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Supplemento Ordinario n. 2 al B.U. n. 28

Deliberazione della Giunta Regionale 12 luglio 2004, n. 42-13013

L.R. n. 21/97 e s.m.i. - Capo VI - Artigianato Artistico e Tipico di Qualità - Art. 27 - Approvazione del Disciplinare per l’Eccellenza dell’impresa Artigiana Alimentare Settore Caseario

(omissis)

LA GIUNTA REGIONALE

a voti unanimi...

delibera

di approvare, sentite la Commissione Regionale per l’Artigianato e le Associazioni di Categoria (Confartigianato, C.N.A., CASA), il Disciplinare per l’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare Settore Caseario allegato alla presente deliberazione quale parte integrante, predisposto dalla apposita Commissione di Disciplinare di Produzione.

La presente deliberazione verrà pubblicata sul B.U. della Regione Piemonte, ai sensi dell’art. 65 dello Statuto e dell’art. 14 del D.P.G.R. n. 8/R/2002.

(omissis)

                    Allegato






DISCIPLINARE PER L’ECCELLENZA
DELL’IMPRESA ARTIGIANA ALIMENTARE
CASEARIO


INTRODUZIONE

IL FORMAGGIO: CENNI STORICI

La trasformazione del latte in prodotto caseario si accompagna alla storia dell’uomo sin dalle origini, rispondendo all’esigenza di conservare nel tempo un prodotto così essenziale per l’alimentazione come il latte.

La trasformazione del latte coincide con la fase di passaggio dalla situazione di nomade cacciatore a quella di pastore e agricoltore, connotata da una maggiore stanzialità. Esistono testimonianze dell’addomesticamento degli animali lattiferi e dell’uso del latte da essi prodotto nella valle del Tigri e dell’Eufrate (Iran-Iraq) già dal 6-7000 a.c., mentre risale alla prima metà del III millennio a.c. la più antica rappresentazione conosciuta dell’arte della fabbricazione del formaggio, il bassorilievo sumerico denominato “Fregio della latteria”, nel quale si distinguono chiaramente le fasi le varie fasi di lavorazione del formaggio, dalla mungitura alla cagliatura del latte alla messa in forma.

Tradizionalmente il gregge ovicaprino rappresenta la prima sorgente di latte, poiché capre e pecore meglio si adattano alle diverse situazioni ambientali e pongono quindi minori problemi per il loro mantenimento.

Altrettanto tradizionalmente i primi derivati del latte non sono stati i formaggi, mai cosiddetti “latti agri”, antenati del nostro yogurt, prodotti che ancora si producono tradizione resiste ancora in quelle aree di influenza ottomana (Anatolia, Balcani).

Il passaggio dai latti fermentati al formaggio si narra sia avvenuto per caso, frutto dell’utilizzo di otri ricavati dagli stomaci degli agnelli quali contenitori per il latte. Durante il trasporto, per l’azione combinata del calore e del rimescolamento con i tessuti animali dello stomaco dell’agnello, si produsse la prima coagulazione della cagliata. Peraltro dovevano già essere noti gli effetti coagulanti del contatto del latte con alcune specie vegetali, quali il cardo o il bastoncino di fico.

Quale che sia la sua origine, tracce dell’importanza del formaggio si ritrovano nella civiltà egizia ed ebraica (nella Genesi Abramo offre latte inacidito agli angeli che gli hanno fatto visita), ma è sicuramente con il diffondersi della civiltà greca e con la sua successiva “assimilazione” da parte di Roma che l’uso del formaggio assume una dimensione essenziale.

Non a caso, infatti, la mitologia greca assegna al pastore Aristeo, figlio della ninfa Cirene e del dio Apollo, la paternità del primo “cacio”, Polifemo nell’Odissea produce formaggio e Aristotele, nella “storia degli animali” cita i formaggi siciliani di latte ovino e caprino prodotti con l’impiego del caglio per accelerare la coagulazione.

Con la conquista romana della Grecia la produzione del formaggio conosce un notevole sviluppo e comincia ad assumere una connotazione più “strutturata”: i romani erano gran produttori e mangiatori di formaggi, sia freschi che stagionati e come componenti di piatti.

I principali tipi di formaggio in uso presso i romani sono descritti da Terenzio Varrone nel II sec. a.c. che menziona caci vaccini, caprini e pecorini, freschi e stagionati, soffermandosi sull’influenza delle diverse qualità di latte sulla produzione, sui migliori coagulanti e sul modo migliore di produzione.

Nel I secolo dopo Cristo Columella nel libro VII del suo De Re Rustica fornisce la prima trattazione tecnica della produzione del formaggio. In primo luogo opera una prima distinzione nella nomenclatura, indicando con il termine “formaggio”, dal greco “formaticum”, canestro, i prodotti derivanti dallo spurgo della cagliata compiuto in canestri, con caratteristiche quindi di maggiore consistenza e destinati perciò all’invecchiamento e definendo “caci”, sinonimo di latte rappreso, i formaggi freschi, di pronta consumazione. Columella inoltre conduce un’analisi “sistematica” degli elementi necessari alla caseificazione (tipo di caglio, riscaldamento del latte, salatura, ambiente di stagionatura) evidenziandone gli effetti in relazione alla tipologia di formaggio desiderata.

In epoca romana assume altresì maggiore rilevanza l’allevamento vaccino e, durante l’impero, nascono anche i primi caseifici, come testimonia Ulpiano, che racconta di aver dovuto difendere un produttore accusato di aver inquinato un fiume con i residui di produzione.

Poche notizie rimangono della produzione casearia del Medioevo. Con la caduta dell’impero romano, gli allevatori abbandonarono la campagna per fuggire alle razzie dei barbari e si rifugiarono sulle Alpi. La rinascita dell’arte casearia deve attendere l’anno Mille e l’avvento del monachesimo. I monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle, rivoluzionarono le tecniche agricole introducendo l’irrigazione dei campi che si diffuse in tutta la regione favorendo l’allevamento bovino e la produzione di grandi quantità di formaggio.

La necessità di conservare le grandi quantità di latte portò alla produzione di grossi formaggi a pasta dura adatti alla conservazione, gli antenati del Grana. Nascono così i grandi centri aziendali padani, detti cascine dalla trasformazione del latte in “caseus”. Nel 1200 la valle padana diventa il principale mercato caseario d’Europa e nel 1300 i formaggi di Piacenza e di Lodi sono esportati. Il tredicesimo secolo vede anche la nascita dello Stracchino di Gorgonzola, in connessione con la transumanza delle vacche che in autunno rientravano dalla Svizzera nelle stalle della pianura milanese. Affaticate dalla marcia le bestie davano un latte “stracco” che produceva cagliate slegate e gonfie, soggette all’ammuffimento.

Ancorché sia impossibile rintracciare l’esatta origine storica del Grana, ne fa menzione Boccaccio nella terza novella del Decameron nel 1348 e, più diffusamente Pantaleone da Confidenza, medico presso la corte sabauda di Torino, nella Summa lacticinorum del 1477, primo trattato organico sui derivati del latte, autentica enciclopedia dei formaggi dell’Europa tardo medievale.

Di pari passo con lo sviluppo della produzione italiana si muove anche quella degli altri paesi d’Europa. In Francia, oltre alle notizie sul roquefort e sul brie risalenti all’XI secolo, nel 1288 si ha notizia della fabbricazione simili al gruyère nella zona delle Alpi savoiarde. Sempre al XIII secolo risale la nascita della confraternita dei formaggiai e la lode di alcuni formaggi fra i quali l’eveque.

In Germania già nel XIII secolo si registra una notevole produzione casearia nella Baviera e successivamente al 1300 nella zona dello Schleswig-Holstein si ha notizia di un “kasemarkt”, mercato del formaggio, già nel 1314. In questo paese, così come in Olanda prende avvio la produzione di burro, prodotto che, con l’eccezione del burro rancido, tipico dell’Africa settentrionale ad Alessandria d’Egitto, rimane confinato nell’Europa del nord.

Nel XIV secolo assume proporzioni considerevoli l’industria casearia svizzera e si sviluppa anche quella olandese: si hanno notizie di un mercato di formaggi vicino a Gouda, dove si vendeva il celebre formaggio testa di moro.

Latte, burro e formaggio erano apprezzati anche in India: esistono testimonianze nel diciassettesimo secolo sulle abitudini alimentari dei persiani che si accontentavano di un poco di formaggio e latte acido dove inzuppavano un pane privo di gusto e molto scuro aggiungendo, al mattino, il riso.

A fine ‘600 anche in Italia si comincia a pensare ad abbandonare la produzione itinerante seguendo le mandrie per preferire la produzione in centri attrezzati. Nascono così i primi caseifici industriali, favoriti anche dal risorgere delle scienze agrarie ad opera, fra l’altro, dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. La prima produzione industriale, nonostante i tentativi non si discosta peraltro dalla tecnologia artigianale, poiché la scienza e la tecnologia rimanevano quelle dei secoli precedenti. In particolare non vi erano conoscenze in merito alla composizione e alla natura del latte, originariamente e fantasticamente considerato come una specie di sangue riciclato nel corpo delle bovine attraverso gli organi genitali.

Con l’illuminismo del ‘700, le sue indagini scientifiche e, in particolare, l’invenzione del microscopio, si apre la via per lo sviluppo della scienza lattiero-casearia, grazie allo sviluppo della microbiologia, fondamentale per comprendere l’evoluzione del formaggio.

Peraltro la consacrazione della tecnologia casearia quale disciplina moderna avviene nell’800, con gli studi di Liebig, di Duchamps (separò la chimosina dal caglio) e Pasteur che nel 1857 individuò i germi produttori di acido lattico. Nel 1864 Prandtl in Germania inventa la scrematrice, brevettata da Laval nel 1878. Nel 1870 Andersen in Danimarca prepara il primo caglio liquido puro, Nel 1857 Harding in Inghilterra introduce il metodo scientifico nella fabbricazione del formaggio, evidenziando l’importanza dei fattori igienici, dell’esperienza degli operatori del settore e del controllo della temperatura. Il primo testo organico relativo alla moderna tecnologia lattiero-casearia è pubblicato nel 1871 ad opera di Brenno Martiny, che fondò anche la prima rivista specializzata del settore.

Nel Novecento la diffusione della cultura casearia, aiutata dalla nascita di istituti scolastici ad indirizzo lattiero-caseario, favorisce la produzione industriale di formaggi, che si caratterizza peraltro da un’elevata standardizzazione, ancorata a tecniche valide sotto il profilo igienico sanitario ma poco rispettose della biodiversità.

Fortunatamente in parallelo con lo sviluppo industriale comincia a diffondersi l’idea di produzione tipica, strettamente connessa con il territorio, che trova una concreta consacrazione nell’affermarsi, nella seconda metà del novecento, dei concetti di DOP e IGP.

Il secondo millennio vede il consolidarsi a livello europeo di tale tendenza, con una maggiore consapevolezza, da parte delle autorità competenti, della necessità di garantire la sopravvivenza delle produzioni tipiche.


IL FORMAGGIO IN PIEMONTE: CENNI STORICI

In Piemonte le originarie popolazioni Gallo-Liguri conoscevano già l’arte di fare il formaggio e la conquista romana non fece altro che incrementare la produzione, già diffusa nelle vallate pedemontane, ricche di armenti e di alpeggi.

Con il Medioevo e nei secoli successivi la produzione casearia piemontese ha assunto sempre più aspetti propri e originali. Ciò ha fatto sì che il Piemonte diventasse una delle regioni italiane a più radicata tradizione casearia.

L’attività casearia era ovviamente originariamente assai sviluppata in ogni vallata alpina e prealpina. Ancorché ciascuna malga producesse quantità relativamente modeste, la produzione casearia ricopriva un ruolo non secondario nell’economia delle popolazioni di montagna alimentando una certa attività commerciale.

Pantaleone da Confienza nella “Summa Lacticinorum” loda ampiamente la qualità dei formaggi dei malgari piemontesi soffermandosi in particolare su tre vallate del Piemonte nord-occidentale: la Valle di Susa, la Valle di Lanzo e la Valle di Locarno e Ceresole.

Nella Valle di Locarno e Ceresole si producevano formaggi di un certo pregio, caratterizzati dalla crosta rossastra, a base di latte di mucca, grasso, dal sapore forte e acre, con notevoli potenzialità di invecchiamento.

La Valle di Lanzo e le vallate laterali andavano famose per una varietà di formaggio abbastanza grasso, la cui descrizione riporta alla Toma di Lanzo, ancora attualmente prodotta in piccoli caseifici.

La Valle di Susa, in particolare la zona del Moncenisio, si distingueva per una produzione casearia di un certo pregio, grazie all’eccellente qualità dei pascoli, prodotti con la medesima tecnica ancora oggi usata per la produzione del Moncenisio.

Anche in pianura peraltro il settore caseario ha ben presto assunto un’importanza significativa, in particolare dopo l’anno Mille, allorquando, ad opera dei complessi monastici, iniziarono le opere di bonifica e miglioramento fondiario, che, aumentando la disponibilità della produzione foraggiera, hanno dato impulso all’allevamento del bestiame, in particolare di quello bovino. Il formaggio tipico prodotto nella pianura padana nel 1500 è un formaggio duro, a pasta cotta, molto simile all’attuale formaggio grana, particolarmente adatto alla lunga stagionatura. Ed è proprio nella pianura padana che riesce per prima ad utilizzare il rinnovamento tecnologico del novecento, realizzando un impressionante incremento dell’allevamento bovino e della produzione di latte e formaggi.

Da sempre quindi il Piemonte è una regione caratterizzata da forti contrasti, nella quale è possibile trovare, intervallate da dolci colline, vaste pianure e le vette più alte d’Europa.

Condizioni climatiche, topografiche, pedologiche e culturali diverse in ogni singola zona hanno quindi determinato processi ed evoluzioni tecnologiche molto differenti. Non a caso in Piemonte si trova la più vasta gamma di formaggi reperibile in Italia e ben nove formaggi a Denominazione di Origine sul totale dei 31 prodotti in Italia.

Non bisogna peraltro nascondersi che la tradizione casearia piemontese non sfugge ai pericoli rappresentati dalla globalizzazione, che impone produzioni massive, prezzi competitivi, costanza produttiva e sicurezza sanitaria.

In questo contesto la figura dell’artigiano nel comparto caseario può rivelarsi strategico, costituendo il momento di mediazione fra tradizione e necessità di mercato. Fondamentale in tale contesto è il ruolo di trasmissione alle generazioni più giovani della cultura casearia, al fine di impedire che il secolare patrimonio di conoscenza vada definitivamente perduto.

Bibliografia

Fernand Braudel -Le Strutture del quotidiano- Editore Giulio Einaudi 1982

Dispensa a cura di Armando Gambera -Master of food- I formaggi corso di Primo Livello- 2001 Slow Food

Regione Piemonte -Dolci, amare, forti, delicate. Storie sul gusto del produrre a cura di Antonio Angelo Baussano- Editore Stendhal febbraio 2001

Regione Piemonte -Artigiani di Gusto- HAPAX Editore ottobre 2000

Collaborazioni

La stesura del presente disciplinare ha coinvolto in numerose riunioni soggetti diversi che hanno fornito in più fasi dell’elaborazione indicazioni, suggerimenti e contributi tecnici.

Giovanni PEIRA - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Erica VARESE - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Alessandro BONADONNA - Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Dipartimento di Scienze Merceologiche

Elisa BRACCO - Tesi di Laurea c/o Università di Torino, Facoltà di Economia e Commercio Dipartimento di Scienze Merceologiche

Guido TALLONE - Responsabile dell’Istituto Lattiero Caseario di Moretta, Agenform Consorzio

Sergio ARNOLDI della Camera di Commercio di Torino.

Assessorato Regionale all’Agricoltura - Ufficio Tutela Prodotti Agricoli

Assessorato Regionale Sanità


PREMESSA

La stesura del presente Disciplinare si inserisce nel quadro normativo - Titolo II Capo VI della L.R. 9 maggio 1997 n. 21 e s.m.i. L.R. 31 agosto 1999 n. 24 - predisposto dalla Regione Piemonte per la tutela e la valorizzazione delle lavorazioni artigiane che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tradizione dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura, anche di derivazione locale.

Secondo gli intendimenti della legge, la Regione Piemonte intende perseguire i seguenti obiettivi:

- quello della tutela e della salvaguardia di una tradizione artigiana con valenza culturale e storica accumulata nei secoli in Piemonte. Un patrimonio che, nonostante le difficoltà incontrate nel corso della sua evoluzione, è stato conservato, trasmesso e valorizzato con continuità, tenacia e valenza dagli operatori del settore di generazione in generazione fino ai giorni nostri;

- quello della promozione di un insieme di iniziative che riscoprano, consolidino e rinvigoriscano nei suoi diversi aspetti questo processo, adeguandolo alle esigenze di qualificazione e di innovazione che il contesto economico, sociale e tecnologico attuale pone.

Finalità

Per conseguire gli obiettivi previsti dalla L.R. 21/97 e s.m.i. - Capo VI, Artigianato Artistico, Tipico e di Qualità, art. 26 - è predisposto il presente Disciplinare per l’Eccellenza dell’ Impresa Artigiana Alimentare - Settore Caseario.

Strumento

“Il Disciplinare per l’eccellenza dell’impresa artigiana alimentare” si propone di delineare delle regole, descrivere le caratteristiche e i requisiti, indicare le tecniche produttive adottate, sottolineare gli ingredienti utilizzati e quant’altro occorre ad individuare e specificare le lavorazioni in essere, secondo la legislazione vigente.

Riconoscimento

Potranno ottenere il riconoscimento di Impresa dell’ Eccellenza Artigiana e fregiarsi del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” le imprese operanti nel Settore Caseario e i consorzi di impresa che, già iscritti all’Albo delle imprese, ai sensi della Legge 443/85, dimostrino di possedere i requisiti richiesti dal presente disciplinare.

Il riconoscimento è attuato mediante idonea annotazione nell’Albo provinciale delle imprese artigiane, riportando l’indicazione del settore specifico, la descrizione della tipologia produttiva, l’attribuzione della denominazione di Eccellenza Artigiana, il conferimento del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana”.


Art. 1   Percorsi culturali

L’impresa deve saper riconoscere e collocare criticamente la propria attività nel rispetto dei percorsi culturali che hanno prodotto le esperienze storiche dell’Artigianato Tradizionale e di Qualità.

Devono essere considerati quali caratteristiche peculiari dell’impresa che opera nel settore:

* Il richiamo alla tradizione, inteso come capacità acquisita di una cultura specifica, non solo materiale, appartenente ad un ambito operativo.

* L’innovazione, intesa come volontà a ricercare e sperimentare nuove tecniche, all’interno di un territorio, senza stravolgere i legami con la tradizione.

* L’aggiornamento professionale, ovvero la disponibilità a recepire stimoli e sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni preposte o che svolgono attività di tutela, ricerca e valorizzazione del patrimonio culturale e del gusto.

* Il legame con le nuove generazioni, vale a dire la disponibilità ad offrire reali opportunità di formazione ed apprendimento, investendo in risorse umane.

* Il legame con il territorio, attraverso la proposta di percorsi del gusto e l’attivazione di sinergie con realtà espressione di una cultura territoriale.

1.1 Elementi caratteristici dell’Impresa Artigiana

Il rapporto tra tradizione e innovazione è la sfida ancora aperta per il mondo dell’artigianato.

La difficile alchimia fra questi due concetti delinea anche la vitalità economica di molte imprese artigiane. La sintesi tra tipicità, legame con il territorio, tradizione e processi innovativi rappresenta il contesto produttivo e l’universo di riferimento del settore.

In questo ambito si possono individuare alcuni elementi che distinguono l’impresa alimentare dell’eccellenza artigiana del Settore da un tipo di produzione seriale e standardizzata.

STAGIONALITÀ

La ciclicità delle stagioni accompagna le produzioni artigianali. Specialmente nel settore alimentare, la stagionalità delle materie prime ha dato origine, nel tempo, a prodotti che hanno segnato e arricchito la vita dell’uomo. Una ricchezza che ci giunge non solo dal patrimonio di conoscenze della tradizione laica e religiosa, ma anche dalla necessità di scegliere e utilizzare quegli ingredienti nel loro naturale ciclo stagionale.

Il gusto di aspettare un periodo dell’anno, per ritrovare un sapore o un profumo senza accontentarsi di bontà appiattite lungo una temporalità sempre identica, vuol dire riscoprire la memoria, rinsaldare il legame con lo sviluppo che l’uomo e il suo territorio sono in grado di sostenere.

EQUILIBRIO

Raggiungere e mantenere l’equilibrio tra gli ingredienti a disposizione e la giusta manipolazione sono risultati che fanno parte delle sfide quotidiane dell’artigianato: le materie prime sono materiali vivi che mutano continuamente durante la trasformazione in forme e gusti segnati dal rapporto con la modernità. Qui si gioca con maestria il ruolo dell’artigiano, non solo legato alla tradizione, ma capace di trovare sempre nuovi stimoli, nuove proporzioni, nuovi suggerimenti, nuove presentazioni, innovando le ricette del territorio.

GUSTO

Senso che con l’olfatto è costituito dall’insieme delle percezioni che si registrano in bocca: i sapori, gli aromi, le fragranze. Le lavorazioni artigianali di qualità concorrono ad affinare l’educazione al gusto esaltandone la peculiarità degli ingredienti, coniugando creatività e richiamo alla tradizione.

RISPETTO DEL TEMPO

Il tempo scandisce i ritmi della produzione. Ci vuole tempo per acquisire le materie prime, ci vuole tempo per trasformarle in ingredienti, ci vuole tempo per seguire le lavorazioni, ci vuole tempo per la trasformazione e per la stagionatura. Avere un rapporto sano con i tempi più rallentati del solito vuol dire avere garanzia che in questo caso il tempo gioca a nostro favore: in qualità e cultura del gusto.

QUANTITÀ

Per ogni artigiano esiste un volume ottimale di produzione. Esistono realtà con potenzialità più o meno elevate, ma per tutte non può essere superato quel rapporto stretto tra quantità prodotte e cura richiesta che comprometterebbe il livello qualitativo delle lavorazioni.

Verrebbe meno anche quel filo diretto, quel legame “personale” che permette agli artigiani di far tesoro delle valutazioni espresse dai propri clienti, dalle quali possono scaturire nuove opportunità di miglioramento.

Produrre maggiori quantità vorrebbe dire in alcuni casi rinunciare all’eccellenza delle materie prime ed accontentarsi di surrogati di qualità meno sicura. Il “dover aspettare”, il non trovare subito il prodotto che cerchiamo spesso è garanzia della coerenza delle scelte operate che determinano il valore aggiunto delle produzioni artigianali.

SEGRETI

Ogni artigiano sa di essere portatore di un sapere antico, al quale apporta le sue innovazioni, le sue modernità. Vive anche la feconda contraddizione di voler svelare i propri segreti, tramandando a qualcun altro questo “saper fare”, con l’aspettativa che non siano stravolti e semplificati quei gesti che sembrano inutili ma che fanno la differenza.

PECULIARITÀ

Ogni artigiano ha una sua peculiarità che lo rende unico. Pur con forti legami con il territorio e la tradizione, non ne esistono due uguali. E’ l’elemento che definisce meglio la figura dell’artigiano, che lo contraddistingue nella diversità e nell’unicità e che spiega l’affezione della clientela.

Si tratta della difesa non solo di prodotti e di gusti, ma anche e soprattutto dell’identità delle persone, della loro abilità nel lavorare e trasformare, nell’infondere caratteristiche speciali di maestria o nell’imprimere i tratti del loro personale sentire.

RESPONSABILITÀ

La scelta delle materie prime costituisce il supporto fondamentale su cui poggia la qualità. Un artigiano serio ed eticamente motivato ha una grande competenza e consapevolezza nell’uso delle materie prime che, trasformate con abilità, costituiscono il valore aggiunto della produzione artigiana.

La competenza non può essere improvvisata perché richiede professionalità specifica nel saper effettuare un controllo a monte, su produzioni che spesso precedono il suo lavoro, a garanzia delle fasi successive.

Attività che presuppone una riconosciuta esperienza tramandata, attraverso la conoscenza diretta delle fasi di filiera e dei diversi soggetti coinvolti.

SICUREZZA ALIMENTARE

La sicurezza alimentare è un elemento centrale e prioritario per il consumatore ed un pre-requisito essenziale per la qualificazione della produzione alimentare.

Richiede una responsabilizzazione dell’artigiano quale garante delle produzioni e insieme degli strumenti impiegati che si realizza anche attraverso il principio dell’autocontrollo ed è parte integrante della competenza artigiana.


Art. 2  Processo Produttivo

Dalla più ampia definizione del settore Caseario si distinguono:

Processo di Trasformazione

Processo di Maturazione e Stagionatura

Art. 3  Processo di Trasformazione

3.1 Risultato del processo di trasformazione

yogurt

latte alimentare

ricotte

burro

formaggi freschi

formaggi stagionati

3.2 Il processo di produzione del formaggio è caratterizzato dalle seguenti fasi:

a - preparazione del latte alla coagulazione tramite:

* riscaldamento (lavorazione latte crudo)

* termizzazione

* pastorizzazione

b - introduzione del caglio e coagulazione

c - taglio ed eventuale riscaldamento della cagliata

d - scarico o svuotamento e riempimento delle fascere

e - rivoltamenti e stufatura

f - salatura

g - stagionatura

La qualità dell’esecuzione del processo produttivo deriva dall’attenzione posta dall’impresa artigiana agli elementi caratterizzanti il processo stesso: gli ingredienti, le attrezzature, le tecniche di lavorazione adottate, i controlli posti in essere durante il processo.

3.3 Ingredienti

* Latte

Utilizzo di latte e suoi derivati prodotti nel territorio del Piemonte. Il latte deve essere conforme alle normative di legge. Sarà considerato elemento qualificante l’esistenza di contratti latte-qualità. Sono esclusi latte in polvere, proteine del latte e le cagliate congelate.

Dal punto di vista della trasformazione casearia in Piemonte sono tradizionalmente lavorati il latte vaccino, l’ovino e il caprino che hanno caratteristiche diverse e che richiedono tecniche di lavorazione differenti.

* Caglio: di esclusiva origine animale, con riferimento alla legislazione vigente.

* Erbe aromatiche e spezie con attinenza alla tradizione e/o al territorio.

* Aromi naturali: è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente

* Additivi: è ammesso l’uso secondo la legislazione vigente

3.4 Le tecniche di lavorazione

a) Attrezzature

L’elenco che segue è meramente esemplificativo, non potendosi riportare l’universo di attrezzature utilizzato nel caseificio artigiano. Le attrezzature non dovranno essere del tutto meccanizzate ed automatizzate al fine di evitare una standardizzazione della produzione ottenuta come, peraltro, previsto all’art, 5 del presente disciplinare.


Principali attrezzature in uso nell’Impresa Artigiana
per la Produzione

1 Serbatoio di stoccaggio del latte coibentato e/o refrigerato

2 Attrezzature per il controllo del latte in entrata:

a. Crioscopio per ricerca acqua

b. Sistema ricerca antibiotici con Delvotest

c. Acidimetro, ph-metro, cartine tornasole per misurazione dell’acidità

d. Termometro per misurare la temperatura

Acidimetro, phmetro e termometro saranno usati anche in fasi successive della lavorazione

3 Sistema di filtraggio del latte

4 Pastorizzatore.

5 Attrezzature per il contenimento e lavorazione del latte

a. Doppiofondo a vapore ( può essere dotato di braccio meccanico per il mescolamento o il taglio)

b. Caldaia con riscaldamento diretto a fiamma ( può essere dotata di braccio meccanico per il mescolamento o il taglio )

c. Caldaia polivalente ( può essere dotata di sistema per l’innalzamento e l’inclinazione )

6 Sistema di riempimento della fascere manualmente o per caduta attraverso una bocca di scarico alla quale è collegato un tubo di distribuzione flessibile con l’eventuale uso di tramoggia.

7 Fascere ( stampi ) in acciaio o plastiche alimentari e tele di materiale sintetico o naturale

8 Tavoli aspersori carrellati con sistema di sgrondo del siero

9 Sistema di recupero del siero ( canale di recupero, pompa e serbatoio di stoccaggio )

10 Tavoli aspersori con sistema di sgrondo del siero e carrellati per essere condotti nell’ambiente di stufatura

11 Vasche di lavaggio o macchine lava stampi, contenenti una soluzione sanificante per tele e fascere

12 Lavatrice per tele

13 Vasche di salatura refrigerate o dislocate in locale refrigerato con eventuale sistema di rigenerazione della salamoia.

14 Scrematrice o caldaia per la produzione di ricotta

Art. 4  Processo di Maturazione e Stagionatura

La maturazione dei formaggi è un processo fondamentale che ha lo scopo di far assumere al prodotto la consistenza e l’aspetto esteriore che si desidera, e nel contempo di evidenziare sapori e aromi particolari attraverso un complesso e laborioso processo chimico-enzimatico. Tutto questo porta a produrre formaggi con caratteristiche proprie che ne fanno prodotti di pregio. La maturazione del formaggio è il risultato di elaborati fenomeni che iniziano già nel latte in caldaia prima della coagulazione e proseguono nelle fasi successive di lavorazione: coagulazione, rottura della cagliata, sistemazione in fascere, stufatura, salatura per concludersi con la stagionatura che, per i formaggi a pasta molle, avviene dai 5-8°C e umidità dell’85-90%. Gli ambienti di stagionatura possono presentare queste caratteristiche naturalmente oppure essere condizionati da un apposito impianto, questo per creare un habitat ideale a favorire la buona maturazione del formaggio. A questo proposito vengono predisposti adeguati sistemi di regolazione e monitoraggio della temperatura e dell’umidità dei locali di stagionatura al fine di rimuovere l’umidità evaporante dai formaggi, assicurando una successiva riumidificazione e/o riscaldamento dell’ambiente in condizioni ideali.

Per quanto riguarda la stagionatura dei semilavorati (formaggi freschi-fuori sale) gli stessi devono provenire dal territorio del Piemonte o da territori confinanti.

Principali attrezzature in uso nell’Impresa Artigiana per la Stagionatura:

1 Ambiente di stagionatura con impianto di condizionamento relativamente a temperatura e umidità

2 Scaffali di stagionatura fissi o mobili dotati di piani conformi alle norme vigenti

3 Attrezzature manuali per la salatura a secco, in salamoia o macchina salatrice

4 Attrezzature manuali per il raschio delle tavole o macchina lava tavole

5 Attrezzature manuali per il lavaggio o il massaggio delle forme o macchina lava formaggi

Anche nell’ambito della stagionatura e al momento del confezionamento occorre garantire la rintracciabilità secondo le disposizioni delle legge vigenti.

Tali condizioni si traducono operativamente in:

- Contrassegni di lotto sugli scaffali e/o sulle forme

-Indicazione del lotto sui documenti di trasporto

Art. 5   Manualità

Nei processi di produzione indicati agli articoli 3 e 4 si evidenzia che la manualità rappresenta l’elemento distintivo che consente di differenziare l’impresa artigiana dall’impresa industriale: durante le fasi di trasformazione e/o stagionatura è quindi indispensabile che la manualità sia non solo presente, ma determinante per la qualità finale del prodotto. La capacità e l’esperienza dell’artigiano sono infatti indispensabili per governare il processo produttivo al fine di ottenere un prodotto d’eccellenza.

La produzione artigiana non può essere caratterizzata dall’assoluta serialità del prodotto, tuttavia occorre che il prodotto stesso, compatibilmente con il rispetto delle esigenze di stagionalità, non abbia caratteristiche morfologiche ed organolettiche eccessivamente discontinue.

Art. 6   Requisiti

Data la complessità del settore, l’imprenditore artigiano deve avere un’approfondita conoscenza delle tecniche di lavorazione tradizionali, dei processi produttivi, delle materie prime e degli ingredienti utilizzati e deve essere in grado di partecipare direttamente alle fasi produttive.

E’ richiesta un’ esperienza di almeno 5 anni nel settore.

Qualora il periodo sia inferiore a quello sopra indicato, possono concorrere al raggiungimento del tetto dei 5 anni i periodi di attività produttiva nel settore (da documentare), in qualità di dipendente o di coadiuvante con mansioni lavorative adeguate.

E’ sufficiente un periodo di lavoro nel settore di 4 anni per chi avesse effettuato un percorso di formazione specifica presso scuole di formazione accreditate (per un minimo di 1200 ore) oppure sia in possesso di una formazione professionale nel settore.

Nel caso di consorzi di imprese, sarà indispensabile che almeno i 4/5 delle imprese che ne fanno parte siano riconosciute imprese dell’Eccellenza Artigiana.

6.1 Norme di ammissione

Le imprese artigiane dovranno provare la propria capacità compilando la domanda- questionario predisposta, allegando:

* curriculum dettagliato in cui evidenziare

1. esperienze produttive

2. eventuale partecipazione ad Esposizioni, Mostre, Rassegne di settore

3. partecipazione attiva a percorsi formativi anche in collaborazione con associazioni di categoria e/o di settore

* documentazione fotografica del laboratorio artigiano

6.2   Accettazione delle domande

Il riconoscimento viene effettuato dalla Commissione Provinciale per l’Artigianato (C.P.A.) competente per territorio, supportata da esperti, ai sensi delle normative vigenti.

La C.P.A., esaminate le domande e la documentazione prodotta, potrà, qualora ne ravvisi la necessità, richiedere specificazioni attraverso:

* documentazioni aggiuntive

* colloqui diretti

* sopralluoghi presso le aziende dei richiedenti.

6.3   Attività di commercio

Potranno essere riconosciute le aziende artigiane che svolgono, in forma secondaria, attività commerciale a condizione che non si generi confusione tra il prodotto regolarmente realizzato in azienda e quello unicamente commercializzato.

6.4   Titolarità del riconoscimento

Il riconoscimento è attribuito all’impresa ai sensi della L.R. 21/97 e s.m.i., art. 28.

I requisiti richiesti dal Disciplinare devono sussistere in capo al titolare o almeno ad uno dei soci dell’impresa.

Ogni modifica e variazione d’impresa devono essere comunicate alla competente Commissione Provinciale per l’Artigianato che valuta il permanere dei requisiti di eccellenza.

6.5 Denominazione

E’ stata individuata la denominazione “Eccellenza Artigiana” con D.G.R. n. 30 - 322 del 29/06/2000 da attribuire alle imprese che hanno ottenuto il riconoscimento dell’artigianato artistico, tipico, tradizionale di ogni settore e conseguente annotazione specifica all’Albo provinciale delle imprese artigiane.

A tali imprese viene attribuito il marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” approvato con D.G.R. n. 3 - 1713 del 14/12/2000.

L’uso, lo sviluppo e la diffusione di tale marchio è disciplinato da regolamento approvato con D.G.R. n. 4 -1714 del 14/12/2000.

Il richiamo all’ Eccellenza Artigiana in Mostre, Esposizioni, Manifestazioni, potrà essere utilizzato solo se il 90% delle imprese partecipanti risulteranno essere in possesso del marchio di eccellenza.

I concessionari utilizzatori della denominazione in oggetto e dei rispettivi elementi identificativi, si impegnano a proteggere il marchio e la sua immagine e a compiere ogni sforzo per propagandarlo.

In ogni caso, proprietario esclusivo del marchio è la Regione Piemonte.

6.6   Iter procedurale

Al fine di poter riassumere e di chiarire meglio quanto sopra espresso, evidenziamo le procedure di riconoscimento, che risultano pertanto:

* Compilazione della domanda-questionario

* Primo grado di valutazione delle imprese sulla base della domanda- questionario

* Acquisizione di ulteriore documentazione

* Approfondimento con eventuale richiesta di colloquio

* Predisposizione di controlli in azienda

* Previsione della possibilità di ricorso

6.7   Ricorsi

I ricorsi dovranno essere presentati seguendo le stesse modalità previste per i ricorsi su iscrizioni e cancellazioni dall’Albo delle imprese artigiane, alla Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.) che potrà avvalersi della consulenza della Commissione per il Disciplinare del settore.

6.8   Controlli

La Regione potrà, nell’ambito delle revisioni degli Albi provinciali delle imprese artigiane, attuare procedure al fine di verificare il persistere dei requisiti, come previsto dall’art. 44 della L.R. 21/97 e s.m.i.

L’impresa si impegna a dare alla Commissione Provinciale per l’Artigianato competente ogni facoltà per procedere di volta in volta a controlli di accertamento dei requisiti e l’impresa si impegna a dare spiegazioni rilasciando eventuale documentazione fiscale-contabile (fatture, registri, ecc). Le Commissioni Provinciali dell’Artigianato, competenti per territorio, in qualsiasi momento lo ritenessero opportuno, potranno svolgere indagini ed ispezioni per verificare il permanere, in capo all’impresa che abbia ottenuto il riconoscimento di “eccellenza artigiana”, dei requisiti richiesti dai rispettivi disciplinari di produzione.

6.9   Cancellazione del riconoscimento

Qualora si riscontri la non conformità dell’utilizzazione del marchio secondo quanto previsto nel Regolamento Regionale n. 1/R del 15 gennaio 2001 recante disposizioni sull’uso del Marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” e l’inosservanza delle prescrizioni previste dal presente disciplinare, la Commissione Provinciale per l’Artigianato, competente territorialmente, diffida l’impresa dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio, invitandola ad adeguarsi a quanto previsto dal regolamento stesso.

In caso di reiterazione dell’inadempienza e/o di perdita dei requisiti richiesti dai disciplinari, la C.P.A. competente territorialmente, provvede anche ai sensi dell’art. 45 della L.R. 21/97, alla cancellazione dell’annotazione di “Eccellenza Artigiana” dell’impresa dall’Albo, sentito in ogni caso l’interessato.

Art. 7   Botteghe Scuola

Le imprese riconosciute sulla base dei criteri previsti nel presente Disciplinare e di quelli stabiliti dalla Regione Piemonte, sentito il parere della Commissione Regionale per l’Artigianato (C.R.A.), potranno accedere, ai sensi dell’art. 29 della L.R. 21/97 s.m.i., a tutti i vantaggi di cui usufruiscono le imprese “riconosciute”, tra cui la possibilità di partecipare al progetto formativo/lavorativo “bottega scuola”.


Legge regionale 9 maggio 1997, n. 21
e successive modifiche


NORME PER LO SVILUPPO E LA
QUALIFICAZIONE DELL’ARTIGIANATO

Capo VI

Artigianato artistico e tipico di qualità


Art. 26 Obiettivi

1. La Regione tutela e promuove le lavorazioni dell’artigianato che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tipicità dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura, anche di derivazione locale.

2. Con riferimento alle produzioni indicate al comma 1 la Regione persegue i seguenti obiettivi:

a) tutela dei requisiti di professionalità e di origine delle produzioni dell’artigianato artistico e tipico;

b) qualificazione e innovazione delle lavorazioni attuate sotto il profilo stilistico, tecnologico, dei materiali e dei processi utilizzati;

c) valorizzazione delle produzioni realizzate sia sul mercato interno che su quello internazionale;

d) divulgazione e diffusione della conoscenza delle tecniche, delle produzioni realizzate e dei requisiti di manualità e professionalità insiti nelle lavorazioni artistiche e tipiche;

e) acquisizioni e documentazioni concernenti le origini, lo sviluppo storico e i percorsi evolutivi delle lavorazioni;

f) sostegno alla creazione e allo sviluppo di nuove imprese tramite progetti di recupero e rivitalizzazione di attività tradizionali o artistiche locali.

3. L’individuazione delle lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico tutelate è approvata dalla Giunta regionale, anche per settori di attività affini o complementari. La Giunta regionale si avvale della Commissione regionale per l’artigianato. Con lo stesso provvedimento si individuano e si delimitano i territori interessati nel caso in cui le lavorazioni in essere risultino collegate a particolari ambiti territoriali di esecuzione o di approvvigionamento delle materie prime impiegate nella produzione, anche in riferimento al contenuto di cui all’articolo 15 della legge regionale 9 ottobre 1995, n. 72 e successive modificazioni.


Art. 27 Disciplinari di produzione

1. Per le lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico individuate dalla Giunta regionale sono predisposti appositi disciplinari con i quali sono descritti i caratteri delle tecniche produttive adottate, dei materiali impiegati e di quanto altro concorre a individuare e qualificare le lavorazioni in essere.

2. I disciplinari delle lavorazioni dell’artigianato artistico e tipico sono predisposti da apposite Commissioni e sono approvati dalla Giunta regionale, sentita la Commissione regionale per l’artigianato.

3. Le Commissioni di cui al comma 2 sono costituite da:

a) due esperti di storia e tecnica delle particolari lavorazioni considerate;

b) un imprenditore artigiano che risulti in attività da almeno sette anni nello stesso settore delle lavorazioni artistiche e tipiche oggetto di disciplinare, o da un imprenditore artigiano in quiescenza con esperienza di almeno sette anni nel settore oggetto del disciplinare;

c) un rappresentante designato dall’ente locale presso cui risultano le maggiori consistenze produttive delle attività prese in esame;

d) un rappresentante designato dalle associazioni e dalle confederazioni sindacali artigiane regionali maggiormente rappresentative;

e) il dirigente della struttura regionale competente per materia o suo delegato.

4. L’individuazione degli esperti e dell’imprenditore artigiano di cui al comma 3, lettere a) e b) è effettuata dal responsabile della Direzione regionale competente per materia, a seguito di pubblicazione di avviso indicante i requisiti e le condizioni richieste per ricoprire l’incarico, sulla base di criteri stabiliti dalla Giunta regionale, sentita la Commissione regionale per l’artigianato.

5. Alla nomina delle Commissioni per i disciplinari, nonché alla loro reintegrazione nel caso in cui si determinino vacanze dagli incarichi conferiti o abbandoni, si provvede con determinazione della Direzione regionale competente per materia."


Art. 28 Imprese artigiane delle
lavorazioni artistiche e tipiche

1. Le imprese artigiane che esercitano le lavorazioni artistiche e tipiche individuate dalla Giunta regionale, sono censite a cura delle Commissioni provinciali per l’artigianato competenti per territorio, previo accertamento della rispondenza delle produzioni attuate dai richiedenti con i requisiti stabiliti dai relativi disciplinari di produzione.

2. Gli imprenditori artigiani che esercitano attività nell’ambito delle lavorazioni artistiche e tipiche possono inoltrare domanda alla Commissione provinciale per l’artigianato, per ottenere il riconoscimento di impresa artigiana del settore artistico e tipico. Sulla domanda di riconoscimento presentata dalle imprese la Commissione provinciale decide nei tempi e con le modalità previste per l’iscrizione all’albo provinciale delle imprese artigiane.

3. Il riconoscimento di impresa artigiana operante nel campo delle lavorazioni artistiche e tipiche è attuato mediante idonea annotazione nell’albo provinciale delle imprese artigiane, riportando altresi’ la descrizione della particolare lavorazione attuata.

4. Le modalità tecniche delle annotazioni da apportare agli albi provinciali delle imprese artigiane sono determinate dalla Giunta regionale, sentito il parere della Commissione regionale per l’artigianato, sulla base di criteri atti a garantire l’unitarietà del sistema informativo costituito dagli albi provinciali.


Art. 29 Interventi

1. Per il perseguimento degli obiettivi previsti all’articolo 26 la Giunta regionale promuove, anche in concorso con enti locali, enti pubblici e privati, fondazioni, confederazioni sindacali artigiane, associazioni e consorzi di imprese:

a) la predisposizione di appositi disciplinari di produzione di cui all’articolo 27;

b) la ricerca di nuovi modelli e la realizzazione e sperimentazione tecnica di nuovi prodotti nonchè la realizzazione di marchi di qualità e d’origine;

c) la realizzazione di rassegne ed esposizioni tematiche di manufatti che documentino l’evoluzione della tecnica e degli stili legati alle produzioni realizzate nel campo delle lavorazioni artistiche e tipiche;

d) la realizzazione di pubblicazioni, cataloghi, supporti audiovisivi che illustrano l’evoluzione storica, le testimonianze, le tecniche produttive e i valori intrinseci delle produzioni dell’artigianato artistico e tipico;

e) la partecipazione delle imprese artigiane operanti nei settori delle lavorazioni artistiche e tipiche a rassegne e manifestazioni di carattere commerciale sia in Italia che all’estero;

f) l’allestimento, presso le strutture pubbliche di conservazione di beni culturali, di spazi idonei alla presentazione e alla vendita di oggetti e riproduzioni ispirati alle collezioni ivi esistenti;

g) la realizzazione di corsi di addestramento tecnico-pratico nelle botteghe artigiane, basati sull’apporto formativo diretto degli imprenditori artigiani, secondo quanto previsto all’articolo 31;

h) ogni altra iniziativa ritenuta utile e opportuna per la valorizzazione dell’artigianato artistico e tipico.

2. La Giunta regionale, entro il 30 novembre di ogni anno, sentita la Commissione regionale per l’artigianato e informata la Commissione consiliare competente, predispone il piano per l’anno successivo degli interventi per l’artigianato artistico e tipico.

3. Con il piano degli interventi vengono individuate le lavorazioni prioritarie da incentivare, anche con riferimento a determinati ambiti territoriali, i criteri di riparto dei contributi in relazione alle diverse tipologie di intervento previste, i limiti massimi di spesa per l’elaborazione dei disciplinari e per l’attuazione degli interventi, unitamente ai requisiti dei soggetti che vi fanno ricorso.


Art. 30 Modalità degli interventi

1. Gli interventi possono essere promossi direttamente dalla Regione o da soggetti esterni quali enti locali, consorzi di imprese, associazioni di categoria, enti vari, fondazioni e istituti operanti senza fini di lucro che si propongono scopi di promozione dell’artigianato artistico e tipico di qualità.

2. Il finanziamento degli interventi è disposto sulla base di un progetto delle iniziative da attuare, con cui vengono determinati gli obiettivi che si intendono conseguire e il piano economico-finanziario previsto. La Giunta regionale, nei limiti degli stanziamenti appositamente autorizzati con l’approvazione del bilancio di previsione, provvede fissando anche i termini e le modalità di attuazione delle iniziative programmate.

3. Nel caso in cui le iniziative siano promosse e realizzate previa richiesta di finanziamento da parte di terzi, i contributi regionali possono essere concessi fino all’80 per cento della spesa riconosciuta ammissibile e comunque per un importo non superiore a quanto determinato ai sensi dell’articolo 29, comma 3, in relazione a ciascuna tipologia di intervento prevista.

4. I progetti di intervento devono essere presentati alla Regione, dai soggetti indicati al comma 1, nei termini previsti dal piano degli interventi di cui all’art. 29, per poter ottenere il finanziamento, di norma, a carico dell’esercizio finanziario corrispondente allo stesso anno.


Art. 31 Istruzione e addestramento artigiano

1. Le imprese artigiane che hanno ottenuto dalla Commissione provinciale per l’artigianato il riconoscimento di imprese operanti nei settori delle lavorazioni artistiche e tipiche, cosi’ come definite dalla presente legge, possono essere chiamate a concorrere alla attuazione dell’istruzione artigiana, in qualità di botteghe scuola, sulla base di apposite convenzioni che valorizzino appieno la prevalente funzione formativa.

2. L’istruzione artigiana volta alla formazione nei settori artistici e tipici, deve essere svolta per almeno un terzo delle ore totali di insegnamento presso le imprese artigiane, singole o associate, individuate come botteghe-scuola.

3. In aggiunta agli interventi definiti attraverso i programmi e le azioni regionali nel campo della formazione professionale, la Regione può favorire la realizzazione di programmi di addestramento tecnico-pratico non previsti nei piani regionali di formazione professionale, rivolti alla trasmissione delle conoscenze tecniche e delle abilità di lavoro manuale connesse a particolari prestazioni concernenti anche e in particolare la riproduzione, la manutenzione e il restauro di beni di particolare interesse storico o pregio artistico.

4. Possono beneficiare dell’intervento regionale gli organismi associativi, operanti senza fini di lucro, costituiti da artigiani che vantano professionalità specifiche nei particolari mestieri da tutelare e tramandare; le singole imprese artigiane, con le stesse caratteristiche, che si impegnano a realizzare cicli di addestramento tecnico-pratico all’interno delle botteghe artigiane rivolti a soggetti che intendono acquisire le capacità tecnico-professionali connesse allo svolgimento delle lavorazioni. L’intervento regionale consiste in un contributo all’organismo o impresa che organizza i corsi per ogni allievo impegnato nell’attività di addestramento pratico. L’importo dei contributi regionali è determinato con il piano degli interventi di cui all’articolo 29, comma 2 e in ogni caso non può superare la metà del salario mensile di un apprendista, calcolato al netto dei contributi assicurativi e previdenziali, secondo i minimi tabellari contrattualmente in vigore per le corrispondenti categorie di attività, per non piu’ di due anni consecutivi.

5. La concessione ed erogazione dei contributi è disposta sulla base dei criteri definiti con il piano annuale degli interventi di cui all’articolo 29, con deliberazione della Giunta regionale che determina altresi’ le modalità di svolgimento delle attività di addestramento tecnico e di rendicontazione finale delle spese sostenute.

6. La Regione può concedere inoltre agli allievi che partecipano ai cicli di addestramento di cui al comma 4 borse di studio con i criteri e le modalità da stabilirsi con il Piano degli interventi di cui all’articolo 29, comma 2.

(omissis)


Regolamento regionale sull’uso del marchio
“Piemonte Eccellenza Artigiana”


Decreto del presidente della Giunta Regionale
15 gennaio 2001, n. 1/R.

Il Presidente della Giunta Regionale

Visto l’art. 121 della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 22/11/1999, n.1;

Visto l’articolo 29 della legge regionale 9 maggio 1997, n. 21;

Vista la deliberazione della Giunta regionale n. 4-1717 del 14 dicembre 2000;

Preso atto che il Commissario di Governo ha apposto il visto

emana

il seguente regolamento:

REGOLAMENTO D’USO DEL MARCHIO

“PIEMONTE ECCELLENZA ARTIGIANA”


Art. 1 Finalità

1. La stesura del presente regolamento si inserisce nel quadro normativo della L.R. 21/97 s.m.i (L.R. 24/99) - CapoVI predisposto dalla Regione Piemonte per la valorizzazione, la tutela, la promozione e lo sviluppo delle lavorazioni artigiane che presentano elevati requisiti di carattere artistico o che estrinsecano valori economici collegati alla tipicità dei materiali impiegati, delle tecniche di lavorazione, dei luoghi di origine o alla cultura anche di derivazione locale.


Art. 2 Azioni

1. Tra le azioni e gli strumenti che la legge regionale indica per perseguire le finalità di cui sopra, all’art.28 si individua come fondamentale il riconoscimento, da parte delle Commissioni provinciali per l’Artigianato, di quelle imprese che, avendo i requisiti definiti dai Disciplinari di Produzione dei settori individuati con D.G.R. n° 27-24980 del 6/07/1998, ottengono idonea annotazione nell’Albo delle imprese artigiane.


Art. 3 Interventi

1. Tra gli interventi, di cui all’art. 29 della L.R. 21/97, è prevista la realizzazione di un marchio di qualità.


Art. 4 Denominazione

1. Con la denominazione “Eccellenza Artigiana” si intende indicare l’impresa che ha ottenuto il riconoscimento e l’annotazione, ai sensi dell’art. 28 della L.R. 21/98


Art. 5 Soggetti autorizzati all’utilizzo della denominazione

1. Ottengono tale denominazione quelle imprese e quei consorzi che, previo accertamento da parte delle Commissioni provinciali per l’artigianato, competenti per territorio, della rispondenza dei requisiti con i relativi disciplinari di produzione, avendo avuto l’approvazione, sono state annotate all’Albo delle imprese artigiane, quali imprese di “eccellenza artigiana”.


Art. 6 Marchio

1. Il marchio è stato realizzato per rappresentare ed esaltare lo storico ed imprescindibile intreccio tra l’artigianato e la cultura, le tradizioni e lo sviluppo del Piemonte.

2. Il marchio (in bianco e nero e a colori) che si allega come parte integrante del presente regolamento risulta costituito da un rettangolo a bordo nero contenente a sinistra lo stemma della Regione Piemonte, a destra il simbolo specifico dell’artigianato artistico, con al centro il logo “Piemonte Eccellenza Artigiana”, accompagnato dalla base-line “Perché la qualità riconosciuta sia riconoscibile”.

3. Ferma restando l’immagine grafica come sopra descritta, l’impresa è autorizzata ad utilizzare il marchio nella versione a colori o in bianco e nero nelle dimensioni più confacenti alle diverse esigenze.


Art. 7 Registrazione marchio

1. La registrazione del marchio avviene ai sensi della normativa vigente.


Art. 8 Soggetti autorizzati all’utilizzo del marchio

1. L’utilizzo del marchio è riservato in via esclusiva alle imprese che ottengono il riconoscimento di “Eccellenza artigiana” ai sensi dell’art. 28 della legge 21/97 e s.m.i.

2. L’impresa è autorizzata a utilizzare il marchio dal momento dell’annotazione effettuata ai sensi dell’art. 28 della L.R. 21/97 e delle relative procedure di attuazione.

3. Le modalità di utilizzazione del marchio sono disciplinate dal presente regolamento.

4. L’impresa di “eccellenza artigiana” deve utilizzare il marchio nella forma e con le modalità anche grafiche previste, senza modificazione di sorta, esclusivamente per la propria impresa, essendo esclusa la facoltà di autorizzare terzi, compresi eventuali subfornitori ad utilizzare il marchio in qualunque modo o forma.


Art. 9 Modalità di utilizzo del marchio

1. L’uso e la pubblicizzazione del marchio può avvenire unicamente:

a) in ogni documento di presentazione dell’impresa (quali ad esempio, carta intestata, biglietto da visita e fatture);

b) in ogni iniziativa commerciale o pubblicitaria;

c) negli stand presso fiere ed esposizioni;

d) nel contesto dell’insegna dei propri laboratori.


Art. 10 Controlli e vigilanza

1. Le Commissioni Provinciali per l’Artigianato, nell’ambito delle proprie competenze attinenti alla corretta tenuta dell’Albo delle imprese artigiane, possono in ogni momento verificare il permanere in capo all’impresa che abbia ottenuto il riconoscimento di “eccellenza artigiana” dei requisiti richiesti dai rispettivi disciplinari di produzione.

2. In caso di perdita dei requisiti richiesti dai disciplinari, la Commissione provinciale per l’Artigianato competente territorialmente, provvede ai sensi dell’art. 45 della L.R. 21/97 alla cancellazione dell’annotazione dell’impresa dall’Albo, sentito in ogni caso l’interessato.

3. Le Commissioni Provinciali per l’Artigianato vigilano inoltre sull’osservanza del presente regolamento, sull’utilizzo del marchio da parte delle imprese.

4. Qualora si riscontri la non conformità dell’utilizzazione del marchio al regolamento d’uso ed alle prescrizioni dei disciplinari, la Commissione competente territorialmente diffida l’impresa dall’utilizzo in maniera irregolare del marchio invitandola ad adeguarsi al presente regolamento.


Art. 11 Parere UE

1. Ogni utilizzo del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana” rilevante ai fini commerciali è sospeso fino al conseguimento del parere favorevole dell’Unione europea.

Il presente regolamento regionale sarà pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione.

E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.

Torino, addì 15 gennaio 2001

Enzo Ghigo


                    Allegato A


Art. 6

Estratto dal Bollettino Ufficiale Regione Piemonte - numero 8 del 21 febbraio 2001

Comunicato della Direzione Affari istituzionali e
processo di delega

DGR n. 4-1714 del 14 dicembre 2000 “L.r. 21/1997, art. 29. Approvazione del Regolamento d’uso del marchio “Piemonte Eccellenza Artigiana”

Con nota prot. n. 3241/5 del Presidente della Giunta Regionale del 15 febbraio 2001, si è provveduto al ritiro della notifica del regolamento in oggetto, in quanto il medesimo è risultato non concretizzare un regime di aiuto.

Quanto sopra comporta la non applicabilità della clausola di sospensione prevista all’articolo 11 del regolamento stesso.




LEGISLAZIONE SETTORE CASEARIO


La normativa che regola il settore alimentare in genere e le norme riguardanti il comparto lattiero-caseario si possono dividere in due grandi gruppi:

* norme riguardanti la produzione e la vendita;

* norme riguardanti la tutela della qualità

Norme igieniche riguardanti la produzione e la vendita

Rientrano in questo ambito leggi e/o norme secondarie che disciplinano le fasi di produzione, trasformazione e vendita di cibi, bevande, prodotti di provenienza agricola e quant’altro sia destinato alla somministrazione al pubblico.

In questo settore l’Italia vanta una centenaria tradizione di controllo, iniziata con il regio Decreto n. 2033 del 1925 nel quale si individuavano i gruppi di alimenti da sottoporre a controllo, definendoli sotto il profilo merceologico e identificando i parametri qualitativi necessari per la loro commercializzazione.

I diversi interventi legislativi succedutisi nel tempo nella disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande sono stati riorganizzati in primo luogo dalla legge quadro n. 283 del 30 aprile 1962, e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con il DPR n. 327 del 26 marzo 1980.

La materia è stata peraltro profondamente innovata dalla Comunità Europea, che sulla materia è intervenuta, fra l’altro, con tre fondamentali provvedimenti:

- Direttiva 92/46 del 16 giugno 1992, che stabilisce le norme sanitarie per la produzione e la commercializzazione di latte crudo, di latte trattato termicamente e di prodotti a base di latte;

- Direttiva 92/47, anch’essa del 16 giugno 1992, che stabilisce la concessione di deroghe temporanee e limitate alle norme sanitarie dettate dalla direttiva 92/46;

- Direttiva 93/43, del 14 giugno 1993, sull’igiene dei prodotti alimentari.

In Italia le predette direttive sono state recepite dal DPR 14 gennaio 1997, n. 54 e dal d. lgs. 26 maggio 1997, n. 155. In base al combinato disposto dei provvedimenti in questione, il quadro normativo relativo alla produzione di formaggi, per ciò che riguarda gli aspetti igienici è basato sui seguenti principi:

- sono fissati limiti igienici e microbiologici per il latte e per il prodotto finito;

- sono stabiliti i requisiti delle strutture, degli stabilimenti e degli impianti di produzione e/o trasformazione;

- prevede l’obbligo di apposizione per tutti i prodotti del comparto lattiero-caseario del bollo sanitario CEE, ossia di un marchio nel quale è riportata la sigla CEE, la sigla dello stato dove è sito lo stabilimento di produzione e il numero di autorizzazione che gli è stato conferito;

- il produttore o il responsabile dello stabilimento di trattamento o di trasformazione è altresì responsabile dei rischi alla salute umana da contaminazioni di prodotto e deve prendere tutte le misure necessaria affinché in tutte le fasi del processo siano rispettati i requisiti e i limiti fissati dalla normativa (c.d. “Autocontrollo”). A tal fine negli stabilimenti e sui prodotti deve essere effettuata una serie i controlli, basati su di un sistema, il c.d. Hazard Analysis Critical Control Point - HACCP che prevede l’identificazione dei punti di rischio e di intervento (c.d. “punti critici”) nel ciclo di produzione di un formaggio.

Il DPR 54/97 prevede peraltro una serie di deroghe definitive o temporanee, meglio specificate dalla Circolare del Ministero della Sanità n. 16/1997, che riguardano:

- i requisiti delle aziende di produzione;

- i requisiti della materia prima;

- i requisiti degli stabilimenti di trattamento e di trasformazione.

Particolarmente interessanti ai nostri fini sono le deroghe che riguardano la materia prima e i requisiti degli stabilimenti, in base ai quali:

- l’utilizzo del latte crudo è consentito per la produzione di formaggi a stagionatura superiore a 60 giorni, per i formaggi con caratteristiche tradizionali e per le aziende che vendono direttamente presso propri locali;

- per la produzione di formaggi con caratteristiche tradizionali, indipendentemente dal periodo di stagionatura, oltre all’utilizzo del latte crudo è ammesso altresì l’uso di materiali specifici per la preparazione ed il confezionamento o l’imballaggio del prodotto nonché l’uso di magazzini di stagionatura o locali di maturazione di tipo naturale, per tener conto della flora locale specifica.

Per prodotti con caratteristiche tradizionali si intendono quei prodotti storicamente riconosciuti come tali, quelli fabbricati secondo criteri tecnici o metodi codificati o registrati, oppure protetti dalla legge nazionale, regionale o locale.

La definizione di prodotto tradizionale appare peraltro ampia e generica. Sinora dunque l’unico criterio discriminante adottato per l’applicazione delle predette deroghe è stato quello del riconoscimento da parte di un ordinamento giuridico: i prodotti a denominazione riconosciuta/protetta dalla normativa nazionale e - a maggior ragione - da quella comunitaria (DOP e IGP) sono al momento gli unici a beneficiare della disciplina derogatoria.

Va comunque ricordato che, ai sensi del d. m. Agricoltura n. 350/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, è stato operato un primo censimento della produzione tradizionale “di nicchia” del nostro paese, redigendo un apposito elenco (periodicamente aggiornato) dei prodotti tradizionali, elenco pubblicato nella gazzetta ufficiale. Tale elenco potrebbe quindi rappresentare nel prossimo futuro la base di partenza per l’individuazione dei nuovi prodotti che possono rientrare nel campo di applicazione della disciplina derogatoria.

Norme a tutela della qualità

Il concetto di qualità, legato alla definizione dei criteri per il riconoscimento di un prodotto in base alla zona di origine, assume per la prima volta carattere di ufficialità con la Convenzione Internazionale di Stresa. Nel giro di pochi anni peraltro alcuni paesi firmatari denunciarono l’accordo che vide quindi ridursi di molto la sua portata.

In Italia la legge fondamentale del settore in Italia è la l. n. 125 del 10.4.1954 che ha istituito la tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi, prevedendo due categorie:

- Formaggi a denominazione di origine (DO): formaggi prodotti in zone geografiche delimitate, osservando usi locali e costanti le cui caratteristiche merceologiche derivano, prevalentemente, dalle condizioni proprie dell’ambiente di produzione (foraggio, razze allevate, metodo di produzione)

Formaggi a Denominazione Tipica: formaggi prodotti nel territorio nazionale osservando usi leali e costanti, le cui caratteristiche merceologiche derivano da particolari metodi della tecnica di produzione, di solito osservate in aree limitate del Paese.

Nel 1992 sono stati emanati i Regolamenti comunitari n. 2081 e 2082 che hanno sancito a livello comunitario il riconoscimento della tipicità, articolato su tre diverse categorie:

- Denominazione di Origine protetta - DOP (art. 2 Reg. CEE 2081/92)

La Denominazione d’Origine Protetta indica il nome di una regione, di un luogo determinato, o in casi eccezionali, di un paese, che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario delle stesse aree, la cui qualità o le cui caratteristiche dipendono in maniera essenziale o esclusiva dall’ambiente geografico, inteso come l’insieme dei fattori naturali ed umani, e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono nell’area geografica delimitata.

- Indicazione Geografica Tipica - IGT (art. 2 Reg. CEE 2081/92)

Per Indicazione Geografica Tipica si intende il nome di una regione, di un di un luogo determinato, o in casi eccezionali, di un paese, che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, luogo o paese di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avvengono nell’area geografica determinata.

- Attestazione di Specificità - STG (art. 2 Reg. CEE 2082/92)

Per Specificità si intende l’elemento o l’insieme degli elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria. La produzione deve essere realizzata utilizzando materie prime tradizionali oppure avere una composizione tradizionale o aver subito un metodo di produzione e/o trasformazione di tipo tradizionale. Per essere registrato il nome specifico deve essere tradizionale e conforme a disposizioni nazionali o essere consacrato dall’uso.

La differenza fra DOP e IGP è legata essenzialmente al legame fra prodotto e area geografica cui si riferisce il nome: per le DOP è necessario che tutta la filiera produttiva si svolga nell’ambito deIl’area geografica delimitata, mentre per l’IGP il legame è meno vincolante, essendo sufficiente che solo una caratteristica sia legata all’area geografica delimitata.

L’attestazione di specificità è invece in sostanza il riconoscimento ufficiale del carattere tradizionale legato ad una determinata produzione.

Peraltro è opportuno sottolineare che con l’introduzione delle diverse categorie l’UE non ha inteso definire una scala qualitativa dei prodotti, ma esclusivamente fornire al consumatore la possibilità di “riconoscere” le caratteristiche di ogni prodotto e quindi di decidere sull’acquisto in maniera consapevole.

La vigilanza sui prodotti: il ruolo dei Consorzi di tutela e degli Enti certificatori.

La l. 125/1993 aveva attribuito, in via primaria, il compito della vigilanza sui formaggi a Denominazione d’Origine al Ministero delle Politiche Agricole di concerto con il Ministero delle Attività produttive; la legge stessa peraltro prevedeva che l’incarico della vigilanza per ciascun tipo di formaggio potesse essere affidato dai Ministeri stessi a un Consorzio di produttori di formaggio.

L’attività di vigilanza affidata ai Consorzi aveva quindi per oggetto la produzione ed il commercio del formaggio, il corretto uso della denominazione e dei marchi, l’esercizio delle azioni giudiziarie necessarie per impedire e reprimere abusi ed irregolarità. Era altresì prevista la marchiatura con contrassegni depositati a norma di leggi aventi lo scopo di distinguere e garantire il formaggio. Oltre alla vigilanza i Consorzi erano inoltre deputati anche all’attività di assistenza tecnica e alla promozione del consumo del prodotto.

Con l’entrata in vigore dei regolamenti comunitari, l’attività di vigilanza dei Consorzi è venuta meno, giacché tale attività deve essere affidata ad organismi terzi, Tali organismi, rappresentati dalle Società o Enti di certificazione della Qualità, anch’essi autorizzati per decreto dal Ministro delle Politiche Agricole, devono offrire sufficienti garanzie di obiettività ed imparzialità nei confronti dei produttori e/o trasformatori e disporre permanentemente dei mezzi necessari per l’esercizio dell’attività di controllo.


QUADRO DI RIFERIMENTO NORMATIVO
SETTORE CASEARIO


Regio D. Legge 15 ottobre 1925, n° 2033: Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari.

Legge 19 febbraio 1992, n° 142: Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1991).

D. Ministeriale 2 dicembre 1991, n° 446: Regolamento concernente le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’impiego delle preparazioni dell’enzima chimosina ottenute da microrganismi geneticamente modificati nella coagulazione del latte destinato alla produzione di formaggi.

D.P.R. 17 maggio 1988, n° 180: Attuazione della direttiva CEE n° 83/417 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative a talune lattoproteine (caseine e caseinati) destinate all’alimentazione umana, ai sensi dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n° 183.

Regolamento CEE n° 2204/90 del Consiglio del 24 luglio 1990: Norme generali complementari dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caserai relativamente ai formaggi.

Circolare Ministeriale 13 ottobre 1990, n° 21: Regolamento CEE n° 2204/90 - Nuove disposizioni in materia di utilizzo di caseina e caseinati nei formaggi.

D. Ministeriale 15 dicembre 2000: Fissazione dei valori massimi di furosina nei formaggi freschi a pasta filata e nel latte (crudo e pastorizzato per ossidasi-positiva).

D. Ministeriale 16 maggio 1996: Approvazione del metodo ufficiale di analisi per la determinazione diretta della furosina nel latte e nel formaggio.

D. Ministeriale 24 gennaio 2000: Variazione dell’elenco dei laboratori specialissati per le analisi di revisione.

D. Ministeriale 31 marzo 2000: Abrogazione del D. Ministeriale 18 marzo 1994 recante: “Determinazione di un valore massimo di furosina per il formaggio mozzarella e per gli altri formaggi freschi a pasta filata”, e del D. Ministeriale 19 settembre 1994, recante: “Determinazione di un valore massimo di furosina per il latte pastorizzato in flusso continuo e che risulta per ossidasi positivo”.

Legge 10 aprile 1954, n°125: Tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi.

AUTOCONTROLLO MEDICO-MICROBIOLOGICO: HACCP (Hazard Analysis And Critical Control Points)

D. _Legislativo 26 maggio 1997, n° 155: Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari.

Legge 21 dicembre 1999, n° 526: Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee.

Circolare Ministeriale 13 gennaio 2000, n° 1: Modalità per il rilascio delle autorizzazioni ai laboratori adibiti al controllo ufficiale dei prodotti a denominazione di origine e ad indicazione geografica, registrati in ambito comunitario.

Circolare Ministero della Sanità 26 gennaio 1998, n° 1: Aggiornamento e modifica della circolare n° 21 del 28 luglio 1995 recante: “Disposizioni riguardanti l’elaborazione dei manuali di corretta prassi igienica in applicazione D. Legislativo 26 maggio 1997, n° 155".

Circolare Ministeriale 7 agosto 1998, n° 11: Applicazione del D. Legislativo 26 maggio 1997, n° 155, riguardante l’igiene dei prodotti alimentari.