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Bollettino Ufficiale n. 34 del 22 / 08 / 2002
T.A.R. per il Piemonte
Ordinanza n. 359/2002 - Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dellart. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Ordinanza del 23 aprile 2002 emessa dal T.A.R. per il Piemonte sul ricorso proposto da provati c/unASL
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE PER IL PIEMONTE
Sezione Seconda
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 887 del 1997 proposto da privati, rappresentati e difesi dallavv. Sebastiano Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliati in Torino, via Magenta n. 36;
contro
unASL, non costituita in giudizio;
e nei confronti
della Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t., rappresentata e difesa dallavv. Giulietta Magliona ed elettivamente domiciliata in Torino, piazza Castello n. 165;
per lannullamento
- previa sospensione - dellatto prot. n. 4234 del 6 febbraio 1997, con il quale il Servizio Veterinario di unASL ha dato adempimento allart. 1, comma secondo, della legge regionale 3 gennaio 1997 n. 4;
di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quello impugnato con il presente ricorso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto latto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi alla Camera di Consiglio del 17 aprile 2002 lavv. Zuccarello per i ricorrenti e lavv. Magliona per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con atto prot. n. 4234 in data 6 febbraio 1997 il Servizio Veterinario di unASL, in dichiarato adempimento dellart. 1, comma secondo, della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4, invitava i medici veterinari dipendenti a segnalare, nel termine di quindici giorni, se intendessero esercitare attività libero-professionale, e in caso positivo quali fossero i programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilità. Avverso tale atto hanno proposto impugnativa i ricorrenti, tutti medici veterinari in servizio presso la suindicata Azienda sanitaria, deducendo:
I - Questione di legittimità costituzionale.
I ricorrenti sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4 per i seguenti motivi:
1) Contrasto della disposizione contenuta nellart. 2, comma 1, della legge reg. n. 4/97 con lart. 120, comma 3, della Costituzione.
La normativa regionale, nel disciplinare lattività libero-professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, ha posto il divieto di svolgimento di tale attività nellambito territoriale dellazienda sanitaria di appartenenza. Tuttavia, trattandosi di limitazione che non appare immediatamente riconducibile allesigenza di evitare la riunione nella medesima persona delle figure del controllore e del controllato, e quindi allobiettivo di scongiurare situazioni di conflitto derivanti dallesercizio delle funzioni pubbliche affidate ai veterinari, il criterio territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dellavviso espresso in proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985), circa la necessità che il sistema delle compatibilità si fondi sulla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, a prescindere da un generico riferimento allambito territoriale. Pertanto il divieto imposto dalla legge regionale risulta arbitrario e si pone in netto contrasto con il precetto di cui allart. 120, comma 3, della Costituzione, a norma del quale la Regione non può porre limiti di carattere territoriale al diritto dei cittadini di esercitare la loro attività professionale o di impiego.
2) Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/97 con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione.
Il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge reg. n. 4/97 esclude in concreto leffettiva possibilità di esercizio della libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, così violando le norme di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro nelle sue varie modalità concrete di esplicazione. Né i limiti introdotti appaiono giustificati dallesigenza di evitare pregiudizi allinteresse pubblico. Si consideri, infatti, che il divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata e di esservi legato da rapporto di lavoro subordinato, relativamente allattività sugli animali daffezione (v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto di svolgimento di tale attività, attesa la necessità che la stessa si svolga presso un ambulatorio; senza che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare tale preclusione, posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie sono diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative agli animali da reddito, sicché alcun pregiudizio può ipotizzarsi per il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento di unattività professionale che riguardi gli animali daffezione. Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa regionale, disciplinando la libera professione per gli animali da reddito e per il cavallo sportivo, hanno leffetto di sacrificare ingiustificatamente il diritto costituzionale allesercizio dellattività libero-professionale, ove si consideri che la stessa è consentita solo se si verifica una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti (art. 3, comma 1), e quindi è subordinata a circostanze che non attengono allesigenza di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto piuttosto a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti.
3) Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/97 con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n. 4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Violazione dellart. 117, comma 1, della Costituzione.
La normativa regionale è in contrasto con le disposizioni statali in materia, ed in particolare con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n. 4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Detta disciplina affida al legislatore regionale ladozione di norme attuative, presupponendo che non venga escluso in concreto lesercizio dellattività libero-professionale, ma regolamentata la stessa in funzione della salvaguardia degli interessi pubblici. Ne consegue che, avendo la legge regionale piemontese introdotto limitazioni tali da precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati rispettati i limiti fissati dai principi fondamentali ricavabili dalle leggi statali, e quindi si ravvisa lulteriore contrasto con lart. 117, comma 1, della Costituzione.
4) Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/97 con lart. 3, comma 1 e 2, della Costituzione. Disparità di trattamento.
La normativa regionale viola anche lart. 3 della Costituzione. Infatti, lintroduzione di limitazioni sostanziali allesercizio dellattività professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nellambito della Regione Piemonte ha determinato una evidente disparità di trattamento tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonché tra veterinari pubblici e veterinari liberi professionisti, e ancora fra veterinari in servizio presso le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni. La violazione del principio di uguaglianza emerge dalla considerazione dellinutilità ed arbitrarietà dei divieti contenuti nella legge regionale, i quali non sono idonei a salvaguardare linteresse pubblico, favorendo esclusivamente i veterinari liberi professionisti, rispetto ai quali i colleghi del servizio sanitario nazionale, in modo del tutto immotivato, si trovano in posizione deteriore.
Il - Merito.
- Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimità derivata.
Gli indicati profili di illegittimità costituzionale viziano in via derivata latto impugnato. La violazione delle nonne e dei principi costituzionali comporta altresì linvalidità del provvedimento per eccesso di potere, sotto il profilo dellingiustizia manifesta e della disparità di trattamento. Inoltre lapplicazione di una legge che favorisce in modo del tutto ingiustificato i veterinari liberi professionisti potrebbe altresì determinare il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa.
I ricorrenti concludono dunque per lannullamento dellatto impugnato, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, che invocano venga disposta già nella Camera di Consiglio fissata per lesame dellistanza cautelare.
Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al gravame. Con memoria del 13 maggio 1997 è stata innanzi tutto eccepita linammissibilità del ricorso, in quanto proposto avverso atto recante un mero invito a comunicare dati, e quindi inidoneo a ledere un interesse concreto e attuale, potendo la lesione derivare solo da un successivo provvedimento avente immediato contenuto precettivo; si tratta quindi di atto preparatorio endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile. Quanto alla dedotta incostituzionalità della normativa regionale, se ne è rilevata linfondatezza, atteso che il legislatore regionale si è limitato a stabilire le modalità di esercizio della libera professione da parte dei veterinari pubblici, in conformità ai principi stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio allesigenza di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici funzioni affidate al personale veterinario del servizio sanitario nazionale, nellambito di unattività rivolta a tutelare - attraverso le profilassi pianificate e il controllo degli alimenti di origine animale - la salute umana e leconomia dellintero comparto agro-zootecnico.
Con ordinanza n. 517 in data 16 giugno 1997 questa Sezione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, 3 e 4 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, e ne ha deferito il sindacato alla Corte costituzionale; contestualmente ha sospeso lefficacia dellatto impugnato fino alla Camera di Consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dellesito del giudizio di costituzionalità, in vista dellulteriore corso del processo cautelare.
Con ordinanza n. 231, depositata in cancelleria il 19 giugno 1998, la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti a questo Tribunale, invitandolo ad effettuare un nuovo esame della rilevanza della questione di costituzionalità alla luce delle norme sopravvenute in materia.
Con memoria del 14 luglio 1998 i ricorrenti hanno insistito sulla perdurante sussistenza dei presupposti per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, tenuto anche conto - relativamente allo ius superveniens (art. 124, comma 1, lett. a, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) - del difetto di potere legislativo della Regione Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
Con ordinanza n. 536 in data 25 luglio 1998 questa Sezione ha nuovamente deferito la questione alla Corte costituzionale, con contestuale sospensione dellefficacia dellatto impugnato.
Successivamente, in relazione ad un mutato quadro normativo, la Corte costituzionale ha ancora una volta disposto la restituzione degli atti al giudice a quo, al fine di vedere accertata la perdurante rilevanza della questione (v. ord. n. 84/2000).
Con memorie in data 8 maggio 2000 le parti hanno insistito sulle rispettive posizioni.
Con ordinanza n. 2 in data 26 maggio 2000 questa Sezione ha ancora una volta deferito la questione alla Corte costituzionale, con contestuale sospensione dellefficacia dellatto impugnato.
Indi, in ragione della sopravvenuta modificazione di due disposizioni costituzionali, la Corte costituzionale riteneva di dover nuovamente restituire gli atti al giudice a quo, al fine di un riesame dei termini della questione alla luce del nuovo quadro normativo (v. ord. n. 80/2002).
Alla Camera di Consiglio del 17 aprile 2002, ascoltati i rappresentanti delle parti, il Collegio si è riservata la decisione sullistanza cautelare dei ricorrenti.
DIRITTO
In servizio presso unAzienda regionale in qualità di medici veterinari, i ricorrenti impugnano la nota con cui lAmministrazione, fissato un termine di quindici giorni per pronunciarsi, li ha invitati a comunicare le loro intenzioni circa lesercizio dellattività libero-professionale, ed in particolare circa i programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilità. Assumono lillegittimità costituzionale della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale è stata formulata la richiesta dellAmministrazione, giacché la sopraggiunta disciplina regionale avrebbe introdotto tali e tante limitazioni allattività professionale dei veterinari titolari di rapporto di pubblico impiego da precluderne in concreto lesercizio, in violazione degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione. Nellattuale regime giuridico ogni preclusione alla libera professione del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela dellinteresse alla massima funzionalità operativa del servizio sanitario nazionale, sicché ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita compressione del diritto al lavoro e del diritto alluguaglianza di trattamento rispetto al restante personale medico e al personale veterinario di altre regioni, nonché ancora una non consentita riduzione dellambito territoriale in cui svolgere lattività professionale (atteso il divieto in tal senso posto al legislatore regionale) e, comunque, lesorbitanza della disciplina regionale dai limiti fissati dalla normativa di principio.
Eccepisce la Regione Piemonte linammissibilità del ricorso, giacché proposto avverso atto endoprocedimentale, e quindi privo di carattere immediatamente lesivo. Quanto alla presunta incostituzionalità della disciplina regionale, se ne contesta la sussistenza, poiché le introdotte limitazioni allo svolgimento della libera professione da parte del personale veterinario troverebbero tutte fondamento nella necessità di scongiurare linsorgenza di conflitti di interessi legati al contestuale esercizio di funzioni istituzionali e di attività professionale.
Va preliminarmente respinta leccezione di inammissibilità del gravame. In effetti latto impugnato, facendo carico ai ricorrenti di un adempimento che trae origine direttamente dalla legge reg. n. 4 del 1997 (ovvero lobbligatoria segnalazione allAmministrazione del tipo di attività professionale che si intende svolgere), rende attuali i vincoli di legge alla libera professione dei veterinari, quali si desumono dalla medesima disciplina regionale. Sussiste quindi linteresse attuale dei destinatari di quella nota di veder rimossa la causa di un obbligo di condotta che rileva immediatamente nel rapporto di impiego, sotto il duplice profilo del dovere di comunicazione dellattività professionale da esercitare e del connesso divieto di svolgerla al di là dei limiti fissati dalla legge regionale.
Nel merito, occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in cui si inserisce la questione dedotta.
Nellambito della disciplina di riforma sanitaria lart. 47 della legge n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per lemanazione di norme idonee a garantire con criteri uniformi il diritto allesercizio della libera attività professionale per i medici e veterinari dipendenti delle unità sanitarie locali ___- Con legge regionale sono stabiliti le modalità e i limiti per lesercizio di tale attività (comma 3, n. 4). Successivamente, in attuazione della delega conferita, si stabiliva che il personale veterinario ha la facoltà di esercitare lattività libero-professionale, fuori dei servizi e delle strutture dellunità sanitaria locale, purché tale attività non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto con gli interessi ed i fini istituzionali dellunità sanitaria locale stessa, né incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalità e limiti previsti dalla legge regionale (art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 761 del 1979). Indi lart. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, sancito il principio per cui con il servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro, ha disposto che lesercizio dellattività libero-professionale dei medici dipendenti del servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico dimpiego, purché espletato fuori dellorario di lavoro allinterno delle strutture sanitarie o allesterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale. Da ultimo la Regione Piemonte ha inteso provvedere alla regolamentazione dellesercizio dellattività libero-professionale dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale (legge reg. 3 gennaio 1997, n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di esplicare tale attività al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dellorario di servizio, al di fuori del plus orario, al di fuori del lavoro straordinario (art. 1, comma 1), ma subordinatamente alladempimento dellobbligo di segnalare al direttore generale dellazienda sanitaria regionale (ASR) di appartenenza programmi e tempi di massima del proprio impegno perché lente possa accertare e valutare lassenza di condizioni di incompatibilità" (art. 1, comma 2); incompatibilità che, relativamente agli animali daffezione, riguardano lattività professionale esercitata nel territorio di pertinenza della ASR presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di pubblico dipendente (art. 2, comma 1), con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2, comma 2), e che, relativamente agli animali da reddito, comportano il generale divieto di svolgimento dellattività professionale, salvo che non si verifichi una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti (art. 3, comma 1), e comunque nel rispetto di determinati programmi operativi e subordinatamente ad una verifica di competenza del servizio veterinario regionale (art. 3, comma 2 e 3).
La normativa statale richiamata si iscrive in quellindirizzo costantemente favorevole allesercizio di attività professionali al di fuori dellordinario rapporto di lavoro, che - in deroga alla disciplina generale del rapporto di pubblico impiego, caratterizzata dal principio di esclusività - è stato dà sempre lelemento peculiare dello status del medico dipendente dal servizio sanitario pubblico. Alla base vi è la convinzione dellinfluenza positiva che al pubblico dipendente può derivare dalla pratica professionale, posto che lespletamento di attività esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne le capacità operative, sì da giustificare il regime differenziato riservato dal legislatore a talune categorie di personale abilitato a svolgere anche la libera professione (v. Corte cost. 23 dicembre 1986 n. 284, relativamente al personale docente della scuola); per il personale medico, in particolare, trattandosi di valorizzarne la professionalità, si persegue al contempo un interesse della stessa struttura sanitaria pubblica. Lesercizio dellattività professionale non può però incidere negativamente sullosservanza del complesso dei doveri facenti capo al pubblico dipendente, ovvero non può trasformarsi in un fattore di pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti dufficio. In tal senso assumono rilievo i limiti posti dallesaminata normativa, ovvero il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i fini istituzionali dellAmministrazione sanitaria.
Ciò posto, deducono i ricorrenti che lintervenuta disciplina regionale si caratterizza per una indebita restrizione delle possibilità di esercizio dellattività libero-professionale da parte dei veterinari addetti al servizio sanitario nazionale, in contrasto con varie norme costituzionali. La questione è rilevante e non manifestamente infondata.
La rilevanza ai fini del presente giudizio consegue alla circostanza che il provvedimento impugnato è stato adottato in diretta applicazione della normativa regionale sospettata di incostituzionalità, e in riferimento alla complessiva regolamentazione dalla stessa impressa allattività libero-professionale dei veterinari dipendenti pubblici, sicché leventuale espunzione dallordinamento della predetta normativa comporterebbe laccoglimento del ricorso e la caducazione dellatto lesivo.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione dedotta, rileva il Collegio, in linea con lorientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985/93), che la regolamentazione dellattività libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio sanitario nazionale implica lindividuazione di specifiche situazioni idonee a determinare un grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario pubblico, vietando ai medici veterinari quei comportamenti idonei a realizzarli. Non operando nel settore il principio generale secondo cui è interdetta qualsiasi attività professionale estranea al rapporto di lavoro (giacché suscettibile di dar luogo ad interessi conflittuali con quelli inerenti la posizione di pubblico dipendente), ogni deroga alla regola che consente la libera professione medica deve trovare fondamento in ragioni direttamente connesse alla primaria esigenza di garantire un efficiente servizio assistenziale pubblico, ovvero deve tendere ad evitare che sia negativamente condizionato lassolvimento dei doveri dufficio, senza tuttavia porre limiti ulteriori, e soprattutto senza tradursi in un sostanziale annullamento delle effettive possibilità di esercizio di tali attività aggiuntive, attraverso ladozione di misure che in concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto. In quanto voluto espressamente dallordinamento come uno dei contenuti del rapporto di impiego del personale medico, il diritto allesercizio della libera professione è riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente protetto (artt. 4 e 35 Cost.), sicché ogni limitazione a tale facoltà si giustifica solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti (v. Corte cost. 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
Ne consegue che limpossibilità di svolgere attività professionale per gli animali daffezione nel territorio dellazienda sanitaria di pertinenza, con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave affievolimento delle facoltà professionali del veterinario senza raccordarsi funzionalmente a specifiche esigenze della struttura sanitaria pubblica. La titolarità di funzioni inerenti al servizio sanitario nazionale non può evidentemente dar luogo ad un generalizzato divieto di esercizio di attività private, benché limitato ad un determinato ambito territoriale, in quanto si viene in tal modo a contraddire il principio che ammette alla libera professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito che i vincoli devono essere dimensionati in relazione al tipo di attività svolte nellambito della struttura pubblica, e non anche in riferimento al luogo in cui opera il veterinario. Il criterio territoriale non soddisfa di per sé le esigenze che sono alla base della necessità di disciplina dellattività professionale del personale medico, giacché ne vanifica di fatto il diritto senza razionalmente ricondursi allobiettivo di assicurare lottimale funzionalità del servizio sanitario pubblico. Nellattuale ordinamento prevale il criterio sostanzialistico della potenziale situazione di conflitto, e quindi occorre procedere alla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, che va considerato nella sua globalità e non nellambito delle singole strutture in cui si articola (v. Cons. Stato, Sez. 1, n. 985/93 cit.). Né è decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di controllo e vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie, che indurrebbero i medici veterinari ad essere controllori di stessi, posto che - una volta ammesso lesercizio della libera professione - non se ne può poi escludere in toto lammissibilità, ma occorre piuttosto individuare le misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli nella medesima persona, tenendo conto delle mansioni effettivamente assolte e dei settori operativi cui si è assegnati, ed in tale ottica trarne le conseguenze in ordine alle modalità e ai limiti di esercizio dellattività professionale.
Allo stesso modo, il generale divieto di svolgere attività professionale per gli animali- da reddito (salvo il caso di carenza di veterinari libero-professionisti; art. 3 della legge reg. n. 4/97) implica la soppressione di ogni possibilità di esercizio della libera professione, e quindi sovverte quel principio che si è più volte indicato come canone informatore del rapporto di impiego del personale medico. Anziché individuare le ipotesi di conflitto con le competenze dei veterinari quali dipendenti pubblici, la norma preclude in toto lammissibilità della libera professione. Difetta quindi ogni ponderato collegamento con le esigenze del servizio sanitario pubblico.
In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacché la normativa regionale piemontese (ed in particolare gli artt. 2 e 3, nonché lart. 4, che estende la predetta disciplina al c.d. cavallo sportivo, nonché per connessione lart. 1, comma 2, che fa obbligo ai veterinari di segnalare alla propria azienda sanitaria, per le dovute verifiche, lattività libero-professionale che intendono svolgere) risulta ingiustificatamente preclusiva delle concrete possibilità di esercizio della libera professione da parte dei veterinari dipendenti pubblici, e quindi lesiva del diritto al lavoro costituzionalmente protetto.
Per quanto concerne poi lasserito contrasto con lart. 3 della Costituzione, nega il Collegio che possa ipotizzarsi una disparità di trattamento con i medici dipendenti pubblici da una parte e con i veterinari libero-professionisti dallaltra, attesa levidente diversità delle situazioni poste a raffronto; quanto, invece, alla ipotizzata disparità di trattamento con il personale veterinario di altre regioni, è da escludersi che altre normativa regionali (o anche lassenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento per desumerne uneventuale violazione del principio di uguaglianza. Per contro, si deve dichiarare dufficio la non manifesta infondatezza della questione, in relazione allart. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza di una normativa regionale che prima ammette i veterinari allesercizio dellattività libero-professionale (v. art. 1, comma 1) e poi ne restringe contraddittoriamente le possibilità di esplicazione del diritto fino a vanificarlo.
Lassenza di una ratio giustificativa legata alla tutela della funzionalità operativa del servizio sanitario pubblico induce a ritenere non manifestamente infondata anche la questione di costituzionalità dellart. 2 della legge regionale in esame, in riferimento allart. 120, comma 3, della Costituzione, giacché il divieto di esercizio dellattività professionale per gli animali daffezione nellambito del territorio dellazienda sanitaria di appartenenza, privo come è di fondamento in norme di rango costituzionale, viene a determinare un indebito limite di spazio allo svolgimento della libera professione.
Vanno infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la Corte costituzionale della cognizione della normativa regionale in riferimento allart. 117 Cost., atteso che lintervenuta disciplina dellattività libero-professionale dei veterinari dipendenti pubblici appare discostarsi dai principi fondamentali in materia, quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che - come si è visto - ha inteso consentire in linea di massima lesercizio della libera professione, salvo regolamentarne le modalità di esplicazione in relazione allobiettivo di impedire linsorgenza di situazioni di pregiudizio al servizio sanitario pubblico. Laver gravemente compromesso il diritto allo svolgimento dellattività professionale, senza alcun ragionevole raccordo con le esigenze della struttura pubblica, integra quindi linosservanza degli indirizzi fissati dal legislatore statale, con conseguente violazione dellart. 117 Cost.
Né elementi significativi di novità rispetto allesaminata questione sono stati in un primo tempo desunti dal Tribunale in relazione alle norme sopravvenute in materia, quali individuate dalla Corte costituzionale con lordinanza n. 231 (depositata in cancelleria il 19 giugno 1998) - recante linvito ad un nuovo esame della rilevanza della questione di costituzionalità nel presente giudizio -.
Lart. 1 del decreto-legge n. 175 del 1997 (convertito dalla legge n. 272 der 1997) aveva riconosciuto al Ministro della Sanità la competenza a definire le caratteristiche dellattività libero-professionale intramuraria del personale medico e delle altre professionalità della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, le categorie professionali e gli enti o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sullattività intramuraria, nonché a disciplinare lopzione tra attività libero-professionale intramuraria ed extramuraria, le modalità del controllo del rispetto delle disposizioni sullincompatibilità, le attività di consulenza e consulto; successivamente erano intervenuti due decreti ministeriali, entrambi in data 31 luglio 1997, recante luno le linee guida dellorganizzazione dellattività libero-professionale intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale e laltro la disciplina in materia di attività libero professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del S.S.N. (lart. 7 di questultimo aveva fatto salva la regolamentazione introdotta con il decreto ministeriale in data 11 giugno 1997, avente ad oggetto la fissazione dei termini per lattivazione dellattività libero-professionale intramuraria). Ebbene, da tali norme non si evinceva un regime di incompatibilità che si sovrapponesse o sostituisse a quello fissato con la legge regionale piemontese, atteso che - come prescritto dallart. 1 del decreto-legge n. 175 - oggetto della nuova disciplina era esclusivamente lattività libero-professionale intramuraria (ed in tal senso doveva essere conseguentemente inteso ogni vincolo allattività professionale ivi stabilito), mentre di quella extramuraria si teneva conto al soli fini della definizione delle modalità di opzione tra luna e laltra e di controllo dellosservanza delle disposizioni sulle incompatibilità. Non si ravvisava dunque alcuna innovazione normativa suscettibile di incidere direttamente sulla posizione dei ricorrenti, ancora soggetta - quanto ai limiti di esplicazione dellattività professionale esterna - alla legge regionale sospettata di incostituzionalità.
Per quel che concerne, poi, lart. 124, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59"), a norma del quale sono conservate allo Stato le seguenti funzioni amministrative: a) la disciplina delle attività libero-professionali e delle relative incompatibilità, ai sensi dellart. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e dellart. 1, comma 14, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; ____", rilevava il Tribunale come la disposizione non facesse altro che confermare una preesistente competenza statale, rispetto alla quale la competenza regionale in materia conservava un ruolo secondario, ovvero attuativo di principi e norme stabiliti a livello statale. In questo quadro, quindi, la disciplina regionale restava sottordinata ai criteri desumibili da quella nazionale, e permanevano di conseguenza le perplessità espresse a proposito della conformità della normativa denunciata agli indirizzi fissati dal legislatore statale.
La Corte costituzionale richiedeva poi un ulteriore riesame della questione alla luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, recante norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dellarticolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419" (v. ord. n. 84/2000).
Senonché, pur essendosi in tal modo provveduto ad una organica disciplina del rapporto di lavoro esclusivo e di quello non esclusivo dei dirigenti sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, così come modificato dallart. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999), la Sezione non riteneva sostanzialmente mutato il quadro normativo di riferimento circa i contenuti dellattività libero-professionale extramuraria (dispone lart. 15-sexies: Il rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi dellarticolo 1, comma 10, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, abbiano comunicato al direttore generale lopzione per lesercizio della libera professione extramuraria e che non intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilità nellambito dellimpegno di servizio, per la realizzazione dei risultati programmati e lo svolgimento delle attività professionali di competenza. Le aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle attività e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonché le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate). Non vi era insomma ragione per considerare automaticamente venuta meno la previgente disciplina regionale, perché - in assenza di incompatibilità diretta e immediata con la sopraggiunta legge statale, che non dettava nuove indicazioni in merito - quella piemontese continuava a regolare la materia in ambito regionale, definendo i limiti di esercizio dellattività libero-professionale esterna nelle ipotesi di non intervenuta opzione per il rapporto di lavoro esclusivo. I ricorrenti, daltra parte, risultavano inquadrati tra i dirigenti abilitati allo svolgimento della libera professione extramuraria (v. certificati in data 4 maggio 2000), e quindi avevano sicuramente titolo a vedere sindacata la legittimità costituzionale della legge regionale nella specie applicata.
La Corte costituzionale, infine, ha restituito ancora una volta gli atti al Tribunale, invitandolo a tener conto del nuovo testo degli artt. 117 e 120 della Costituzione, quali risultanti dalle modifiche apportate dagli artt. 3 e 6 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (v. ord. n. 80/2002). Ma, quanto al primo parametro normativo, deve ritenersi che la questione, poiché direttamente connessa alle funzioni tipiche del Servizio sanitario nazionale, sia riconducibile alla materia della tutela della salute, o quanto meno - in via subordinata - alla materia delle professioni, che lart. 117, comma 3, Cost. inquadra nella legislazione concorrente; pertanto, permanendo nella competenza dello Stato la determinazione dei principi fondamentali, non vi è ragione per non considerare tuttora rilevanti gli indirizzi fissati dal legislatore statale. Né viene meno il contrasto con lart. 120 Cost., che vieta comunque alle regioni di limitare lesercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (comma 1), in tal modo riproponendo la preclusione che si era ritenuta rilevante nel previgente regime, e che pur in assenza dellespresso riferimento al termine professione è da considerare ancora adesso comprensiva di qualsiasi attività lavorativa in senso lato, ivi compresa quella libero-professionale.
Ciò stante, si deve disporre limmediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione. Con separata ordinanza è stata pronunciata la temporanea sospensione dellatto impugnato, con rinvio dellulteriore corso del processo cautelare alla conclusione del giudizio di costituzionalità.
P.Q.M.
Il tribunale amministrativo regionale per il Piemonte,
Sezione II, visto lart. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, 3 e 4 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione agli artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione.
Sospende il giudizio cautelare fino alla Camera di Consiglio immediatamente successiva alla comunicazione dellesito del giudizio di costituzionalità, e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente della Giunta regionale del Piemonte e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 17 aprile 2002, con lintervento dei Signori Magistrati:
Luigi Montini Presidente
Italo Caso Primo Referendario, Est.
Donatella Scala Primo Referendario
Il Presidente
LEstensore
Il Direttore di Segreteria