particolarmente in alcune città europee. Fra queste primeggiò proprio Torino dove, già alla fine del Seicento, se ne producevano circa 350 kg al giorno, e lo si esportava in Austria, Svizzera, Germania e Francia. Fu proprio nei laboratori artigiani torinesi che gli apprendisti provenienti dalla vicina Svizzera impararono i segreti della lavorazione del cacao. In Piemonte, e nella capitale sabauda in particolare, sorsero i maggiori laboratori e ancora oggi Torino resta uno dei più importanti centri di produzione a livello artigianale. Le prime industrie torinesi per la lavorazione del cacao abbandonarono, dove possibile, le lavorazioni manuali e cominciarono a utilizzare impastatrici meccaniche e macchine azionate da forza motrice: Caffarel sfruttò nel suo stabilimento la forza idraulica del torrente Pellerina e Michele Talmone fu uno dei primi a dotare la sua fabbrica aperta in Borgo San Donato nel 1850 di macchinari a vapore. Nel 1826 l’antica ditta Caffarel Padre e Figlio si fuse con la Prochet Gay & C. dando vita alla Caffarel Prochet che, a quei tempi, divenne la ditta tecnologicamente meglio attrezzata. In effetti, Caffarel e Prochet appartengono alla prima generazione dei pionieri del dolciario piemontese; Talmone, Gruber, Cailler e Baratti cominciarono invece a operare verso la metà del secolo XIX seguiti subito da altri cioccolatieri che contribuirono a diffondere la fama di Torino per l’Europa.

Torino divenne famosa per le sue innovazioni tecnologiche ma anche per la creazione di nuovi prodotti a base di cioccolato. Inizialmente comparvero i primi cioccolatini, Diablotin e Givu, grossi come ghiande (in dialetto, appunto, givu), ottenuti da una pasta tirata a mano e foggiata in modo grossolano. Nella metà dell’Ottocento nacque il giandujotto la cui pasta tenera e morbida è a base di cacao, zucchero, burro di cacao e le famose nocciole della varietà “Tonda Gentile delle Langhe”. Il celebre cioccolatino dalla caratteristica forma a spicchio prese il nome da Gianduja, la tipica maschera piemontese. Alcuni cronisti sostengono che la pasta Gianduja sia nata da uno stato di necessità: Napoleone con il blocco continentale aveva reso quasi impossibile il rifornimento di cacao ai cioccolatieri piemontesi, facendo aumentare a dismisura il prezzo della materia prima. Per continuare a produrre gli artigiani piemontesi pensarono di unire al cacao un frutto di casa, le nocciole, dopo averle opportunamente tostate. Da allora, nonostante il mutare di gusti, mode e stili di vita, il giandujotto mantiene le sue caratteristiche continuando ad essere ambasciatore delle virtù dolciarie di Torino e del Piemonte.

Nel frattempo la cioccolata calda entrò nell’uso comune diventando, ancor più del caffè, una bevanda di compagnia; si diffuse non solo nei cafè e nelle confetterie, ma anche tra le famiglie borghesi dove le donne di casa facevano salotto e, nel rispetto della tradizione, ricoprivano torte e frutti cotti, preparavano “gelati caldi” e confezionavano profumati Bonèt. La cioccolata veniva e viene tuttora bevuta da sola, ma anche mescolata con caffè e latte dando origine al Bicerìn che divenne a partire dal 1840 la consumazione caratteristica del mattino. Qualcuno lo chiamò anche “bicerin ‘d Cavour” con riferimento al fatto che lo statista subalpino ne era probabilmente abituale consumatore.

All’inizio del Novecento, con il miglioramento delle condizioni economiche, aumentò la richiesta di cioccolato, soprattutto fra le famiglie benestanti. I maestri cioccolatieri andarono quindi alla ricerca di nuovi prodotti. Già alla corte di Luigi XV di Francia qualcuno aveva pensato per la prima volta di ricoprire un uovo con cioccolato, ma con scarso successo. L’idea venne ripresa verso la fine dell’Ottocento i Cicôlaté torinesi per soddisfare le nuove esigenze della neonata medio alta borghesia introdussero nuovi prodotti come le uova di cioccolato.

Forti del fatto che le aziende e gli artigiani piemontesi sono sempre rimasti fedeli alle origini e alla tradizione, i cioccolatieri di Torino e del Piemonte rappresentano ancora oggi un punto di riferimento importante nell’arte della cioccolateria.


CARAMELLE

PRESENTAZIONE

Cenni storici

La caramella è uno dei tantissimi prodotti che appartengono all’arte della confetteria.

I precursori delle caramelle erano dei bastoncini di zucchero di canna che in latino si chiamavano “canna mellis”, ossia canna di zucchero, da cui deriva la parola spagnola “caramel”, italianizzata “caramella”. Questi bastoncini erano già conosciuti in Siria e fu proprio Goffredo di Buglione che in occasione della prima crociata (1097-1099) li importò in Italia.

E’ da sottolineare, però, che l’effettivo successo popolare delle caramelle avvenne grazie alla diffusione, nel XV secolo, in Europa, della coltivazione della barbabietola da zucchero. La maggiore quantità di materia prima disponibile permise di produrre confetti, tondini di zucchero aromatizzati, oltre alle già presenti pasticche di orzo che all’epoca erano famose per “mollificare la tosse”. I confettieri piemontesi, infatti, all’inizio della diffusione delle caramelle, facevano largo uso del “sucher d’ördi” (zucchero d’orzo) per la loro realizzazione. La pasta utilizzata era ottenuta da uno sciroppo di zucchero e una decozione di farina d’orzo che, una volta cotta, veniva versata su una pietra unta d’olio in modo da formarne dei bastoni. Questi erano lasciati raffreddare e dopo la, solidificazione venivano divisi in pezzetti formando così dei bastoncini.

Ne “Il confetturiere piemontese” un anonimo autore spiega come produrre “caramelle d’ogni sorta” facendo “cuocere il zuccaro alla cottura detta caramel […], si bagna il dito nel zuccaro e subito si mette nell’acqua fresca, indi si mette sotto i denti, e se non si attacca ai medesimi, e che sii alquanto croccante, allora sarà cotto, e si versa poco per colta, sopra una pietra, indi si mette cadun pezzetto in carta. Se volete dargli qualche gusto, od odore, bisogna metterlo nel zuccaro quando bolle”.

Per molto tempo le caramelle e in generale tutti i prodotti della confetteria furono consumati esclusivamente in ambienti reali ed aristocratici. La loro diffusione tra la massa avvenne solo nella seconda metà dell’800 quando i piccoli laboratori aumentarono le loro dimensioni e di conseguenza la loro produzione, fino a diventare delle piccole industrie. Da quel momento la città di Torino diventò famosa per la qualità delle sue caramelle e “caramelle di Torino” diventò sinonimo di “caramelle di qualità”.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, i confettieri iniziarono ad incartarle per proteggerle ed abbellirle. Era il confettiere stesso che decideva l’incartamento adatto in base alla forma o al tipo di caramella. Tra le forme più diffuse vi erano quelle “a fiocco”, “a farfalla” e “a sacchetto”.

Il periodo considerato di maggior successo per le caramelle è quello successivo alla prima guerra mondiale. In quegli anni i confettieri idearono una gamma infinita di caramelle dalle forme, dai sapori e dai tipi svariati: dure, morbide, ripiene, gommose, gelatinose, ai frutti tropicali, agli agrumi, alle erbe alpine, al caffè, dissetanti, balsamiche, digestive, frizzanti,…

Per la produzione delle pastiglie si adotta un processo di lavorazione differente da quello utilizzato per le caramelle. I produttori di pastiglie adottano un procedimento a freddo: impastano zucchero a velo, gomma adragante e gomma arabica aggiungendo aromi naturali, tirano l’impasto fino a formare un foglio da cui ricavano le pastiglie. Originariamente l’impasto veniva steso con un mattarello di legno e con degli stampi di latta si riusciva a dare forma alle pastiglie; sovente, quando l’impasto era ancora molle, venivano impressi dei simboli o delle figure.

Per produrre le caramelle, invece, si ricorre alla cottura degli ingredienti principali: lo zucchero e lo sciroppo di glucosio. Questi, con aggiunta di acqua, vengono cotti e solo in seguito posti su tavole fredde e quindi aromatizzati.



IL TORRONE


PRESENTAZIONE

Cenni storici

Nei paesi lungo le sponde del Mediterraneo, dove la coltivazione del mandorlo e del nocciolo è millenaria, la testimonianza maggiore dei dolci a base di miele resta ancora l’impasto di nocciole, miele, zucchero e bianco d’uovo, detto, in Italia, torrone.

La denominazione di torrone deriva quasi certamente dall’abitudine dei pasticceri medioevali di “montare”, con l’impasto, dei grandi dolci a forma di castello o torre. Altra prova della “storicità” del torrone è l’abitudine di coprirlo, in superficie, con delle cialde di farina insipide, e cioè con una protezione molto diffusa nei secoli scorsi per numerosi dolci.

Accenni ad un tipo di dolce molto vicino a quello che oggi apprezziamo, li troviamo in Plinio, il quale ne riportò la pratica della fabbricazione ad uso medico presso i popoli del Piemonte centrale intorno al XV secolo. I suoi pinoli cotti nel miele costituivano un rimedio unico contro la tosse. Si trattava dell’aravicelum.

Si hanno notizie comunque di un analogo preparato, già sotto il nome torron o tourron in Spagna ai tempi della dominazione araba.

In virtù dei legami che sono sempre intercorsi tra la nostra terra e la Provenza, giova anche sapere quanto fosse in uso nella zona di Montélimar ricca di mandorle e pinoli, un dolce chiamato pignoulats, che utilizzava questi frutti con un impasto a base di miele, affine al nostrano “pignolato”, di memoria tardo-medievale.

L’episodio che consacrò il torrone alla storia italiana, oltre alle progeniture precedenti, riguardò gli abitanti di Cremona. La leggenda vuole che il dolce fosse stato “inventato”, e ufficialmente presentato, in occasione delle nozze di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza, il 25 ottobre 1441, quando venne confezionato una sorta di croccante a forma di Torrazzo (l’alta torre campanaria simbolo di Cremona), da cui avrebbe preso il nome. In quel tempo Cremona era un importante centro commerciale, crocevia non solo di traffici mercantili, provenienti dall’Oriente e dal bacino del Mediterraneo, ma anche di incontri culturali di livello internazionale. Non è difficile, dunque, pensare che il dolce fosse di probabile origine araba.

Il Torrone piemontese si distingue da quello classico cremonese per l’utilizzo delle nocciole al posto delle mandorle. La modifica fu realizzata nel 1885 a Gallo d’Alba, frazione di Grinzane Cavour (Cuneo), ad opera di un noto pasticcere, che utilizzò le nocciole, abbondanti e all’epoca poco costose nelle Langhe. La produzione di torrone piemontese è diffusa anche nella zona di Asti e nelle zone limitrofe. Si suppone che il torrone sia stato introdotto nell’Astigiano dai cuochi dei Visconti, signori di Milano, che intrattenevano rapporti con i banchieri artigiani. Per circa 300 anni, il torrone veniva prodotto utilizzando esclusivamente materie prime locali che gli conferivano caratteristiche organolettiche superiori rispetto a tutti i torroni allora conosciuti. Verso la fine del ‘700, un pasticcere artigiano riassunse il meglio di ogni ricetta e preparò la formula che ancora oggi viene utilizzata per la preparazione del Torrone di Asti.

Un suo discendente, nell’anno 1883, aprì in Mombercelli, un laboratorio per la fabbricazione di torroni utilizzando la ricetta del suo predecessore. Il prodotto riscosse un notevole successo tanto da meritare numerosi riconoscimenti e il premio di Livorno. La formula trasmessa agli eredi, con piccole correzioni, è giunta fino ai giorni nostri e costituisce tuttora la base per tutti i torroni prodotti nella provincia di Asti.

Sia a livello artigianale sia a livello industriale, prosegue la grande tradizione del torrone piemontese proponendosi ai consumatori come un prodotto che mantiene le caratteristiche originali dell’antica ricetta.



Collaborazioni

La stesura del presente disciplinare ha coinvolto in numerose riunioni soggetti diversi che hanno fornito in più fasi dell’elaborazione indicazioni, suggerimenti e contributi tecnici.

Giovanni PEIRA - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Erica VARESE - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Alessandro BONADONNA - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Elisa BRACCO - Tesi di Laurea c/o Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio Dipartimento di Scienze Merceologiche

Sergio ARNOLDI della Camera di Commercio di Torino

Silvio BESSONE Presidente Confartigianato Piemonte Alimentazione

Assessorato Regionale all’Agricoltura - Ufficio Tutela Prodotti Agricoli

Assessorato Regionale Sanità


PREMESSA

La stesura del presente Disciplinare si inserisce nel quadro normativo - Titolo II Capo VI della L.R. 9 maggio 1997 n. 21 e s.m.i. L.R. 31 agosto 1999 n. 24 - predisposto dalla Regione Piemonte per la tutela e la valorizzazione delle lavorazioni artigiane che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tradizione dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura, anche di derivazione locale.

Secondo gli intendimenti della legge, la Regione Piemonte intende perseguire i seguenti obiettivi:

- quello della tutela e della salvaguardia di una tradizione artigiana con valenza culturale e storica accumulata nei secoli in Piemonte. Un patrimonio che, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della sua evoluzione, è stato conservato, trasmesso e valorizzato con continuità, tenacia e valenza dagli operatori del settore di generazione in generazione fino ai giorni nostri;

- quello della promozione di un insieme di iniziative che riscoprano, consolidino e rinvigoriscano nei suoi diversi aspetti questo processo, adeguandolo alle esigenze di qualificazione e di innovazione che il contesto economico, sociale e tecnologico attuale pone.

Finalità

Per conseguire gli obiettivi previsti dalla L.R. 21/97 e s.m.i. – Capo VI, Artigianato Artistico, Tipico e di Qualità, art. 26 - è predisposto il presente Disciplinare per l’Eccellenza dell’ Impresa Artigiana Alimentare - Settore Cioccolato Caramelle Torrone.

Strumento

“Il Disciplinare per l’eccellenza dell’impresa artigiana alimentare" si propone di delineare delle regole, descrivere le caratteristiche e i requisiti, indicare le tecniche produttive adottate, sottolineare gli ingredienti utilizzati e quant’altro occorre ad individuare e specificare le lavorazioni in essere, secondo la legislazione vigente.


Riconoscimento

Potranno ottenere il riconoscimento di Impresa dell’ Eccellenza Artigiana e fregiarsi del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” le imprese operanti nel Settore Cioccolato, Caramelle, Torrone e i consorzi di impresa che, già iscritti all’Albo delle imprese, ai sensi della Legge 443/85, dimostrino di possedere i requisiti richiesti dal presente disciplinare.

Il riconoscimento è attuato mediante idonea annotazione nell’Albo provinciale delle imprese artigiane, riportando l’indicazione del settore specifico, la descrizione della tipologia produttiva, l’attribuzione della denominazione di Eccellenza Artigiana, il conferimento del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana”.

Art.1   Percorsi culturali

L’impresa deve saper riconoscere e collocare criticamente la propria attività nel rispetto dei percorsi culturali che hanno prodotto le esperienze storiche dell’Artigianato Tradizionale e di Qualità.

Devono essere considerate quali caratteristiche peculiari dell’impresa che opera nel settore:

·     Il richiamo alla tradizione, inteso come capacità acquisita di una cultura specifica, non solo materiale appartenente ad un ambito operativo.

·     L’innovazione, intesa come volontà a ricercare e sperimentare nuove tecniche all’interno di un territorio, senza stravolgere i legami con la tradizione.

·     L’aggiornamento professionale, ovvero la disponibilità a recepire stimoli e sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni preposte o che svolgono attività di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale e del gusto.

·     Il legame con le nuove generazioni, vale a dire la disponibilità ad offrire reali opportunità di formazione ed apprendimento, investendo in risorse umane.

·     Il legame con il territorio, attraverso la proposta di percorsi del gusto e l’attivazione di sinergie con realtà espressione di una cultura territoriale.

8.8     Elementi caratteristici dell’Impresa Artigiana

Il rapporto tra tradizione e innovazione è la sfida ancora aperta per il mondo dell’artigianato.

La difficile alchimia fra questi due concetti delinea anche la vitalità economica di molte imprese artigiane. La sintesi tra tipicità, legame con il territorio, tradizione e processi innovativi rappresenta il contesto produttivo e l’universo di riferimento del settore.

In questo ambito si possono individuare alcuni elementi che distinguono l’impresa alimentare dell’eccellenza artigiana del Settore da un tipo di produzione seriale e standardizzata.

STAGIONALITA’

La ciclicità delle stagioni accompagna le produzioni artigianali. Specialmente nel settore alimentare, la stagionalità delle materie prime ha dato origine, nel tempo, a prodotti che hanno segnato e arricchito la vita dell’uomo. Una ricchezza che ci giunge non solo dal patrimonio di conoscenze della tradizione laica e religiosa, ma anche dalla necessità di scegliere e utilizzare quegli ingredienti nel loro naturale ciclo stagionale.

Il gusto di aspettare un periodo dell’anno, per ritrovare un sapore o un profumo senza accontentarsi di bontà appiattite lungo una temporalità sempre identica, vuol dire riscoprire la memoria, rinsaldare il legame con lo sviluppo che l’uomo e il suo territorio sono in grado di sostenere.


EQUILIBRIO

Raggiungere e mantenere l’equilibrio tra gli ingredienti a disposizione e la giusta manipolazione sono risultati che fanno parte delle sfide quotidiane dell’artigianato: le materie prime sono materiali vivi che mutano continuamente durante la trasformazione in forme e gusti segnati dal rapporto con la modernità. Qui si gioca con maestria il ruolo dell’artigiano, non solo legato alla tradizione, ma capace di trovare sempre nuovi stimoli, nuove proporzioni, nuovi suggerimenti, nuove presentazioni, innovando le ricette del territorio.


GUSTO

Senso che con l’olfatto è costituito dall’insieme delle percezioni che si registrano in bocca: i sapori, gli aromi, le fragranze. Le lavorazioni artigianali di qualità concorrono ad affinare l’educazione al gusto esaltandone la peculiarità degli ingredienti, coniugando creatività e richiamo alla tradizione.


RISPETTO DEL TEMPO

Il tempo scandisce i ritmi della produzione. Ci vuole tempo per acquisire le materie prime, ci vuole tempo per trasformarle in ingredienti, ci vuole tempo per seguire le lavorazioni, ci vuole tempo per le finizioni e le decorazioni. Avere un rapporto sano con i tempi più rallentati del solito vuol dire avere garanzia che in questo caso il tempo gioca a nostro favore: in qualità e cultura del gusto.


QUANTITA’

Per ogni artigiano esiste un volume ottimale di produzione. Esistono realtà con potenzialità più o meno elevate, ma per tutte non può essere superato quel rapporto stretto tra quantità prodotte e cura richiesta che comprometterebbe il livello qualitativo delle lavorazioni.

Verrebbe meno anche quel filo diretto, quel legame “personale” che permette agli artigiani di far tesoro delle valutazioni espresse dai propri clienti, dalle quali possono scaturire nuove opportunità di miglioramento.

Produrre maggiori quantità vorrebbe dire in alcuni casi rinunciare all’eccellenza delle materie prime ed accontentarsi di surrogati di qualità meno sicura. Il “dover aspettare”, il non trovare subito il prodotto che cerchiamo spesso è garanzia della coerenza delle scelte operate che determinano il valore aggiunto delle produzioni artigianali.


SEGRETI

Ogni artigiano sa di essere portatore di un sapere antico, al quale apporta le sue innovazioni, le sue modernità. Vive anche la feconda contraddizione di voler svelare i propri segreti, tramandando a qualcun altro questo “saper fare”, con l’aspettativa che non siano stravolti e semplificati quei gesti che sembrano inutili ma che fanno la differenza.


PECULIARITA’

Ogni artigiano ha una sua peculiarità che lo rende unico. Pur con forti legami con il territorio e la tradizione, non ne esistono due uguali. E’ l’ elemento che definisce meglio la figura dell’artigiano, che lo contraddistingue nella diversità e nell’unicità e che spiega l’affezione della clientela.

Si tratta della difesa non solo di prodotti e di gusti, ma anche e soprattutto dell’identità delle persone, della loro abilità nel lavorare e trasformare, nell’infondere caratteristiche speciali di maestria o nell’imprimere i tratti del loro personale sentire.


RESPONSABILITA’

La scelta delle materie prime costituisce il supporto fondamentale su cui poggia la qualità. Un artigiano serio ed eticamente motivato ha una grande competenza e consapevolezza nell’uso delle materie prime che, trasformate con abilità, costituiscono il valore aggiunto della produzione artigiana.

La competenza non può essere improvvisata perché richiede professionalità specifica nel saper effettuare un controllo a monte, su produzioni che spesso precedono il suo lavoro, a garanzia delle fasi successive.

Attività che presuppone una riconosciuta esperienza tramandata, attraverso la conoscenza diretta delle fasi di filiera e dei diversi soggetti coinvolti.


SICUREZZA ALIMENTARE

La sicurezza alimentare è un elemento centrale e prioritario per il consumatore ed un pre-requisito essenziale per la qualificazione della produzione alimentare.

Richiede una responsabilizzazione dell’artigiano quale garante delle produzioni e insieme degli strumenti impiegati che si realizza anche attraverso il principio dell’autocontrollo ed è parte integrante della competenza artigiana.


CIOCCOLATO E PRODOTTI DI CACAO

I prodotti di cacao e di cioccolato devono essere conformi a quanto previsto dalla legge nazionale n. 351, del 30/4/1976 (vedi quadro di riferimento normativo), dal decreto legislativo 12/6/03, n. 178 “ attuazione della direttiva 2000/36 CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana”, in particolare per l’uso della dizione “cioccolato puro”.

Sono escluse dal conformarsi a queste disposizioni le produzioni il cui ripieno è costituito da prodotti di panetteria, pasticceria, biscotteria e gelateria.

Le aziende che intendono ottenere il riconoscimento del marchio ”Piemonte eccellenza artigiana” per uno o più prodotti di cioccolato, oltre ai requisiti di base sopra indicati, dovranno rispettare le altre caratteristiche di qualità di seguito riportate.


Art.2   Ingredienti

Fatte salve le disposizioni previste dalla Direttiva 2000/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23/06/2000, nonché del Decreto legislativo del 12/06/2003 n. 178.

L’uso della dizione ‘cioccolato puro’ è da intendersi ai sensi dell’art. 6 del Dlgs n. 178/2003.

Recita l’art. 6 al comma 1 che “i prodotti di cioccolato di cui all’allegato 1, punti 3,4,5,6,7,8, 9 e 10 che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, fatta eccezione per il ripieno diverso dai prodotti di cacao e cioccolato, possono riportare nella etichettatura il termine ‘puro’ abbinato al termine ‘cioccolato’ in aggiunta o integrazione alle denominazioni di vendita di cui all’allegato 1 oppure la dizione ‘cioccolato puro’ in altra parte dell’etichetta”

Ripieni

Praline e cioccolatini

Nei ripieni delle praline e dei cioccolatini è sconsigliato l’impiego di grassi vegetali saturi, ad eccezione del burro di cacao, e dei grassi animali, ad eccezione della panna, del burro vaccino e del latte intero in polvere.

Frutta

I ripieni alla frutta, al fine di salvaguardare la qualità della produzione, devono contenere almeno il 30% di polpa di frutta naturale.

Nocciola

La nocciola, presente come ingrediente nei prodotti di cioccolato, deve essere Nocciola tonda e gentile delle Langhe prodotta nel territorio del Piemonte (in purezza, tostata, acquistata intera o in pasta). La nocciola utilizzata nei processi di trasformazione deve essere possibilmente quella dell’ultimo raccolto, desumibile dal lotto di produzione.

Zuccheri

Sono ammesse ai sensi dell’art. 1 della legge 31/3/’80, n. 139 le seguenti tipologie di zuccheri:

-     zucchero di fabbrica

-     zucchero o zucchero bianco

-     zucchero raffinato o zucchero bianco raffinato

-     zucchero liquido

-     zucchero liquido invertito

-     sciroppo di zucchero invertito

-     sciroppo di glucosio

-     sciroppo di glucosio disidratato

-     destrosio monoidrato

-     destrosio anigro

Sono esclusi i dolcificanti e gli edulcoranti sintetici ed artificiali.

Altri ingredienti

Per tutti gli altri ingredienti ammissibili nei prodotti di cioccolato occorre garantire il livello qualitativo delle materie prime di provenienza sia internazionale che nazionale. Dove possibile, occorre privilegiare l’impiego di prodotti locali e regionali certificati. Tutti i tipi di ingredienti devono essere naturali.


Additivi e coadiuvanti tecnologici

Sono ammessi gli additivi consentiti dal Decreto Ministero della Salute 29 luglio 2002, quali gli additivi naturali e gli emulsionanti come la licitina vegetale.

Non sono ammessi additivi che svolgano funzioni di colorazione, conservazione, esaltazione di sapidità.

Aromi

Sono ammessi solo aromi definiti con il termine ”naturale”, esclusi quelli di sintesi, la cui parte aromatizzante contenga esclusivamente sostanze aromatizzanti ”naturali”. Gli aromi naturali devono essere indicati con il loro nome. La vaniglia deve essere in bacche o in oleoresina. Sono pertanto vietati gli aromi artificiali e gli aromi identici.


Art.3   Modalità e Tecniche di lavorazione

I produttori che iniziano il processo partendo dalla fava di Cacao, dopo aver provveduto alla mondatura, tostatura e raffinazione della stessa, procedono alla miscelazione del liquore di cacao con lo zucchero (ed il latte se previsto dalla ricetta). Si procede quindi alla fase di pre-raffinazione (con macchinari a 2 o 3 cilindri) e raffinazione (5 cilindri) per raggiungere una granulometria di almeno 20 micron.

Il concaggio è la fase più importante della lavorazione del cioccolato. Necessario per disperdere le acidità tipiche del cacao e per affinare la palatabilità. A seconda delle varietà di cacao utilizzate, il concaggio dura dalle 36 alle 72 ore in particolari conche a pietre rotanti, a temperature prossime ai 70 gradi.

Terminato il concaggio si procede alla fase di temperaggio e di modellaggio.

Il temperaggio, abbassando la temperatura della pasta da 45° a 29/31, innesca la cristallizzazione del burro di cacao e quindi permette una buona fase di modellaggio. Fase che definisce le forme più svariate del cioccolato grazie all’utilizzo di stampi in policarbonato.

Il raffreddamento avviene grazie a tunnel frigoriferi ventilati che lavorano ad una temperatura di +6/7° . Dopo l’estrazione dal frigorifero il cioccolato è pronto per essere confezionato.

I produttori che utilizzano semilavorati, evitano le fasi di raffinazione del cacao,miscelazione,raffinazione e concaggio, e procedono allo scioglimento del cioccolato semilavorato, al temperaggio e successivo modellaggio.

La produzione può avvenire sia partendo dalle fave di cacao o dal cacao in massa, oppure dai semilavorati di cioccolato, con le caratteristiche previste dalla legge. Le principali fasi delle lavorazioni , svolte dai produttori che utilizzano fave o cacao in massa consistono in:

3.1 La trasformazione del Cacao: dai semi alla massa.

Dopo aver effettuato la pulitura, spietratura e disinfestazione delle fave , il prodotto viene stoccato in sili verticali, in attesa di essere tostato e raffinato.

Generalmente si procede ad una prima classificazione secondo due o tre dimensioni in modo da procedere alla tostatura di fave il più omogenee possibile.

L’obbiettivo principale della tostatura è l’eliminazione dell’umidità presente nel prodotto

La tecnologia di tostatura del Cacao prevede un metodo tradizionale a torrefazione in forni rotanti (temperature variabili da 105° a 140° circa e tempi da 5’ a 15’ circa ) , della fava o della granella, con l’evidente difficoltà di raggiungere il centro del frutto senza bruciare la parte esterna. Nel qual caso si hanno dei componenti di gusto amaro ed acido (gusto di bruciato ) che danneggiano irreparabilmente il Cacao. Una corretta torrefazione favorisce altresì la formazione di composti aromatici caratteristici del gusto del Cacao. Questo metodo però presenta il problema di cui sopra e non garantisce un buon abbattimento delle cariche batteriche.

Il metodo più recente consiste in una pre-tostatura della fava a raggi infrarossi. Il frutto scorre su tappeti vibranti e viene investito da raggi infrarossi a 120° ca. che provocano la torrefazione della parte più esterna (buccia) ed il conseguente distacco di essa; una successiva frantumazione del frutto , una seconda tostatura della granella di cacao (quindi particelle minuscole e maggior superficie a contatto con il mezzo di torrefazione), e una fase finale di sterilizzazione del prodotto tramite getto di acqua calda a 100°, torrefazione finale per definitiva essiccazione del prodotto.

Il raffreddamento avviene tramite aria filtrata e sterile. Questo metodo garantisce una torrefazione uniforme ed un abbattimento quasi totale della carica batterica. Metodo più complesso ma adottato da gran parte delle industrie che ancora praticano torrefazione.


3.2 Dalla massa al Cioccolato di copertura

Questo metodo prevede pre raffinazione , raffinazione e concaggio.

In un mescolatore si procede ad un primo impasto del Cacao, dello zucchero precedentemente raffinato e reso impalpabile, degli aromi (vaniglia), e dell’eventuale latte . Successivamente la preparazione viene trasportata a raffinatrici a cilindri (da due o tre a cinque realizzati in acciaio centrifugato )per raggiungere il tenore granulometrico necessario ( ca.20 my).

Il prodotto passa da un cilindro all’altro, dall’inferiore al rispettivo superiore, percorrendoli tutti fino allo scarico , che avviene per raschiamento del cilindro. Da questo procedimento si ottiene una “farina” pronta per la definitiva operazione di concaggio.

Il concaggio è uno dei processi determinanti nella lavorazione del cioccolato e, attraverso l’utilizzo di conche orizzontali (Galantini) o conche verticali ( Clover), avviene la trasformazione della struttura della farina da grumoso-polverosa a fluido-plastica. Il ciclo di concaggio dura generalmente 36-72 ore, durante le quali la pasta raggiunge un’elevata palatabilità attraverso i seguenti stadi di lavorazione:

- plastificazione procedimento che trasforma la massa polverosa in arrivo dalle linee di raffinazione in massa fluida e plastica. Il processo avviene ad alte temperature che favoriscono il coaugularsi dei grassi separati dallo shock di raffinazione.

- deumidificazione e deacidificazione consiste nell’evaporazione della maggior parte dell’umidità e delle sostanze volatili presenti ( acido acetico ). E’ necessario ricordare che la presenza di umidità inibisce la plasticità e aumenta la viscosità del cioccolato , causando relative difficoltà di lavorazione. L’eliminazione delle sostanze volatili elimina le acidità e contribuisce alla formazione dell’aroma.

- sviluppo aromatico è il risultato dell’ossidazione avvenuta durante il concaggio, che provoca la trasformazione del sapore di alcuni componenti. La deacidificazione gioca un ruolo importante nel riaggiustamento dei composti aromatici, formando un aroma globale molto equilibrato.

- completamento della ricetta consiste nell’aggiunta di tutte le materie prime che compongono il cioccolato ovvero parte del burro cacao, lecitina e aromi.

Il tutto avviene grazie ad una vera e propria omogeneizzazione a cui viene sottoposto il cioccolato durante la fase finale del concaggio a temperature elevate ( 55-85° )

Solitamente le lecitine e la vaniglia vengono aggiunti al termine del concaggio, soprattutto per non disperdere il tratto aromatico della vaniglia che collabora alla chiusura ed al completamento del bouquet aromatico caratteristico del cioccolato.

A proposito di aromi è necessario spendere alcune parole sulla ricerca che si sta facendo per sostituire gli aromi di sintesi (vanillina ) con aromi naturali.

3.3 Locali di produzione

I locali di produzione dove avvengono i processi di trasformazione, conservazione e confezionamento dei prodotti devono rispettare le attuali normative sull’igiene degli alimenti ed in particolare dell’HACCP.

Le condizioni igienico-sanitarie devono essere garantite in tutte le fasi della lavorazione: produzione, trasformazione, conservazione.

3.4 Principali attrezzature

L’elenco che segue è meramente esemplificativo, non potendosi riportare l’universo di attrezzature utilizzato. Le attrezzature non dovranno essere del tutto meccanizzate ed automatizzate al fine di evitare una standardizzazione della produzione ottenuta come peraltro previsto all’art. 9 del presente disciplinare.


Tostino

Rompicacao

Miscelatore (peltrino o molazza)

Raffinatrice (due, tre, cinque cilindri)

Mulino elicoidale

Mulino a sfere

Conca (verticale, orizzontale o universale)

Temperatrice

Formatrice

Ricopritrice

Abbattitore di temperatura (tunnel o armadio)

Incartatrice

Piccole attrezzature (chitarra, cutter, autoclave, ecc.)


CARAMELLE

Il prodotto è ottenuto mediante cottura di una miscela di sciroppo di glucosio e di zucchero, successivamente addizionata di essenze ed estratti di erbe e piante aromatiche, frutta, succhi, aromi.

La qualità deriva dalla alta percentuale di zucchero e dall’utilizzo di materie prime naturali (frutta succhi, essenze) e di aromi e oli naturali.

Art. 4 Ingredienti

Zuccheri e Polialcoli

Sono ammesse ai sensi dell’art. 1 della legge 31/3/’80, n. 139 le seguenti tipologie di zuccheri:

-     zucchero di fabbrica

-     zucchero o zucchero bianco

-     zucchero raffinato o zucchero bianco raffinato

-     zucchero liquido

-     zucchero liquido invertito

-     sciroppo di zucchero invertito

-     sciroppo di glucosio

-     sciroppo di glucosio disidratato

-     destrosio monoidrato

-     destrosio anigro


Sono esclusi i dolcificanti e gli edulcoranti sintetici ed artificiali.

La quantità minima di zucchero ( saccarosio) in percentuale non deve essere inferiore al 60% per le caramelle dure.

Per le caramelle con ripieno la percentuale minima di zucchero (saccarosio) non deve essere inferiore al 40%.

Sono ammesse le tipologie di zuccheri disciplinate dalla Legge 31/3/’80, n° 139 con esclusione dei dolcificanti ed edulcoranti , prodotti per sintesi chimica come l’aspartame, l’acesulfame, la saccarina, ecc.

Sono ammessi solo i polialcoli che derivino dalla trasformazione dell’amido di mais e dal saccarosio.

Caramelle ripiene

Il prodotto è costituito da una parte esterna ottenuta per cottura di una miscela di zucchero e glucosio, successivamente addizionata di essenze, estratti aromi, e da una parte interna che ne costituisce il ripieno.

Il ripieno deve rappresentare il 15% della caramella totale e può essere costituito da diversi prodotti zuccherini (ad esempio miele, fondantaromatizzato, creme e marmellate di frutta).

Caramelle ripiene al Cioccolato e al Nocciola

Le caramelle ripiene e/o ricoperte di cioccolato devono rispettare, per questo ingrediente, le caratteristiche previste dalla Legge n.351/1976, dal decreto legislativo 12/6/03, n° 178, in attuazione della direttiva CE, relativa ai prodotti di cioccolato, per quanto riguarda i requisiti del “cioccolato puro”.

Nelle ripiene alla nocciola, la nocciola deve essere Nocciola tonda e gentile delle Langhe prodotta nel territorio del Piemonte.

Additivi: è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente

Aromi per caramelle, gommose, pastiglie, gelatine: è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente


Art. 5 Caratteristiche caramelle

Gommose

Nelle gommose, alla miscela di sciroppo di glucosio e di zuccheri, si aggiunge la gomma arabica. La gomma arabica, prodotto naturale di origine vegetale, non deve essere in percentuale, inferiore al 45%. Gli zuccheri non devono essere inferiori al 45%. Sono ammessi gli edulcoranti come i polialcoli.

Sono vietati gli amidi modificati. Sono ammessi gli acidificanti consentiti dalle normative in vigore. Vietato l’uso di conservanti, emulsionanti e gelatine animali.


Pastiglie

Prodotto di confetteria caratteristico e tradizionale, ottenuto dalla miscelazione di zucchero, essenze di frutta e di erbe, aromi. Si distinguono dalle caramelle per la lavorazione a freddo e a pressione. Vietato l’uso di conservanti ed emulsionanti. La percentuale minima di zucchero non deve essere inferiore al 90/%. Sono ammessi gli addensanti vegetali e gli acidificanti consentiti dalla normativa in vigore.


Gelatine di frutta

Alla miscela base di sciroppo di glucosio e di zuccheri viene aggiunta pectina di frutta successivamente acidificata e addizionata con polpa e succhi di frutta caratterizzante e aromi naturali. La polpa di frutta non deve essere inferiore al 15% del prodotto finito. Sono vietati i conservanti ed emulsionanti. Sono ammessi gli acidificanti consentiti dalla normativa in vigore.


Art. 6 Processi produttivi

6.1 Ciclo di lavorazione per caramelle

Le materie prime vengono dosate, miscelate e cotte per ottenere una massa morbida e compatta.

La massa ottenuta viene manipolata, con impastatrice automatica o a mano, con l’aggiunta di eventuali essenze, estratti, creme, aromi, colori, acidificanti per ottenere un impasto omogeneo.

L’impasto viene modellato in caramelle che vengono immediatamente raffreddate.

Infine si procede al confezionamento.

6.2 Ciclo di lavorazione per gommose

Le materie prime vengono dosate, miscelate, riscaldate e sciolte per ottenere una massa fluida.

La massa viene decantata e filtrata per eliminare eventuali impurità e per procedere all’aggiunta di eventuali essenze, estratti, aromi, colori, acidificanti.

L’impasto ottenuto viene colato in cassetti di amido stampati per dare forma alle gommose.

Nella fase successiva le gommose vengono essiccate.

Dopo aver tolto le gommose dai cassetti di amido si procede all’eventuale lucidatura o ingranellatura.

Infine si procede al confezionamento.


6.3 Ciclo di lavorazione per pastiglie

Le materie prime vengono dosate, macinate a velo, miscelate e addizionate con acqua ed eventuali essenze, estratti, aromi, colori, acidificanti per ottenere un impasto omogeneo.

Dall’impasto si forma una sfoglia da cui vengono tagliate o stampate le pastiglie che sono immediatamente essiccate.

Infine si procede al confezionamento.


6.4 Ciclo di lavorazione per gelatine

Le materie prime vengono dosate, miscelate, addizionate con acqua ed eventuali essenze, estratti, aromi, colori, acidificanti e cotte per ottenere una massa fluida.

La massa ottenuta viene colata in cassetti di amido stampato per dare forma alle gelatine.

Nella fase successiva le gelatine vengono essiccate.

Dopo aver tolto le gelatine dai cassetti di amido si può procedere all’eventuale lucidatura o ingranellatura.

Infine si procede al confezionamento.


6.5 Locali di produzione

I locali di produzione dove avvengono i processi di trasformazione, conservazione e confezionamento dei prodotti devono rispettare le attuali normative sull’igiene degli alimenti ed in particolare dell’HACCP.

Le condizioni igienico-sanitarie devono essere garantite in tutte le fasi della lavorazione: produzione, trasformazione, conservazione.

8.8     Principali attrezzature

L’elenco che segue è meramente esemplificativo, non potendosi riportare l’universo di attrezzature utilizzato. Le attrezzature non dovranno essere del tutto meccanizzate ed automatizzate al fine di evitare una standardizzazione della produzione ottenuta come peraltro previsto all’art. 9 del presente disciplinare .

Caldaia (a pressione e a cielo aperto)

Filatore

Formatrice

Essiccatore

Incartatrice


TORRONE

Il torrone è un prodotto semplice che richiede materie prime di qualità, le caratteristiche organolettiche, storiche, culturali del torrone Piemonte, che lo distinguono rispetto ai prodotti delle altre regioni nazionali e che lo collocano su un livello di eccellenza sono soprattutto gli ingredienti: nocciola tonda e gentile delle Langhe prodotta nel territorio del Piemonte, zucchero, miele, albume d’uovo, aromi naturali.

Le principali varietà del torrone piemontese sono:Torrone friabile alla Nocciola, Torrone morbido alla Nocciola,Torrone friabile alla Nocciola ricoperto al cioccolato fondente. Le diverse gradazioni tra la friabilità e la morbidezza sono dovute alla durata della cottura e alla diversa percentuale di alcuni ingredienti come il miele e lo zucchero.


Art. 7 Ingredienti

Torrone friabile alla nocciola

Nel torrone friabile alla nocciola devono essere impiegate queste materie prime, rispettandone i requisiti e le quantità in percentuale. Gli ingredienti principali sono:

A)  Nocciola Piemonte

Utilizzo di nocciola tonda e gentile delle Langhe prodotta nel territorio del Piemonte tostata, da utilizzare in quantità non inferiore al 50% del peso totale del prodotto. La nocciola utilizzata nei processi di trasformazione deve essere quella dell’ultimo raccolto, desumibile dal lotto di produzione.

A)     Miele

Il miele deve essere di fiori d’acacia o mille fiori, preferibilmente di origine piemontese, in quantità non inferiore al 20% del peso totale del prodotto. La provenienza strettamente piemontese non può essere un vincolo per non incorrere nella carenza del prodotto, dovuto alle conseguenze di diversi fattori climatici, come quello recente della elevata mortalità delle api.

B)    Zuccheri

Sono ammesse ai sensi dell’art. 1 della legge 31/3/’80, n. 139 le seguenti tipologie di zuccheri:

-     zucchero di fabbrica

-     zucchero o zucchero bianco

-     zucchero raffinato o zucchero bianco raffinato

 -    zucchero liquido

-     zucchero liquido invertito

-     sciroppo di zucchero invertito

-     sciroppo di glucosio

-     sciroppo di glucosio disidratato

-     destrosio monoidrato

-     destrosio anigro

Sono esclusi i dolcificanti e gli edulcoranti sintetici ed artificiali.

D)  Aromi è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente

7.1 Torrone ricoperto al Cioccolato

In questa tipologia l’unica variante è il cioccolato. In questo caso la copertura di cioccolato deve rispondere alle caratteristiche previste dalla legge nazionale n. 351 del 30/4/76, dal decreto legislativo 12/6/03, n° 178, in attuazione della direttiva CE.

Per tutti gli altri ingredienti si fa riferimento a quanto previsto all’art.2.


Art. 8 Processo produttivo

8.1 Tostatura e selezione della nocciola

La nocciola può essere acquistata tostata o cruda. Nel caso di nocciole crude, occorre sgusciarle e tostarle

Prima dello stoccaggio devono essere controllate per eliminare quelle guaste che possono rendere rancido il torrone.

8.2 Dosaggio e Miscelazione di zucchero,miele,albume

8.3 Cottura

La miscela viene posta in contenitori-caldaia riscaldati e lavorati ad una temperatura tra i 70-100 gradi. Quando l’impasto è cotto, e ha raggiunto un buon livello di omogeneità e fluidità, vengono aggiunte, negli ultimi minuti, le nocciole.

8.4 Messa in forma e tiraggio a mano

La pasta, resa omogenea con le nocciole, viene tirata e modellata a mano in apposite forme o stampi, in precedenza foderati all’interno con l’ostia.

La tiratura a mano è molto importante ai fini della friabilità del prodotto.

8.5 Raffreddamento

8.6 Taglio e Confezionamento

8.7 Locali di produzione

I locali di produzione dove avvengono i processi di trasformazione, conservazione e confezionamento dei prodotti devono rispettare le attuali normative sull’igiene degli alimenti ed in particolare dell’HACCP.

Le condizioni igienico-sanitarie devono essere garantite in tutte le fasi della lavorazione: produzione, trasformazione, conservazione, distribuzione.

8.8    Principali attrezzature

L’elenco che segue è meramente esemplificativo, non potendosi riportare l’universo di attrezzature utilizzato. Le attrezzature non dovranno essere del tutto meccanizzate ed automatizzate al fine di evitare una standardizzazione della produzione ottenuta come peraltro previsto all’art. 9 del presente disciplinare .

Caldaia o Torroniera (a pressione o a cielo aperto)

Incartatrice.

Art. 9    Manualità’

Nei processi di produzione la manualità rappresenta l’elemento distintivo che consente di differenziare l’impresa artigiana dall’impresa industriale: durante le fasi di trasformazione è quindi indispensabile che la manualità sia non solo presente, ma determinante per la qualità finale del prodotto. La capacità e l’esperienza dell’artigiano sono infatti indispensabili per governare il processo produttivo al fine di ottenere un prodotto d’eccellenza.

La produzione artigiana non può essere caratterizzata dall’assoluta serialità del prodotto, tuttavia occorre che il prodotto stesso, compatibilmente con il rispetto delle esigenze di stagionalità e di mercato, non abbia caratteristiche morfologiche ed organolettiche eccessivamente discontinue.


Art. 10    Requisiti

Data la complessità del settore, l’imprenditore artigiano deve avere un’approfondita conoscenza delle tecniche di lavorazione tradizionali, dei processi produttivi, delle materie prime e degli ingredienti utilizzati e deve essere in grado di partecipare direttamente alle fasi produttive.

E’ richiesta un’ esperienza di almeno 5 anni nel settore.

Qualora il periodo sia inferiore a quello sopra indicato, possono concorrere al raggiungimento del tetto dei 5 anni i periodi di attività produttiva nel settore (da documentare), in qualità di dipendente o di coadiuvante con mansioni lavorative adeguate.

E’ sufficiente un periodo di lavoro nel settore di 4 anni per chi avesse effettuato un percorso di formazione specifica presso scuole di formazione accreditate (per un minimo di 1200 ore) oppure sia in possesso di una formazione professionale nel settore.

Nel caso di consorzi di imprese, sarà indispensabile che almeno i 4/5 delle imprese che ne fanno parte siano riconosciute imprese dell’Eccellenza Artigiana.

10.1   Norme di ammissione

Le imprese artigiane dovranno provare la propria capacità compilando la domanda- questionario predisposta, allegando:

    curriculum dettagliato in cui evidenziare

1.    esperienze produttive

2.    eventuale partecipazione ad Esposizioni, Mostre, Rassegne di settore

3.    partecipazione attiva a percorsi formativi anche in collaborazione con associazioni di categoria e/o di settore

    documentazione fotografica del laboratorio artigiano

10.2   Accettazione delle domande

Il riconoscimento viene effettuato dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato (C.P.A.) competente per territorio, supportata da esperti, ai sensi delle normative vigenti.

La C.P.A., esaminate le domande e la documentazione prodotta, potrà, qualora ne ravvisi la necessità, potrà richiedere specificazioni attraverso:

    documentazioni aggiuntive

    colloqui diretti

    sopralluoghi presso le aziende dei richiedenti.

10.3   Attività di commercio

Potranno essere riconosciute le aziende artigiane che svolgono in forma secondaria attività commerciale a condizione che non si generi confusione tra il prodotto regolarmente realizzato in azienda e quello unicamente commercializzato.

10.4   Titolarità del riconoscimento

Il riconoscimento è attribuito all’impresa ai sensi della L.R. 21/97 e s.m.i., art. 28.

I requisiti richiesti dal Disciplinare devono sussistere in capo al titolare o almeno ad uno dei soci dell’impresa.

Ogni modifica e variazione d’impresa deve essere comunicata alla competente Commissione Provinciale per l’Artigianato che valuta il permanere dei requisiti di eccellenza.

10.5    Denominazione

E’ stata individuata la denominazione “Eccellenza Artigiana” con D.G.R. n. 30 - 322 del 29/06/2000 da attribuire alle imprese che hanno ottenuto il riconoscimento dell’artigianato artistico, tipico, tradizionale di ogni settore e conseguente annotazione specifica all’Albo provinciale delle imprese artigiane.

A tali imprese viene attribuito il marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” approvato con D.G.R. n. 3 - 1713 del 14/12/2000.

L’uso, lo sviluppo e la diffusione di tale marchio è disciplinato da regolamento approvato con D.G.R. n. 4 -1714 del 14/12/2000.

Il richiamo all’ Eccellenza Artigiana in Mostre, Esposizioni, Manifestazioni, potrà essere utilizzato solo se il 90% delle imprese partecipanti risulteranno essere in possesso del marchio di eccellenza.

I concessionari utilizzatori della denominazione in oggetto e dei rispettivi elementi identificativi, si impegnano a proteggere il marchio e la sua immagine e a compiere ogni sforzo per propagandarlo.

In ogni caso, proprietario esclusivo del marchio è la Regione Piemonte.

10.6    Iter procedurale

Al fine di poter riassumere e di chiarire meglio quanto sopra espresso, evidenziamo le procedure di riconoscimento, che risultano pertanto:

·    Compilazione della domanda-questionario

·    Primo grado di valutazione delle imprese sulla base della domanda- questionario

    Acquisizione di ulteriore documentazione

    Approfondimento con eventuale richiesta di colloquio

    Predisposizione di controlli in azienda

    Previsione della possibilità di ricorso

10.7     Ricorsi

I ricorsi dovranno essere presentati seguendo le stesse modalità previste per i ricorsi su iscrizioni e cancellazioni dall’Albo delle imprese artigiane, alla Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.) che potrà avvalersi della consulenza della Commissione per il Disciplinare del settore.

10.8     Controlli

La Regione potrà, nell’ambito delle revisioni degli Albi provinciali delle imprese artigiane, attuare procedure al fine di verificare il persistere dei requisiti, come previsto dall’art. 44 della L.R. 21/97 e s.m.i.

L’impresa si impegna a dare alla Commissione Provinciale per l’Artigianato competente ogni facoltà per procedere di volta in volta a controlli di accertamento dei requisiti e l’ impresa si impegna a dare spiegazioni rilasciando eventuale documentazione fiscale-contabile (fatture, registri, ecc). Le Commissioni Provinciali dell’Artigianato, competenti per territorio, in qualsiasi momento lo ritenessero opportuno, potranno svolgere indagini ed ispezioni per verificare il permanere, in capo all’impresa che abbia ottenuto il riconoscimento di “eccellenza artigiana”, dei requisiti richiesti dai rispettivi disciplinari di produzione.

10.9   Cancellazione del riconoscimento

Qualora si riscontri la non conformità dell’utilizzazione del marchio secondo quanto previsto nel Regolamento Regionale n. 1/R del 15 gennaio 2001 recante disposizioni sull’uso del Marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” e l’inosservanza delle prescrizioni previste dal presente disciplinare, la Commissione Provinciale per l’Artigianato, competente territorialmente, diffida l’impresa dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio, invitandola ad adeguarsi a quanto previsto dal regolamento stesso.

In caso di reiterazione dell’inadempienza e/o perdita dei requisiti richiesti dai disciplinari, la C.P.A. competente territorialmente, provvede anche ai sensi dell’art. 45 della L.R. 21/97 alla cancellazione dell’annotazione di “Eccellenza Artigiana” dell’impresa dall’Albo, sentito in ogni caso l’interessato.


Art. 11   Botteghe Scuola

Le imprese riconosciute sulla base dei criteri previsti nel presente Disciplinare e di quelli stabiliti dalla Regione Piemonte, sentito il parere della Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.), potranno accedere, ai sensi dell’art. 29 della L.R. 21/97 s.m.i., a tutti i vantaggi di cui usufruiscono le imprese “riconosciute”, tra cui la possibilità di partecipare al progetto formativo/lavorativo “bottega scuola”.


Legge regionale 9 maggio 1997, n. 21
e successive modifiche


NORME PER LO SVILUPPO E LA

QUALIFICAZIONE DELL’ARTIGIANATO


Capo VI

Artigianato artistico e tipico di qualità


Art. 26 Obiettivi

1. La Regione tutela e promuove le lavorazioni dell’artigianato che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tipicita’ dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura, anche di derivazione locale.

2. Con riferimento alle produzioni indicate al comma 1 la Regione persegue i seguenti obiettivi:

a) tutela dei requisiti di professionalita’ e di origine delle produzioni dell’artigianato artistico e tipico;

b) qualificazione e innovazione delle lavorazioni attuate sotto il profilo stilistico, tecnologico, dei materiali e dei processi utilizzati;

c) valorizzazione delle produzioni realizzate sia sul mercato interno che su quello internazionale;

d) divulgazione e diffusione della conoscenza delle tecniche, delle produzioni realizzate e dei requisiti di manualita’ e professionalita’ insiti nelle lavorazioni artistiche e tipiche;

e) acquisizioni e documentazioni concernenti le origini, lo sviluppo storico e i percorsi evolutivi delle lavorazioni;

f) sostegno alla creazione e allo sviluppo di nuove imprese tramite progetti di recupero e rivitalizzazione di attivita’ tradizionali o artistiche locali.

3. L’individuazione delle lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico tutelate e’ approvata dalla Giunta regionale, anche per settori di attivita’ affini o complementari. La Giunta regionale si avvale della Commissione regionale per l’artigianato. Con lo stesso provvedimento si individuano e si delimitano i territori interessati nel caso in cui le lavorazioni in essere risultino collegate a particolari ambiti territoriali di esecuzione o di approvvigionamento delle materie prime impiegate nella produzione, anche in riferimento al contenuto di cui all’articolo 15 della legge regionale 9 ottobre 1995, n. 72 e successive modificazioni.


Art. 27 Disciplinari di produzione

1. Per le lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico individuate dalla Giunta regionale sono predisposti appositi disciplinari con i quali sono descritti i caratteri delle tecniche produttive adottate, dei materiali impiegati e di quanto altro concorre a individuare e qualificare le lavorazioni in essere.

2. I disciplinari delle lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico sono predisposti da apposite Commissioni e sono approvati dalla Giunta regionale, sentita la Commissione regionale per l’artigianato.
3. Le Commissioni di cui al comma 2 sono costituite da:

a) due esperti di storia e tecnica delle particolari lavorazioni considerate;

b) un imprenditore artigiano che risulti in attività da almeno sette anni nello stesso settore delle lavorazioni artistiche e tipiche oggetto di disciplinare, o da un imprenditore artigiano in quiescenza con esperienza di almeno sette anni nel settore oggetto del disciplinare;

c) un rappresentante designato dall’ente locale presso cui risultano le maggiori consistenze produttive delle attività prese in esame;

d) un rappresentante designato dalle associazioni e dalle confederazioni sindacali artigiane regionali maggiormente rappresentative;

e) il dirigente della struttura regionale competente per materia o suo delegato.

4. L’individuazione degli esperti e dell’imprenditore artigiano di cui al comma 3, lettere a) e b) è effettuata dal responsabile della Direzione regionale competente per materia, a seguito di pubblicazione di avviso indicante i requisiti e le condizioni richieste per ricoprire l’incarico, sulla base di criteri stabiliti dalla Giunta regionale, sentita la Commissione regionale per l’artigianato.

5. Alla nomina delle Commissioni per i disciplinari, nonché alla loro reintegrazione nel caso in cui si determinino vacanze dagli incarichi conferiti o abbandoni, si provvede con determinazione della Direzione regionale competente per materia."


Art. 28 Imprese artigiane delle
lavorazioni artistiche e tipiche

1. Le imprese artigiane che esercitano le lavorazioni artistiche e tipiche individuate dalla Giunta regionale, sono censite a cura delle Commissioni provinciali per l’artigianato competenti per territorio, previo accertamento della rispondenza delle produzioni attuate dai richiedenti con i requisiti stabiliti dai relativi disciplinari di produzione.

2. Gli imprenditori artigiani che esercitano attivita’ nell’ambito delle lavorazioni artistiche e tipiche possono inoltrare domanda alla Commissione provinciale per l’artigianato, per ottenere il riconoscimento di impresa artigiana del settore artistico e tipico. Sulla domanda di riconoscimento presentata dalle imprese la Commissione provinciale decide nei tempi e con le modalita’ previste per l’iscrizione all’albo provinciale delle imprese artigiane.

3. Il riconoscimento di impresa artigiana operante nel campo delle lavorazioni artistiche e tipiche e’ attuato mediante idonea annotazione nell’albo provinciale delle imprese artigiane, riportando altresi’ la descrizione della particolare lavorazione attuata.

4. Le modalita’ tecniche delle annotazioni da apportare agli albi provinciali delle imprese artigiane sono determinate dalla Giunta regionale, sentito il parere della Commissione regionale per l’artigianato, sulla base di criteri atti a garantire l’unitarieta’ del sistema informativo costituito dagli albi provinciali.


Art. 29 Interventi

1. Per il perseguimento degli obiettivi previsti all’articolo 26 la Giunta regionale promuove, anche in concorso con enti locali, enti pubblici e privati, fondazioni, confederazioni sindacali artigiane, associazioni e consorzi di imprese:

a) la predisposizione di appositi disciplinari di produzione di cui all’articolo 27;

b) la ricerca di nuovi modelli e la realizzazione e sperimentazione tecnica di nuovi prodotti nonche’ la realizzazione di marchi di qualita’ e d’origine;

c) la realizzazione di rassegne ed esposizioni tematiche di manufatti che documentino l’evoluzione della tecnica e degli stili legati alle produzioni realizzate nel campo delle lavorazioni artistiche e tipiche;

d) la realizzazione di pubblicazioni, cataloghi, supporti audiovisivi che illustrano l’evoluzione storica, le testimonianze, le tecniche produttive e i valori intrinseci delle produzioni dell’artigianato artistico e tipico;

e) la partecipazione delle imprese artigiane operanti nei settori delle lavorazioni artistiche e tipiche a rassegne e manifestazioni di carattere commerciale sia in Italia che all’estero;

f) l’allestimento, presso le strutture pubbliche di conservazione di beni culturali, di spazi idonei alla presentazione e alla vendita di oggetti e riproduzioni ispirati alle collezioni ivi esistenti;

g) la realizzazione di corsi di addestramento tecnico-pratico nelle botteghe artigiane, basati sull’apporto formativo diretto degli imprenditori artigiani, secondo quanto previsto all’articolo 31;

h) ogni altra iniziativa ritenuta utile e opportuna per la valorizzazione dell’artigianato artistico e tipico.

2. La Giunta regionale, entro il 30 novembre di ogni anno, sentita la Commissione regionale per l’artigianato e informata la Commissione consiliare competente, predispone il piano per l’anno successivo degli interventi per l’artigianato artistico e tipico.

3. Con il piano degli interventi vengono individuate le lavorazioni prioritarie da incentivare, anche con riferimento a determinati ambiti territoriali, i criteri di riparto dei contributi in relazione alle diverse tipologie di intervento previste, i limiti massimi di spesa per l’elaborazione dei disciplinari e per l’attuazione degli interventi, unitamente ai requisiti dei soggetti che vi fanno ricorso.


Art. 30 Modalità degli interventi

1. Gli interventi possono essere promossi direttamente dalla Regione o da soggetti esterni quali enti locali, consorzi di imprese, associazioni di categoria, enti vari, fondazioni e istituti operanti senza fini di lucro che si propongono scopi di promozione dell’artigianato artistico e tipico di qualita’.

2. Il finanziamento degli interventi e’ disposto sulla base di un progetto delle iniziative da attuare, con cui vengono determinati gli obiettivi che si intendono conseguire e il piano economico-finanziario previsto. La Giunta regionale, nei limiti degli stanziamenti appositamente autorizzati con l’approvazione del bilancio di previsione, provvede fissando anche i termini e le modalita’ di attuazione delle iniziative programmate.

3. Nel caso in cui le iniziative siano promosse e realizzate previa richiesta di finanziamento da parte di terzi, i contributi regionali possono essere concessi fino all’80 per cento della spesa riconosciuta ammissibile e comunque per un importo non superiore a quanto determinato ai sensi dell’articolo 29, comma 3, in relazione a ciascuna tipologia di intervento prevista.

4. I progetti di intervento devono essere presentati alla Regione, dai soggetti indicati al comma 1, nei termini previsti dal piano degli interventi di cui all’art. 29, per poter ottenere il finanziamento, di norma, a carico dell’esercizio finanziario corrispondente allo stesso anno.


Art. 31 Istruzione e addestramento artigiano

1. Le imprese artigiane che hanno ottenuto dalla Commissione provinciale per l’artigianato il riconoscimento di imprese operanti nei settori delle lavorazioni artistiche e tipiche, cosi’ come definite dalla presente legge, possono essere chiamate a concorrere alla attuazione dell’istruzione artigiana, in qualita’ di botteghe scuola, sulla base di apposite convenzioni che valorizzino appieno la prevalente funzione formativa.

2. L’istruzione artigiana volta alla formazione nei settori artistici e tipici, deve essere svolta per almeno un terzo delle ore totali di insegnamento presso le imprese artigiane, singole o associate, individuate come botteghe-scuola.

3. In aggiunta agli interventi definiti attraverso i programmi e le azioni regionali nel campo della formazione professionale, la Regione puo’ favorire la realizzazione di programmi di addestramento tecnico-pratico non previsti nei piani regionali di formazione professionale, rivolti alla trasmissione delle conoscenze tecniche e delle abilita’ di lavoro manuale connesse a particolari prestazioni concernenti anche e in particolare la riproduzione, la manutenzione e il restauro di beni di particolare interesse storico o pregio artistico.

4. Possono beneficiare dell’intervento regionale gli organismi associativi, operanti senza fini di lucro, costituiti da artigiani che vantano professionalita’ specifiche nei particolari mestieri da tutelare e tramandare; le singole imprese artigiane, con le stesse caratteristiche, che si impegnano a realizzare cicli di addestramento tecnico-pratico all’interno delle botteghe artigiane rivolti a soggetti che intendono acquisire le capacita’ tecnico-professionali connesse allo svolgimento delle lavorazioni. L’intervento regionale consiste in un contributo all’organismo o impresa che organizza i corsi per ogni allievo impegnato nell’attivita’ di addestramento pratico. L’importo dei contributi regionali e’ determinato con il piano degli interventi di cui all’articolo 29, comma 2 e in ogni caso non puo’ superare la meta’ del salario mensile di un apprendista, calcolato al netto dei contributi assicurativi e previdenziali, secondo i minimi tabellari contrattualmente in vigore per le corrispondenti categorie di attivita’, per non piu’ di due anni consecutivi.

5. La concessione ed erogazione dei contributi e’ disposta sulla base dei criteri definiti con il piano annuale degli interventi di cui all’articolo 29, con deliberazione della Giunta regionale che determina altresi’ le modalita’ di svolgimento delle attivita’ di addestramento tecnico e di rendicontazione finale delle spese sostenute.

6. La Regione puo’ concedere inoltre agli allievi che partecipano ai cicli di addestramento di cui al comma 4 borse di studio con i criteri e le modalita’ da stabilirsi con il Piano degli interventi di cui all’articolo 29, comma 2.

(omissis)

Regolamento regionale sull’uso del marchio
“Piemonte Eccellenza Artigiana”


Decreto del presidente della Giunta Regionale
15 gennaio 2001, n. 1/R.

Il Presidente della Giunta Regionale

Visto l’art. 121 della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 22/11/1999, n.1;
Visto l’articolo 29 della legge regionale 9 maggio 1997, n. 21;
Vista la deliberazione della Giunta regionale n. 4-1717 del 14 dicembre 2000;
Preso atto che il Commissario di Governo ha apposto il visto

emana

il seguente regolamento:

REGOLAMENTO D’USO DEL MARCHIO
“PIEMONTE ECCELLENZA ARTIGIANA”


Art. 1 Finalità

1. La stesura del presente regolamento si inserisce nel quadro normativo della L.R. 21/97 s.m.i (L.R. 24/99) - CapoVI predisposto dalla Regione Piemonte per la valorizzazione, la tutela, la promozione e lo sviluppo delle lavorazioni artigiane che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tipicità dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura anche di derivazione locale.


Art. 2 Azioni

1. Tra le azioni e gli strumenti che la legge regionale indica per perseguire le finalità di cui sopra, all’art.28 si individua come fondamentale il riconoscimento, da parte delle Commissioni provinciali per l’Artigianato, di quelle imprese che, avendo i requisiti definiti dai Disciplinari di Produzione dei settori individuati con D.G.R. n° 27-24980 del 6/07/1998, ottengono idonea annotazione nell’Albo delle imprese artigiane.


Art. 3 Interventi

1. Tra gli interventi, di cui all’art. 29 della L.R. 21/97, è prevista la realizzazione di un marchio di qualità.


Art. 4 Denominazione

1. Con la denominazione “Eccellenza Artigiana” si intende indicare l’impresa che ha ottenuto il riconoscimento e l’annotazione, ai sensi dell’art. 28 della L.R. 21/98


Art. 5 Soggetti autorizzati all’utilizzo della denominazione

1. Ottengono tale denominazione quelle imprese e quei consorzi che, previo accertamento da parte delle Commissioni provinciali per l’artigianato, competenti per territorio, della rispondenza dei requisiti con i relativi disciplinari di produzione, avendo avuto l’approvazione, sono state annotate all’Albo delle imprese artigiane, quali imprese di “eccellenza artigiana”.



Art. 6 Marchio

1. Il marchio è stato realizzato per rappresentare ed esaltare lo storico ed imprescindibile intreccio tra l’artigianato e la cultura, le tradizioni e lo sviluppo del Piemonte.

2. Il marchio (in bianco e nero e a colori) che si allega come parte integrante del presente regolamento risulta costituito da un rettangolo a bordo nero contenente a sinistra lo stemma della Regione Piemonte, a destra il simbolo specifico dell’artigianato artistico, con al centro il logo “Piemonte Eccellenza Artigiana”, accompagnato dalla base-line “Perché la qualità riconosciuta sia riconoscibile”.

3. Ferma restando l’immagine grafica come sopra descritta, l’impresa è autorizzata ad utilizzare il marchio nella versione a colori o in bianco e nero nelle dimensioni più confacenti alle diverse esigenze.


Art. 7 Registrazione marchio

1. La registrazione del marchio avviene ai sensi della normativa vigente.


Art. 8 Soggetti autorizzati all’utilizzo del marchio

1. L’utilizzo del marchio è riservato in via esclusiva alle imprese che ottengono il riconoscimento di “Eccellenza artigiana” ai sensi dell’art. 28 della legge 21/97 e s.m.i.

2. L’impresa è autorizzata a utilizzare il marchio dal momento dell’annotazione effettuata ai sensi dell’art. 28 della L.R. 21/97 e delle relative procedure di attuazione.

3. Le modalità di utilizzazione del marchio sono disciplinate dal presente regolamento.

4. L’impresa di “eccellenza artigiana” deve utilizzare il marchio nella forma e con le modalità anche grafiche previste, senza modificazione di sorta, esclusivamente per la propria impresa, essendo esclusa la facoltà di autorizzare terzi, compresi eventuali subfornitori ad utilizzare il marchio in qualunque modo o forma.


Art. 9 Modalità di utilizzo del marchio

1. L’uso e la pubblicizzazione del marchio può avvenire unicamente:

a) in ogni documento di presentazione dell’impresa (quali ad esempio, carta intestata, biglietto da visita e fatture);

b) in ogni iniziativa commerciale o pubblicitaria;

c) negli stand presso fiere ed esposizioni;

d) nel contesto dell’insegna dei propri laboratori.


Art. 10 Controlli e vigilanza

1. Le Commissioni Provinciali per l’Artigianato, nell’ambito delle proprie competenze attinenti alla corretta tenuta dell’Albo delle imprese artigiane, possono in ogni momento verificare il permanere in capo all’impresa che abbia ottenuto il riconoscimento di “eccellenza artigiana” dei requisiti richiesti dai rispettivi disciplinari di produzione.

2. In caso di perdita dei requisiti richiesti dai disciplinari, la Commissione provinciale per l’Artigianato competente territorialmente, provvede ai sensi dell’art. 45 della L.R. 21/97 alla cancellazione dell’annotazione dell’impresa dall’Albo, sentito in ogni caso l’interessato.

3. Le Commissioni Provinciali per l’Artigianato vigilano inoltre sull’osservanza del presente regolamento, sull’utilizzo del marchio da parte delle imprese.

4. Qualora si riscontri la non conformità dell’utilizzazione del marchio al regolamento d’uso ed alle prescrizioni dei disciplinari, la Commissione competente territorialmente diffida l’impresa dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio invitandola ad adeguarsi al presente regolamento.


Art. 11 Parere UE

1. Ogni utilizzo del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” rilevante ai fini commerciali è sospeso fino al conseguimento del parere favorevole dell’Unione europea.

Il presente regolamento regionale sarà pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione.

E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Torino, addì 15 gennaio 2001

Enzo Ghigo


                    Allegato A


Art. 6


Estratto dal Bollettino Ufficiale Regione Piemonte - numero 8 del 21 febbraio 2001

Comunicato della Direzione Affari istituzionali e
processo di delega

DGR n. 4-1714 del 14 dicembre 2000 “L.r. 21/1997, art. 29. Approvazione del Regolamento d’uso del marchio ”Piemonte Eccellenza Artigiana"

Con nota prot. n. 3241/5 del Presidente della Giunta Regionale del 15 febbraio 2001, si è provveduto al ritiro della notifica del regolamento in oggetto, in quanto il medesimo è risultato non concretizzare un regime di aiuto.

Quanto sopra comporta la non applicabilità della clausola di sospensione prevista all’articolo 11 del regolamento stesso.



QUADRO DI RIFERIMENTO NORMATIVO
SETTORE CIOCCOLATO, CARAMELLE, TORRONE

   

Regio D. Legge 15 ottobre 1925, n° 2033: Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari.

Legge 19 febbraio 1992, n° 142: Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1991).

D. Ministeriale 2 dicembre 1991, n° 446: Regolamento concernente le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’impiego delle preparazioni dell’enzima chimosina ottenute da microrganismi geneticamente modificati nella coagulazione del latte destinato alla produzione di formaggi.

D.P.R. 17 maggio 1988, n° 180: Attuazione della direttiva CEE n° 83/417 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative a talune lattoproteine (caseine e caseinati) destinate all’alimentazione umana, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n° 183.

D. Ministeriale 24 gennaio 2000: Variazione dell’elenco dei laboratori specializzati per le analisi di revisione.

Legge nazionale n. 351 del 30/04/1976. Nuova disciplina della produzione e del commercio dei prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana.

Decreto legislativo 12/06/03, n. 178 . Attuazione della direttiva 2000/36 CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana.

AUTOCONTROLLO MEDICO-MICROBIOLOGICO: HACCP (Hazard Analysis And Critical Control Points)

D. _Legislativo 26 maggio 1997, n° 155: Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari.

Legge 21 dicembre 1999, n° 526: Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.

Circolare Ministeriale 13 gennaio 2000, n° 1: Modalità per il rilascio delle autorizzazioni ai laboratori adibiti al controllo ufficiale dei prodotti a denominazione di origine e ad indicazione geografica, registrati in ambito comunitario.

Circolare Ministero della Sanità 26 gennaio 1998, n° 1: Aggiornamento e modifica della circolare n° 21 del 28 luglio 1995 recante: “Disposizioni riguardanti l’elaborazione dei manuali di corretta prassi igienica in applicazione D. Legislativo 26 maggio 1997, n° 155”.

Circolare Ministeriale 7 agosto 1998, n° 11: Applicazione del D. Legislativo 26 maggio 1997, n° 155, riguardante l’igiene dei prodotti alimentari.