Supplemento Ordinario n. 2 al B.U. n. 43

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Deliberazione della Giunta Regionale 15 ottobre 2001, n. 29 - 4134

Sportello unico per le attività produttive. Adozione delle indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e D.P.R. 440/2000

A relazione del Presidente Ghigo e dell’Assessore Pichetto:

Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, attuativo della Legge n. 59/97, conferisce ai Comuni le funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione degli impianti produttivi.

Il medesimo decreto, all’art. 24, stabilisce altresì che dette funzioni debbano essere esercitate affidando ad un’unica struttura l’intero procedimento.

Tale struttura costituisce lo sportello unico per le attività produttive, al quale si rivolgono gli interessati per tutti gli adempimenti previsti dal procedimento.

Le Regioni, ai sensi dell’articolo 23 comma 2 del suddetto decreto legislativo, nell’ambito delle funzioni conferite in materia di industria, provvedono al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell’assistenza alle imprese, fornendo, in particolare, il necessario sostegno per la raccolta e la diffusione, anche in via telematica, di tutte le informazioni utili ai soggetti interessati concernenti l’insediamento e lo svolgimento delle attività produttive nel territorio regionale.

L’attivazione degli sportelli unici, disciplinata dal D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 e successivamente dal D.P.R. 440/2000, ha assunto una rilevanza strategica non solo nel contesto di attuazione del decentramento e della semplificazione amministrativa nell’ambito della riforma complessiva della Pubblica amministrazione, ma anche ai fini dello sviluppo dell’economia e dell’occupazione a livello locale, come dimostra il fatto che sia stato riconosciuto come obiettivo qualificante anche nel quadro del Patto Sociale per lo Sviluppo e l’Occupazione siglato tra Governo e parti sociali il 22/12/98 e nell’ambito del Patto per lo Sviluppo del Piemonte sottoscritto dal Governo regionale, dalle parti sociali e dalle amministrazioni statali coinvolte il 5 maggio 1999.

In quest’ottica le Regioni assumono un ruolo rilevante di coordinamento e supporto ai Comuni nel processo d’attivazione degli sportelli unici sul territorio di pertinenza.

Con D.G.R. n. 15-26937 del 26 marzo 1999 è stato istituito un gruppo di lavoro per l’attivazione degli Sportelli Unici sopra citati, al quale partecipano come componenti i funzionari delle Direzioni regionali e delle Amministrazioni statali più direttamente coinvolte nonché responsabili di Sportelli Unici comunali, coadiuvato dall’apporto tecnico di un consulente esperto in materia.

Il gruppo di lavoro ha elaborato, al riguardo, linee guida con finalità d’ausilio interpretativo della normativa de qua, al fine di adeguare le precedenti indicazioni operative, adottate nel 1999 e riferite al D.P.R 447/98, rispetto alle innovazioni introdotte dal successivo D.P.R. 440/2000.

In data 26/09/2001 la Conferenza Permanente Regione-Autonomie Locali ha espresso parere favorevole sulle nuove indicazioni applicative in merito allo Sportello Unico.

L’iniziativa, che si colloca in un quadro organico d’interventi avviati dalla Regione a supporto del più ampio processo di riforma della pubblica amministrazione sul versante dei rapporti con il sistema economico produttivo, si propone di fornire un riferimento interpretativo alle diverse amministrazioni pubbliche coinvolte nel procedimento unico e costituisce, al contempo, uno spunto per l’amministrazione regionale per interventi di razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti di propria competenza coinvolti nel D.P.R. 440.

Tutto ciò premesso, la Giunta Regionale unanime,

delibera

1) di adottare le indicazioni applicative dei D.P.R. 447/98 e 440/2000 (regolamento in materia di Sportelli Unici per gli impianti produttivi) di cui all’allegato facente parte integrante della presente deliberazione;

2) di rinviare a successivo atto deliberativo l’adozione delle necessarie misure organizzative relative alle strutture regionali coinvolte nel procedimento unico al fine di dare piena ed efficace attuazione alla normativa in materia di realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi.

(omissis)

Allegato

SPORTELLO UNICO

INDICAZIONI APPLICATIVE DEL D. LGS. 112/1998
E DEI D.P.R. 447/1998 E 440/2000

Il testo,  adottato dalla Giunta Regionale in data 15 ottobre 2001, è stato redatto dall’avv. PIERO GOLINELLI, consulente esterno, sulla base dell’attività svolta dal Gruppo di lavoro interistituzionale di cui alla D.G.R. 26.3.1999 n. 15-26937 coordinato dalla dr.ssa LAURA FAINA (Settore Attività Giuridico-Legislativa) e dal dott. RENATO BLANGETTI (Settore Osservatorio Settori Produttvi Industriali)

e formato da:

Direzione regionale Affari Istituzionali e Processo di Delega a supporto della Giunta regionale

Direzione regionale Industria

Direzione regionale Commercio e Artigianato

Direzione regionale Pianificazione e Gestione urbanistica

Direzione regionale Tutela e Risanamento Ambientale - Programmazione Gestione Rifiuti

Direzione regionale Organizzazione, Pianificazione Sviluppo e Gestione delle Risorse Umane

Direzione regionale Sanità Pubblica

Direzione regionale Servizi Tecnici di Prevenzione

Direzione regionale Pianificazione Risorse Idriche

Prefettura di Cuneo

Provincia di Torino

Arpa

Comune di Arona

Comune di Asti

Comune di Biella

Comune di Borgomanero

Comune di Casale Monferrato

Comune di Cossato

Comune di Moncalieri

Comune di Montà D’Alba

Comune di Novi Ligure

Comune di Omega

Comune di Pinerolo

Comune di Torino

Comune di Tortona

Comune di Verbania

Comune di Vogogna

Società Consortile s.r.l. Gal Mongioie

Comando Provinciale Vigili del Fuoco

INDICE

Capitolo I     NECESSITA’ DI UNA SECONDA
    EDIZIONE DELLE “LINEE GUIDA”
    REGIONALI IN TEMA DI SPORTELLO
    UNICO - LE INNOVAZIONI
    NORMATIVE INTERVENUTE

Capitolo II     AMBITO DI APPLICAZIONE

    1. I soggetti titolati

    2. Gli interventi

Capitolo III     L’ORGANIZZAZIONE

    1. L’unicità della struttura e del
     procedimento

    2. Lo sportello unico e la struttura unica

    3. L’esercizio in forma associata

    4. Necessità specifiche

Capitolo IV     RAPPORTI CON LE PROCEDURE
    IN MATERIA DI RIFIUTI E DI
    ACCERTAMENTO DELLA
    COMPATIBILITA’ AMBIENTALE

    1. La legislazione di settore

    1.1 Smaltimento e recupero dei rifiuti

    1.2 Compatibilità ambientale

    2. Il procedimento unico semplificato
    in caso di VIA

    3. Il procedimento unico semplificato
    nel caso della “fase di verifica”

    4. L’esclusione dalla VIA

    5. Il procedimento mediante
     autocertificazione in caso di VIA

    6. La fase preliminare allo studio
    di impatto ambientale

Capitolo V     IL PROCEDIMENTO UNICO

    1. I due tipi di procedimento

    2. Il procedimento semplificato

    3. Il procedimento mediante
    autocertificazione

    4. La conferenza di servizi

    5. Il collaudo

Capitolo VI     GLI ASPETTI URBANISTICI ED
     EDILIZI

    1. La mancanza di conformità del
    progetto ai piani urbanistici e le
    varianti agli stessi

    2. L’individuazione di aree da
    destinare all’insediamento
    di impianti produttivi

    3. Il problema della concessione edilizia

Capitolo VII     RAPPORTI CON LA DISCIPLINA
    DEL COMMERCIO

Allegati:

1 – indicazioni per il testo del provvedimento conclusivo del procedimento unico

2 – indicazioni relative alla convenzione per la gestione in forma associata

3 – indicazioni relative alla deliberazione di riconoscimento dell’operatività dello sportello unico

CAPITOLO I

NECESSITA’ DI UNA SECONDA EDIZIONE
DELLE “LINEE GUIDA” REGIONALI IN TEMA
DI SPORTELLO UNICO -
LE INNOVAZIONI
NORMATIVE INTERVENUTE

Il supplemento speciale al Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte n. 24 del 18 giugno 1999, ha pubblicato il Comunicato della Presidenza della Giunta regionale recante le “prime indicazioni applicative del D.P.R. 447/98”, in tema dunque di sportello unico per le attività produttive.

Con tale documento, la Regione ha inteso (diceva espressamente l’introduzione del documento stesso) fornire ai Comuni un primo insieme di elementi interpretativi della normativa sullo sportello unico per le imprese e di indicazioni operative, diretto ad agevolare l’istituzione degli sportelli e delle strutture uniche; contemporaneamente, le “linee guida” in questione miravano a perseguire un adeguato livello di uniformità delle azioni amministrative necessarie per allestire e gestire sportelli e strutture, anche in considerazione delle esigenze derivate dall’impiego dei mezzi informatici.

Dal giugno 1999 in poi, sono stati istituiti numerosi sportelli e strutture uniche in applicazione del DPR 447/98; frequentemente si è fatto ricorso, molto opportunamente, all’esercizio dell’attività in oggetto in forma associata. L’azione concretamente svolta ha procurato inevitabili impatti con la realtà, molteplici esperienze e verifiche, che già avevano condotto a ritenere opportuna una seconda edizione delle “linee guida” pubblicate nel giugno 1999, quando la formulazione di indirizzi ed indicazioni era frutto solo di riflessioni e di ragionamenti, senza poter ancor fruire della ricchezza di elementi offerti dall’applicazione delle regole alle situazioni reali.

Il sopravvenire del D.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440, che ha introdotto modifiche nel regolamento di cui al D.P.R. 447/2000, ma anche l’entrata in vigore della legge 24 novembre 2000, n. 340, e del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, hanno trasformato l’opportunità di cui or ora si è detto in necessità ed hanno anche conferito a questa carattere di urgenza.

Sulla scorta di confronti condotti dalla Regione da un lato con operatori delle strutture e degli sportelli, dall’altro lato con le rappresentanze degli enti locali, e sulla base altresì di studi e valutazioni condotti anche in altre Regioni, sono state quindi elaborate nuove indicazioni applicative del regolamento recato dal D.P.R. 447/98, come modificato dal D.P.R. 440/2000.

Al fine di consentire un’agevole lettura del testo, di evitare rinvii ad altri documenti e di enunciare in un unico atto l’insieme delle indicazioni che si ritiene necessario fornire, le odierne nuove “linee guida” ripercorrono interamente la trattazione, ovviamente innovando per quanto è necessario rispetto alle “prime indicazioni” del giugno 1999, e dunque sostituendo interamente queste ultime: di queste, pertanto, occorre non tenere più conto; le indicazioni regionali relative allo sportello unico per le imprese sono ora contenute solo nel presente atto.

Si tratta pur sempre, naturalmente, di “linee guida”, le cui finalità rimangono quelle della prima edizione: l’intento della Regione è esclusivamente collaborativo, restando fermo il fatto che l’art. 23 del decreto legislativo 112/98 ha attribuito ai Comuni le funzioni amministrative in materia di sportello unico per le attività produttive, pur sussistendo una competenza ed una responsabilità della Regione relativamente a specifici limitati aspetti della materia.

* * * * * *

Le innovazioni legislative intervenute nei due anni intercorsi dall’entrata in vigore del D.P.R. 447/98, innovazioni che si riflettono sulla materia oggetto delle presenti note, sono prodotte da testi legislativi di non poco conto: il decreto legislativo 18.8.2000, n. 267, reca il testo unico sull’ordinamento degli enti locali ed abroga la legge 142/90; la legge 24.11.2000, n. 340, recante disposizioni per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, introduce innovazioni di rilievo riguardanti la conferenza di servizi, strumento essenziale nel procedimento unico di cui al D.P.R. 447/98, ma impone anche espressamente (art. 6) l’assunzione da parte delle pubbliche amministrazioni di misure organizzative idonee a far sì che i tempi del procedimento che transita attraverso allo “sportello unico” siano sempre rispettati, anche se la situazione da cui si proviene è caratterizzata dal fatto che ogni amministrazione ha - nel sistema tradizionale - suoi procedimenti, suoi termini e sue leggi.

Ma è proprio nei confronti di questo sistema tradizionale che si orienta la volontà innovativa delle nuove disposizioni.

Di tutto ciò occorre tener conto nel considerare gli effetti delle modifiche che il D.P.R. 440/2000 ha introdotto nel regolamento di cui al D.P.R. 447/98: tali modifiche rientrano invero in un quadro di innovazioni più ampio, presente nell’ordinamento anche ove si voglia prescindere dal D.P.R. 440/2000.

Quest’ultimo testo normativo ha peraltro introdotto una novità di grande rilievo nell’art. 4 del regolamento: ha infatti formulato l’obbligo di presentare tutte le domande in materia di impianti produttivi (art. 1, comma 1, reg.) allo sportello; ed ha previsto l’inefficacia degli atti compiuti dalle varie amministrazioni, intesi a dare risposta a quelle domande, se tali atti vengono formati ed emanati al di fuori del procedimento unico, gestito dalla struttura unica: ha quindi qualificato come “istruttori” (rispetto al provvedimento unico conclusivo del procedimento unico) gli atti medesimi.

Tutto ciò, naturalmente, se esiste in loco lo sportello “operante”: la norma è consapevole del fatto che il percorso di istituzione effettiva degli sportelli unici per le imprese non è stato coperto ovunque compiutamente: là dove lo sportello non sia stato istituito, e comunque non operi, le varie singole amministrazioni non possono certo sospendere l’esame delle domande proposte dalle imprese, in attesa di veder funzionare lo sportello unico.

Del resto, alla secca imposizione dell’unicità del procedimento non fanno riscontro sanzioni specificatamente previste per il caso in cui non vi sia stata ottemperanza all’obbligo di istituire lo sportello unico: neppure l’ipotesi originariamente formulata di escludere dai finanziamenti i Comuni inadempienti ha trovato spazio nella normativa entrata in vigore.

Su tale piano, il D.P.R. 440/2000 in realtà ha rafforzato, forse con eccessivo affanno, il quadro già disegnato dal D.P.R. 447/98, ma non lo ha modificato radicalmente.

Il D.P.R. 447/98 era (è) atto regolamentare che disciplina, con potestà che gli deriva dall’art. 20 della legge 15.3.1997, n. 59, nuovi tipi di procedimento amministrativo in un determinato campo di azione. Si tratta di un regolamento di semplificazione e di delegificazione, appartenente quindi alla categoria istituita dall’art. 17, comma 2, della legge 23.8.1988, n. 400.

Esso contribuisce al perseguimento dei due obiettivi della semplificazione dei rapporti cittadini - pubblica amministrazione e del decentramento amministrativo al livello (quello comunale) più vicino al cittadino dal punto di vista territoriale, obiettivo quest’ultimo coerente con il principio di sussidiarietà. Per raggiungere le finalità predette, si conferiscono al Comune le funzioni del caso, istituendo una struttura preordinata a dare al cittadino una risposta “unica”.

Ma ciò non significa che si spostino le competenze, operazione impossibile per un regolamento governativo abilitato solo a disciplinare procedimenti (dato, questo, che nessuno mette in discussione).

E, in effetti, il D.P.R. 440/2000 non sposta (neppur esso) le competenze quando - come conseguenza dell’imposta unicità del procedimento conseguente alla domanda (unica) presentata dall’impresa e della correlativa unicità del provvedimento conclusivo - qualifica come “atti istruttori” e “pareri tecnici” gli atti compiuti dalle “amministrazioni di settore”: cioè dalle varie amministrazioni competenti in quel caso secondo una consolidata legislazione che non può essere stata tacitamente abrogata dalle disposizioni del mero regolamento di semplificazione recato dal D.P.R. 447/98 modificato dal D.P.R. 440/2000.

Fino a questo punto, non si pongono dunque problemi insuperabili: la domanda dell’impresa è unica; essa è proposta ad una nuova struttura della pubblica amministrazione (lo sportello unico) propria dell’ente territoriale più vicino (il Comune); la domanda stessa viene fatta oggetto di un procedimento caratterizzato da un lato da unicità (è affidato ad un unico responsabile del procedimento) e dall’altro da tempi certi e brevi, nonché da strumenti mirati a semplificare ed accelerare (la conferenza); le varie amministrazioni titolari delle potestà e delle responsabilità relative al rilascio delle autorizzazioni, degli assensi, dei pareri necessari in quel caso( secondo una legislazione che - si badi - non è stata certo abrogata, neppure parzialmente, dalla disciplina dello sportello unico) forniscono al responsabile del procedimento nell’ambito dello sportello l’esito - positivo o negativo - della loro attività; ai soli fini del procedimento unico, tali esiti costituiscono pareri o atti (per così dire) istruttori: atti cioè che non abilitano, in sé e per sé considerati, ma che confluiscono - conservando rilievo essenziale - nel procedimento unico in modo da consentire, se positivi, la formazione e il rilascio del provvedimento conclusivo del procedimento esperito dalla struttura unica; questo provvedimento, rilasciato dal responsabile della struttura stessa, costituisce “titolo unico per la realizzazione dell’intervento”.

Come è agevole rilevare, tale percorso amministrativo risponde adeguatamente alle esigenze di semplificazione, accelerazione e rispetto del principio di sussidiarietà, che l’ordinamento ha deciso di voler soddisfare. Nel contempo, non produce impatti insuperabili con il quadro legislativo che disciplina le competenze, le potestà e le responsabilità delle varie amministrazioni.

Il D.P.R. 440/2000 ha però introdotto nel regolamento dello sportello unico per le imprese un ulteriore elemento: modificando il comma 1 dell’art. 4 del regolamento stesso, ha previsto - addirittura (nella formulazione testuale) come prima ipotesi - che la struttura unica possa “adottare direttamente” i vari atti di assenso necessari alla formazione del provvedimento unico finale.

Questo è, a ben vedere, il solo elemento capace di suscitare gravissime perplessità, nell’ambito della modificata disciplina del procedimento proprio dello sportello unico. E’ infatti inevitabile considerare che la potestà conferita alla struttura unica (di “adottare direttamente” singoli atti e perfino di affidarne la predisposizione ad altre amministrazioni di cui si avvale, amministrazioni diverse da quelle dotate di competenza “istituzionale”) dà luogo ad uno spostamento di competenze che sicuramente non può essere disposto con un regolamento governativo, ma che non è neppure ricompreso nei principi che il comma 2 dell’art. 25 del decreto legislativo, n. 112/98 ha definito al fine di determinare a livello legislativo, e non regolamentare, i caratteri del procedimento unico.

Né appare sufficiente, perché lo spostamento di competenze in questione si compia, l’attribuzione al Comune delle funzioni amministrative in materia di impianti produttivi operata dal comma 1 dell’art. 23 del medesimo D.lgs. 112/98: l’esercizio di tali funzioni può infatti intervenire pienamente senza che necessariamente debbano essere spostate potestà amministrative.

D’altro canto, difficilmente potrebbe essere riconosciuta alle disposizioni degli artt. 23 e segg. del .D.lgs. 112/98 la capacità di produrre l’abrogazione tacita di tutto l’articolatissimo consolidato complesso di norme di legge (quali, poi, sarebbero abrogate e quali conservate?) che disciplina la serie delle varie autorizzazioni, assensi, pareri, rilevanti in tema di impianti produttivi, anche per quanto attiene alla definizione delle amministrazioni competenti per ciascun consenso.

La stessa “Relazione illustrativa al D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447" precisa che l’operazione che si è inteso compiere a livello normativo consiste solo nell’“isolare tali attività” (quelle elencate nel comma 1 dell’art. 1) “rispetto al contesto generale attraverso la configurazione di una disciplina procedimentale ad hoc, semplificata rispetto a quella ordinaria, prevista, ad esempio, per la localizzazione di un edificio destinato alla residenza”; evidenzia altresì che “questo spiega, tra l’altro, perché (…) non vi siano abrogazioni”.

Del resto, anche sul piano sostanziale, non si vede quale vantaggio possa derivare - in termini di semplificazione, accelerazione e sviluppo di un dialogo trasparente con il cittadino - dal fatto che la struttura unica affronti solo con i suoi mezzi (o avvalendosi di altre amministrazioni: ma quali, se non si tratta di quelle competenti ed esperte nel settore?) materie, argomenti, normative, procedure tecniche in cui è inevitabilmente inesperta, sostituendosi ai soggetti della pubblica amministrazione dotati invece di specifica competenza al riguardo.

E’ dunque inevitabile consigliare alle strutture uniche grande prudenza nell’applicare la disposizione dell’art. 4, comma 1, del regolamento approvato con D.P.R. 447/98, come modificato dal D.P.R. 440/2000, che consente di adottare direttamente, o avvalendosi di altre amministrazioni, atti di competenza di specifiche “amministrazioni di settore” in virtù del quadro legislativo vigente.

I risultati voluti dalle innovazioni avviate, nell’ambito delle quali lo sportello unico occupa un posto molto significativo, possono invero essere raggiunti anche escludendo l’impiego delle disposizioni di che trattasi, le quali anzi portano con sé rischi non indifferenti per gli atti compiuti in loro attuazione, in caso di contenzioso.

Altre norme ancora del D.P.R. 440/2000 suscitano perplessità: ma di livello assai meno pesante. Di esse ci si occuperà via via, nel corso della trattazione che segue, con la quale si affrontano nel merito i problemi posti dalla normativa in esame.

CAPITOLO II
AMBITO DI APPLICAZIONE

In primo luogo, va affrontato il problema - dotato di fondamentale rilievo - della determinazione dell’ambito di applicazione delle norme sulla “struttura unica” e sullo “sportello unico”: è chiaro infatti che occorre innanzi tutto stabilire quali siano i casi in cui vi è titolo a rivolgersi allo sportello anzidetto e a richiedere l’esercizio dell’attività della struttura unica.

La determinazione predetta implica di accertare:

a) da un lato, quali siano i soggetti titolati a ricorrere alla struttura unica;

b) dall’altro lato, quali siano gli interventi ai quali sono applicabili le nuove norme.

1. I soggetti titolati

Si esamina dapprima il tema sub a). Le disposizioni di legge vigenti, costituite dal decreto legislativo 112/1998 e dal regolamento approvato con il D.P.R. 447/1998 (modificato con D.P.R. 440/2000), nonchè dall’allegato 1 (n. 26, 42, 43, 50) alla legge n. 59 del 1997, impiegano una pluralità di espressioni per individuare l’ambito soggettivo di applicazione delle norme in esame: sono complessivamente più di venti i momenti enunciativi nei quali interviene l’individuazione predetta (1).

In tutta una serie di casi, il termine usato è “attività produttive”; altre volte, si parla di “impianti produttivi”; in altre disposizioni ancora, si fa riferimento agli “insediamenti produttivi” o all’“insediamento di attività produttive”; a proposito della realizzazione di opere interne, ci si riferisce ai “fabbricati adibiti ad uso di impresa”; in un caso, si dice “impianti e depositi” e, in alcuni altri, semplicemente “impianti”; infine, vi sono norme nelle quali il riferimento è agli “impianti industriali”.

La disposizione che avrebbe dovuto risolvere in modo univoco il problema, vale a dire il comma 1 dell’articolo 1 del Regolamento (D.P.R. 447/98), articolo che è rubricato appunto “ambito di applicazione”, ha usato tre espressioni: “impianti produttivi di beni e servizi” a proposito di localizzazione, realizzazione, ristrutturazione, ampliamento; “attività produttiva” a proposito di cessazione, riattivazione e riconversione; “impresa” con riguardo alle opere interne ai fabbricati.

A sua volta, il testo letterale dell’allegato alla legge 59/97, dalla quale discendono le disposizioni del D.lgs. 112/98 e del Regolamento, consentirebbe di riferire agli “impianti industriali” il procedimento per le attività di localizzazione, ampliamento, ristrutturazione, e riconversione; agli “impianti produttivi” (categoria teorica più estesa) quello per le attività di realizzazione degli impianti nuovi nonché quello di determinazione delle aree a destinazione specifica; all’"impresa" in genere il procedimento per l’esecuzione di opere interne.

Peraltro, è di tutta evidenza il fatto che tale lettura delle norme ha dovuto essere esclusa, sia perché contrastante con la finalità delle disposizioni in esame (che intendono semplificare, mentre dalla sola articolazione dianzi descritta deriverebbero cervellotiche e cospicue complicazioni, atte a rendere difficilmente praticabili gli istituti stessi disciplinati dalla normativa in esame), sia perché smentita dai disposti del D.lgs. 112/98 e del D.P.R. 447/98, che hanno riamalgamato l’ambito di applicazione, pur nella molteplicità di espressioni dianzi segnalata.

Queste sono state usate verosimilmente quali sinonimi.

Nella prima applicazione della normativa sullo sportello unico sono peraltro emerse opinioni e sono state assunte decisioni assai diverse fra loro in ordine alla questione in esame, cioè alla definizione dell’ambito dei soggetti titolati a ricorrere allo sportello unico. La Regione Piemonte, ad esempio, ha fornito indicazioni nel senso di limitare l’ambito anzidetto ai settori produttivi industriale ed artigianale, sulla scorta di considerazioni giuridiche ma anche sulla base del fatto di ritenere opportuna - per la buona riuscita dell’innovativo istituto - una sua progressiva applicazione; non sono però mancati Comuni piemontesi che hanno invece accettato agli sportelli anche domande di imprese commerciali. La Regione Liguria, di contro, ha affermato essa stessa che la normativa di che trattasi doveva essere applicata alle imprese esercenti il commercio.

Al fine di assicurare uniformità al comportamento dei vari enti sul tema, il D.P.R. 440/2000 è intervenuto in modo esplicito ed ha introdotto nell’art. 1 del Regolamento il comma 1-bis, per affermare che l’oggetto del Regolamento medesimo è dato dagli impianti relativi a tutte le attività produttive di beni e di servizi; ha quindi formulato una significativa elencazione, ovviamente esemplificativa e non tassativa, con la quale ha precisato che hanno titolo a ricorrere allo sportello unico non solo le imprese industriali e artigianali, ma anche quelle esercenti attività agricole, commerciali, turistiche, alberghiere, bancarie, di intermediazione finanziaria, di telecomunicazione.

Come or ora si è detto, l’elenco è esemplificativo e non tassativo: la disposizione che in effetti definisce l’ambito soggettivo di applicazione della normativa in esame è la norma che afferma la ricomprensione fra gli impianti di cui al comma 1 di “quelli relativi a tutte le attività di produzione di beni e servizi”: tale è la regola di condotta.

Nulla può essere escluso, nell’ambito delle attività predette, neppure facendo riferimento ad altri tipi di categorie, che risultano ininfluenti ai fini della disciplina dello sportello unico.

Quando un operatore svolga l’attività di produzione di beni o di servizi, comunque egli la svolga (anche – in ipotesi – in regime di concessione, per l’esercizio di un servizio pubblico, come può avvenire ad esempio per l’esercente un servizio di trasporto), si è in presenza di situazione in cui va applicata la normativa in tema di procedimento unico.

La domanda presentata allo sportello unico, ai fini di cui al comma 1 dell’art. 1 del Regolamento, da un soggetto che comunque svolga attività di produzione di beni o di servizi (ancorché non dotato della qualità di “imprenditore”), non può più essere rifiutata dallo sportello medesimo.

Ovviamente, tutto ciò non vale per la realizzazione delle opere pubbliche in senso proprio, alle quali non si indirizza affatto la disciplina dello sportello unico, e che vedono regolato da altre recenti e puntuali norme il procedimento che le riguarda.

Restano quindi inevitabilmente superate e non più applicabili sia le indicazioni fornite sul tema dalla prima edizione delle “linee guida” regionali, sia l’elenco contenuto nell’allegato A dell’edizione predetta, che enumerava i “tipi imprenditoriali da ricomprendere nell’ambito di applicazione” della normativa sullo sportello unico.

Peraltro, si esaminerà in seguito la situazione determinata dall’introduzione nel Regolamento della disposizione con cui si apre il comma 2-bis (appunto di nuova emanazione) dell’art. 4, disposizione palesemente dotata di portata generale, anche se inserita nell’articolo che disciplina il singolo procedimento cosiddetto semplificato: essa delegittima il compimento di atti autorizzatori o comunque conclusivi del procedimento, da parte di amministrazione “di settore”, quando “sia già operante lo sportello unico”, e dunque solo quando tale operatività già esista.

Da tale condizione normativa può invero derivare l’affermazione di una operatività parziale dello sportello unico: quest’ultimo, istituito ed attrezzato per lo svolgimento delle funzioni previste dal D.P.R. 447/98 secondo gli indirizzi regionali del giugno 1999, e dunque per svolgere i procedimenti relativi agli impianti industriali e artigianali, potrebbe risultare inadeguato di fronte all’odierna necessità di estendere la propria azione anche ai settori agricolo, commerciale, turistico, alberghiero, bancario, ed in genere della produzione di servizi (oltre che di beni) di qualsiasi tipo: potrebbe allora essere riconosciuto come “già operante” per determinati settori e non ancora per altri, per servire i quali dovrà ulteriormente attrezzarsi e crescere.

Di ciò, si dirà più avanti in termini più completi.

* * * * * *

Va invece considerato fin d’ora il tema delle “attività commerciali”.

In punto, il tenore letterale dell’art. 1 del Regolamento sembra dar vita ad una contraddizione: il periodo, con cui si conclude il primo comma dell’articolo stesso afferma infatti che “resta salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114”, recante la nuova disciplina del commercio di competenza della legge statale (dal D.lgs. medesimo è derivata la nuova normativa regionale in materia: in Piemonte, la legge regionale 12 novembre 1999, n. 28, gli indirizzi e criteri di programmazione approvati con delibera del Consiglio regionale 29 ottobre 1999, n. 563-13414, le indicazioni per la prima applicazione della nuova disciplina e per le grandi strutture commerciali approvate con delibere della Giunta regionale 1 marzo 2000, n. 42-29532 e 42-29533); come è noto, il successivo comma 1 bis dello stesso articolo 1 impone d’altro canto di applicare la normativa sul procedimento unico, e quindi di ricorrere allo sportello unico, anche agli impianti per l’esercizio dell’attività commerciale.

L’apparente contraddizione deriva dal fatto che la normativa statale e regionale sul commercio reca una propria disciplina dei procedimenti che conducono a realizzare impianti commerciali.

La questione si è posta già nella fase di applicazione del D.P.R. 447/98, ancora privo delle modifiche di cui al D.P.R. 440/2000, là dove si estendeva anche al commercio l’impiego dello sportello unico. Per lo più, si è data risposta al problema indicando di applicare la normativa del settore commerciale quando questa produce effetti di semplificazione ed accelerazione più elevati rispetto alle disposizioni sullo sportello unico.

Tale risposta ha un pregio rilevante: di riconoscere che - sullo sfondo di tutta la tematica di che trattasi - sono pur sempre presenti (e di ciò occorre non perdere mai la consapevolezza) i principi fondamentali fissati dalle leggi, tra i quali sicuramente si colloca quello enunciato dall’articolo 1, comma secondo, della legge 7 agosto 1990, n. 241: “la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”; il che, letto alla luce del disposto del primo comma, secondo il quale “l’attività amministrativa (…) è retta da criteri di economicità e di efficacia”, conduce a ritenere che il principio debba essere applicato non solo all’interno del singolo procedimento, ma anche quando si debba optare fra più procedimenti offerti dell’ordinamento.

E’ invero principio, quello dianzi ricordato, da non dimenticare nella tematica dello sportello unico. Né il D.lgs. 112/98, né il Regolamento hanno abrogato parti della legge 241/90 anzidetta; non solo questa è tuttora interamente e pienamente in vigore, ma opera altresì con forza di legge (spesso addirittura recante principi fondamentali), gerarchicamente superiore a quella regolamentare; non si può quindi neppure ritenere che il Regolamento sullo sportello unico abbia - rispetto alla l. 241/90 - il rilievo della legge “speciale” (1).

Al pregio di cui or ora si è detto, la sbrigativa risposta talora fornita al problema dei rapporti fra nuova disciplina del commercio e normativa sul procedimento unico (nel senso appunto di usare il procedimento più snello e celere) presenta da un lato il gravissimo inconveniente di accentuare il livello di “incertezza del diritto”, già così forte nel tempo che si sta attraversando, incertezza che - per sua natura - si colloca in posizione antitetica rispetto alla ricerca di semplificazione, la quale non può fare a meno di chiarezza e di certezze: è invero possibile discettare all’infinito su quale sia - nel singolo caso - il procedimento più celere e più semplice; dall’altro lato, la risposta di cui dianzi non considera il fatto che la coincidenza tra i procedimenti della normativa sul commercio ed il procedimento unico è più apparente che reale, poiché i contenuti degli uni e dell’altro non si sovrappongono se non in limitata misura.

Si può infatti applicare la disciplina sostanziale sul commercio oggi vigente attraverso l’esercizio di un procedimento unico gestito dalla struttura dello sportello unico competente.

Questa si ritiene sia la corretta risposta da fornire alla questione di che trattasi.

Si noti peraltro che - secondo quanto si vedrà fra breve - sono di per sé sottratte alla disciplina dello sportello unico l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento degli esercizi di vicinato, in quanto soggetti a semplice dichiarazione di inizio dell’attività, quando non richiedano consensi sotto altro profili; ed in quanto attinenti - se altro non richiedono - solo all’esercizio di un’attività commerciale e non ad uno degli oggetti elencati dal comma 1 dell’articolo 1 del Regolamento approvato con il D.P.R. 447/98 e succ. mod..

2. Gli interventi

Si pone poi il problema di stabilire quali siano, oggettivamente, gli interventi per i quali le imprese come dianzi titolate possono legittimamente rivolgersi alla struttura unica ed al relativo sportello.

L’allegato alla legge 59/97 chiarisce che la semplificazione imposta dalla legge medesima deve riguardare:

1) il procedimento di autorizzazione a realizzare nuovi impianti produttivi (n. 26 dell’allegato stesso);

2) le procedure relative alla localizzazione degli impianti industriali e alla determinazione delle aree per insediamenti produttivi (n. 43);

3) il procedimento per la realizzazione di opere interne nei fabbricati ad uso di impresa (n.50).

L’allegato considera poi una fattispecie oggettivamente distinta: quella delle procedure per la localizzazione degli impianti industriali e per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi (n.43 dell’allegato).

L’attuazione dei disposti, di cui dianzi, della legge 59/97 non è avvenuto recuperando letteralmente il testo dell’allegato; l’art. 23 del decreto legislativo n. 112 del 1998 ha infatti tradotto le norme dianzi ricordate nel seguente elenco di interventi: “realizzazione, ampliamento, cessazione, riattivazione, localizzazione e rilocalizzazione di impianti produttivi”. Nella lettera della norma attuativa, non si parla più di ristrutturazione e di riconversione, mentre compaiono ex novo la riattivazione e la cessazione.

Ma i due termini dimenticati dal D.lgs. 112/98 si ritrovano nel Regolamento; l’elenco delle azioni e degli interventi costituente l’ambito oggettivo di applicazione della normativa di che trattasi, così come configurato dal D.P.R. 447/98, recupera un buon livello di aderenza letterale alle statuizioni dell’allegato alla legge 59/97: l’art. 1 del D.P.R. anzidetto individua due sole attività - la “cessazione” e la “riattivazione” - non contemplate dall’allegato alla legge 59/97.

Il complessivo quadro normativo dianzi descritto costringe dunque a considerare come particolarmente significative e determinanti, al fine di delimitare l’ambito oggettivo di applicazione delle norme in questione, le disposizioni dell’allegato alla legge 59/97 e quelle - evidentemente decisive anche nella presente fattispecie - dell’art. 1 del Regolamento, norma specificatamente finalizzata in modo esplicito a determinare appunto “l’ambito di applicazione” delle nuove disposizioni.

Il testo dell’art. 23 del D.lgs. 112/98, che pure - ovviamente - non fa segnare contrasti incolmabili con le norme dianzi indicate, appare meno puntuale e dunque meno rilevante ai fini in esame.

Come già si è detto, attività a sé stante è quella inerente alla “localizzazione” degli impianti produttivi.

La restante serie di interventi a cui si applicano le nuove norme è costituito:

a) dalla realizzazione di impianti produttivi nuovi;

b) dalla ristrutturazione o dall’ampliamento di impianti produttivi esistenti;

c) dalla riconversione dell’attività produttiva;

d) dalla realizzazione di opere interne ai fabbricati produttivi;

e) dalla riattivazione di impianti produttivi;

f) dalla cessazione dell’attività degli stessi (1).

Non si pongono particolari problemi interpretativi, all’interno della specifica questione della definizione dell’ambito di applicazione delle nuove norme sotto il profilo oggettivo, per quanto concerne la realizzazione di nuovi impianti produttivi, la ristrutturazione e l’ampliamento di impianti già esistenti (che si intende “incentivare”, per usare l’espressione dell’allegato alla l. 59/97), nè per quanto concerne la realizzazione di opere interne ai fabbricati produttivi. Le disposizioni di legge non necessitano di particolari riflessioni, ai fini in oggetto: quando un’impresa dotata della qualità soggettiva di cui si è detto nella prima parte del presente capitolo intenda effettuare uno degli interventi anzidetti, ha titolo a rivolgersi alla struttura unica e al relativo sportello.

Suscitano invece interrogativi gli interventi definiti dalle norme di legge rispettivamente di “riconversione”, “riattivazione”, “cessazione”. Le perplessità non attengono tanto all’individuazione di ciò che è definibile come “riconversione” o “riattivazione”, quanto piuttosto al tema (fondamentale) suscitato dal fatto che l’ordinamento vigente prevede sia la necessità di autorizzazioni ed approvazioni riguardanti, per così dire, il “progetto”, ossia la realizzazione di opere finalizzate all’esercizio di un’attività produttiva, sia l’obbligo di altri e distinti atti di assenso della pubblica amministrazione per l’esercizio, come tale, dell’attività.

Da detta constatazione discende l’interrogativo se l’atto finale del procedimento unico imposto dalle nuove norme debba ricomprendere anche gli assensi anzidetti all’esercizio, oppure se esso non debba limitarsi - di regola - alle autorizzazioni attinenti alle opere.

La questione è di notevole rilievo pratico, perchè spesso le autorizzazioni all’esercizio implicano necessariamente l’esistenza delle opere e degli impianti addirittura collaudati (si pensi al caso dei rifiuti o a quello della prevenzione incendi) e non sono rilasciabili, ma neppure suscettibili di istruttoria, in via preventiva.

La concentrazione delle autorizzazioni che, per intendersi, si possono chiamare appunto “all’esercizio” in un procedimento unico la cui istruttoria - secondo le norme di legge - ha ad oggetto in primo luogo un “progetto” (si veda, ad esempio, il comma 5 dell’art.4 d.p.r. 447/98) non è invero concretamente praticabile.

Più credibile sul piano operativo appare la lettura delle disposizioni di che trattasi che nel procedimento amministrativo unico include tutte le autorizzazioni rilasciabili sulla scorta dell’esame del progetto (di realizzazione ex novo, di ristrutturazione, di ampliamento, ed anche di riconversione, riattivazione o cessazione) ma non già quelle il cui rilascio implica l’intervenuta conclusione delle opere ed il compimento di verifiche e di accertamenti sulle opere stesse ormai ultimate, autorizzazioni queste ultime richieste solo ai fini dell’esercizio dell’attività.

I termini temporali fissati dalla legge, essendo relativi al “procedimento unico”, devono quindi essere rispettati nell’autorizzare il progetto. E’ evidente il fatto che tali termini non possono ricomprendere al loro interno anche l’assenso all’esercizio: l’attivazione di quest’ultimo dipende infatti dall’ultimazione degli interventi (previsti dal progetto) necessari, ultimazione i cui tempi rientrano nella disponibilità decisionale dell’imprenditore, così come vi rientra la decisione di avviare subito, oppure no, l’attività.

Il tenore testuale delle disposizioni di legge in esame conforta del resto la tesi dianzi esposta.

L’allegato alla legge 59/97, per parte sua, non fa mai riferimento all’"attività", bensì solo agli “impianti”: e ciò, anche nel n.42, che individua come procedure da semplificare quelle relative all’incentivazione e alla riconversione: appunto “degli impianti industriali”.

Agli “impianti” soltanto, e non all’"attività", si riferisce anche l’art. 23 del D.lgs. 112/98.

L’art. 25 del decreto legislativo medesimo reca poi un elemento ancor più significativo: il procedimento amministrativo unico imposto dalla norma riguarda l’"insediamento di attività produttive", che è cosa diversa - pur essendo stato palesemente usato il termine in un’accezione molto ampia - dall’"esercizio" (od avvio di esercizio) di un’attività produttiva.

Nell’espressione “insediamento” possono ben essere ricomprese anche le ristrutturazioni e gli ampliamenti che potenziano un insediamento già avvenuto, così come le riattivazioni e le riconversioni, ma non può l’espressione medesima essere privata del connotato suo tipico di radicamento fisico al territorio. Di ciò che si intende “insediare” può essere redatto un progetto. Altra cosa è l’esercizio dell’attività per la quale l’insediamento è intervenuto.

A tale linea interpretativa non frappone ostacoli neppure l’art. 1, comma 1, del D.P.R. 447/98. Quest’ultima norma ha invero un tenore letterale atto a creare a prima vista qualche perplessità: essa fa riferimento dapprima agli “impianti” (“ha per oggetto la localizzazione degli impianti produttivi di beni e servizi, la loro” - cioè degli impianti - “realizzazione, ristrutturazione, ampliamento, cessazione, riattivazione”) per poi concludere l’elenco con le parole “e riconversione dell’attività produttiva”, che mal si collegano con il termine “loro” precedentemente usato.

Anche al fine di superare tale lieve incongruenza espressiva, sembra doveroso allora ritenere che l’art. 1 del Regolamento individui quale proprio oggetto la realizzazione, la ristrutturazione, l’ampliamento ecc. “degli impianti produttivi di beni e servizi” (fin qui, il testo letterale della disposizione è esattamente in tal senso), ma anche la “riconversione” degli impianti stessi finalizzata ad una nuova attività produttiva.

Non sembrano invero sussistere dubbi circa il fatto che la riconversione è l’intervento attraverso al quale si consente agli impianti di produrre beni o servizi merceologicamente diversi da quelli prodotti fino a quel momento.

Con tale lettura risultava coerente anche l’impiego del sostantivo “riattivazione” (di impianti produttivi): la prima attivazione degli stessi si identifica infatti con la “realizzazione”, se si fa riferimento agli impianti e non all’esercizio; il fatto che la norma avesse considerato la sola “riattivazione” era quindi un elemento in più per ritenere che essa avesse inteso sempre riferirsi solo agli impianti produttivi e non all’esercizio.

Come già si è segnalato in nota nelle pagine precedenti, l’art. 27-bis del decreto legislativo n. 112 del 1998, articolo introdotto dalla legge n. 340 del 2000 (articolo 6), ha cancellato sia la “riattivazione” sia la “cessazione” dall’elenco degli interventi a cui si riferisce il procedimento unico.

La cosa non è priva di significato.

E’ ben vero che l’art. 27-bis in esame ha quale specifico oggetto la condotta delle amministrazioni, degli enti e delle autorità, soggetti tutti a cui viene imposto di

adottare le misure organizzative più idonee per far sì che lo sportello unico possa funzionare nel rispetto delle norme (anche sui termini temporali) che lo disciplinano; cosicché si potrebbe osservare che si tratta di norma tesa ad obiettivi diversi dal definire l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina del procedimento unico.

Ma in realtà non è così: l’elenco recato dall’art. 27-bis enumera infatti proprio gli interventi a cui si applica il procedimento unico di cui all’art. 20 della legge n. 59 del 1977: il testo della disposizione non lascia dubbi.

Esso dunque svuota delle componenti “riattivazione” e “cessazione” il testo dell’art. 1 del Regolamento.

E’ evidente il vistoso contributo che tale modifica legislativa fornisce alla convinzione che il procedimento unico attenga essenzialmente agli impianti.

Allo sportello unico è dunque legittimo rivolgersi perché siano esperiti i procedimenti che riguardano essenzialmente “gli impianti”; gli operatori non possono invece pretendere di avvalersi delle procedure previste dagli artt. 4 e 6 del D.P.R. 447 quando il procedimento riguardi esclusivamente l’esercizio di attività.

Tale convinzione ha trovato supporto anche nel testo del D.P.R. 440/2000, il quale – introducendo il comma 1 bis nell’art. 1 del Regolamento – ha chiaramente fatto richiamo agli “impianti” come all’elemento cui riferirsi per determinare l’ambito di applicazione soggettivo della disciplina del procedimento unico; le attività elencate nel comma in esame sono considerate soltanto come il dato funzionale a cui gli impianti sono destinati.

Ancora: è stato osservato che il testo del Regolamento manifesta di affidare il procedimento allo sportello unico solo fino al compimento del collaudo, che necessariamente riguarda impianti; addirittura, si è notato, che il D.P.R. 447/98 estromette lo sportello da fasi successive al collaudo: in queste, intervengono le Amministrazioni interessate, secondo i moduli procedimentali tradizionali, (almeno finchè le norme non mutino ulteriormente) (1).

Va detto peraltro che la necessità di autorizzazioni attinenti non già agli impianti, ma all’esercizio dell’attività produttiva è talora contestuale con interventi che attengono agli impianti: è chiaro che in tali casi l’unicità (normativamente prevista o comunque non esclusa) del procedimento impone di ricomprendere anche gli atti di assenso, comunque denominati, relativi all’esercizio nell’ambito del procedimento unico attivato per l’intervento sugli impianti. In concreto, anche gli assensi relativi all’esercizio ricadono nel procedimento unico quando vi sia, in qualche modo, un progetto da realizzare (es. emissioni in atmosfera, scarichi reflui, medie strutture di vendita, distributori di carburanti, impianti di teleradiocomunicazioni).

Quando invece gli assensi (comunque denominati) inerenti all’esercizio siano il solo risultato dell’azione amministrativa, non sembra corretto affermare che vi sia egualmente l’obbligo di applicare la disciplina in tema di sportello unico.

Parimenti, non appare “competente” lo sportello quando si tratti di rilasciare – ad esempio – un’autorizzazione sanitaria.

Peraltro, anche in assenza di attività procedimentale dello sportello, permangono le competenze di questo in tema di informazioni agli operatori.

Inoltre, anche in applicazione del disposto di cui all’art. 2, comma 2, della legge 241/1990 (2), sarà pur sempre opportuno che le Amministrazioni, ancorché al di fuori dello sportello unico:

• definiscano tempi e modalità di comportamento riguardanti gli organi interni del Comune competenti in ordine alle autorizzazioni all’esercizio;

• stipulino convenzioni con i soggetti pubblici esterni coinvolti nelle autorizzazioni predette, intese a rendere certi e contenuti i tempi relativi; nonché a prevedere il ricorso, ove occorra, a conferenze di servizi ex lege 340/2000.

* * * * * *

La necessità di vedere comunque applicato - come principio fondamentale - il divieto (dianzi richiamato) di aggravare il procedimento, in concorrenza con il tenore letterale delle norme in tema di sportello unico, conduce a ritenere che il ricorso allo sportello comporti sempre la necessità di un provvedimento della pubblica amministrazione. In tal senso si esprimono le disposizioni in esame.

Quando invece all’operatore basti, per volontà di legge, una dichiarazione di inizio dell’attività, non vi è neppure ragione né spazio per attivare l’azione di una struttura della p.a.. La semplificazione, del resto, è già stata procurata dalla legge che ha previsto la d.i.a., in termini assolutamente elevati: qualsiasi altra soluzione procedimentale vanificherebbe quella semplificazione.

La verifica da compiere sulla dichiarazione di inizio dell’attività non deve quindi essere affidata allo sportello unico, assai più efficace e celere essendo la conduzione della verifica stessa (che non implica neppur essa, del resto, provvedimento alcuno) da parte dell’amministrazione tradizionalmente competente.

Parimenti, non richiedono l’attivazione del procedimento unico i vari ulteriori tipi di denunce né le mere notifiche.

Il principio fondamentale e generale secondo cui è vietato aggravare il procedimento va applicato anche ai casi in cui il ricorso allo sportello unico dà luogo a tale aggravamento in modo evidente ed univoco, pur essendo necessario nella fattispecie un atto espresso della pubblica amministrazione.

Tutta la normativa in tema di procedimento unico parte invero dal presupposto (come emerge chiaramente anche dalla Relazione illustrativa al D.P.R. 447/98) che occorra unificare procedimenti amministrativi dotati di qualche complessità, anche minima. Solo per il perseguimento di tale scopo ha senso e ragion d’essere la creazione di una nuova struttura della pubblica amministrazione; e solo in tal caso si rispetta il divieto di che trattasi e si persegue l’obiettivo della semplificazione.

Dunque, quando l’atto amministrativo di cui l’operatore ha bisogno è direttamente ottenibile attraverso all’opera di una sola amministrazione, in modo elementare ed in assenza di qualsiasi complessità, il ricorso allo sportello unico si risolverebbe in un evidente aggravio del procedimento, vietato da una norma fondamentale dell’ordinamento vigente.

A tale caso, inoltre, non fa riferimento alcuno la normativa in materia di procedimento unico, come dianzi si è detto.

E’ quindi caso, questo, nel quale non si rende necessario il ricorso allo sportello unico, almeno allo stato attuale della legislazione e dell’organizzazione della pubblica amministrazione che da tale legislazione deriva.

L’ipotesi di una sola amministrazione che opera non ricorre nei casi in cui l’atto di assenso di competenza di una amministrazione presupponga, per la sua emanazione, anche solo la preventiva acquisizione di pareri e nullaosta di una o più altre Pubbliche Amministrazioni. In tali casi vanno pertanto applicate le disposizioni sullo sportello unico.

La circostanza che – nell’interpretazione delle norme – debbano sempre essere tenuti presenti i principi fondamentali che animano la “mens legis”, perfino (se è indispensabile) disattendendo in qualche misura il tenore letterale della norma, ha avuto una recente autorevole affermazione nella sentenza 6.4.2001, n. 5128, della prima Sezione civile della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha affermato infatti che l’individuazione della “mens” e della “voluntas legis” (che necessariamente è determinata sul piano dei contenuti e delle scelte dai principi fondamentali dell’ordinamento e da quelli delle leggi relative a quella materia) ben può avere rilievo prevalente sulla lettera della norma – e quindi, per quanto è indispensabile – scavalcarla, qualora l’interpretazione e l’applicazione letterale del testo normativo conducano a risultati incompatibili con il sistema e con i principi anzidetti.

CAPITOLO III
L’ORGANIZZAZIONE

1. L’unicità della struttura e del procedimento

L’art. 23 del D.lgs. 112/98 conferisce ai Comuni le funzioni amministrative concernenti gli interventi individuati nel paragrafo delle presenti note dedicato all’"ambito di applicazione".

Di tali funzioni, dunque, è titolare “ogni Comune”, come precisa l’art. 24, comma 1, del medesimo decreto legislativo. L’esercizio delle funzioni amministrative in oggetto determina la necessità di svolgere un procedimento: questo è unico (art. 25, comma 1, D.lgs. 112/98) e deve essere affidato ad un’unica struttura (art. 24, comma 1, D.lgs. 112/98 e art. 3, comma 1, D.P.R. 447/98), responsabile dell’intera procedura (art. 24, comma 1, D.lgs. 112/98).

Le strutture anzidette devono essere realizzate dai Comuni (art. 3, ultimo comma, D.P.R. 447/98) ed affidate ad un funzionario ad esse “preposto” (id.).

Conseguentemente:

a) all’impresa deve essere fornito un unico interlocutore, investito dei poteri e della responsabilità necessari per poter governare il procedimento unico;

b) l’unicità del procedimento produce l’effetto che le procedure da svolgersi presso i vari soggetti della pubblica amministrazione assumono la connotazione di sub-procedimenti rispetto al procedimento unico: esse diventano fasi di un iter istruttorio unitario; gli atti di assenso espressi alla conclusione di tali procedure vengono ad assumere il connotato di atti interni al procedimento unico;

con enfasi forse eccessiva e con discutibile linguaggio, una delle modifiche introdotte dal D.P.R. 440/2000 nel D.P.R. 447/98 ha qualificato tali atti come “atti istruttori e pareri tecnici”;

la precisazione secondo cui gli atti medesimi hanno necessariamente tale qualificazione, comunque essi siano denominati dalle normative vigenti è resa necessaria dal fatto che, come già si è detto, né il D.lgs. 112/98 né il Regolamento hanno operato abrogazioni di sorta: semplicemente (precisa la Relazione illustrativa del D.P.R. 447/98) nelle attività “isolate” dal comma 1 dell’art. 1 del D.P.R. medesimo è stata configurata una disciplina procedimentale ad hoc, nella quale gli atti in questione - che in altra sede conservano la loro connotazione, spesso di atti amministrativi conclusivi di un procedimento e definitivi in senso tecnico – divengono atti interni, con i quali si chiudono sub – procedimenti confluiti nel procedimento unico;

c) il procedimento unico coinvolge, da un lato, uffici diversi dello stesso ente, dall’altro uffici di enti diversi;

d) la volontà della pubblica amministrazione in ordine alla domanda dell’impresa da cui è nato il procedimento unico è espressa in un provvedimento amministrativo conclusivo; ove sia intervenuta l’attività della conferenza di servizi, tale provvedimento è costituito dal verbale recante le determinazioni assunte dalla conferenza; deve essere formato in ogni altro caso, dal responsabile del procedimento unico, un provvedimento finale avente come presupposto la sintesi dell’esercizio delle varie competenze coinvolte;

questo provvedimento finale è il titolo per la realizzazione dell’intervento (o per l’esercizio dell’attività, nei casi di cui si è detto nel capitolo II); così precisa, dopo al D.P.R. 440/2000, l’art. 4, comma 1, del Regolamento;

e) il responsabile del procedimento unico è titolare di tutti i poteri-doveri tipici previsti dalla legge 241/90 (comunicazioni, inviti all’impresa e ai soggetti della pubblica amministrazione, acquisizione di documenti, ecc.); è titolare altresì del potere-dovere di coordinare e dirigere la conferenza di servizi, nonché di convocare la stessa nelle ipotesi stabilite dal Regolamento;

f) il responsabile della struttura unica rilascia infine il provvedimento conclusivo del procedimento, costituente titolo abilitante.

Il modulo organizzativo della struttura unica non è imposto rigidamente dalla legge; al contrario:

1) la struttura medesima può essere propria di un singolo Comune, oppure espressa da più enti locali associati (art. 3 D.P.R. 447/98; art. 24 D.lgs. 112/98);

2) i Comuni possono concordare con altre amministrazioni e con altri enti pubblici la possibilità di avvalersi dell’opera di questi, anche affidando loro singoli atti istruttori, per esperire il procedimento unico (art. 24, comma 4, D.lgs. 112/98); il regolamento precisa che l’accordo predetto si realizza mediante convenzione; che il fatto di avvalersi di altri organismi non deve pregiudicare i tempi previsti dalle norme per la conclusione del procedimento; che possono essere affidate agli altri soggetti “fasi e attività istruttorie”; che tali soggetti possono essere costituiti dall’A.R.P.A., dalle A.S.L., dalle C.C.I.A.A., dalle università, da altri centri e istituti pubblici di ricerca che assicurino indipendenza, competenza e adeguatezza tecnica (art. 8 D.P.R. 447/98);

3) per la realizzazione dello “sportello unico”, da istituire presso la struttura unica, i Comuni possono stipulare convenzioni con le C.C.I.A.A. (art. 24, comma 3, D.lgs. 112/98; art. 3, comma 2, D.P.R. 447/98);

4) in presenza di patti territoriali o di contratti d’area, la gestione dello “sportello unico” può coincidere con il soggetto responsabile del patto o del contratto (art. 24, ultimo comma, D.lgs. 112/98; art. 3, comma 2, D.P.R. 447/98 come modificato dal D.P.R. 440/2000).

Si è dunque in presenza di una consistente flessibilità organizzativa.

2. Lo sportello unico e la struttura unica

La struttura unica deve dotarsi di “sportello unico per le attività produttive” (art. 3, comma 1, D.P.R. 447/98).

Lo sportello è la componente della struttura unica rivolta verso l’esterno, verso gli operatori; esso costituisce il punto di accesso delle imprese alla struttura.

A tal fine, allo sportello sono affidati due compiti, uno informativo-consulenziale e l’altro di collegamento fra gli operatori e l’attività della struttura unica:

a) funzione informativo-consulenziale: essa si articola in due branche di attività:

1) di informazione in senso stretto, relativa alle opportunità localizzative esistenti; alle principali caratteristiche di ciascuna opportunità e ai livelli di convenienza offerti; alle iniziative di carattere promozionale in corso; all’elenco delle domande di autorizzazione presentate e allo stato del loro iter procedimentale; alla presenza e alla distribuzione territoriale delle strutture uniche; alle normative applicabili in termini generali; alle agevolazioni e ai finanziamenti disponibili per le imprese; ad ogni altra informazione utile disponibile a livello regionale; (art. 23, comma 2, D.lgs. 112/98 e art. 3, comma 2, D.P.R. 447/98);

2) di assistenza e consulenza alle imprese, attraverso alla considerazione della specifica iniziativa in relazione alla quale l’operatore si è rivolto allo sportello e al conseguente adattamento al caso concreto delle informazioni di cui al precedente n.1), con ogni utile suggerimento e comunque con l’indicazione degli adempimenti necessari nel caso considerato (cfr. disposizioni normative citate sub 1);

b) funzione di collegamento fra gli operatori e la struttura unica: lo sportello costituisce, sotto tale profilo, il punto di incontro tra impresa e struttura; è la sede ove si deposita la domanda e quant’altro si ritiene di produrre; dove si ritirano atti e provvedimenti; ove, durante il procedimento, si forniscono e si ottengono chiarimenti; si integrano documentazioni, si controlla lo svolgimento dell’iter procedimentale; si discutono le questioni attinenti al procedimento e all’iniziativa nel rispetto degli obblighi di trasparenza e in termini di reciproca leale collaborazione; lo sportello unico è altresì il “protocollo di entrata” della struttura unica.

L’apertura degli sportelli implica, ad evitare confusioni e incertezze, l’assorbimento o comunque l’eliminazione di altre analoghe iniziative e strutture pubbliche. Gli stessi “uffici relazioni con il pubblico” dovrebbero escludere dal proprio campo di attività ciò che è di competenza dello “sportello unico” ed indirizzare ad esso nei casi in cui esista la competenza di questo.

La presenza degli sportelli unici comporta altresì che si cerchi il coordinamento degli stessi con eventuali altri organismi, ancorché non pubblici, che svolgono analoghe funzioni informative o di assistenza-consulenza, quali le C.C.I.A.A. e le associazioni di categoria. Le competenze e le disponibilità di questi soggetti potrebbero, ove sia utile, essere coinvolte - con apposite convenzioni - in un’organica azione di supporto dello sportello unico.

Qualora i Comuni aderiscano a patti territoriali o abbiano sottoscritto contratti di area, la struttura unica può coincidere con il soggetto responsabile del patto o del contratto (art. 24, comma 5, D.lgs. 112/98, richiamato dall’art. 3, comma 2, del D.P.R. 447/98 come modificato dal D.P.R. 440/2000).

Sono stati così risolti alcuni interrogativi emersi nella prima applicazione del D.P.R. 447/98: nel caso del patto territoriale e del contratto d’area il soggetto responsabile di questi diviene (se i Comuni aderenti o sottoscrittori lo vogliono) il gestore dell’intera struttura unica.

Diversamente avverrebbe se, invece, il Comune convenzionasse con la C.C.I.A. la realizzazione dello sportello unico: in questo caso la convenzione dovrebbe comunque garantire l’appartenenza dello sportello al Comune e la preposizione alla struttura unica, in ogni caso, di un funzionario comunale (art. 3, comma 4, D.P.R. 447/98 e art. 6, comma 11, dello stesso D.P.R., come modificato dal D.P.R. 440/2000).

La necessità di adeguato personale presso la struttura unica ben potrà comunque essere soddisfatta attraverso all’utilizzo di tutte le forme di acquisizione di collaborazioni lavorative e professionali consentite dall’ordinamento vigente.

Il Regolamento non ha ripreso, e quindi non ha disciplinato, l’eventualità considerata invece dall’art. 24, ultimo comma, del decreto legislativo 112/98: nel Regolamento stesso, la sola alternativa all’esercizio effettuato “singolarmente” dal Comune delle funzioni di che trattasi è data dall’esercizio “in forma associata”. Anche l’ipotesi del patto territoriale e del contratto d’area va quindi ricondotta all’esercizio associato anzidetto.

Sarà l’accordo tra i Comuni in qualsiasi forma associati, in ciò legittimato dall’art. 24, ultimo comma, del D.lgs. 112/98 (accordo che deve essere unanime, come è noto) a prevedere:

a) la decisione dei Comuni coinvolti di esercitare le funzioni in questione in forma associata;

b) la determinazione degli stessi di esercitare tali funzioni attraverso il soggetto responsabile del patto territoriale o del contratto d’area;

c) l’attribuzione della gestione della struttura al soggetto predetto.

* * * * * *

Occorre a questo punto rilevare come le disposizione dell’art. 3, comma 4, del Regolamento, in tema di responsabile del procedimento unico e di “preposto alla struttura unica,” richiedano una lettura ragionata: il testo letterale della norma non è infatti compatibile con le disposizioni vigenti in tema di “responsabile del procedimento” e di ordinamento interno degli enti locali.

Il coordinamento fra la normativa in tema di “sportello unico” e quelle or ora citate è peraltro possibile ove si ritenga che “il responsabile del procedimento” (da nominarsi - secondo il disposto del D.P.R. 447/98 - contestualmente alla realizzazione della struttura unica), sia in realtà il responsabile di quella struttura; il responsabile del procedimento (ai sensi di legge, ciascun procedimento deve avere, come è risaputo, il “suo” responsabile) viene nominato quando è proposta una domanda ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.P.R. 447/98 o ai fini di cui all’art. 6, comma 1, del medesimo decreto: quel “responsabile” risponde di quel procedimento.

In tutta evidenza, in una struttura unica di consistente dimensione, responsabili dei singoli procedimenti saranno i funzionari designati a tal fine per ogni procedimento.

Nel caso della gestione in forma associata, essi ben potranno provenire da Comuni diversi così come operare in Comuni diversi.

Il responsabile della struttura, che risponde in termini generali della efficienza della stessa, attribuirà ai singoli componenti la struttura unica la qualità di responsabile dei vari procedimenti che non ritenga di gestire personalmente.

Lo stesso Regolamento, in altre parti del suo testo, parla invero – correttamente – di “responsabile del procedimento presso la struttura”.

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Nell’ambito del comma 11 dell’art. 6 del Regolamento, il D.P.R. 440/2000 ha introdotto norme intese a dare risposta a perplessità manifestatesi durante la vigenza del testo originario del D.P.R. 447/98, in ordine alla condizione - come pubblico dipendente - del responsabile della struttura unica.

La collocazione delle disposizioni in oggetto è singolare, costituendo esse un inciso quasi casuale all’interno di una norma dotata di tutt’altra funzione; tuttavia, non possono esservi dubbi di sorta in ordine al fatto che le disposizioni medesime hanno portata generale: definiscono cioè i criteri generali per la designazione del responsabile della struttura, raccordati con la legislazione vigente sugli enti locali. Non può certo esistere, infatti, un responsabile della struttura unica ai fini delle attività da compiere ai sensi dell’art. 6, comma 11, del Regolamento ed altri responsabili della struttura stessa ad altri fini: se il responsabile in questione è quello individuato nel caso del comma 11 dell’art. 6, è quello sempre.

Le disposizioni introdotte in punto dal D.P.R. 440/2000 non usano più l’espressione “preposto alla struttura” impiegata dall’art. 3, comma 4, del Regolamento; viene quindi confermata normativamente la prassi già creatasi, che ricorre ai termini “responsabile della struttura” e “responsabile del procedimento”, rispettivamente.

Orbene, il responsabile della struttura unica secondo la normativa in esame, deve essere “individuato”- nell’ambito del personale comunale - “ai sensi dell’art. 107, comma 3, e dell’art. 109, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

Deve pertanto essere - in via principale - un dirigente. Al dirigente, invero, l’art. 107, comma 3, lettera f), del T.U. approvato con il D.lgs. 267/2000, attribuisce il compito di rilasciare “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, ecc.”.

In via subordinata, nei Comuni privi di personale avente qualifica dirigenziale, responsabile della struttura unica può essere il funzionario responsabile di un servizio o di un ufficio (art. 109, comma 2, T.U. enti locali); in tal caso, però, la relativa funzione gli deve essere attribuita dal Sindaco con provvedimento motivato (ancora art. 109, comma 2, T.U. enti locali).

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La struttura unica è chiamata a gestire il procedimento. Vi è chi ha distinto, in modo efficace, una funzione di “front-end”, che è propria dello “sportello”, dalla funzione di “back-office”, attinente appunto alla gestione del procedimento, funzione che costituisce la parte più articolata, complessa e pesante dell’attività della “struttura”.

Si esamineranno più avanti i due tipi di procedimento amministrativo, il cui espletamento costituisce il compito della struttura unica. In questa sede, si rileva quanto segue, ancora in tema di organizzazione della struttura medesima.

Le funzioni di competenza della struttura unica possono essere esercitate:

a) da un singolo Comune, in riferimento agli impianti produttivi localizzati o da localizzare nel territorio di quel Comune;

b) in forma associata, “anche con altri enti locali” (art. 24, comma 1, D.lgs. 112/98), con riguardo agli impianti produttivi localizzati o da localizzare nel territorio dei Comuni associati.

L’esercizio delle funzioni della struttura unica da parte del singolo Comune, senza il ricorso a forme associate, non richiede specifiche indicazioni relative al tema del presente capitolo, cioè all’“organizzazione”.

Maggiore complessità, inevitabilmente, presenta l’esercizio in forma associata.

3. L’esercizio in forma associata.

Occorre in primo luogo stabilire quale sia il significato dell’espressione, dianzi riprodotta, “anche con altri enti locali”. Letteralmente, tale inciso, che è contenuto (come già si è detto) nel decreto legislativo, condurrebbe a ritenere possibile l’aggregazione dei Comuni anche con le Province e con le Comunità Montane, per l’esercizio delle funzioni della struttura unica. Il regolamento recato dal D.P.R. 447/98, peraltro, non riprende affatto l’inciso anzidetto e quindi non solo non disciplina a livello regolamentare l’eventualità medesima, ma anzi - nel suo testo letterale - limita alla partecipazione dei Comuni l’associazione di che trattasi: “i Comuni esercitano, anche in forma associata, ecc.” (art. 3, comma 1, D.P.R. 447/98).

Tale circostanza non sembra invero casuale, perché tutto il testo del D.P.R. individua soltanto nei Comuni i soggetti chiamati ad operare nella materia in esame. Del resto, sia il decreto legislativo sia il regolamento chiaramente individuano - come già si è rilevato - una competenza comunale esclusiva nella materia medesima.

Anche le norme che disciplinano il procedimento fanno esclusivo riferimento ad organi comunali.

* * * * * *

Occorre però segnalare subito che il quadro normativo in tema di sportello unico deve essere confrontato con le disposizioni di legge in materia di Comunità Montane.

Infatti, l’art. 27 del Testo Unico sugli enti locali, approvato con D.lgs. 267/2000, dopo aver espressamente qualificato le Comunità Montane come “unioni di Comuni, enti locali costituiti fra Comuni ecc.”, precisa che esse sono costituite, fra il resto, “per l’esercizio associato delle funzioni comunali”.

L’art. 28, comma 1, dello stesso Testo Unico stabilisce poi (come già avveniva con la l. 142/90, art. 29, comma 2) che “l’esercizio associato di funzioni proprie dei comuni (...) spetta alle comunità montane” là dove queste sono state costituite.

In tutta evidenza, non è possibile ignorare le disposizioni sopra richiamate; nè sussistono elementi, recati dalla legislazione in tema di sportello e struttura unica, che consentano di ritenere esclusa l’applicabilità delle disposizioni predette nella materia oggetto del D.lgs. 112/98 e del D.P.R. 447/98, o di reputare le disposizioni stesse incompatibili in assoluto con i decreti dianzi citati. Anzi, questi ultimi testi normativi, come si è visto, prevedono espressamente l’esercizio associato delle funzioni inerenti agli sportelli e alle strutture uniche, usando tra il resto un linguaggio pressoché identico a quello dell’art. 28, comma 1, del T.U. enti locali.

Non solo: la considerazione delle norme del D.lgs. 267/2000 qui segnalate può attribuire un significato all’espressione “in forma associata, anche con altri enti locali” usata all’articolo 24, comma 1, del D.lgs. 112/98: tali enti ben possono essere proprio le Comunità montane.

Appare dunque necessario coordinare le disposizioni del D.lgs. 112/98 e del D.P.R. 447/98 con quelle dianzi citate del T.U. enti locali, senza escludere l’applicazione di queste ultime.

Da ciò derivano inevitabilmente maggiori elementi di complessità.

Peraltro, questa non è cosa che impedisca necessariamente l’applicazione del disposto dell’art. 28, comma 1, del D.lgs. 267/2000. In concreto, là dove i Comuni sono aggregati in una Comunità montana, a questa - in applicazione della norma di legge dianzi citata - “spetta” l’esercizio associato delle funzioni comunali in tema di sportello e struttura unica.

Ciò significa che struttura e sportello dovrebbero essere istituiti presso la Comunità e che il funzionario preposto alla struttura potrebbe essere un funzionario della Comunità medesima. Non si è infatti di fronte allo svolgimento di un’attività convenzionata o in presenza di una collaborazione: in forza del T.U. enti locali, le funzioni comunali sono attribuite alla Comunità Montana.

La legislazione relativa alle Comunità medesime introduce, in sostanza, un’eccezione ad alcune fra le regole normativamente dettate in materia di struttura e sportello unico intesi come entità strettamente comunali.

Sul piano organizzativo generale, del resto, l’esercizio delle funzioni di che trattasi da parte delle Comunità Montane presenta anche aspetti positivi: l’applicazione del criterio dianzi esposto conduce invero a prevedere che, di norma, le funzioni medesime siano esercitate in forma associata là dove si è in presenza di una Comunità Montana, con il conseguente esercizio delle funzioni stesse da parte di quest’ultima.

Naturalmente, ove la scelta di tutti o di determinati Comuni sia quella di esercitare “singolarmente” (come si esprime l’art. 24 del D.lgs. 112/98) le funzioni in oggetto, per i Comuni medesimi non vale quanto dianzi si è detto. E non v’è dubbio sul fatto che è possibile e legittima anche tale scelta.

Ma, seguendo il criterio dianzi enunciato, normalmente l’istituzione delle strutture e degli sportelli unici viene ad essere affidata - nelle aree montane, in cui sono presenti i Comuni più piccoli e meno attrezzati (ed anche meno dotati di concrete possibilità di attrezzarsi in tempi relativamente brevi) - ad enti locali ormai collaudati da tempo la cui strutturazione è già oggi idonea a svolgere compiti eccessivamente pesanti per i Comuni componenti.

Ovviamente, nulla vieta che, in applicazione, del resto, di un modulo organizzativo già ampiamente usato e positivamente collaudato, alla struttura unica “centrale” di Comunità Montana corrispondono sportelli nei singoli Comuni o in alcuni di essi, sì da collocare nella realtà territoriale più vicina all’operatore la piattaforma di incontro tra cittadini e pubblica amministrazione, ed anche - eventualmente - di compiere senz’altro nel Comune che riceve la domanda dell’impresa le attività amministrative che ivi sono possibili, per poi trasmettere alla struttura unica “centrale” il procedimento già in parte svolto.

Quanto si è detto per le Comunità Montane può valere - cambiando quanto occorre - anche per le Comunità Collinari di cui alla legge regionale 28 febbraio 2000, n. 16.

Invero, l’art. 8 di tale legge prevede che le Comunità Collinari possano “organizzare l’esercizio associato di funzioni comunali”; e ciò, in particolare:

1) con la “gestione di funzioni e servizi amministrativi comunali, anche attraverso la realizzazione di un comune sistema informatico” (art. 8, comma 1, lettera i), della legge reg. 16/2000);

2) con la “costituzione di strutture tecnico-amministrative di supporto alle attività istituzionali dei Comuni” (art. 8, comma 1, lettera l), della legge regionale medesima).

La correlazione con l’attività dello sportello unico appare evidente e immediata.

Nel caso delle Comunità Collinari, peraltro, il dato legislativo testuale non ha la perentorietà dell’art. 28, comma 1, del T.U. enti locali in tema di Comunità Montane (“spetta alle Comunità montane l’esercizio, ecc.”): le Comunità Collinari “possono” organizzare l’esercizio associato di funzioni. Si è dunque in presenza di una facoltà che la singola Comunità collinare, con i Comuni che la compongono, deve decidere se esercitare, oppure no.

Essa potrebbe essere esercitata anche per una parte soltanto dell’ambito territoriale della Comunità, ove interessasse solo una parte de Comuni ricompresi nell’ambito stesso.

L’esercizio della facoltà, ove intervenga, richiede necessariamente atti formali della Comunità e dei Comuni che manifestino la relativa volontà e dispongano per l’attuazione della stessa.

* * * * * *

L’esercizio delle funzioni relative agli sportelli unici in modo associato, nei casi diversi da quello or ora considerato può avvenire attraverso alle “forme associative” di cui al capo V del Testo Unico per gli enti locali (artt. 30-31-32-34 del T.U. medesimo.).

Più esattamente, possono essere utilizzati lo strumento della convenzione di cui all’art. 30, e così pure quello del consorzio di cui all’art. 31. Particolarmente pertinente appare quest’ultimo istituto, previsto proprio “per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio di funzioni”.

L’unione di Comuni di cui all’art. 32 del T.U. approvato con D.lgs. 267/2000 è utilizzabile ai fini in esame solo nel caso in cui i Comuni che danno vita all’unione medesima utilizzino la stessa al fine di esercitare una pluralità di funzioni o di servizi (art. 32 citato, comma 1), e non solo lo “sportello unico”. Quest’ultima funzione dovrà far parte - nel caso in esame - di un più ampio pacchetto di funzioni comunali svolte dall’unione.

Si ricorda che i Comuni devono essere “di norma contermini” e che l’unione ha propri organi elettivi.

Possibile appare anche l’utilizzabilità, nella materia in questione, dell’"accordo di programma" di cui all’art. 34 del T.U. per gli enti locali.

Non vi è motivo, infine, di escludere la possibilità che la “forma associata” usata in concreto dai Comuni sia reperita nelle previsioni della legge 23.12.1996, n. 662 (art. 2, comma 203).

La gestione in forma associata può dar luogo a situazioni diverse: vi sono associazioni che “entificano”, che danno luogo cioè ad un ulteriore distinto ente (è il caso del consorzio e dell’unione di Comuni) ed associazioni che non producono tale effetto (la convenzione e l’accordo di programma).

I casi della Comunità montana e della Comunità collinare, di cui dianzi si è detto, ma anche quello della gestione attribuita al soggetto responsabile del patto territoriale o del contratto d’area, sono accostabili al caso dell’associazione che produce un ulteriore ente.

Ove si formi quest’ultimo, esso disporrà di personale e la struttura unica sarà un suo organo; i Comuni potranno concorrere fornendo proprio personale al “pool” che costituisce la struttura.

Quando invece l’associazione non produca un ulteriore ente (convenzioni, accordi di programma), dovrà essere individuato il Comune “capofila”, al quale apparterrà la struttura unica con l’intervento degli altri Comuni definito dalla convenzione o dall’accordo.

La sede della struttura unica e la presenza dello sportello unico si avranno nel Comune “capoluogo” della Comunità Montana (o in quello, diverso, determinato dai Comuni interessati d’intesa con la Comunità), nel Comune ove si trova il soggetto responsabile del patto territoriale o del contratto d’area (salvo diverso accordo), nel Comune individuato come sede del consorzio, ed infine in quello determinato nella convenzione o nell’accordo di programma.

Appare evidente il fatto che la frammentazione amministrativa piemontese, caratterizzata non solo da un elevato numero di Comuni, ma soprattutto da un elevato numero di Comuni con scarse capacità demografiche, economiche e gestionali, obbliga ad approfondire la riflessione sull’effettivo gestore dello sportello unico.

L’importanza attribuita dalle più recenti leggi agli enti locali di base, i Comuni, nella condizione anzidetta impone il ricorso alle forme associative.

Non a caso l’art. 3 del decreto legislativo 112/98 e l’art. 33, comma 2, del T.U. enti locali prevedono l’individuazione da parte delle Regioni dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni conferite ai Comuni di minor dimensione demografica, nel cui ambito “i Comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale”. La legge regionale 20.11.1998, n.34, dettaglia l’attuazione del D.lgs. 112/98, prevedendo l’individuazione, da parte del Consiglio regionale, dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni decentrate, previo parere della Conferenza permanente Regione-Autonomie locali. A loro volta i Comuni dovranno individuare forme e metodologie per attuare l’esercizio associato delle funzioni conferite.

In tale sede, ai Comuni di piccole dimensioni demografiche viene quindi espressamente richiesto di associarsi per la gestione dello sportello unico; la scelta dei partners, della forma e della metodologia per la gestione associata spetta autonomamente ai Comuni stessi.

4. Necessità specifiche

In punto organizzazione della struttura unica occorre ancora evidenziare come sia necessario:

a) che vengano definiti puntuali obblighi, in specie relativi al rispetto di tempi brevi e certi, a carico degli uffici comunali dai quali la struttura unica deve attingere istruttorie ed atti;

b) che vengano intessuti accordi con i soggetti pubblici esterni al Comune (A.S.L., Vigili del Fuoco, I.S.P.E.L.S. - Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, Regione per quanto concerne, ad esempio, le competenze in tema di beni paesistici o di vincolo idrogeologico, e così via) che parimenti garantiscano l’espletamento della procedura nei tempi dovuti;

c) che venga omogeneizzata la modulistica, sia per agevolare comprensione e compilazione della stessa, sia per rendere assolutamente rapido ogni controllo formale, sia ancora per consentire l’impiego dei supporti informatici.

Al riguardo, la legge 24 novembre 2000, n. 340, (art. 6) ha introdotto nel decreto legislativo 112/98 l’articolo 27-bis, rubricato “misure organizzative per lo sportello unico per le imprese”. La nuova norma impone alle amministrazioni, agli enti, alle autorità in genere competenti a compiere atti destinati a confluire nel procedimento gestito dalla struttura unica, di adottare le misure organizzative necessarie per snellire le rispettive procedure ed attività, “al fine di assicurare il coordinamento dei termini di queste con i termini di cui al citato regolamento” sullo sportello unico.

Trattasi di disposizione dotata di un peso non indifferente: essa, intanto, tronca alla radice le contestazioni di quelle amministrazioni che tuttora invocano la prevalenza della normativa di settore da esse applicata sul Regolamento di cui al D.P.R. 447/98; l’obbligo ora sicuramente esistente in capo a qualsiasi amministrazione è, al riguardo, quello di coordinare il proprio procedimento (che assume il carattere del sub-procedimento) con quello gestito dalla struttura unica: in secondo luogo, la norma in esame disegna all’orizzonte una concreta responsabilità (collocata a tutti i livelli, da quello risarcitorio a quello penale a quello, ancora, del danno erariale) a carico di chi, nella pubblica amministrazione, dovendo provvedere nel senso dianzi indicato, ometta o ritardi ingiustificatamente di farlo; tanto più quando da ciò derivi danno all’operatore.

Va da ultimo segnalato il fatto che la struttura unica deve organizzarsi ed attrezzarsi in modo idoneo a svolgere, accanto agli altri compiti, anche quello richiesto dall’art. 3, comma 3, del D.P.R. 447/98. Tale norma conferisce alle imprese la facoltà di chiedere alla struttura unica un parere preventivo, “senza che ciò pregiudichi l’eventuale successivo procedimento autorizzatorio”. Il parere va richiesto sottoponendo all’esame della struttura il progetto preliminare dell’intervento; il parere medesimo deve riguardare la conformità del progetto in questione ai piani vigenti in materia urbanistica (P.R.G. e strumenti urbanistici esecutivi), territoriale e paesistica (piano territoriale regionale, piano territoriale provinciale, piani paesistici, ma anche piani di settore sovraordinati al P.R.G., quali il Piano per l’assetto idrogeologico (P.A.I.) i piani di area dei territori protetti, il P.T.O. del Po, e così via).

Al riguardo, in tutta evidenza occorre la disponibilità (interna alla struttura, oppure reperita al di fuori di essa, presso il Comune o altri enti) di un soggetto esperto nella materia e dotato di tutti i necessari supporti conoscitivi.

La struttura ha l’obbligo di rilasciare il parere predetto e di rispettare, per tale rilascio, il termine di novanta giorni dalla richiesta.

CAPITOLO IV
RAPPORTI CON LE PROCEDURE IN MATERIA DI RIFIUTI E DI ACCERTAMENTO DELLA COMPATIBILITA’ AMBIENTALE

1. La legislazione di settore

La legislazione in materia di smaltimento o recupero di rifiuti, così come quella in tema di compatibilità ambientale prevede da tempo una vera e propria anticipazione dello sportello unico.

1.1. Smaltimento o recupero di rifiuti

Si tralascia, per evitare eccessivi appesantimenti della trattazione, la considerazione della precedente disciplina legislativa e si ha riguardo soltanto al D.lgs. 5.2.1997, n. 22 (cosiddetto “decreto Ronchi”). Come è noto, ai sensi degli artt. 27 e 28 di tale decreto, l’approvazione del progetto di realizzazione dell’impianto di smaltimento o recupero - ma anche di ristrutturazione o ampliamento o modificazione dello stesso - “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali”. Addirittura, tale approvazione “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale” e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori. Con l’atto di approvazione del progetto può concorrere, contestuale, l’autorizzazione all’esercizio, cioè a porre in essere “le operazioni di smaltimento e di recupero.

Il procedimento teso a pervenire all’approvazione anzidetta, ed eventualmente anche all’autorizzazione all’esercizio, è dunque un procedimento unico, negli stessi termini in cui lo è quello di cui alla normativa sullo sportello unico. Esso già ottempera, pertanto, alla statuizione recata dal comma 1 dell’art. 25 del D.lgs. 112/98, che impone appunto l’unicità del procedimento amministrativo in materia di insediamento (ristrutturazione, ampliamento, ecc.) di attività che producono beni o servizi.

Ci si è chiesti se l’attività di smaltimento o di recupero di rifiuti rientri in tale categoria, stante la particolarità della funzione svolta dagli impianti di smaltimento o recupero di rifiuti, difficilmente accostabile alle consuete ipotesi di “produzione di beni o di servizi”. Invero, l’art. 27 del D.lgs. 112/98, considera - solo per escluderli dalle applicazioni di alcune disposizione di legge ma non dalla complessiva disciplina anzidetta - gli “impianti di deposito temporaneo, smaltimento, recupero e riciclaggio dei rifiuti.

Di per sé, tali impianti sarebbero dunque assoggettati alla normativa riguardante lo sportello unico.

Ma altre ragioni inducono a ritenere che, in realtà, tale assoggettamento non debba intervenire: cioè, che - in concreto - i procedimenti di che trattasi non debbano essere esperiti dalla struttura unica, bensì dall’amministrazione competente (attualmente, la Provincia) per il procedimento unico di cui al D.lgs. 22/97.

Prima ragione è quella data dalla necessità di applicare con coerenza il principio fondamentale, sancito dalla legge 241/90, del divieto di aggravare il procedimento. Il D.lgs. 22/97 disciplina infatti l’iter procedimentale relativo agli impianti di smaltimento o recupero di rifiuti (così come quello attinente all’autorizzazione all’esercizio) in termini tali da perfino superare - sul terreno della semplificazione e dell’unificazione - le statuizioni in tema di sportello unico. D’altro canto, l’iter anzidetto è disciplinato dal “decreto Ronchi” in modo compiuto e specifico, cosicché anche la struttura unica dovrebbe comunque applicare quella disciplina; ne deriverebbe che la proposizione della domanda allo sportello unico darebbe luogo solo ad alcuni passaggi in più, rispetto al procedimento regolato dal D.lgs. 22/97.

Una seconda ragione proviene dal contenuto della normativa di cui all’art. 27 del decreto legislativo anzidetto: vi si stabilisce infatti che l’approvazione del progetto costituisce senz’altro variante al p.r.g., quando occorre. Come è risaputo, si tratta di uno dei casi di cosiddetta “variante automatica” agli strumenti urbanistici di cui è costellato il vigente ordinamento. La normativa del “decreto Ronchi”, che non è stata interessata da alcuna abrogazione, è dunque caratterizzata - anche rispetto a quella del Regolamento dello sportello unico - da una condizione di specialità che fa molto dubitare del fatto che possa essere stata incisa dal Regolamento medesimo, nell’ambito del quale, come è noto, la disciplina delle varianti al p.r.g. ha tutt’altro contenuto.

Si rende necessaria una terza considerazione. Gli interventi relativi ad impianti di smaltimento o recupero di rifiuti (con o senza contestuale istanza relativa all’esercizio) posti in essere da Consorzi di enti pubblici o comunque da soggetti pubblici e riconducibili alla categoria dei “lavori pubblici” già di per sé non rientrerebbero nella competenza dello sportello unico; le istanze di autorizzazione al solo esercizio sarebbero parimenti escluse per le ragioni enunciate nel secondo capitolo delle presenti note.

La competenza dello sportello unico si avrebbe quindi soltanto nei casi in cui un operatore diverso dal soggetto pubblico chieda l’approvazione del progetto, con o senza l’autorizzazione all’esercizio. E’ inevitabile rilevare la singolare e complicante disparità che verrebbe a riscontrarsi sul piano procedimentale, in palese ed eclatante violazione dei principi e degli obiettivi che l’odierna legislazione persegue.

Ancora: l’approvazione del progetto posta in essere dalla Giunta provinciale comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori; non è dato vedere come tale connotazione potrebbe risiedere nel provvedimento conclusivo del procedimento espletato dalla struttura unica, anche in relazione alla natura che si ritiene abbia tale provvedimento ed alla posizione in cui risulta collocato il responsabile della struttura unica che emana il provvedimento stesso.

Si deve dunque ritenere che il procedimento di cui all’art. 27 (e 28) del D.lgs. 22/97 (“decreto Ronchi”) non rientri fra quelli che attivano la competenza dello sportello unico, e che ad esso non si applichi il D.P.R. 447/98 e succ. mod.; il procedimento stesso resta pertanto disciplinato dal D.lgs. 22/97 sopra citato, ovviamente sostituita la Provincia alla Regione.

Rimane del resto rispettato il disposto dell’art. 25, comma 1, del D.lgs. 112/98: “il procedimento amministrativo (.....) è unico”; ma trovano sostanziale ottemperanza anche le altre disposizioni, recate dal comma 2 di tale articolo, restando escluse (come dispone l’art. 27 dello stesso decreto legislativo) quelle di cui alle lettere c) e d). Il procedimento disciplinato dal D.lgs. 22/97 già opera invero attraverso all’applicazione, nella sostanza, delle disposizioni anzidette.

In merito invece alla costruzione di impianti relativi ad attività di recupero rifiuti non pericolosi, come normate all’articolo 33 del D.lgs. 22/97 e al D.M. 5 febbraio 1998, si ritiene che la relativa procedura debba essere assoggettata a quanto previsto dal D.P.R. 447/1998 e 440/00 in quanto il comma 6 dell’articolo 31 del D.lgs. 22/97 prevede che la costruzione di quel tipo di impianti sia normata dalle disposizioni che regolano la costruzione di impianti industriali. Completamente autonoma dal processo di costruzione dell’impianto è la procedura relativa alla comunicazione di inizio attività, compiutamente disciplinata dall’articolo 33 del D.lgs. 22/97, procedura che è assoggettata alla verifica e al controllo della Provincia e che, per le sue caratteristiche, non può mai ritenersi contestuale alla fase di costruzione delle opere. Tale procedura, a nostro avviso, non può essere di competenza dello sportello unico. In ordine poi alle procedure relative al D.P.R. 203/88, previste tra quelle oggetto di semplificazione al punto 109 dell’Allegato 1 alla L. 59/97. Se ne deduce che se il procedimento fosse stato già implicitamente ricompreso nelle materie disciplinate dalla normativa sullo sportello unico, non ci sarebbe stato bisogno di predisporre un apposito decreto. Dovrà dunque essere applicato quest’ultimo, con il procedimento ivi previsto, senza ricorrere allo sportello unico.

Da ultimo va rilevata la circostanza che, ove l’intervento comporti la sottoposizione al V.I.A., le modalità procedimentali vengono ad assumere i caratteri che conseguono a tale condizione.

1.2. Compatibilità ambientale

L’articolo 40, comma 2, della legge 22.2.1994, n. 146 (“disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee - legge comunitaria 1993") stabilisce che ”qualora per un medesimo progetto, oltre alla valutazione di impatto ambientale, sia previsto il rilascio di altri provvedimenti autorizzativi, si procede all’unificazione e all’integrazione dei relativi procedimenti".

La prescrizione anzidetta è stata regolamentata attraverso all’atto di indirizzo e coordinamento successivamente emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400/1988, costituito dal D.P.R. 12.4.1996 (G.U. n. 210 del 7.9.1996).

Le disposizioni anzidette di legge statale hanno determinato le statuizioni recate sul tema dalla legge regionale del Piemonte 14.12.1998, n. 40 (“disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione”).

Più specificatamente, l’art. 12, comma 3, di quest’ultima legge stabilisce che il “giudizio di compatibilità ambientale” è “comprensivo delle autorizzazioni ambientali ed urbanistiche necessarie alle realizzazione del progetto, nonchè all’eventuale rilascio coordinato di ulteriori provvedimenti”.

Il successivo articolo 13, nel disciplinare l’"istruttoria integrata della fase di valutazione“ (cfr. la rubrica dell’articolo) stabilisce che l’autorità competente per la V.I.A. ”indice una conferenza di servizi, ai fini di effettuare l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nella procedura di VIA o di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi ad essa connessi, nonchè per acquisire autorizzazioni, nullaosta, pareri o altri atti di analoga natura anche di altre amministrazioni pubbliche".

Le determinazioni concordate nella conferenza sostituiscono i vari atti (art. 13, comma 2).

Nella prima riunione della conferenza stessa, le amministrazioni che vi partecipano “individuano e definiscono le autorizzazioni che saranno assorbite dal giudizio di compatibilità ambientale nonchè le ulteriori procedure da coordinare nei termini previsti per l’espressione del giudizio di compatibilità ambientale di cui all’art. 12, comma 3" (art. 13, comma 3).

In sostanza, nel sistema piemontese, l’istruttoria della VIA conduce:

a) al giudizio di compatibilità ambientale, in cui vengono ricomprese tutte le autorizzazioni:

1) ambientali

2) urbanistiche;

b) all’eventuale rilascio coordinato di ulteriori provvedimenti, cioè di altri atti di assenso non aventi natura “ambientale” nè “urbanistica”.

Le autorizzazioni ambientali e urbanistiche sono dunque obbligatoriamente ricomprese nella VIA positiva; gli altri provvedimenti autorizzativi, invece, non confluiscono nella valutazione predetta di impatto ambientale, ma possono essere acquisiti - e quindi rilasciati all’operatore - parallelamente. Poichè occorre comunque sapere tempestivamente, da un lato, quali autorizzazioni ambientali e urbanistiche in concreto confluiranno nella VIA e, dall’altro, se vi sarà l’acquisizione di ulteriori provvedimenti, nonchè, in caso affermativo, quali specifici assensi saranno acquisiti, la legge regionale impone di definire tutto ciò nella prima riunione della conferenza di servizi indetta nell’ambito dell’istruttoria della domanda di pronuncia di compatibilità ambientale.

Le disposizioni di cui dianzi si è detto hanno conservato la loro efficacia anche a fronte dell’entrata in vigore della legislazione statale sullo sportello unico. Il sopravvenire di quest’ultima potrebbe invero aver determinato l’abrogazione tacita parziale della normativa statale sulla VIA (che è anteriore sia al d.lgvo 112/1998 sia al D.P.R. 447/1998); e - ai sensi dell’art. 10 della legge 10.2.1953, n. 62 - potrebbe avere altresì abrogato norme regionali ove queste fossero contrastanti con principi fondamentali recati dalle successive disposizioni sullo “sportello unico”.

Ma non è così.

Innanzi tutto, l’art. 27 del decreto legislativo 112/1998 si premura di stabilire che “sono fatte salve le vigenti norme in materia di valutazione di compatibilità e di impatto ambientale”, cosicché sembra esclusa qualsiasi ipotesi di abrogazione tacita; è ben vero che le norme della legge regionale del Piemonte 40/1998 non erano ancora vigenti alla data del D.lgs. 112/98, ma è vero altresì che erano già vigenti le disposizioni di legge statale tradotte nella predetta legge regionale: tanto basta, allora, poiché le norme statali predette sono sicuramente “fatte salve”. In secondo luogo, non è tecnicamente ipotizzabile l’applicazione dell’art. 10 l. 62/1953 nei confronti della legge regionale piemontese 40/1998, perché quest’ultima è successiva alla legge statale recante “principi fondamentali” in materia, legge quest’ultima che può essere data solo dal D.lgs. 112/1998 essendo evidente il fatto che il regolamento (D.P.R. 447/98) non può contenere “principi fondamentali”. Ma, soprattutto, non è ravvisabile contrasto sostanziale fra i due filoni di norme; le innovazioni di campo introdotte dalla disciplina sullo “sportello unico” sono in definitiva due: l’unicità del procedimento (art. 25, comma 1, D.lgs. 112/98) e la competenza comunale (art. 23, comma 1, D.lgs. medesimo). Relativamente alla prima innovazione, già si è ricordato che essa è stata addirittura anticipata dalla legislazione sulla VIA; quanto alla seconda, più che di fronte ad un contrasto - come si vedrà nel prosieguo - sembra corretto ritenere che ci si trovi in presenza di una necessità di coordinamento (l’istruttoria integrata della legislazione sulla VIA è affidata all’"autorità competente", che nel caso piemontese può essere la Regione, la Provincia o il Comune; l’attività della struttura unica di cui al D.lgs. 112/98 e al D.P.R. 447/98 è invece sempre di competenza del Comune).

Così stando le cose, occorre dunque coordinare le due discipline legislative; queste sembrano offrire lo spazio giuridico ed operativo necessario.

Il coordinamento predetto deve essere effettuato tenendo presente la circostanza che la procedura di VIA, a differenza di quelle che sfociano in un’autorizzazione, non si limita a procurare un assenso sia pure con prescrizioni (o un diniego), ma influenza direttamente la progettazione finale, nei casi in cui interventi modificativi del progetto, tra i quali rivestono grande importanza tutti gli interventi mitigativi dell’impatto o compensativi del bilancio ambientale complessivo, rendano possibile la realizzazione dell’opera ovvero la rendano maggiormente compatibile.

Tale processo rende necessaria una concertazione integrata tra i soggetti titolari delle diverse autorizzazioni, e si avvale in ogni fase della partecipazione del pubblico, che può fornire il suo apporto anche migliorativo, segnalando criticità e problemi.

Il processo favorisce quindi una progettazione finale che difficilmente può essere predeterminata a monte.

Diviene allora inevitabile condurre la valutazione sulla compatibilità ambientale dell’intervento preventivamente nel senso che sarà di seguito chiarito con riferimento al concreto svolgersi della procedura. Il giudizio di compatibilità ambientale può infatti da un lato assorbire, e dall’altro contestualmente acquisire, tutte le autorizzazioni e i consensi necessari nel caso specifico così esaurendo tutta l’attività necessaria. Dall’altro lato, come poc’anzi già si è detto, il confronto collaborativo che caratterizza la procedura di VIA fa sì che il progetto dell’intervento, in molti casi, venga maturando e perfezionandosi cammin facendo, con la conseguenza che eventuali autorizzazioni e consensi rilasciati sull’ipotesi progettuale iniziale risultino poi inutilmente espressi, a causa delle differenze che il progetto finale - ambientalmente compatibile - viene a presentare rispetto all’iniziale.

2. Il procedimento unico in caso di VIA

In concreto, facendo riferimento da un lato al “procedimento semplificato” di cui al capo II del D.P.R. 447/1998 e, dall’altro, alla procedura di valutazione di compatibilità ambientale e non già a quella di verifica, può essere disegnato il seguente percorso.

1. L’impresa che ritenga di avvalersi dello “sportello unico” si rivolge alla struttura unica comunale.

2. Questa conduce la verifica di sua competenza sul complesso delle autorizzazioni e dei consensi necessari; constata la necessità della VIA:

a) perché il progetto appartiene alle categorie soggette alla procedura VIA

ai sensi della legge regionale 40/1998

ai sensi del D.P.C.M. 377 del 10/8/1988 e successive modifiche ed integrazioni;

b) perché il progetto non ricade nelle cause di esclusione dalla VIA di cui all’art. 10, comma 4, della legge regionale 40/98 (ove il progetto rientrasse invece in una causa di esclusione dalla VIA per tale ordine di ragioni, la struttura unica dovrebbe acquisire dichiarazione dell’impresa con la quale questa autocertifica la condizione di esclusione, motivandola).

3. La struttura unica comunale:

a) invita il proponente a procedere al deposito e alla pubblicazione dell’avviso al pubblico in conformità all’articolo 12 della legge regionale 40/98 e a presentare contestualmente gli atti all’autorità competente in materia di VIA; fornisce al riguardo tutta la collaborazione del caso, anche predisponendo gli atti necessari, da sottoscriversi poi dal legale rappresentante dell’impresa;

b) indica al proponente le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell’opera.

4. Il proponente, con le modalità anzidette, provvede agli adempimenti di cui alla lettera a) del precedente n.3 e, ai fini del decorso dei termini previsti dal D.P.R. 447/98, provvede altresì al deposito presso la struttura unica di copia della domanda presentata all’autorità VIA competente.

5. Nel caso in cui il proponente si rivolga direttamente all’autorità competente in materia di VIA, tale autorità darà tempestiva notizia alla struttura unica dell’inizio del procedimento, in vista di un futuro accesso del proponente alla struttura unica.

6. L’autorità competente in materia di valutazione d’impatto ambientale, oltre a procedere a tale valutazione, nei tempi e nei modi indicati dall’articolo 13 della legge regionale 40/1998, provvede all’acquisizione degli atti autorizzatori e di consenso; la conferenza di cui al citato art. 13 - nella sua prima riunione - definisce quali consensi e autorizzazioni:

a) saranno assorbiti dal giudizio di compatibilità ambientale (così si esprime la norma dianzi citata), vale a dire costituiranno parte integrante necessaria del giudizio predetto;

b) saranno comunque ricompresi nel giudizio medesimo, in attuazione della regola legislativamente data secondo cui tutti i provvedimenti autorizzatori devono essere oggetto di “rilascio coordinato” in sede di giudizio di compatibilità ambientale (art. 12 e 13 legge regionale 40/1998);

c) potranno - in via eccezionale - essere acquisiti solo in tempi più lunghi (comma 4 art. 13 legge regionale 40/98).

Il verbale della predetta riunione della conferenza rende esplicita la circostanza che il procedimento è sottratto alla responsabilità della struttura unica e rientra nella responsabilità dell’autorità VIA competente.

Ove l’impresa si sia rivolta alla struttura unica, il responsabile di questa (o un suo delegato) partecipa alla conferenza.

In ogni caso, l’autorità competente in tema di VIA e la struttura unica operano, fin dal momento iniziale del procedimento, in continua collaborazione al fine di assicurare l’acquisizione - nel minor tempo possibile e comunque, nel termine di cui all’art. 4, ultimo comma, del D.P.R. 447/98 - anche dei provvedimenti di cui alla precedente lettera c).

7. L’autorità VIA competente dà altresì notizia alla struttura unica:

a) della interruzione dei termini del procedimento a seguito di

= richiesta di integrazioni da parte dell’autorità competente (art.12, comma 6, l.r. 40/98);

= richiesta da parte del proponente di presentare integrazioni (art.12, comma 6, e art.14, comma 5, l.r.40/98);

b) della ricezione delle integrazioni e del conseguente riavvio procedurale.

8. Conclusa l’istruttoria, l’autorità VIA competente rimette alla struttura unica il giudizio di compatibilità ambientale comprensivo di tutte le autorizzazioni “ambientali ed urbanistiche”, (di cui fa parte la concessione edilizia o comunque l’atto di assenso edilizio), nonché gli ulteriori provvedimenti acquisiti.

Lo schema dianzi enunciato appare rispettoso sia del quadro legislativo in tema di giudizio di compatibilità ambientale, sia di quello introdotto dalle norme sullo sportello unico.

Risulta rispettato anche il principio secondo cui il giudizio di compatibilità ambientale precede il provvedimento che consente in via definitiva la realizzazione del progetto.

3. Il procedimento unico nel caso della “fase di verifica”

Come è noto, la disciplina legislativa vigente in tema di compatibilità ambientale prevede che per determinati tipi di progetti debba essere preventivamente stabilito a livello pubblico se le caratteristiche del progetto richiedano lo svolgimento della V.I.A. oppure se non si renda necessario tale giudizio: si è allora in presenza della cosiddetta “procedura di verifica” (art. 10 D.P.R. 12.4.1996) o “fase di verifica” (l. r. 40/1998, artt. 3, 4 e 10).

Tale procedura o “fase” non sembra esclusa dall’ambito di applicazione delle norme sullo sportello unico, per quanto concerne la competenza della struttura unica ad occuparsene; non può peraltro rientrare all’interno dei termini temporali normativamente fissati per la conclusione del procedimento unico.

Si tratta infatti di un “pre-procedimento” inteso a stabilire se si renda necessario, oppure no, un determinato giudizio all’interno del procedimento unico anzidetto; non a caso, la legge - nel disporre termini più lunghi in materia - fa riferimento al “caso di progetti di opere da sottoporre a valutazione di impatto ambientale” (art. 4, comma 1 e comma 7, D.P.R. 447/98): la protrazione del termine finale è prevista invero là dove debba essere esperita la procedura di V.I.A.. Sul piano pratico, del resto, non sarebbe logico nè utile ammettere che i termini entro i quali si deve pervenire all’autorizzazione possano essere erosi dal tempo - ancorchè legislativamente definito (art. 10, comma 3, l.r. 40/98) in soli sessanta giorni - necessario per concludere la fase di verifica.

Appare corretto ritenere che l’impresa possa comunque rivolgersi allo sportello unico. Tale possibilità deve sempre sussistere, nel nuovo quadro di rapporti tra operatore e pubblica amministrazione costruito dalle recenti leggi; è concreta l’ipotesi che l’impresa si rivolga allo sportello aperto dal Comune, non disponendo di cognizioni sufficienti in ordine alle procedure da svolgere: anzi, proprio in questa prospettiva si muove una parte rilevante del quadro normativo.

Si può allora definire il seguente iter (estraneo, come si è detto, alla decorrenza dei termini di cui al D.P.R. 447/98).

1. L’impresa che ritenga di avvalersi dello “sportello unico” si rivolge alla struttura unica comunale.

2. Questa conduce la verifica di sua competenza sul complesso delle autorizzazioni e dei consensi necessari; constata che occorre svolgere la “fase di verifica” della necessità - o meno - della valutazione di compatibilità ambientale.

3. La struttura unica:

a) invita il proponente a procedere agli adempimenti presso l’autorità competente in materia di VIA di cui all’articolo 10, commi 1 e 2 della legge regionale 40/1998; fornisce al riguardo tutta la collaborazione del caso, anche predisponendo gli atti necessari, da sottoscriversi poi dal legale rappresentante dell’impresa;

b) indica al proponente le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell’opera.

4. L’autorità VIA competente comunica alla struttura unica il giorno in cui è stata data la pubblicità prevista dall’articolo 10, comma 2, della l.r. 40/98 ai fini della decorrenza dei termini previsti nel medesimo articolo.

5. L’autorità VIA competente si pronuncia entro il termine di sessanta giorni dalla data della pubblicazione di cui al comma 2 dell’articolo 10 l.reg.40/1998 o lascia decorrere inutilmente il termine medesimo.

6. A tal punto si configurano le seguenti possibilità:

a) non occorre procedere alla fase di valutazione:

a.1) l’esclusione è subordinata alle condizioni prescritte dall’autorità competente;

a.2) l’esclusione è priva di condizioni;

a.3) l’esclusione deriva dalla mancata pronuncia entro sessanta giorni dalla pubblicazione disposta dall’autorità medesima.

b) occorre procedere alla fase di valutazione.

7. Nel caso sub a) la struttura unica invita a presentare il progetto (adeguato alle eventuali prescrizioni vigenti per le varie autorizzazioni necessarie nel caso specifico: gli elaborati che sono serviti per condurre la procedura di verifica VIA non sono infatti idonei - salvo casi eccezionali - a costituire il progetto di cui deve disporre la struttura unica per esperire il procedimento autorizzatorio unico.

Nel caso sub b) si procede come dianzi indicato ai fini dello svolgimento della procedura di valutazione di compatibilità ambientale.

4. L’esclusione dalla VIA

Nello svolgimento dei suoi compiti, la struttura unica tiene conto del disposto del comma 4 dell’art. 10 della legge regionale 40/98, che stabilisce quanto segue.

“4. Per i progetti compresi negli allegati B1, B2 e B3, non ricadenti, neppure parzialmente, in aree protette, qualora ricorrano le condizioni di esclusione dalla procedura di VIA previste dall’allegato C o contenute nei piani e programmi studiati ed organizzati sulla base di analisi di compatibilità ambientale di cui all’articolo 20, comma 5, il proponente correda le istanze delle autorizzazioni, dei nulla osta, dei pareri o degli altri atti di analoga natura, necessarie per la realizzazione del progetto medesimo, di apposita dichiarazione nella quale certifica la sussistenza delle condizioni di esclusione. La suddetta dichiarazione costituisce condizione di procedibilità delle istanze di cui al presente comma”.

5. Il procedimento mediante autocertificazione in caso di VIA

Problemi di coordinamento tra la legislazione sullo “sportello unico” e quella in tema di compatibilità ambientale si pongono con riferimento al procedimento mediante autocertificazione.

Va detto al riguardo, in primo luogo, che non può essere seguita l’indicazione - qua e là emergente - secondo la quale non è dato ricorrere a tale tipo di procedimento quando occorre la valutazione di impatto ambientale.

Le disposizioni di legge non escludono affatto l’impiego di tale procedura nei casi di cui al comma 3 dell’art. 1 ed al comma 1 dell’art. 6 del D.P.R. 447/98: esse escludono invece quelle materie  (1) dell’autocertificazione.

In altre parole, ancorché all’interno di un procedimento mediante autocertificazione, non è consentito autocertificare l’esistenza della compatibilità ambientale, del controllo sul pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, di un’idonea prevenzione o riduzione dell’inquinamento, ed infine di ciò che è assoggettato da norme comunitarie ad autorizzazione espressa.

In ordine a tali materie, deve comunque essere acquisita l’autorizzazione espressa: così stabilisce il comma 6 dell’art. 6 D.P.R. 447/98.

Parimenti, deve essere ottenuta la concessione edilizia, ove necessaria.

Quindi, per la conclusione del procedimento unico occorre che siano acquisite le autorizzazioni di cui dianzi si è detto, la concessione edilizia (ove necessaria), nonchè le autocertificazioni attestanti la conformità del progetto alle altre norme.

L’art. 6, comma 10, del D.P.R. 447/98 precisa che i “titoli autorizzatori” necessari perchè relativi a materie sottratte all’autocertificazione devono essere “previamente acquisiti”.

L’espressione, nel contesto in cui è collocata, pare usata al fine di non lasciar dubbi sulla circostanza che - mancando le autorizzazioni espresse di cui si è detto e la concessione edilizia - il decorso del termine di legge non produce l’effetto autorizzatorio; il progetto si intende infatti assentito “in conformità” (oltre che alle autocertificazioni prodotte) “alle prescrizioni contenute nei titoli autorizzatori” che dunque devono già esistere ed essere acquisiti.

La considerazione del testo letterale della norma di per sè conduce a ritenere che, nel caso in cui l’impresa scelga il procedimento per autocertificazione, fondato sull’attività - sia pur semplificata - dell’operatore, solo supportata dalla struttura unica, le autorizzazioni relative alle materie non autocertificabili (e quindi anche la VIA) debbano essere acquisite dall’impresa. L’articolo 6, comma 2, del D.P.R. 447/98 limita infatti all’avvio del procedimento per il rilascio della concessione edilizia (ed alla convocazione di cui al comma 4) i compiti della struttura unica sotto tale profilo, mentre la legge ben avrebbe potuto impiegare un’espressione a contenuto generale, riferita a tutti i provvedimenti non autocertificabili anzichè alla sola concessione edilizia.

Peraltro, la considerazione dell’intento perseguito complessivamente dalle disposizioni in esame conduce a ritenere legittima l’eventuale decisione della struttura unica di collaborare con l’impresa nell’acquisire le autorizzazioni nelle materie non autocertificabili. Si fa rinvio, al riguardo, al capitolo sul “procedimento” e più specificatamente sul “procedimento mediante autocertificazione”.

Non operano al riguardo termini temporali legislativamente fissati; naturalmente, nulla esclude che la struttura unica assuma spontaneamente impegni al riguardo.

In tal caso al procedimento affluiscono (ed il provvedimento finale è fondato su):

- le autocertificazioni esibite dall’imprenditore (nelle materie suscettibili di autocertificazione);

- le autorizzazioni acquisite (con o senza l’ausilio dello sportello dell’imprenditore presso l’Amministrazione di Settore);

- la concessione edilizia acquisita dalla struttura.

6. La “fase preliminare” allo studio di impatto ambientale

La cosiddetta “fase preliminare alla redazione dello studio di impatto ambientale” di cui all’art. 11 della legge reg. 40/98, appare anch’essa estranea alle funzioni della struttura unica.

Restano, naturalmente, impregiudicati i compiti dello sportello unico in materia informativa e di “consulenza”.

Non sarebbe invece compatibile con le attività in cui si concreta la fase preliminare, l’intervento della struttura unica: si consideri quanto dispone il comma 3 dell’art. 11 predetto (1).

Il rapporto si instaura, nel caso in esame, fra l’impresa e l’autorità VIA competente, senza intermediazioni.

Del resto, si tratta di procedimento a sé stante, assolutamente preventivo, preordinato alla realizzazione di un progetto solo in via indiretta.

Capitolo V
IL PROCEDIMENTO UNICO

1. I due tipi di procedimento

Se il compito dello sportello unico è fondamentalmente informativo e di collegamento con le imprese e con i soggetti interessati, alla struttura unica compete svolgere il procedimento amministrativo (che deve essere “unico”) teso a procurare il titolo necessario per la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la riconversione di impianti produttivi.

Il D.P.R. 447/98 individua e definisce due tipi di procedimento ai fini anzidetti:

1) il cosiddetto “procedimento semplificato”, più chiaramente qualificabile come “ordinario” (capo II del D.P.R. medesimo: artt. 4 e 5);

2) il procedimento mediante autocertificazione (capo III: art. 6, 7 e 8):

La scelta tra i due moduli procedimentali anzidetti è di competenza dell’impresa. Se questa constata di poter attestare con autocertificazioni la conformità del progetto alle varie prescrizioni, ben può orientarsi per l’esperimento del secondo tipo di procedura; se invece lo strumento dell’autocertificazione non è utilizzabile ovvero risulti privo di utilità ai fini della celerità del procedimento (ad esempio, perché occorrono certificazioni non autocertificabili), allora va avviata la procedura ordinaria di cui all’art. 4 del D.P.R. 447/98.

Occorre anche ricordare che l’autocertificazione prevista dall’art. 6 del D.P.R. 447/98 è cosa diversa sia dall’istituto della “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà” sia da altre ipotesi di autocertificazione (si pensi all’"antimafia") in cui l’attestazione è espressa dal solo interessato; nel caso in esame, le autocertificazioni di che trattasi sono in realtà “asseverazioni” (1) ossia attestazioni di conformità tecnica del progetto alle norme vigenti nelle varie materie, redatte da professionisti abilitati e sottoscritte da questi unitamente al legale rappresentante dell’impresa.

2. Il procedimento semplificato

Come già si è detto, il cosiddetto “procedimento semplificato” costituisce il modulo procedimentale ordinario.

Esso è il tipo di procedimento a cui è indispensabile ricorrere “per gli impianti e i depositi di cui all’art. 27 del D.lgs. 31.3.1998, n. 112”, vale a dire per:

1) gli impianti nei quali sono utilizzati materiali nucleari;

2) gli impianti di produzione di materiale d’armamento;

3) i depositi costieri;

4) gli impianti di produzione, raffinazione e stoccaggio di oli minerali;

5) gli impianti di deposito temporaneo, smaltimento, recupero e riciclaggio dei rifiuti.

Non è invece indispensabile ricorrere alla procedura ordinaria quando si è in presenza di materie non autocertificabili: in tale caso però, come già si è detto, se si utilizza il procedimento mediante autocertificazione, oltre alle autocertificazioni relative alle materie ammesse, devono essere acquisite le autorizzazioni esplicite inerenti alle materie non autocertificabili.

Il procedimento ordinario ha inizio con la presentazione alla struttura unica, da parte dell’impresa, della domanda di realizzazione dell’impianto, o di ampliamento o di riconversione (e così via) dello stesso.

E’ opportuno che gli sportelli e le strutture dispongano di moduli - ovviamente suscettibili di utilizzazione informatizzata - da compilare, per la formulazione delle domande predette.

La ricezione della domanda comporta di protocollare la stessa e di attribuirla alla competenza di un responsabile del procedimento.

Appare evidente la necessità, per le amministrazioni che esercitano le funzioni in oggetto, di procedere all’adeguamento dell’organizzazione della loro struttura, al fine di creare le condizioni in presenza delle quali è materialmente possibile il rispetto dei ristretti termini temporali stabiliti (o da stabilire) nel compimento della procedura di competenza della struttura unica.

Una necessità assolutamente immediata è dunque quella consistente nel condurre una verifica ed, occorrendo, un adeguamento dei metodi di lavoro interni alle amministrazioni: lo sportello e la struttura unica impongono di rimodulare l’organizzazione del Comune titolare della struttura medesima.

Nella dimensione consistente, ciò significa razionalizzare, unificare e semplificare le procedure oggi generalmente parcellizzate in più settori interni alla macchina comunale; nella dimensione più contenuta, occorre adeguare le risorse professionali, le strutture, la strumentazione di cui si dispone: è largamente probabile che tale azione implichi necessariamente il ricorso a forme associate. Non va escluso neppure che il potenziamento delle strutture richieda di utilizzare competenze professionali esterne.

Quanto si è detto per i Comuni vale - con il necessario adattamento - anche per tutte le altre amministrazioni coinvolte.

E’ chiaro che si tratta di una condizione indispensabile: ove ciò non avvenisse, non sarebbe frequente il mancato rispetto dei termini procedimentali e sarebbe cosa vana parlare di responsabilità della struttura unica e di semplificazione e snellimento delle procedure.

Quanto or ora si è segnalato è cosa che già risultava evidente anche in assenza di espresse statuizioni normative; queste ultime sono però intervenute con l’art. 6 della legge 24 novembre 2000, n. 340, di cui già si è detto nel capitolo relativo all’“organizzazione” dello sportello unico. L’articolo medesimo ha introdotto nel D.lgs. 112/98 l’art. 27-bis, che prescrive in modo esplicito e formale l’adozione delle misure organizzative necessarie allo snellimento di quei procedimenti amministrativi che - confluendo nel procedimento unico - assumo il carattere di “sub procedimenti”.

Le misure predette devono essere idonee ad assicurare il coordinamento dei termini di tali sub procedimenti con i termini del Regolamento sullo sportello unico: in pratica, i tempi di svolgimento dei sub procedimenti in questione devono essere adattati - attraverso appunto ad idonee misure organizzative che snelliscano tali sub procedimenti - ai tempi del procedimento unico. Non sembra esistere altra possibilità né modalità di “coordinamento”, poiché la normativa in tema di sportello unico non prevede deroghe né flessibilità in materia di termini temporali; è evidente d’altro canto che qualsiasi deviazione rispetto alla linea disegnata dalla disciplina dello sportello unico nella materia medesima vanificherebbe uno degli obiettivi essenziali di tale disciplina.

L’obbligo, legislativamente imposto, di riorganizzarsi ha quali destinatari tutte le amministrazioni, gli enti e “le autorità” chiamate a svolgere subprocedimenti: l’espressione “di chiusura” (“le autorità”) indica, con la sua assoluta generalità, l’intento del legislatore di non lasciare alcuno fuori dalla portata della norma in questione. L’obbligo medesimo vale quindi tanto per il Comune titolare della struttura unica e dello sportello, quanto per gli altri soggetti pubblici che devono far pervenire alle strutture uniche gli atti conclusivi dei loro subprocedimenti (i cosiddetti “atti istruttori” del D.P.R. 440/2000).

L’obbligo dell’accelerazione già vale a partire dal protocollo: è chiaro che i tempi lunghi talora presenti perfino nel protocollare le pratiche amministrative non sono compatibili con le nuove disposizioni di che trattasi.

Il protocollo d’intesa 19.4.1999, intercorso fra la Prefettura di Torino, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, il Comune di Torino, con l’adesione dell’A.R.P.A., dell’I.S.P.E.S.L., dell’Ufficio Provinciale del Lavoro, della Sovrintendenza per i beni ambientali e architettonici e del Comando provinciale di Torino dei Vigili del Fuoco, stabilisce (paragrafo 9.1.) che “alla ricezione dell’istanza, lo Sportello provvede ad assegnare un numero di pratica determinato in modo univoco e con criteri identici per tutte le Amministrazioni aderenti al presente protocollo.”

Appare evidente l’opportunità di seguire tale indicazione anche nelle sedi non coinvolte dal protocollo d’intesa predetto, e dunque in tutte le strutture uniche istituite in Piemonte.

Le domande pervenute allo sportello dovranno comunque ricevere una numerazione progressiva specifica, attinente cioè alle sole istanze depositate allo sportello medesimo.

La conferma di avvenuto avvio del procedimento unico è identificata dal protocollo d’intesa 19.4.1999 dianzi citato con l’inserimento dei dati relativi all’istanza nel “data base” relativo alle pratiche ricevute (ancora paragrafo 9.1.).

Anche tale soluzione appare opportuno applicare in tutte le strutture uniche istituite nel territorio della Regione.

Peraltro, la ricezione della domanda implica la sua ricevibilità. E’ dunque necessario che - prima di numerare la pratica e di avviare il procedimento - lo sportello effettui una verifica preliminare al fine di accertare l’esistenza delle condizioni di ricevibilità. A titolo di esempio, si consideri il caso di presentazione di un’istanza relativa ad un soggetto che non effettua produzione di beni o di servizi: è evidente il fatto che lo sportello deve considerare preventivamente tale circostanza, e conseguentemente rigettare, motivatamente, la domanda in via preventiva.

La positiva conclusione della verifica di ricevibilità non costituisce in alcun modo riconoscimento della completezza della documentazione o dell’istanza stessa: resta necessariamente salvo il potere-dovere di richiedere e di acquisire le integrazioni necessarie, nello svolgimento della successiva istruttoria di merito.

Va segnalato che, nel caso di procedimento semplificato, manca una disposizione analoga a quella dell’art. 6 commi 2 e 13 D.P.R. 447/98 che prescrivono l’inserimento immediato nell’archivio informatico e la pubblicizzazione della domanda: è ipotizzabile, sul punto, un’estensione analogica di tali obblighi, da adempiersi in applicazione del principio enunciato all’art. 7 L. 241/90, con le forme di cui all’art. 8 comma 2 e le finalità di cui all’art. 9 della precitata L. 241/90.

Superata la fase della ricezione, la struttura accerta quali siano i consensi necessari nel caso concreto corrispondente alla singola domanda. E’ evidente la difficoltà di tale fase, da svolgere peraltro in un termine breve, e la conseguente esigenza di piena e pronta collaborazione da parte di tutte le amministrazioni e di tutti gli uffici, ai quali - contattandoli anche informalmente con il mezzo più breve - il responsabile del procedimento deve poter richiedere chiarimenti ed informazioni.

La struttura unica provvede quindi a formulare gli inviti, di cui al primo comma dell’art. 3 D.P.R. 447/98, a ciascuna amministrazione competente affinché si facciano pervenire i consensi, i pareri e in genere gli atti di loro competenza necessari nel procedimento unico, entro un termine che non può superare i novanta giorni dalla ricezione della documentazione (naturalmente, se è possibile provvedere in un tempo minore, non vi è ragione di impiegare l’intero termine di legge); nel formulare gli inviti di cui dianzi, il responsabile del procedimento smista la documentazione del caso.

I soggetti pubblici destinatari degli inviti in questione possono appartenere a due categorie:

a) possono essere costituiti da uffici dello stesso ente (generalmente, il Comune) presso il quale è istituita la struttura unica;

b) possono essere costituiti da amministrazioni estranee a quell’ente.

In relazione alla prima categoria di soggetti, già si è detto della necessità e dell’obbligatorietà di una riorganizzazione della struttura dell’ente; è necessario cioè che, con il mezzo caso per caso più idoneo (dall’ordine di servizio al regolamento), i vari uffici dell’ente titolare della struttura unica vengano impegnati ad esaurire l’istruttoria e l’attività di loro competenza entro termini fissi e brevi, e comunque adeguati all’esigenza di rispettare i termini temporali finali di legge.

L’ipotesi del regolamento (rientrante nell’ambito dei “regolamenti di organizzazione”) merita di essere considerata con ogni attenzione: con tale atto, ben possono essere dettati precisi tempi per i vari adempimenti degli uffici.

Con le amministrazioni appartenenti alla seconda categoria è opportuno (se non necessario) che siano stipulate convenzioni o almeno protocolli d’intesa.

La legge si manifesta consapevole del fatto che, peraltro, solo l’impiego di tecnologie informatiche e telematiche può consentire al procedimento unico di svolgersi sempre con le modalità e nei tempi previsti. Le amministrazioni dovranno dunque, da un lato, attrezzarsi adeguatamente al riguardo; dall’altro, dovranno definire intese reciproche aventi ad oggetto l’uso degli strumenti anzidetti nonché standards tecnologici comuni, inevitabili per consentire l’uso degli strumenti medesimi.

Il paragrafo 10 del protocollo d’intesa 19.4.1999, di cui dianzi si è detto, stabilisce quanto segue:

10.1 Lo Sportello invia entro tre giorni lavorativi le istanze e la documentazione alle Amministrazioni competenti per i singoli procedimenti autorizzativi o consultivi, comunque denominati.

10.2 Le principali fasi procedimentali vengono inserite ed aggiornate nel data base relativo alle istanze presentate allo Sportello; compatibilmente con la disponibilità dell’apposito software, l’aggiornamento è effettuato da ciascuna Amministrazione per la parte di propria competenza e comunicato alle altre.

10.3 Ciascuna Amministrazione mantiene agli atti dei propri uffici la documentazione relativa alle pratiche avviate presso lo Sportello, per la parte di propria competenza.

Anche in questo caso, si tratta di indicazioni che è opportuno rivolgere a tutti i soggetti pubblici operanti nella regione e potenzialmente chiamati a compiere atti destinati a confluire nel procedimento unico.

Nei termini dovuti, le amministrazioni competenti per gli atti medesimi, necessari nel caso specifico, devono concludere la loro istruttoria e far pervenire alla struttura predetta le loro determinazioni conclusive. Deve trattarsi di determinazioni nel merito, e non meramente procedimentali: in sostanza, deve essere espresso o rifiutato il consenso, emesso il parere, rilasciato o negato l’atto che - al di fuori del procedimento unico - chiameremmo “autorizzazione”.

Ancora il Protocollo d’intesa 19.4.1999 fissa un termine intermedio, di venticinque giorni (paragrafo 11), entro il quale le singole amministrazioni si impegnano a richiedere integrazioni documentali: tali richieste vanno fatte alla struttura unica, poiché questa ha in via primaria il carattere di interlocutore dell’impresa. Si tratta ancora di un’indicazione che è opportuno estendere: per la sua concreta attuazione, si rendono necessari gli accordi, gli ordini di servizio, le convenzioni di cui dianzi si è detto.

Ove una integrazione documentale necessaria non venisse fornita, non resterebbe all’amministrazione competente che negare il consenso di sua competenza: la legge non lascia alternative, poiché la previsione di una sospensione del termine temporale è formulata dalla legge solo a proposito di documentazione rilevante ai fini della V.I.A.

Corre tuttavia l’obbligo di segnalare, per la completezza e la concretezza della trattazione, il fatto che nei rari casi in cui si è occupata del tema delle integrazioni istruttorie, la giurisprudenza ha affermato tre criteri:

1) che non può iniziare a decorrere il termine per il compimento di un’istruttoria, se gli atti della pratica da istruire non sono completi, e dunque necessitano di integrazioni;

2) che deve sempre ammettersi, quindi, che possano essere chieste integrazioni istruttorie necessarie, anche in assenza di una esplicita previsione di legge;

3) che - in presenza di termini fissati per il compimento di un’istruttoria - ciò che è vietato è il fatto che i termini stessi vengano sospesi, interrotti o prorogati al di fuori di un’effettiva necessità istruttoria.

(Cons. Stato, sez. 6 a, 28.12.2000, n. 7044; Cons. Stato, sez. 6 a, 14.2.1996, n. 209; Cons. Stato, sez. 6 a, 16.3.1995, n. 279).

Attribuire all’impresa un termine, ragionevole e nel contempo ispirato alla rapidità voluta dalla normativa sullo sportello unico, per produrre un’integrazione, e considerare - necessariamente - sospeso per un pari periodo il termine fissato dal Regolamento per il compimento del procedimento unico, sarebbe dunque operazione legittima, se davvero necessaria.

Pare opportuno ritenere che di “sospensione”, e non di “interruzione” del termine, si debba trattare: che il termine, cioè non riprenda a decorrere “da zero” una volta pervenuta l’integrazione, ma dal punto raggiunto al momento della richiesta di integrazione, documentale o comunque istruttoria. L’indicazione fornita dal Protocollo d’intesa 19.4.1999 secondo cui le amministrazioni si impegnano a richiedere le integrazioni entro 25 giorni, si muove nell’ottica della celerità ma garantisce anche dal rischio che sia troppo ridotto l’arco di tempo successivo alla produzione delle integrazioni.

Se poi, nel termine fissato, l’integrazione non viene fornita, si creano i presupposti per la reiezione della domanda di cui dianzi si è detto.

* * * * * *

Se la struttura unica raccoglie tutte le autorizzazioni e i consensi necessari, tanto basta. Peraltro, il procedimento unico si deve comunque concludere con un atto finale espresso: è necessario cioè che il procedimento stesso abbia termine con un atto esplicito nel quale, premessa l’acquisizione dei vari consensi e pareri, cioè degli atti endoprocedimentali provenienti dalle altre amministrazioni, ed enunciate le eventuali prescrizioni e condizioni; esplicitamente si concluda affermando che l’impresa è autorizzata a realizzare, o a ristrutturare, o a riconvertire (e così via) gli impianti considerati.

Già era significativa la circostanza che - nell’attribuire al verbale della conferenza identico valore - il comma 6 dell’art. 4, D.P.R. 447/98, usasse l’espressione “tiene luogo del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento” anche prima del D.P.R. 440/2000: la norma già dava dunque per scontato il fatto che il procedimento dovesse concludersi sempre con un provvedimento conclusivo inevitabilmente unico e riassuntivo.

Il provvedimento finale è rilasciato (firmato) dal responsabile della struttura unica, essendo questi il soggetto della pubblica amministrazione a cui l’art. 3, comma 4, del Regolamento attribuisce la responsabilità “dell’intero procedimento” (il riferimento alla struttura come “responsabile del procedimento” ritorna nell’art. 4, comma 2 bis) ed essendo inevitabile che il provvedimento medesimo sia emanato da un dirigente o – solo in via di subordine – da un responsabile del servizio (art. 6, comma 11, Regolamento e artt. 107 e 109 D.lgs. 267/2000).

* * * * * *

Il D.P.R. 440/2000, con le disposizioni modificative del Regolamento di cui già si è detto nel primo capitolo del presente testo e di cui ancora si dirà più avanti con specifico riguardo al titolo abilitativo edilizio, ha enfatizzato la rilevanza di tale provvedimento finale, nel quadro di un insieme di nuove norme affannosamente finalizzate ad assicurare il generale ricorso allo sportello unico e ad escludere l’applicazione della tesi secondo cui il procedimento unico ben può avere natura facoltativa, e non obbligatoria.

Come è noto e come già si è segnalato, le modifiche in questione hanno innanzi tutto (art. 4, comma 1, del Regolamento) escluso che il provvedimento finale da emettersi a conclusione del procedimento unico abbia natura solo ricognitiva e - per così dire - riassuntiva, come era possibile ritenere nella vigenza del testo originario del D.P.R. 447/98, senza pregiudizio alcuno per l’efficacia e la celerità dell’azione amministrativa, che anzi risultava assai più limpida nel suo essere conseguente non solo alle norme sullo sportello unico, ma anche a tutto il bagaglio delle normative proprie di ciascun settore, che né il D.lgs 112/98 né il Regolamento hanno abrogato neppure in minima parte.

Dopo il D.P.R. 440/2000, il provvedimento conclusivo del procedimento unico è “ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell’intervento”.

Quest’ultimo può quindi essere legittimamente posto in essere non già perché l’atto finale formato dalla struttura unica “certifica” e fa toccare con mano (poiché li fornisce) l’esistenza di tutte le autorizzazioni, consensi, pareri necessari nel caso concreto: bensì, perché il responsabile della struttura unica ha sottoscritto e rilasciato un provvedimento conclusivo del procedimento unico che tale legittimazione conferisce.. Le autorizzazioni, i consensi, i pareri di cui dianzi (gli atti tutti, cioè, necessari in quello specifico caso, “comunque denominati dalle normative vigenti”) in quanto confluenti nel procedimento unico (e solo in tal caso), assumono il connotato dell’atto endoprocedimentale, necessario alla formazione del provvedimento finale: essi diventano “atti istruttori e pareri tecnici”, nel procedimento esperito dalla struttura unica.

Naturalmente, nel dispositivo del provvedimento devono essere esplicitati:

- le eventuali prescrizioni dettate dalle amministrazioni di settore nei loro atti (istruttori) endoprocedimentali, nel caso in cui il provvedimento consista nell’autorizzazione;

- i motivi del diniego, dedotti anche dagli atti endoprocedimentali, nel caso di diniego di autorizzazione.

Come già si è detto nel primo capitolo del presente testo, tale fatto non va necessariamente inteso come il travolgimento dell’assetto delle competenze, travolgimento che sarebbe del resto impossibile sul piano tecnico-giuridico, non essendo dato vedere come un regolamento governativo potrebbe modificare la legislazione che fissa quell’assetto.

Si fa pertanto rimando a quanto già considerato al riguardo nel precedente capitolo I, e si ribadisce la convinzione che la legislazione anzidetta e la normativa sullo sportello unico possano essere coordinate fra loro, senza che si debba ravvisare nell’una la negazione dell’altra; ciò, ove si consideri e si ritenga quanto segue.

• La struttura unica – pur emanando il provvedimento conclusivo del procedimento unico come solo titolo abilitante – trae tale provvedimento dalla gestione semplificata di procedimenti di cui rimangono titolari altri soggetti, anche interni allo stesso ente in cui è organicamente inserito lo sportello, soggetti che struttura unica raccorda.

• Gli atti emanati dalle singole amministrazioni sono peraltro qualificati dall’art. 4 del D.P.R. 440/2000 come atti istruttori che concorrono, in modo sostanzialmente vincolante, alla predisposizione del provvedimento conclusivo del procedimento adottato dalla struttura, che è titolo unico per la realizzazione dell’intervento.

• L’assetto delle competenze rimane invero inalterato, mentre l’efficacia degli atti emanati dalle singole Amministrazioni è – nella sostanza (e prescindendo dall’esattezza nell’impiego del termine) – sospesa fino all’adozione del provvedimento finale da parte della struttura unica.

Il quadro disegnato dall’art. 4, comma 1, del Regolamento ha trascinato con sé alcune disposizioni del comma 2 bis dello stesso articolo: quella che vieta alle amministrazioni “di settore” di rilasciare direttamente all’impresa gli atti di loro competenza (è vero infatti che, se quegli atti, nel procedimento unico, hanno nature endoprocedimentale, essi devono confluire alla struttura unica); la successiva norma che - a rafforzamento del quadro stesso - riconosce efficacia (non validità, si badi, la quale esiste comunque, ma solo efficacia) a quegli atti esclusivamente in quanto confluiti nel procedimento unico; quella infine che, a coronamento operativo del complesso di norme di che trattasi ed in coerenza con la natura endoprocedimentale (istruttoria) degli atti delle singole amministrazioni “di settore”, impone a queste ultime di investire celermente la struttura unica della pratica se per qualche accidente questa fosse finita sul tavolo di una di quelle amministrazioni.

Tenuto conto di quanto si è annotato nel capitolo II delle presenti note a proposito del divieto - comunque esistente - di aggravare il procedimento, e stabilito come punto fermo preliminare che qualsiasi amministrazione deve sempre valutare la situazione concreta al fine di escludere in ogni caso l’aggravio anzidetto, si può considerare che - a ben vedere - neppure le disposizioni dianzi considerate collidono con le leggi “di settore” tuttora vigenti.

Nel rispetto del divieto di cui dianzi, posto (in termini di principio fondamentale) dalla legge 241/90, va dunque data applicazione alle disposizioni medesime.

La norma del Regolamento dal cui impiego occorre rifuggire è allora solo quella dell’art. 4, comma 1, che consente al responsabile della struttura unica di “adottare direttamente” i consensi, i pareri e gli atti di competenza delle varie amministrazioni secondo la vigente legislazione. Già si è detto al riguardo nel capitolo I. Si ribadisce ora che troppo elevato appare il rischio a carico degli atti “adottati direttamente”, in virtù di una mera norma regolamentare, incapace di modificare le competenze legislativamente date.

Altrettanto dicasi, ovviamente, per l’ipotesi dell’“avvalimento” formulata dallo stesso art. 4, comma 1, Reg. in applicazione dell’art. 24, comma 4, del d. lgs. 112/98.

Se è legittimo (e perfino opportuno, già si è rilevato in precedenza nelle presenti note) avvalersi delle amministrazioni medesime (C.C.I.A. ed altre amministrazioni ed enti pubblici) per “realizzare lo sportello unico”, come recita il comma 3 dell’art. 24 D.lgs. 112/98, o per compiere “singoli atti istruttori” di competenza delle struttura unica, come segnala il comma 4, non è certo immaginabile che ci si possa avvalere della Camera di Commercio per decidere se è rilasciabile il consenso di carattere paesistico, ad esempio.

Alternativa teoricamente possibile, rispetto al rifuggire dall’“adottare direttamente” o di “avvalersi” di amministrazioni terze, sarebbe quella consistente nel ritenere che la norma dell’art. 4, comma 1, del Regolamento sottintenda che l’adozione e l’avvalimento anzidetti possano intervenire solo per quelle attività che di per sé sono di competenza della struttura unica, e non già di amministrazioni “di settore”, competenti secondo la legislazione vigente.

Nulla vi sarebbe allora da temere; ma si tratta di ipotesi che ha improbabili riscontri sul piano concreto.

Inevitabilmente, l’art. 4, comma 2 bis, del Regolamento ha dovuto considerare il fatto che non tutti i Comuni italiani dispongono di sportello unico. Là dove questo non funziona, in tutta evidenza non è comunque possibile sospendere l’esame delle pratiche attinenti alle materie di cui all’art. 1 del Regolamento stesso.

La scelta normativa in concreto condotta è stata allora quella espressa nell’inciso “ove sia già operante lo sportello unico”.

Solo in tal caso, le disposizioni del comma in questione hanno applicazione; ma è chiaro che - se lo sportello non c’è - nulla opera della relativa normativa, se non l’obbligo di istituirlo, inottemperato dal Comune, senza che la normativa stessa preveda sanzioni di sorta.

La disposizione dianzi citata pone comunque il problema dell’operatività dello sportello, e della possibilità di riconoscimento di tale operatività da parte delle imprese, in modo chiaro e trasparente.

La rilevanza della scriminante (essere, oppure no, operante lo sportello) impone necessariamente una dichiarazione formale di operatività: il Comune deve dichiarare - ovviamente riproducendo la realtà fedelmente - se lo sportello è operante. La residualità delle competenze della Giunta suggerisce di demandare ad un atto di tale organo la declaratoria in questione.

Lo sportello potrà essere dichiarato operante ove ricorrano almeno due condizioni:

a) sia intervenuta la nomina del responsabile della struttura, sia essa comunale o associata;

b) esista nei fatti una struttura unica in grado di operare concretamente in attuazione della normativa sullo sportello unico.

Tale dichiarazione formale corrisponde a due esigenze:

- imporre all’organo deliberante una preventiva valutazione in ordine all’adeguatezza della struttura/sportello in rapporto alle incombenze che sulla medesima graveranno per effetto della condizione di “operatività”;

- rendere edotte in forma oggettiva ed esplicita le amministrazioni di settore in ordine alla situazione di operatività.

L’estensione delle materie nelle quali lo sportello ha competenza, operata dal comma 1 bis introdotto nell’art. 1 del Regolamento dal D.P.R. 440/2000, induce a ritenere che l’operatività della struttura - ormai pacifica ai sensi del testo originario del D.P.R. 447/98 interpretato in Piemonte - non sia riscontrabile in tutte le ulteriori direzioni produttive esplicitate dal D.P.R. 440/2000.

Si ritiene allora legittima la possibilità di riconoscere operatività parziali, limitate alle materie nelle quali la struttura può operare perché già attrezzata; successivi “steps” dovranno peraltro condurre, man mano, alla completa operatività: la struttura dovrà cioè essere adeguata progressivamente per tale compito, e dovranno essere fissate al riguardo concrete scadenze. Di tutto ciò, le imprese devono avere informazione.

* * * * * *

Il provvedimento conclusivo del procedimento unico richiamerà tutti gli atti istruttori intervenuti ed enuncerà espressamente che è consentita la realizzazione dell’intervento oggetto del procedimento stesso.

Se invece, entro il termine di novanta giorni (120 in caso di V.I.A.), avviene che anche solo una delle amministrazioni competenti per le varie autorizzazioni e per i vari consensi si pronunci negativamente, il procedimento si conclude con il rigetto della domanda (art. 4, comma 2, D.P.R. 447/98). Tale rigetto deve essere formulato dal responsabile del procedimento, e motivato. Al rigetto deve essere allegata la pronuncia negativa di cui dianzi: il tutto deve essere trasmesso all’impresa richiedente entro tre giorni.

L’impresa ha, a tal punto, ancora una possibilità (sempre ai sensi del comma 2 art. 4 D.P.R. 447/98): entro il termine, che appare perentorio, di venti giorni dalla ricezione del rigetto e della pronuncia negativa, può chiedere alla struttura unica di convocare una conferenza di servizi al fine di stabilire se - modificando qualche condizione progettuale - la pronuncia negativa possa essere superata.

La previsione legislativa riguardante la conferenza predetta pone due problemi: da un lato occorre chiedersi quali soggetti partecipino alla medesima; dall’altro lato, si deve stabilire a quale organo competa convocare la conferenza stessa.

Relativamente alla prima questione, si ritiene che alla conferenza debbano essere chiamati tutti i soggetti pubblici cui compete rilasciare consensi e pareri.

Da un lato, infatti, è evidente la circostanza che la legge non ha limitato il dialogo alle sole amministrazioni la cui pronuncia è stata negativa, bensì ha previsto l’attivazione dello strumento tipico di coinvolgimento simultaneo di tutti gli organismi pubblici dotati di competenza nel caso in esame; dall’altro lato, è oggettivamente inevitabile la partecipazione alla conferenza di tutti i soggetti pubblici interessati, poiché il raggiungimento di un’intesa atta a definire nuove modalità progettuali idonee a superare la pronuncia negativa di un’amministrazione può determinare la necessità di un’ulteriore considerazione del progetto (come sopra modificato) da parte delle altre amministrazioni.

Alla conferenza devono dunque partecipare tutti i soggetti pubblici coinvolti nel senso sovra indicato: sia quelli che non si sono espressi, sia quelli che si sono espressi negativamente, sia le amministrazioni che si sono espresse in termini positivi.

Quanto alla convocazione della conferenza, essa deve intervenire ad opera del responsabile del procedimento, a sua volta di ciò richiesto dall’impresa. Al responsabile del procedimento è stata infatti conferita la competenza in questione, praticamente in tutti i casi.

Se la conferenza di cui al comma 2 dell’art. 4 D.P.R. 447/98 non perverrà ad una conclusione positiva, essa si concluderà con un verbale redatto dal responsabile del procedimento, in cui - dato atto di tale negativa conclusione - si confermerà il rigetto dell’istanza, con adeguata motivazione.

La legge non fissa termini per la conclusione dei lavori della conferenza in questione: occorre allora che gli enti che istituiscono la struttura unica e le varie amministrazioni che possono essere coinvolte nella conferenza medesima convengano termini finali a garanzia dell’impresa richiedente. Appare corretto ritenere l’applicabilità, per analogia, di quanto previsto dal comma 5 dell’art. 4 per la conferenza di cui ai commi 3 e seguenti (ancora, dell’art. 4 D.P.R. 447/98): la conferenza stabilisce quindi il termine entro cui pervenire alla conclusione della sua attività: ovviamente, ciò va fatto nella prima riunione.

Ove invece riesca il tentativo di individuare condizioni e modifiche che consentano di superare la pronuncia negativa, i verbali (o il verbale) della conferenza dovranno dare chiaramente atto non solo di tale circostanza ma anche delle esatte modalità che determinano il superamento predetto e delle ragioni per cui ciò avviene; a tal fine, i verbali potranno anche fare rinvio ad atti allegati.

Se l’individuazione delle predette condizioni e modifiche implica una riprogettazione parziale, la conferenza concorderà con l’impresa eventuali modalità progettuali e comunque termini temporali per la successiva disamina: l’intervento riprogettato dovrà infatti necessariamente essere riesaminato dalla conferenza.

A tal punto, potranno verificarsi due eventualità:

1) nel caso in cui già sussistano (e restino immodificati) gli altri consensi ed autorizzazioni, sarà espresso il consenso anche dell’amministrazione che aveva formulato pronuncia negativa; il responsabile del procedimento raccoglierà quindi tutte le autorizzazioni e i consensi e formerà l’atto conclusivo di cui si è detto;

2) nel caso invece in cui l’adattamento del progetto non consenta di utilizzare consensi ed autorizzazioni nel frattempo già intervenuti, perché riferiti ad un progetto diverso, ciascuna amministrazione provvederà a revocare il precedente consenso e a formulare quello inerente al progetto modificato; il responsabile del procedimento raccoglierà quindi tutte le autorizzazioni e formerà l’atto conclusivo.

La conferenza resta la sede nella quale le varie amministrazioni predette condurranno i confronti necessari perché si pervenga alla pronuncia finale positiva: è infatti ipotizzabile che le nuove “condizioni per ottenere il superamento della pronuncia negativa” rendano necessari i confronti predetti, dovendo comunque il progetto acquisire tutte le autorizzazioni e tutti i consensi.

La conferenza di servizi di cui al comma 3 dell’art. 4 del D.P.R. 447/98 è prevista invece per il caso in cui le amministrazioni non si pronuncino in alcun modo nel termine di 90 giorni imposto dal comma 1; essa opera quindi in una situazione diversa (quella dell’"inerzia", che può anche essere beninteso - incolpevole) ed è finalizzata a provocare comunque una pronuncia.

Vi devono partecipare tutti i soggetti pubblici coinvolti (anche quelli che già si sono espressi positivamente), così come rilevato per il caso precedentemente trattato.

Tale conferenza è convocata dal responsabile del procedimento per espressa statuizione della legge, ed è caratterizzata dalla rispondenza ai dettati degli artt. 14, 14 bis, 14 ter e 14 quater della legge 241/90, come sostituiti dagli articoli 9, 10, 11 e 12 della legge 24 novembre 2000, n. 340.

In ordine a tale sostituzione, occorre tener presente che essa opera, per così dire automaticamente, ogni qualvolta la normativa sullo sportello unico faccia rinvio alla l. 241/90 e la norma di questa sia stata poi sostituita o modificata.

Occorre tener presente che è, questa, regola generale di comportamento da applicare nella lettura delle leggi.

Il responsabile del procedimento deve convocare, a richiesta, la conferenza di che trattasi entro i cinque giorni successivi alla scadenza del termine di 90 giorni di cui al comma 1.

L’art. 4, comma 4, del D.P.R. 447/98 impone di pubblicizzare la convocazione della conferenza affinché i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, o i soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio dall’attuazione del progetto, abbiano modo di presentare osservazioni, oltre che di partecipare alla conferenza stessa. Appare logico ritenere che anche in tale sede i soggetti di cui dianzi possano essere assistiti da tecnici ed esperti, dal momento che tale facoltà è conferita nel caso della “riunione” di cui all’art. 6, comma 13, del D.P.R. 447/98, nell’ambito del procedimento mediante autocertificazione; del resto, è significativo il richiamo alla norma predetta condotto dall’art. 4, comma 4.

La circostanza che i soggetti di cui dianzi sono ammessi alla conferenza ed alla facoltà di formulare osservazioni “che la conferenza è tenuta a valutare” (art. 4, comma 4, D.P.R. 447/98) solo in quanto si tratti di soggetti “cui possa derivare pregiudizio dalla realizzazione del progetto” (art. 5, comma 1), dà luogo alla possibilità che si renda necessario un giudizio di ammissibilità. La stessa cosa va detta, ovviamente, per il fatto che la legge delimita la serie dei soggetti ammessi in relazione a loro proprie qualità.

Il giudizio in questione sarà espresso dal responsabile del procedimento: a tale organo compete infatti selezionare il materiale da sottoporre alla conferenza; peraltro, la sua valutazione potrà essere contestata (potrà contrastarla sia il soggetto escluso, sia l’impresa che lamenti una partecipazione non ammessa): il responsabile del procedimento riesaminerà allora il caso alla luce dei rilievi formulati e deciderà “definitivamente”, salvo restando - com’è ovvio - il rimedio giudiziale.

Nel caso in esame, l’istruttoria del progetto è condotta dalla conferenza, diretta e coordinata dal responsabile del procedimento.

La conferenza stessa fissa (sembra logico che ciò avvenga al termine della prima riunione, nella quale si è verificata l’attività da svolgere) il tempo necessario per pervenire alla conclusione dei propri lavori, nel rispetto comunque del comma 7, art. 4, D.P.R. 447/98 (cinque mesi dal deposito della domanda, che salgono a nove in caso di V.I.A.).

L’istruttoria, che ben potrà comportare più riunioni della conferenza, deve concludersi con un verbale conclusivo che, per espressa statuizione di legge (art. 4, comma 5, D.P.R. 447/98, come modificato dal D.P.R. 440/2000), tiene luogo degli atti delle singole amministrazioni di settore.

Peraltro l’art. 11, comma 9, della legge 340/2000, legge con la quale va coordinato (ai sensi dell’art. 4, comma 3) il Regolamento, non attribuisce valenza di atto “globale” di assenso al verbale della conferenza, bensì al “provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza di servizi”.

Il coordinamento di tale disposizione con la disciplina dello sportello unico conduce dunque ad affermare la necessità del provvedimento finale, conclusivo del procedimento unico, anche nel caso in cui abbia operato la conferenza; tale provvedimento è in tutta evidenza un atto vincolato (dall’esito della conferenza stessa).

Tra il resto, il procedimento risponde maggiormente, in tal modo, alle esigenze di completezza, chiarezza e trasparenza che il procedimento unico deve rispettare.

Ovviamente, la necessità del provvedimento unico conclusivo esiste anche in caso di determinazione negativa: in tale ipotesi, si rende necessaria una congrua motivazione, secondo le regole generali.

3. Il procedimento mediante autocertificazione

Il procedimento mediante autocertificazione costituisce il modello procedimentale alternativo rispetto a quello ordinario del cosiddetto “procedimento semplificato”.

Come già si è detto, compete all’impresa decidere se ricorrere all’uno o all’altro tipo di procedimento.

Perché sia possibile utilizzare il “procedimento mediante autocertificazione” occorre che ricorrano alcune condizioni:

a) il procedimento deve riguardare impianti diversi da quelli individuati dall’art. 27 del D.lgs. 31.3.1998, n. 112; non è dunque consentito ricorrere alla procedura in oggetto per:

1) impianti nei quali sono utilizzati materiali nucleari;

2) impianti di produzione di materiale di armamento;

3) depositi costieri;

4) impianti di produzione, raffinazione e stoccaggio di oli minerali;

5) impianti di deposito temporaneo, smaltimento, recupero e riciclaggio di rifiuti;

b) che ci si procuri comunque le autorizzazioni esplicite necessarie nelle materie che il D.P.R. 447/98 qualifica come “non autocertificabili”, vale a dire:

1) in tema di valutazione di impatto ambientale;

2) in materia di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose;

3) in materia di prevenzione e riduzione dell’inquinamento;

4) nelle ipotesi per le quali la normativa comunitaria europea prevede la necessità di un’apposita autorizzazione esplicita;

c) che intervenga comunque il rilascio della concessione edilizia, ove essa occorra;

d) che l’impresa disponga delle cosiddette “autocertificazioni”, che sono in realtà - come già si è detto - dichiarazioni (“asseverazioni”) redatte non già dall’impresa stessa, ma da “professionisti”, i quali le devono ovviamente sottoscrivere; le dichiarazioni anzidette devono essere sottoscritte altresì dal legale rappresentante dell’impresa; esse hanno ad oggetto l’attestazione (resa appunto, congiuntamente, dal professionista e dall’imprenditore) del fatto che il progetto è conforme alle norme vigenti nelle seguenti materie:

1) urbanistica;

2) delle sicurezza degli impianti;

3) sanitaria;

4) ambientale.

Il progetto deve quindi, tra il resto, essere conforme agli strumenti urbanistici vigenti; la possibilità che il progetto medesimo comporti la variazione di strumenti urbanistici (art. 5 D.P.R. 447/98) è contemplata solo nel caso del procedimento ordinario (cosiddetto “semplificato”).

Ove tutte le condizioni sovra elencate sussistano, l’impresa può presentare alla struttura unica domanda intesa ad ottenere tutti gli assensi necessari per realizzare, ristrutturare, riconvertire (e così via) gli impianti, rendendo esplicita nella domanda medesima la volontà di ricorrere alla procedura “mediante autocertificazione”.

Nel caso in cui l’intervento comporti opere soggette a concessione edilizia, l’istanza anzidetta dovrà contenere anche la richiesta di rilascio della concessione medesima.

In tutta evidenza, all’istanza deve essere allegata la documentazione progettuale necessaria; se vi è richiesta di concessione edilizia, di tale documentazione deve far parte il progetto edilizio del caso.

Lo sportello unico è chiamato a collaborare con l’impresa per definire esattamente quale sia il materiale progettuale e documentario occorrente. Tale attività, tipicamente di “sportello” (vale a dire ancora rientrante nella funzione informativa), generalmente non farà ancora parte del procedimento e non avrà nulla a che spartire con i termini che riguardano appunto il procedimento medesimo, termini che decorrono “dalla presentazione della domanda” (art. 6, comma 8, D.P.R. 447/98). In concreto, ove l’impresa si presenti allo sportello con progetti inidonei, sarà cosa legittima e rispondente all’interesse dell’impresa stessa che lo sportello unico suggerisca di non depositare ancora la domanda, e di integrare preventivamente la stessa nel modo dovuto, al fine di evitare la richiesta formale di integrazione (che sospende i termini temporali) di cui al terzo comma dell’art. 6 D.P.R. 447/98, o addirittura la reiezione.

Peraltro, nel caso in cui l’impresa volesse comunque depositare l’istanza, ancorché avvertita della sua incompletezza, il deposito non potrebbe essere rifiutato; la struttura, in tal caso, procederà appunto ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.P.R. 447/98.

La domanda deve già essere corredata dalle autocertificazioni di cui precedentemente si è detto, a norma dell’art. 6, comma 1, D.P.R. 447/98.

Deve altresì essere accompagnata dalle autorizzazioni esplicite riguardanti le materie e le ipotesi non autocertificabili; tali “titoli autorizzatori” (per usare il linguaggio del comma 10 dell’art. 6 D.P.R. 447/98), relativamente ai quali espressamente il comma medesimo precisa “previamente acquisiti”, devono sussistere, insieme con la restante documentazione (progetto e autocertificazioni) all’inizio del periodo di tempo, di breve durata, durante il quale la struttura unica deve condurre le verifiche e le istruttorie del caso. Il termine temporale - nel caso del procedimento mediante autocertificazione - è infatti perentorio, nel senso che il suo decorso dà luogo ad autorizzazione tacita. La particolare incisività del fattore tempo, come sempre avviene (del resto) in materia di “silenzio-assenso”, impone di garantire il fatto che tutto il termine di legge sia libero e disponibile per l’istruttoria.

Ove si ritenesse che le autorizzazioni esplicite possono essere conferite alla struttura unica anche dopo il deposito dell’istanza, potrebbe assurdamente verificarsi il deposito di un’autorizzazione nell’ultimo giorno utile, con il conseguente formarsi - l’indomani - di un “silenzio assenso” sicuramente improprio, se non pericoloso.

I caratteri propri del procedimento mediante autocertificazione, il linguaggio legislativo dianzi evidenziato (titoli autorizzatori “previamente acquisiti”), le considerazioni attinenti ai termini temporali inducono a ritenere - sul piano giuridico - che competa all’imprenditore che ha scelto il procedimento in questione l’onere di allegare alla domanda i titoli autorizzatori espressi attinenti alle materie non autocertificabili. La legge configura invero due modelli procedimentali, ciascuno dei quali dotato di propria connotazione: in quello “semplificato” (ordinario) l’impresa richiede alla struttura unica l’acquisizione delle autorizzazioni; nel procedimento mediante autocertificazione preferisce provvedere direttamente a fornire quanto occorre, così attivando tempi assai più brevi nel rapporto con la struttura stessa, chiamata essenzialmente a condurre verifiche.

La volontà della norma appare quella di rendere il più possibile elastico il procedimento autorizzatorio unico in generale: non si può escludere che vi siano casi in cui è più rapida e quindi conveniente la produzione di titoli autorizzativi, oltre che di autocertificazioni, da parte dell’imprenditore; in tali casi, essa non va impedita.

Peraltro, nulla vieta allo sportello unico che ritenga di volerlo fare, di offrire e procurare all’impresa, al di fuori dei termini perentori di legge e prima che gli stessi prendano a decorrere, ogni possibile collaborazione intesa ad acquisire le autorizzazioni esplicite di cui dianzi; la funzione appunto di sportello non solo informativo ma anche collaborativo conferita dalla legge alla struttura unica legittima invero la relativa attività ed il relativo impegno di personale e di risorse.

La struttura unica che riceve l’istanza dell’impresa nel caso della procedura mediante autocertificazione accerta in primo luogo “la sussistenza e la regolarità formale delle autocertificazioni prodotte”, a norma dell’art. 7, comma 1, del D.P.R. 447/98; la presenza delle autorizzazioni esplicite occorrenti; l’esistenza della documentazione progettuale.

Anche se la legge non è esplicita sul punto, appare necessario ritenere - per la trasparenza e la semplicità del procedimento - che la struttura unica debba subito rendere nota l’improcedibilità della domanda ove questa difetti di quanto occorre in termini tali da non poter essere rimediati attraverso alla richiesta di integrazioni di cui all’art. 6, comma 3, D.P.R. 447/98.

Ove non si verifichi l’eventualità anzidetta, la struttura unica deve:

1) immettere la domanda nell’archivio informatico (art. 6, comma 2);

2) dare pubblicità alla domanda stessa (id.); la legge non precisa le modalità della pubblicità medesima: sicuramente copia dell’istanza dovrà essere pubblicata nell’albo pretorio del Comune sede della struttura unica e - se questo è diverso - del Comune in cui l’intervento è localizzato; tenuto conto della disponibilità data dall’archivio informatico, non sembrano necessarie ulteriori forme di pubblicità, ma nulla impedisce che la struttura unica reputi invece opportuno (anche in singoli casi di particolare rilievo) pubblicizzare in altri modi ancora la domanda, ad esempio con inserti sulla stampa;

3) trasmettere (anche in via telematica) copia dell’istanza e della documentazione allegata

= alla Regione

= agli altri Comuni interessati

= ai soggetti pubblici competenti per le varie verifiche da compiere nel caso specifico (art. 6, comma 1, D.P.R. 447/98);

4) promuovere presso il Comune territorialmente competente il rilascio della concessione edilizia, se questa è necessaria e l’istanza dell’impresa contiene la relativa richiesta.

E’ agevole rilevare di quale peso sia l’anzidetta attività della struttura unica; solo apparentemente la procedura mediante autocertificazione alleggerisce i compiti dell’amministrazione pubblica contenendoli nei limiti della verifica e ponendo a carico del richiedente l’attività diretta a dimostrare la liceità dell’intervento (connotato tipico delle procedure autocertificanti). In realtà, fin dal momento del deposito della domanda, la struttura unica è chiamata - teoricamente in tempo reale - ad individuare con certezza tutti i “soggetti competenti per le verifiche”, per trasmettere loro copia della domanda e degli allegati: spesso, già questa non è operazione semplice nè rapida. Risulterà dal prosieguo che l’impegno della struttura unica resta forte anche nelle successive fasi procedimentali.

Si richiedono dunque strutture dotate di ottima organizzazione.

Il comma 13 dell’art. 6 del Regolamento stabilisce che, entro venti giorni dall’avvenuta pubblicità di cui al comma 2, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi ed altresì i comitati e le associazioni portatori di interessi diffusi, ai quali possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto, possono trasmettere alla struttura unica memorie e osservazioni; possono parimenti chiedere di essere sentiti oppure instare per la convocazione di una riunione alla quale partecipi anche l’impresa (a tale riunione ciascun partecipante può essere assistito da tecnici ed esperti). Se la riunione viene convocata, il termine di cui al comma 8 (sessanta giorni) per la conclusione del procedimento resta sospeso per non più di venti giorni (comma 14 art. 6).

La norma intende con ciò indurre la struttura unica ad esperire la riunione ed assumere le conseguenti determinazioni appunto entro venti giorni.

Non è invece chiarito normativamente quando si intenda “avvenuta” la pubblicità: il termine di venti giorni messo a disposizione dei soggetti sopra elencati decorre infatti - recita il comma 13 dell’art. 6 D.P.R. 447/98 - dalla “avvenuta pubblicità”. Sembra corretto ritenere che, ove quest’ultima sia istantanea, come nel caso della pubblicazione sulla stampa, la pubblicità si debba ritenere “avvenuta” con la pubblicazione medesima; quando invece si è in presenza di mezzi di informazione caratterizzati dalla permanenza nel tempo, come avviene ad esempio per l’affissione all’albo pretorio, la pubblicità sia “avvenuta” al compiersi della permanenza: nel caso esemplificato, al compiersi del periodo di affissione. Tali sono del resto le regole generali in materia.

Se dunque la struttura unica, cui compete decidere le modalità della pubblicità, stabilisce di far affiggere l’istanza all’albo pretorio per quindici giorni (termine che sarebbe invero corretto, dal momento che è quello legislativamente previsto per le deliberazioni, ad esempio), i venti giorni utili per le osservazioni, le memorie e le richieste di cui al comma 13 decorrono dal sedicesimo giorno successivo all’affissione all’albo.

Compiuti gli adempimenti di cui dianzi si è detto, la struttura unica deve valutare se la domanda richieda, oppure no, integrazioni riguardanti “gli atti e i documenti necessari ai fini istruttori” (art. 6, comma 3, D.P.R. 447/98).

Anche questa valutazione deve essere effettuata rapidamente, poiché l’eventuale richiesta di integrazione può essere formulata solo nel termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza (comma citato): decorso tale termine non possono essere richiesti altri atti e documenti concernenti fatti risultanti dalla documentazione inviata.

La richiesta di integrazione sospende il decorso del termine temporale di cui al comma 8 dell’art. 6. Il termine medesimo riprende a decorrere dal giorno del deposito dell’integrazione stessa. Nonostante il fatto che la norma (comma 3 dell’art. 6) parli di “sospensione” del termine, e non di interruzione, ci si trova in realtà di fronte ad un caso di interruzione perché il comma 8 dell’art. 6 in esame stabilisce espressamente che i sessanta giorni, nei quali si identifica il termine di che trattasi, decorrono ex novo (nel caso in oggetto) dall’integrazione della domanda.

Il termine riparte quindi da zero dopo l’integrazione. Ciò vale anche nel caso in cui, spontaneamente, l’impresa decida di fornire integrazioni: l’impresa stessa può, cioè, anticipare che integrerà gli atti e, con ciò, interrompere il termine.

Nel compiere l’istruttoria (generalmente, addirittura nell’ambito della valutazione di cui or ora si è detto), la struttura unica può constatare che:

a) occorrono chiarimenti in ordine alle soluzioni tecniche e progettuali scelte dall’impresa;

b) occorrono chiarimenti riguardanti il rispetto delle normative amministrative e tecniche di settore;

c) il progetto si rivela particolarmente complesso;

d) si rendono necessarie modifiche al progetto per poter pervenire all’autorizzazione;

e) il Comune propone una diversa localizzazione dell’impianto, nell’ambito delle aree da destinare agli insediamenti produttivi di cui all’art. 2 del D.P.R. 447/98.

In tali casi, la struttura - attraverso il responsabile del procedimento - può convocare l’impresa per un’audizione formale, della quale viene redatto verbale (art. 6, comma 4).

L’audizione deve coinvolgere, ovviamente, le amministrazioni di settore interessate, per quanto di rispettiva competenza.

L’audizione può esaurire l’attività, ad esempio perché nell’ambito di essa intervengono i chiarimenti che occorrono: il verbale darà atto di ciò in modo completo.

Oppure, dall’audizione può scaturire la disponibilità dell’impresa a modificare per qualche aspetto le “caratteristiche dell’impianto”, anche sotto il profilo della sua localizzazione: in tale ipotesi, il verbale conclusivo dell’audizione conterrà un accordo ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990 (1), intercorrente tra l’impresa e la struttura unica (non si vede quali possano essere - diversamente - le “parti” dell’accordo stesso, a cui si riferisce genericamente il comma 5 dell’art. 6 D.P.R. 447/98).

Ovviamente, l’accordo avrà ad oggetto quelle “caratteristiche dell’impianto” di cui dianzi si è detto ed a cui si riferisce il dianzi citato comma 5 dell’art. 6 del Regolamento. Naturalmente, le modifiche del progetto non devono comunque turbare la conformità del progetto stesso alle norme.

Se l’accordo di che trattasi comporta la redazione di un nuovo progetto, o di modifiche al progetto iniziale, il termine di cui al comma 8 dell’art. 6 è sospeso a far data dall’accordo stesso; esso riprende a decorrere con la presentazione del progetto nuovo o modificato.

Elemento caratteristico del procedimento mediante autocertificazione è il “silenzio-assenso”. L’art. 6, comma 8, del Regolamento fissa il termine di sessanta giorni per la conclusione del procedimento. In tale procedimento è ricompreso anche il rilascio della concessione edilizia, che dunque deve essere acquisita nel termine anzidetto.

Il termine decorre dal deposito della domanda o dal deposito dell’integrazione della stessa.

Entro il termine di sessanta giorni fissato dal comma 8 dell’art. 6 D.P.R. 447/98, la struttura unica deve dunque rilasciare o denegare (motivatamente) il provvedimento autorizzatorio finale, munito in allegato delle varie autorizzazioni.

Ove il termine anzidetto decorra inutilmente, la realizzazione del progetto si intende autorizzata (comma 10 dell’art. 6) in conformità:

a) alle autocertificazioni prodotte;

b) alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni esplicite previamente acquisite, relative alle materie non autocertificabili.

Deve però essere comunque rilasciata (quando occorre) la concessione edilizia, perché la realizzazione del progetto possa essere avviata. In altri termini, il silenzio-assenso non investe anche l’aspetto edilizio.

L’ultimo comma dell’art. 6 del D.P.R. 447/98 precisa peraltro che, ove basti la denuncia di inizio di attività (d.i.a.) in virtù della legge applicabile a quel caso, è sufficiente la denuncia (o la comunicazione) medesima: ciò vale in materia edilizia come negli altri casi in cui la legge ammette la comunicazione o la denuncia di inizio dell’attività.

Su ciò che i soggetti di cui al comma 13 hanno rappresentato (con osservazioni, con memorie, con interventi in sede di audizione o di riunione), personalmente o mediante i loro tecnici ed esperti, la struttura unica deve pronunciarsi con adeguata motivazione. Il relativo provvedimento, incidentale rispetto alla procedura in corso, resta agli atti della procedura medesima.

Il procedimento mediante autocertificazione è connotato dalla presenza di forti verifiche.

Il potere-dovere di esperire le stesse non è infirmato neppure dal decorso del termine per il compimento della procedura, né dal fatto che da ciò sia derivata tacita autorizzazione: in tal senso, si esprime chiaramente l’ultimo comma dell’art. 7 del Regolamento.

L’utilizzo dell’autorizzazione implicita (per mero decorso del termine) di cui al comma 10 dell’art. 6 D.P.R. 447/98 è dunque fatto dall’impresa a proprio rischio e pericolo.

Le verifiche si indirizzano al merito, e cioè (art. 7, commi 1 e 2) alla conformità delle autocertificazioni agli strumenti urbanistici ed in genere ai contenuti delle autocertificazioni stesse.

Ciascun soggetto pubblico competente (a tal fine la struttura unica distribuisce subito copia della domanda e della relativa documentazione" ai soggetti competenti per le verifiche": art. 6, comma 1) controlla il rispetto delle norme, dei piani e delle discipline sulle quali ha competenza.

In particolare, deve essere verificata la compatibilità:

a) con i piani urbanistici, territoriali e paesistici;

b) con i vincoli idrogeologici, ambientali, forestali, sismici;

c) con la tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico.

Aggiunge il comma 2 dell’art. 7 D.P.R. 447/98, che la verifica deve riguardare, fra l’altro, le seguenti materie:

a) la prevenzione degli incendi;

b) la sicurezza degli impianti elettrici, e degli apparecchi di sollevamento di persone o cose;

c) l’installazione di apparecchi e impianti a pressione;

d) l’installazione di recipienti a pressione contenenti GPL;

e) il rispetto delle vigenti norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro;

f) le emissioni inquinanti in atmosfera;

g) le emissioni nei corpi idrici, o in falde sotterranee e ogni altro rischio di immissione potenzialmente pregiudizievole per la salute e per l’ambiente;

h) l’inquinamento acustico ed elettromagnetico all’interno ed all’esterno dell’impianto produttivo;

i) le industrie qualificate come insalubri;

l) le misure di contenimento energetico.

Due disposizioni dell’art. 6 contemplano l’eventualità che la struttura unica constati la falsità di una o più autocertificazioni:

1) se ciò avviene prima dell’inizio dei lavori dell’intervento (in tal senso sembra logico leggere il disposto del comma 7 art. 6 correlato con quello del comma 11), la struttura unica trasmette gli atti alla Procura della Repubblica e dà comunicazione del fatto all’impresa, segnalando che il procedimento è sospeso fino alla decisione (giudiziale) sui fatti segnalati; tale decisione è necessariamente costituita dalla sentenza penale definitiva, che può intervenire anche dopo tre gradi di giudizio, ma che potrebbe pure formarsi rapidamente (comma 7);

2) se la falsità è constatata dopo l’inizio dei lavori (comma 11), al rapporto alla Procura e alla comunicazione all’impresa si affianca l’ordine di riduzione in pristino, immediato e privo di preventive diffide; l’ordine stesso - per espressa volontà della legge (comma 11 art. 6 D.P.R. 447/98) - è emanato dal responsabile del procedimento, i cui poteri (e doveri) sono di non poca consistenza, come è agevole rilevare, nella procedura di che trattasi.

Naturalmente, la struttura unica (il responsabile del procedimento) deve avere certezza in ordine all’esistenza della falsità, pena l’insorgere di obblighi risarcitori. Espressamente, la legge (comma 7 e comma 11) chiarisce che non danno luogo a “falsità” gli errori e le omissioni materiali suscettibili di rimedio mediante correzione o integrazione.

Nel caso in cui l’autorizzazione sia derivata tacitamente dal decorso del termine a norma del comma 10, art. 6, l’obbligo delle verifiche è ancora più pregnante: l’impresa deve (comma 10) comunicare alla struttura unica l’inizio dei lavori; in seguito a tale comunicazione (comma 12), il Comune e gli altri enti competenti devono obbligatoriamente avviare ed esperire i controlli di cui dianzi si è detto.

L’art. 8 del Regolamento è collocato nel capo III, rubricato “procedimento mediante autocertificazione”. Ciò nondimeno, il contenuto e il tenore dell’articolo inducono a ritenere che lo stesso faccia riferimento a tutte le necessità istruttorie della struttura unica.

Per soddisfare le stesse, la struttura medesima (che, evidentemente, deve essere a tal fine finanziata in modo adeguato) può stipulare convenzioni con le quali affida specifiche attività o fasi istruttorie a determinati soggetti:

= le A.R.P.A. (agenzie regionali per la protezione dell’ambiente)

= le A.S.L. (aziende sanitarie locali)

= le C.C.I.A.A. (camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura)

= le università

= altri centri e istituti pubblici di ricerca, che assicurino indipendenza, competenza e adeguatezza tecnica.

Tale eventualità presenta notevole interesse; è opportuno che le strutture uniche e gli enti che esprimono le stesse la vaglino attentamente e concretamente.

4. La conferenza di servizi

All’interno delle procedure in cui opera la struttura unica uno degli strumenti che essa adopera è la conferenza di servizi.

Per svolgere in maniera più rapida le proprie funzioni e, come nel nostro caso, per raccogliere in una stessa occasione più provvedimenti necessari ad un privato per svolgere un’attività, i soggetti pubblici competenti si incontrano e raccolgono in quella sede i provvedimenti necessari o, almeno, qualcosa di equivalente.

Il Regolamento prevede il ricorso alla conferenza in quattro casi. Essi sono i seguenti.

1) Nel procedimento semplificato: quando una delle amministrazioni si pronuncia negativamente sulla domanda e l’interessato ne chiede la convocazione (art. 4, comma 2).

2) Nel procedimento semplificato: quando non si ottiene il provvedimento entro i 90 giorni previsti (art. 4, comma 3).

3) Quando il progetto contrasta con la pianificazione urbanistica e richiede la variante dello strumento urbanistico (con alcune limitazioni): il responsabile del procedimento convoca la conferenza il cui esito potrà poi costituire una proposta di variante da sottoporre al consiglio comunale (art. 5, commi 1 e 2); al riguardo, va però tenuta presente la sentenza 26 giugno 2001, n. 206, della Corte Costituzionale, di cui si tratterà nel successivo capitolo VI.

4) Quando si tratta di individuare le aree da destinare ad insediamenti produttivi: tramite una conferenza di servizi le amministrazioni interessate costituiscono una intesa che sarà il presupposto per poi ottenere la variante urbanistica (art. 2, comma 1).

Nell’ambito del presente capitolo, relativo al “procedimento unico”, le conferenze che rilevano sono quelle del tipo descritto ai numeri 1 e 2: sostanzialmente, conferenze decisorie.

La legge 340/2000, sostituendo gli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater della legge 241/1990, ha disciplinato con chiarezza il funzionamento della conferenza. A tale disciplina, ampiamente nota alle amministrazioni, si fa rimando.

Si utilizzano le presenti note solo per ricordare la necessità di operare, nei singoli casi concreti – e dunque nei singoli procedimenti – il dovuto coordinamento fra le disposizioni della legge 340 del 2000 in tema di conferenza di servizi (artt. 9-12) e quelle, relative allo stesso tema, recate dalla normativa sullo sportello unico.

Le disposizioni della l. 340/2000, come è noto, sostituiscono gli articoli 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 241 del 1990, come modificata ed integrata (proprio attraverso all’introduzione degli ultimi tre, fra gli articoli su elencati) dalla legge n. 127 del 1997.

Pertanto, quando il D.P.R. 447/98 e succ. mod. rinvia alla disciplina della conferenza di cui alla legge 241/90 come modificata dalla legge 127/97, si deve oggi intendere che il rinvio intervenga al testo introdotto dalla l. 340/2000. Sul punto, vedasi la sent. Corte Costit. 26.6.2001, n. 206 (di cui si dirà fra breve).

Resta, ovviamente, corretto ritenere che la disciplina sullo sportello unico abbia carattere di “specialità”; ma ciò non significa che si debba ignorare in toto la norma generale (l. 241/90-l. 340/2000). Significa invece che solo in caso di puntuale contrasto fra specifiche disposizioni della “legge generale” e specifiche norme della “legge speciale” prevalgono queste ultime: tale situazione è riscontrabile, ad esempio, nel caso dei termini temporali, che – ove previsti dalla normativa sullo sportello unico – prevalgono su quelli della l. 241/90.

Se non viene rispettato dall’organo di un ente il termine di cui al Regolamento sullo sportello unico, è l’ente il soggetto pubblico che non ha rispettato tale termine.

Ove, ad esempio, il termine in questione non venga rispettato dalla Commissione regionale per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali di cui all’art. 91-bis della legge regionale 56/77, poiché tale Commissione è organo della Regione Piemonte (anche nelle sue formazioni decentrate), va convocata la conferenza richiedendo la partecipazione ad essa della Regione.

Compete alla Regione stessa (nell’esempio qui formulato) provvedere al proprio interno ad organizzare quanto occorre perché il proprio rappresentante in conferenza ottemperi correttamente agli obblighi dell’ente (art. 27-bis del D.lgs. 112/98, introdotto dall’art. 6 della legge 340/00).

L’art. 11, comma 6, della stessa legge 340/2000 stabilisce che “ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso ad un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa”.

5. Il collaudo

L’art. 9 del Regolamento dà attuazione al disposto dell’art. 25, comma 2, lettera h), del D.lgs. 112/98, articolo che – come è noto – fissa i criteri a cui deve attenersi la disciplina regolamentare del procedimento unico; nell’ambito di tale articolo, la lettera h) del comma 2 definisce i principi da seguire in tema di collaudo; l’art. 9 del D.P.R. 447/98 reca quindi le disposizioni sull’argomento appunto a livello regolamentare.

Al riguardo, va subito ricordato che la normativa sullo sportello unico non presuppone certo, né pretende, che ogni procedimento di competenza dello sportello medesimo si concluda con un collaudo solo perché si è seguito il procedimento predetto. Anche in proposito opera la conservazione delle leggi “di settore” vigenti, leggi non abrogate affatto. Il comma 1 dell’art. 9 del D.P.R. 447/98 precisa invero espressamente che “le strutture e gli impianti” sono sottoposti a collaudo solo quando questo “sia previsto dalle norme vigenti”.

Il collaudo – a cui partecipa, nei termini di cui si dirà più avanti, la struttura unica – è effettuato (comma 1 art. 9) da professionisti o da altri soggetti abilitati secondo le disposizioni in vigore; il D.P.R. individua le esclusioni per incompatibilità: non possono svolgere il ruolo di collaudatore il progettista, il direttore dei lavori, i soggetti collegati professionalmente o economicamente, in via diretta o indiretta, all’impresa che si è rivolta allo sportello unico (ancora comma 1 art. 9).

Il periodo finale del comma 1 dell’art. 9 ed il comma 3 dello stesso articolo definiscono il contenuto del collaudo. Il comma 3 chiarisce anche la circostanza che l’attività del collaudatore si conclude (ovviamente, in caso di esito positivo delle verifiche) con il “certificato di collaudo”, e dunque con un atto formale e tipizzato.

Le disposizioni dianzi indicate impongono al collaudatore di verificare tutti gli aspetti dell’impianto che – in base alle leggi vigenti – vanno considerati ai fini del collaudo. In tal senso, coordinando i disposti del comma 1, primo periodo, dello stesso comma 1, ultimo periodo, e del comma 3 dell’art. 9 D.P.R. 447/98, va intesa la normativa del D.P.R. medesimo, normativa il cui tenore assai poco lineare richiede invero qualche sforzo di coordinamento.

Infatti, l’inciso con cui si apre il comma 1 ed il disposto iniziale del comma 3 fissano il dato basilare secondo cui il collaudo è dovuto quando lo impongono le leggi “di settore”, dalle quali è comunque disciplinato; cosicché, al collaudo si deve provvedere:

a) quando tali leggi lo prescrivono (inciso iniziale del comma 1 art. 9 Reg.);

b) con riferimento agli aspetti che tali leggi individuano come oggetto del collaudo (disposti iniziali del comma 3: “…riguarda tutti gli adempimenti previsti dalla legge …”; è chiaro che tale “legge” non può essere altro che quella appunto “di settore”).

L’elencazione ulteriormente recata dal comma 3 (“strutture edilizie; impianti produttivi; apparati a tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente”), elencazione peraltro ovvia e scontata, non appare idonea a modificare il principio dianzi fissato.

Specifico rilievo manifesta invece l’enunciazione finale del comma 1, secondo la quale il collaudo di cui al D.P.R. 447/98 deve svolgere in ogni caso (e dunque quand’anche ciò non fosse previsto dalle leggi “di settore” che impongono di collaudare quell’impianto) tre funzioni ulteriori:

a) verificare la conformità al progetto approvato;

b) accertare l’agibilità dell’impianto;

c) accertarne la capacità di operare nel rispetto delle misure e delle prescrizioni in tema di sicurezza, salubrità, rispetto ambientale, ecc. (sotto tale profilo, la disposizione in esame si collega con quelle del comma 3).

L’esito positivo delle verifiche sopra elencate deve essere enunciato espressamente nel certificato di collaudo (“…ne attestano..”, precisa il comma 1 dell’art. 9).

L’obbligo dianzi evidenziato, che è in capo esclusivamente al collaudatore, di accertare in sede di collaudo la conformità edilizia, l’agibilità e l’operatività comporta, tuttavia, per la struttura unica - la quale partecipa in modo operativo al collaudo, del quale fissa anche la data (art. 9, comma 2, Reg.) – la possibilità di avvalersi “del personale dipendente da altre amministrazioni”, possibilità che infatti il comma 2 dell’art. 9 espressamente prevede.

Per la verità, la disposizione (dianzi riportata) dell’art. 9, comma 2, è singolare, anche rispetto alle altre analoghe statuizioni dello stesso Regolamento: mentre in tutti gli altri casi la struttura unica si avvale “di altre amministrazioni”, nel caso del collaudo è previsto che si avvalga “del personale di altre amministrazioni”. Letteralmente, quest’ultima disposizione sembra conferire al responsabile della struttura unica la potestà di dare ordini – ad esempio – al medico del servizio di igiene pubblica dell’ A.S.L..

Tale ipotesi interpretativa si scontra peraltro frontalmente con principi inalienabili dell’ordinamento, cosicché si rende necessario ritenere che in realtà il disposto del comma 2 dell’art. 9 conferisca semplicemente alla struttura unica, anche in questo caso, il potere di avvalersi delle altre amministrazioni dotate della specifica competenza.

In concreto, quindi, la struttura unica chiederà - ad esempio - all’ A.S.L. (e, per essa, al referente unico che l’ A.S.L. avrà designato per la materia “sportello unico,”) di provvedere a quanto occorre per l’effettuazione del collaudo comportante verifica dell’agibilità.

Il rispetto del termine finale del procedimento (art. 9, comma 2) è garantito – anche in questo caso – dalle intese che necessariamente le strutture uniche devono stipulare con le amministrazioni terze.

Il collaudo accerta, oltre alla conformità edilizia, l’agibilità e l’operatività: ma il relativo certificato non sostituisce quello di agibilità né, ad esempio, il nulla-osta all’esercizio di nuova produzione. Il comma 5 dell’art. 9 configura infatti soltanto una sorta di “esercizio provvisorio” dell’impianto fino al “definitivo” rilascio del certificato di agibilità e delle altre autorizzazioni richieste dalle leggi “di settore”: gli impianti possono intanto essere messi in funzione (comma 5) e l’impresa può iniziare l’attività produttiva (comma 2 art. 9).

Le autorizzazioni di cui dianzi (ad ennesima conferma del fatto che la vigente normativa in tema di sportello unico si occupa di impianti e non di esercizio di attività) non vengono dal Regolamento sostituite da un provvedimento unico finale della struttura unica. Ancorché provvisoriamente l’impianto, che ha positivamente superato il collaudo, sia in funzione e già produca, quelle autorizzazioni dovranno comunque essere poi ottenute, nella misura in cui le leggi “di settore” le prevedono e le prescrivono, nei vari casi.

Il comma 2 dell’art. 9 Reg. disciplina in modo più specifico il procedimento di collaudo: definisce infatti, coordinato con il comma 1, la partecipazione soggettiva al compimento dell’attività di collaudo; prevede che compete all’impresa chiedere la fissazione della data del collaudo; stabilisce una sorta di “potere sostitutivo” in capo all’operatore, in caso di inerzia della struttura unica (tale inerzia consente infatti all’impresa di far eseguire comunque il collaudo, a sua cura: ma ciò deve avvenire nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 9 Reg.; anche le statuizioni del comma 4 operano pur sempre, ancorché in presenza di un collaudo effettuato a cura dell’impresa).

Il collaudo non soddisfa e non sostituisce alcuno degli obblighi di vigilanza e di controllo previsti dalle leggi “di settore” sugli impianti funzionanti (commi 7 e 6 dell’art. 9 D.P.R. 447).

Capitolo VI
GLI ASPETTI URBANISTICI ED EDILIZI

1. La mancanza di conformità del progetto ai piani urbanistici e le varianti agli stessi

L’art. 5 del D.P.R. 447/98 affronta il caso in cui il progetto presentato dall’impresa allo sportello unico contrasti con “lo strumento urbanistico”.

Tale disposizione del Regolamento discende dal disposto dell’art. 25 del decreto legislativo n. 112 del 1998.

Il comma 2 dell’articolo anzidetto demanda appunto al regolamento (a norma dell’art. 20, comma 8, della legge n. 59 del 1997) il compito di disciplinare il procedimento unico cui sono dedicate le presenti note. Il comma medesimo fissa peraltro i criteri da osservarsi ad opera del testo regolamentare.

I criteri stessi sono definiti nelle lettere dalla a) alla h) del comma 2 art. 25 di che trattasi.

La lettera g) del comma predetto – nello svolgere tale funzione – detta disposizioni molto precise al Regolamento, per l’eventualità che “il progetto” (presentato allo sportello unico) “contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico”: queste disposizioni sono state tradotte appunto nell’art. 5 del D.P.R. 447/98, modificato dal D.P.R. 440/2000.

Ora, con sentenza 26 giugno 2001, n. 206, la Corte Costituzionale ha folgorato la norma (inevitabilmente, quella di legge e non quella regolamentare) recata dalla lettera g) del comma 2 dell’art. 25 D.lgs. 112/98, non ammettendo che una conferenza in cui la Regione potrebbe essere messa in minoranza abbia titolo a disporre una variante allo strumento urbanistico regionale.

Più esattamente, la Corte Costituzionale ha osservato quanto segue.

“Con l’ultimo motivo del primo ricorso la Regione Veneto ricorrente censura, per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, l’art. 25, comma 2, lettera g, del D.lgs. n. 112 del 1998. La disposizione demanda ad uno o più regolamenti la disciplina del procedimento in materia di autorizzazione all’insediamento di attività produttive, stabilendo che essi debbono prevedere che, nel caso in cui il progetto sia in contrasto con uno strumento urbanistico, si possa ricorrere alla conferenza di servizi, la cui determinazione, se vi è accordo sulla variante, costituisce proposta di variante, sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale.

Secondo la ricorrente tale previsione lede la competenza regionale in materia urbanistica, espropriando la Regione del potere di concorrere a definire l’assetto urbanistico.

La questione è fondata.

Secondo le regole generali oggi risultanti dall’art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, come sostituito dalla legge n. 340 del 2000, e già prima dall’art. 14, comma 3-bis, della stessa legge nel testo modificato dalla legge n. 127 del 1997, la conferenza di servizi può adottare una determinazione positiva sul progetto, non conforme allo strumento urbanistico generale, anche quando vi sia dissenso di taluna delle amministrazioni partecipanti, e dunque anche, in particolare, della Regione. In tale ipotesi, la previsione secondo cui la proposta di variante può essere approvata definitivamente dal consiglio comunale, senza l’ulteriore approvazione regionale, equivale a consentire che lo strumento urbanistico sia modificato senza il consenso della Regione, con conseguente lesione della competenza regionale in materia urbanistica.

Né può valere, a far ritenere salvaguardata tale competenza, il richiamo al disposto dell’articolo 14, comma 3-bis, della legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 17 della legge n. 127 del 1997, che attribuiva fra l’altro al Presidente della Regione, previa delibera del consiglio regionale, il potere di disporre la sospensione della determinazione di conclusione positiva del procedimento, adottata dall’amministrazione procedente al seguito della conferenza di servizi.

A parte ogni altra considerazione, infatti, detta disposizione non è più in vigore, a seguito della riformulazione degli articoli dal 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, operata dalla legge n. 340 del 2000: oggi l’art. 14-quater si limita a prevedere che se una o più amministrazioni hanno espresso nell’ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell’amministrazione precedente, quest’ultima assuma comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse, e che solo qualora il motivato dissenso sia espresso da un’amministrazione “preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute”, la decisione sia rimessa al Consiglio dei ministri (con l’intervento del Presidente della Regione quando il dissenso è espresso da una Regione) ove l’amministrazione dissenziente o quella procedente sia un’amministrazione statale, ovvero “ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali” nelle altre ipotesi (art. 14-quater, commi 3 e 4). Non è dunque appropriata l’integrazione apportata di recente al regolamento in materia di sportelli unici per gli impianti produttivi dall’art. 1 del regolamento approvato con D.P.R. 7 dicembre 2000, n. 440, là dove dispone, per l’ipotesi di pronuncia definitiva del consiglio comunale sulla proposta di variante dello strumento urbanistico, che “non è richiesta l’approvazione della Regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’art. 14, comma 3-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui prevede che, ove il progetto di insediamento contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, la determinazione della conferenza di servizi costituisce, anche nell’ipotesi di dissenso della Regione, proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale.

Dal giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza dianzi indicata sulla Gazzetta Ufficiale, la disposizione della lettera g), comma 2, art. 25 del D.lgs. 112/98 perde efficacia.

In conseguenza di ciò, possono essere seguite due strade: la prima, del tutto ovvia e derivante da un percorso logico-giuridico assolutamente rigoroso (percorso relativo alle conseguenze della declaratoria di incostituzionalità) conduce ad astenersi dal far uso dell’art. 5 anzidetto del Regolamento, in attesa di una riformulazione di questo; si ritiene peraltro che sia giuridicamente percorribile anche una seconda strada, già utilizzata da altre Regioni (cfr. Regione Veneto, Circolare 31.7.2001, n. 16, D.G.R. del 27.7.2001, su BUR Veneto n. 74 del 17.8.2001), che si limita a dare attuazione alla declaratoria della Corte Costituzionale con il ritenere modificate le regole di funzionamento della conferenza di servizi di cui all’art. 5 del Regolamento; ciò, nel senso di assumere il consenso della Regione sulla variante come presupposto necessario perché la variante stessa possa essere legittimamente approvata dal Consiglio comunale (in Piemonte, per le varianti strutturali ai PRG).

Ovviamente, nella variante di tipo “parziale” di cui all’art. 17, comma 7 della legge urbanistica reg. 56/77, quanto dianzi si è detto per il consenso della Regione nelle varianti strutturali vale per il parere (vincolante) della Provincia sui limitati temi indicati dal citato comma 7.

In sostanza, non sono ammesse decisioni a maggioranza della conferenza, che disattendano le determinazioni, rispettivamente, della Regione o della Provincia.

La sentenza della Corte Costituzionale riguarda solo il caso della variante agli strumenti urbanistici generali, e non già quello della variante ad uno strumento urbanistico esecutivo.

Come è noto, esistono infatti strumenti urbanistici “generali” (i piani regolatori generali - P.R.G.) e strumenti urbanistici “esecutivi o attuativi” (S.U.E.: piani per gli insediamenti produttivi - P.I.P.; piani particolareggiati - P.P.; piani esecutivi convenzionati, nella realtà piemontese - P.E.C.; piani di recupero - P. di R.).

E’ allora necessario stabilire se la disciplina di che trattasi valga soltanto nel caso in cui l’intervento progettato non sia conforme al PRG, oppure anche in caso di contrasto tra l’intervento stesso ed un S.U.E. vigente sull’area interessata dal progetto.

Si era notato, nella prima edizione delle presenti note, che un elemento di non poco conto per la formulazione della risposta all’interrogativo anzidetto è fornito dal comma 2 dell’art. 5 in esame: vi si parla di “osservazioni, proposte e opposizioni” formulate ai sensi della legge urbanistica fondamentale dello Stato, l.1150/1942. I termini dianzi riportati non possono essere casuali, poiché essi hanno letterale e preciso riscontro nella legge anzidetta, cosicché non si può negare un loro significato tecnico. Orbene, le espressioni “osservazioni e proposte” (usata quest’ultima, per la verità, soprattutto dalla legislazione regionale) stanno ad indicare i rilievi che gli interessati muovono, una volta intervenuta la pubblicazione, al progetto di P.R.G., cioè di strumento urbanistico generale; ma il termine “opposizioni” indica invece - nelle vigenti leggi - i rilievi mossi agli strumenti urbanistici esecutivi.

La lettera della norma conduce allora a ritenere che rilevi ai fini in esame tanto il contrasto con il P.R.G. quanto quello con un S.U.E. eventualmente formato con riferimento a quella specifica area, in attuazione del piano regolatore medesimo.

(Come è noto, il territorio comunale è obbligatoriamente disciplinato nella sua totalità dal piano regolatore generale, mentre non è detto che esista uno strumento urbanistico esecutivo riguardante l’area o l’immobile oggetto dell’intervento al quale viene interessato lo sportello unico).

Anche sul piano sostanziale, è doveroso ritenere che la compatibilità urbanistica sussista solo ove l’intervento non presenti contrasto alcuno con tutti gli atti di pianificazione operanti nel Comune.

Va sottolineata la circostanza che un intervento può in concreto essere compatibile con il P.R.G., le cui maglie sono più larghe, ma contrastare con un S.U.E. perchè qualche componente dell’intervento stesso non è conforme alle statuizioni (di maglia più stretta, o addirittura a contenuto riduttivo rispetto a ciò che il PRG consente) dello strumento urbanistico esecutivo.

Non potrebbe invece verificarsi l’ipotesi inversa, poiché i S.U.E. devono necessariamente essere conformi ai P.R.G.: cosicché, se l’intervento è compatibile con lo strumento esecutivo, non può non esserlo (salvo patologie eccezionali) anche rispetto allo strumento generale.

La sentenza 26.6.2001 della Corte Costituzionale riguarda, in tutta evidenza, solo il caso dei P.R.G. (strumenti urbanistici generali): nel caso dei S.U.E., infatti, non occorre la partecipazione della Regione; l’approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi è solo comunale.

La sentenza stessa riflette invece i suoi effetti sul caso piemontese della partecipazione della Provincia all’approvazione delle “varianti parziali” ai P.R.G.: se è indispensabile il consenso della Regione nelle varianti “strutturali”, lo è pure quello della Provincia nelle varianti “parziali”.

E’ ben vero che, secondo l’art. 17, comma 7, della legge urbanistica regionale del Piemonte la Provincia esprime non già un’approvazione, ma un parere: questo, però, è totalmente vincolante.

La decisione dianzi riportata della Corte Costituzionale ha poi fornito risposta all’interrogativo, prodotto dal tenore delle disposizioni di cui all’art. 14-quater, comma 3 della l. 241/90, introdotto dall’art. 12 della l. 340/2000. La sentenza in questione ha cioè implicitamente affermato che la Regione che opera in materia urbanistica non è “amministrazione preposta alla tutela (....) paesaggistico-territoriale”. Infatti, quando il dissenso proviene – nelle conferenze di servizi ex lege 241/90 – da un’amministrazione “di tutela”, la decisione (che nel caso in esame costituirebbe proposta di variante al piano) non è propria della conferenza, bensì del Consiglio dei Ministri o della Giunta regionale, o provinciale o comunale, mentre la folgorazione operata dalla Corte ha quale presupposto che la decisione di variare il Piano sia presa dalla conferenza.

La sentenza di che trattasi, poi, conferma il fatto che – per quanto non è sorretto dal principio di specialità (da applicarsi con rigore) – le disposizioni del D.P.R. 447/98, modificato dal D.P.R. 440/2000, vanno coordinate con quelle della l. 241/90, modificata dalla l. 340/2000, in tema di conferenza di servizi.

Dunque, ove il progetto presentato contrasti con il piano regolatore generale vigente oppure con uno strumento urbanistico attuativo approvato, in via normale “il responsabile del procedimento rigetta l’istanza” (art. 5, comma 1, D.P.R. 447/98 come modificato dal D.P.R. 440/2000).

In tale sua componente, la norma non è stata incisa dalla sentenza della Corte Costituzionale di cui dianzi si è detto.

La norma medesima, attraverso al dianzi citato D.P.R. 440/2000, è stata coordinata con le disposizioni che collocano il responsabile del procedimento unico nella posizione di interlocutore diretto dell’impresa che ha esercitato l’accesso allo sportello unico. Compete invero al responsabile anzidetto notificare all’impresa stessa il rigetto della sua istanza.

Constatare - in termini necessariamente ricognitivi - che il progetto non è compatibile con la pianificazione urbanistica operante nel Comune interessato, è compito di gestione, correttamente affidato al responsabile del procedimento.

In concreto, l’ipotesi in esame è da ricondurre nell’ambito dei momenti procedurali di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 4 D.P.R. 447/98: il Comune riceve la domanda dell’impresa, corredata dai dovuti atti, attraverso alla struttura unica; quest’ultima - nel trasmettere domanda ed allegati - invita il Comune stesso, tra gli altri, a far pervenire “gli atti autorizzatori o di consenso”, generalmente concretantisi, ai fini in esame, nella concessione edilizia; ciò, entro novanta giorni (comma 1).

La constatazione, ad opera del Comune, del contrasto con uno strumento urbanistico implica la pronuncia negativa di cui tratta il comma 2 dell’art. 4: con essa si identifica il “rigetto dell’istanza” previsto dal comma 1 dell’art. 5.

La struttura unica (art. 4, comma 2) - attraverso al responsabile di quel procedimento - deve trasmettere la pronuncia negativa all’impresa entro tre giorni.

A tal punto, ove si intraveda la possibilità di modificare il progetto in termini idonei a rendere lo stesso compatibile con gli strumenti urbanistici, il richiedente può avvalersi della facoltà di cui al comma 2 art. 4 D.P.R. 447/98, e cioè instare presso la struttura unica (nel termine di venti giorni dalla ricezione della pronuncia negativa) perché sia convocata la conferenza di servizi tesa a concordare le condizioni idonee a far superare il rigetto.

Naturalmente, anche se la norma di legge (art. 5 D.P.R. 447/98) stabilisce che l’istanza contrastante con gli strumenti urbanistici è senz’altro rigettata dal responsabile del procedimento, nulla impedisce che questi consulti il Comune territorialmente competente sulla opportunità, o meno, di denegare senz’altro.

Il Comune potrebbe infatti ritenere opportuna una variante al Piano.

Accanto alla soluzione normale del caso (contrasto del progetto con gli strumenti urbanistici = rigetto dell’istanza), l’art. 5 del D.P.R. 447/98 individua poi una soluzione alternativa eccezionale, consistente nel variare lo strumento urbanistico.

Non può esistere dubbio relativamente al fatto che la modifica urbanistica che rimuove il contrasto ben può derivare dalla legislazione urbanistica vigente nella Regione: può essere cioè realizzata mediante una procedura “ordinaria”.

In concreto, se il contrasto investe un S.U.E., può essere attivata la normale procedura di variante a quel tipo di strumento urbanistico esecutivo; come si è detto, si tratta sempre di procedure già semplificate, perché i procedimenti formativi dei S.U.E. ormai da tempo, in Piemonte, si esauriscono in ambito comunale, come è noto.

Se il contrasto invece riguarda il P.R.G., può essere utilizzato il disposto dell’art. 17 della legge regionale urbanistica 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni.

In pratica, la modifica nella specie necessaria al P.R.G. (e ritenuta opportuna in termini di perseguimento dell’interesse pubblico) può consistere:

a) in una “modifica non costituente variante” (commi 8 e 9 dell’art. 17 l.r. 56/77), per la quale basta la deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 9;

b) in una “variante parziale” (comma 7 dell’art. 17 dianzi citato), dotata della procedura accelerata e semplificata prevista dal comma medesimo: la variante è adottata ed approvata allora dal Consiglio comunale, senza momenti procedimentali regionali, sulla scorta di un parere (da rendere nel termine perentorio di quarantacinque giorni) della Provincia;

c) in una più consistente “variante strutturale” (comma 4 dell’art. 17 l.r. 56/77), da formare ed approvare con la partecipazione della Regione ai sensi dell’art. 15 della citata legge reg. 56/77.

Nei casi dianzi indicati sub a) e sub b), il procedimento previsto dalla legge regionale è già più agevole di quanto non sia quello di cui all’art. 5 del D.P.R. 447/98. E, spesso, sono sufficienti le varianti parziali per risolvere il problema apertosi avanti lo sportello unico.

Alternativamente, può essere esperita, se ne sussistono le condizioni esplicitate dall’art. 5 Reg., la procedura di variante che opera mediante la conferenza di servizi, purché con il consenso necessario della Regione in caso di variante di tipo strutturale, e con il parere favorevole necessario della Provincia in caso di variante di tipo parziale.

Nel caso dei S.U.E., è probabile che la procedura ordinaria risulti più agevole; ma se per qualche ragione si ritenesse di applicare invece l’art. 5 del D.P.R. 447/98 nelle sue statuizioni procedimentali, la scelta sarebbe tuttora legittima. Il procedimento si adatterebbe senza cospicui problemi anche a tale eventualità, che non va pertanto esclusa. L’esito della conferenza costituirebbe proposta di variante al S.U.E.; la stessa dovrebbe quindi essere pubblicata e sottoposta alle eventuali osservazioni, proposte ed opposizioni (per il tempo stabilito dalle norme ordinarie con riguardo a quel tipo di strumento urbanistico esecutivo); sulla proposta di variante e sulle osservazioni, proposte ed opposizioni conseguenti alla pubblicazione, dovrebbe infine “pronunciarsi definitivamente” il Consiglio comunale: in altri termini, la conferenza adotterebbe ed il Consiglio approverebbe la variante al S.U.E..

* * * * * *

Riassumendo, si configura il seguente schema.

• Domanda dell’impresa alla struttura unica.

• La struttura distribuisce domanda e allegati e invita le amministrazioni competenti (fra cui il Comune) a far pervenire gli atti autorizzatori o di consenso entro 90 giorni.

• Il Comune rileva il contrasto con gli strumenti urbanistici:

CASO A

• Il responsabile del procedimento rigetta l’istanza per ragione inerente all’aspetto urbanistico-edilizio.

• La pronuncia negativa è trasmessa all’impresa entro tre giorni.

• Il procedimento si conclude.

• OPPURE

• L’impresa, entro venti giorni, chiede di convocare la conferenza di servizi di cui al comma 2 dell’art. 4 D.P.R. 447/98.

• Si concordano le condizioni per superare la pronuncia negativa.

• Viene presentato alla struttura unica il nuovo progetto che recepisce quelle condizioni e si apre un nuovo procedimento unico.

• OPPURE

• Non si perviene a concordare le condizioni per superare la pronuncia negativa.

• Il procedimento si conclude con il verbale della conferenza che constata quanto sopra.

CASO B

• Il Comune ritiene di esperire la procedura ordinaria di variante

> al S.U.E.

> al P.R.G.     > modifica non costituente variante

    > variante parziale

    > variante strutturale

• Il procedimento unico si conclude con un rigetto riferito alla situazione urbanistica attuale, accompagnato dalla precisazione che il Comune competente territorialmente intende avviare una procedura ordinaria di variante.

• Esperita questa e quindi raggiunta la compatibilità urbanistica, l’impresa avvia il procedimento unico.

• OPPURE

• Il Comune ritiene che sia opportuno usare la procedura di cui all’art. 5 del D.P.R. 447/98 e dà notizia di ciò al responsabile del procedimento.

• Il responsabile del procedimento convoca la conferenza di cui all’art. 5 anzidetto.

• la conferenza esclude la variante (anche in caso di dissenso della sola Regione o Provincia).

• Il procedimento è concluso; si trasmette all’impresa il verbale conclusivo della conferenza.

• OPPURE

• La conferenza ritiene di proporre la variante: il verbale costituisce proposta di variante (l’impresa è costantemente informata dallo sportello unico).

• Questa è pubblicata.

• Si raccolgono osservazioni, proposte, opposizioni.

• Il Consiglio comunale si pronuncia (entro 60 giorni dal termine finale del periodo utile per proporre osservazioni).

• Il Consiglio comunale approva la variate.

• Sulla scorta di questa, raggiunta la compatibilità urbanistica, l’impresa avvia il procedimento unico.

• OPPURE

• Il Consiglio comunale non approva la variante.

• Si trasmette all’impresa la deliberazione consiliare. Il procedimento non è esperibile.

Relativamente allo specifico momento della conferenza ex art. 5 Reg., la considerazione coordinata delle leggi 241/1990 e 340/2000 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 206/2001, conduce a formulare il seguente ulteriore schema.

• La Regione (o la Provincia) che partecipa alla conferenza:

A. può esprimere il proprio assenso;

B. può esprimere il proprio motivato dissenso nel qual caso la procedura deve intendersi conclusa con esito negativo;

C. se ne esistono i presupposti, può subordinare il proprio assenso all’accoglimento di specifiche modifiche progettuali (art. 14 quater, comma 1 L. 241/90). In questo caso la procedura può proseguire solo se sono recepite le indicazioni espresse dalla Regione o dalla Provincia.

* * * * * *

Non può sussistere dubbio in ordine al fatto che la procedura eventuale di variante (o modifica) urbanistica si colloca al di fuori dei termini per l’espletamento del procedimento unico.

Vanno rispettati peraltro il termine di novanta giorni di cui al comma 1 art. 4 D.P.R. 447/98, entro il quale il Comune deve pronunciarsi sulla domanda; il termine di tre giorni (art. 4, comma 2) concesso alla struttura unica per notiziare l’impresa in caso di pronunce negative; ed il termine di venti giorni (ancora comma 2 dell’art. 4) entro il quale l’impresa può chiedere la conferenza di cui alla norma or ora citata.

* * * * * *

L’art. 5 del D.P.R. 447/98 non precisa se gli strumenti urbanistici, relativamente ai quali si pone il problema del contrasto, siano quelli approvati o non anche quelli adottati e in corso di approvazione.

Come è noto, infatti, le procedure urbanistiche sono caratterizzate dalla divaricazione dei due momenti anzidetti, fra i quali si colloca la pubblicazione dello strumento urbanistico e la raccolta delle eventuali osservazioni, proposte, opposizioni. L’adozione è sempre comunale, pur nella varietà di procedure presenti nell’ordinamento; l’approvazione è regionale nel caso delle varianti strutturali al P.R.G. ed è comunale in tutti gli altri casi.

E’ noto altresì che da tempo la legislazione statale, ripresa poi e completata da quella regionale anche sul tema, ha istituito le cosiddette “misure di salvaguardia”: in concreto, dal momento della prima adozione di uno strumento urbanistico, non possono essere rilasciati atti di assenso edilizi, nè sono ammesse denunce di inizio di attività edilizia, che contrastino con il piano adottato, ancorchè non ancora approvato.

E’ evidente il fatto che l’istituto anzidetto non è stato inciso dalla normativa sullo sportello unico: inevitabilmente, l’assenza di contrasto tra l’intervento progettato dall’impresa e gli strumenti urbanistici deve sussistere anche nei confronti degli strumenti adottati e non ancora approvati; diversamente, il procedimento unico avrebbe il potere (che non risulta conferito da norma alcuna) di evitare l’applicazione delle misure di salvaguardia, in palese disparità rispetto a qualsiasi altra situazione e con effetti sconvolgenti sul piano urbanistico sostanziale.

Dunque, quanto dianzi si è detto vale anche nel caso in cui il Comune riscontri contrasto con suoi strumenti urbanistici adottati ed operanti in salvaguardia (come è risaputo, quest’ultima dura fino all’approvazione dello strumento, con il limite assoluto - però - di tre anni).

Anche in tal caso, pertanto, può rendersi necessario attivare una procedura di variante, intesa a modificare ulteriormente, “in itinere”, le varianti al piano già adottate e in corso di approvazione.

Il contrasto non sussiste nel caso contemplato dal quinto comma dell’art. 85 della legge urbanistica regionale. Come è noto, tale norma (1) configura una vera e propria “anticipazione del piano”, limitata ai casi espressamente previsti dalla norma medesima; nei casi anzidetti, decorsi i 120 giorni, il nuovo piano (o la variante allo stesso) già opera come se tale piano (o variante) fosse approvato e non solo adottato.

* * * * * *

Occorre evidenziare, in termini generali, che l’esercizio della facoltà comunale di variare la strumentazione urbanistica del Comune in presenza e in relazione alla domanda presentata da un’impresa allo sportello unico è operazione estremamente delicata; e che - meno che mai su questo tema - la normativa statale sul procedimento unico può aver snaturato principi e regole essenziali per il corretto uso del territorio.

L’impiego della variante non può quindi essere inteso come un grimaldello atto ad aprire qualsiasi porta, purché l’iniziativa dell’impresa possa procedere, a qualunque costo. Se così si intendessero le cose e così si interpretassero le norme in esame, non solo ci si collocherebbe al di fuori della buona amministrazione, ma si rischierebbero perfino contestazioni di carattere penale.

Occorre dunque, sul tema, esercitare appieno il senso di responsabilità.

La variante allo strumento urbanistico può nascere invero solo dalla coincidenza tra l’interesse e la richiesta dell’impresa e l’interesse pubblico ad un ordinato uso del territorio: certamente, non dal solo interesse imprenditoriale; la rilevanza del fattore occupazionale, che ha certamente natura pubblicistica, non è - da sola - decisiva. Anch’essa va confrontata con gli effetti di vario genere che la modifica allo strumento urbanistico è destinata a produrre: la decisione conclusiva deve essere il riflesso di tutte le valutazioni e tutti i confronti, come del resto già avviene in altri campi e in altre procedure.

Di tali ponderate valutazioni, occorre che gli atti del Comune e dell’eventuale conferenza diano chiaramente ragione.

2. L’individuazione di aree da destinare all’insediamento di impianti produttivi

L’art. 2 del D.P.R. 447/98 disciplina il tema dell’individuazione delle aree da destinare all’insediamento degli impianti produttivi. La norma di che trattasi non attiene dunque all’attività della struttura unica e dello sportello unico; essa riguarda i Comuni il cui piano regolatore è carente sotto tale profilo, e non è immediatamente applicabile.

Per la sua operatività è infatti necessario in primo luogo che la Regione determini “tipologie generali” e “criteri” per l’individuazione delle aree di che trattasi da parte dei Comuni.

L’art. 26 del D.lgs. 112/98, richiamato espressamente dall’art. 2 del D.P.R. 447/98, così recita, al riguardo:

“1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, con proprie leggi, le aree industriali e le aree ecologicamente attrezzate, dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente. Le medesime leggi disciplinano altresì le forme di gestione unitaria delle infrastrutture e dei servizi delle aree ecologicamente attrezzate da parte di soggetti pubblici o privati, anche costituiti ai sensi di quanto previsto dall’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, e dall’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonché le modalità di acquisizione dei terreni compresi nelle aree industriali, ove necessario anche mediante espropriazione. Gli impianti produttivi localizzati nelle aree ecologicamente attrezzate sono esonerati dall’acquisizione delle autorizzazioni concernenti la utilizzazione dei servizi ivi presenti.

2. Le regioni e le province autonome individuano le aree di cui al comma 1 scegliendole prioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmente dismessi. Al procedimento di individuazione partecipano gli enti locali interessati."

Sembra logico ritenere - se non sul piano strettamente giuridico, quanto meno su quello dell’opportunità - che la determinazione delle “tipologie generali” e dei “criteri” di cui dianzi debba intervenire all’interno della legge regionale di cui tratta l’art. 26 del D.lgs. 112/98, sì da assicurare la necessaria organicità alla materia.

Va ricordato che il Piano Territoriale Regionale vigente già detta indirizzi e direttive, ma anche prescrizioni (rivolte queste ultime essenzialmente ai Piani Territoriali Provinciali), in tema di localizzazione delle aree produttive (1).

In secondo luogo, l’art. 2 del D.P.R. 447/98 demanda alla legge regionale di disciplinare una procedura accelerata e semplificata di variante al piano regolatore generale, procedura relativamente alla quale lo stesso articolo 2 (comma 1) detta alcune regole, operando come legge-cornice rispetto alla legislazione regionale.

Anche tale aspetto della materia dovrebbe trovare disciplina all’interno della legge regionale di cui dianzi si è detto.

In sostanza, sembra chiaramente prefigurarsi l’opportunità, o addirittura la necessità, di una legge della Regione Piemonte che prenda in considerazione la vigente legislazione regionale in materia di aree produttive, legislazione ormai in gran parte obsoleta, per perseguire un triplice obiettivo in termini sistematici:

1) ottemperare ai disposti della legislazione statale recati dall’art. 26 del D.lgs. 112/98 e dall’art. 2 del D.P.R. 447/98;

2) riordinare ed aggiornare la vigente legislazione regionale in tema di localizzazioni produttive (l.r. 9.4.1975, n. 21; l.r. 14.11.1979, n. 64; l.r. 25.2.1980, n. 9);

3) coordinare il tema delle localizzazioni predette con quello delle procedure urbanistiche e degli strumenti di pianificazione, nonché con la disciplina della tutela ambientale.

3. Il problema della concessione edilizia

Sul piano più specificatamente edilizio, va riscontrata in primo luogo e sottolineata la circostanza che la normativa sul procedimento unico non incide sulla disciplina dei titoli abilitativi di carattere appunto edilizio, nel senso che - nei casi in cui la legislazione in materia rende sufficiente la denuncia di inizio dell’attività (d.i.a.), anche in presenza del procedimento unico permane tale condizione; là dove occorre invece la concessione (o l’autorizzazione) edilizia, essa deve essere acquisita.

Il diniego di quest’ultima da parte del Comune, così come l’intervento comunale che paralizza la d.i.a., integrano la “pronuncia negativa” di “una delle amministrazioni” competenti, ai sensi del comma 2 dell’art. 4, nel procedimento semplificato (o ordinario): tanto basta, salvo il rimedio della conferenza di cui al comma 2 medesimo, per la conclusione negativa del procedimento.

Il termine di novanta giorni, entro il quale la concessione edilizia deve pervenire (se è rilasciabile) alla struttura unica, è compatibile - ove non si inseriscano patologie nel procedimento edilizio - con quelli stabiliti dalla legislazione statale che disciplina il procedimento predetto (art. 4 della legge 493/1993, come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 662/1996). Ciò si rileva con riguardo al procedimento semplificato.

Nel procedimento mediante autocertificazione, l’art. 6 del Regolamento ha avuto cura di evidenziare la circostanza che “la realizzazione dell’opera è comunque subordinata al rilascio della concessione edilizia, ove necessaria ai sensi della normativa vigente” (art. 6, comma 6, D.P.R. 447/98).

E il comma 8 dello stesso articolo 6, come sostituito dal D.P.R. 440/2000, nell’ultimo periodo precisa che “ove sia necessaria la concessione edilizia, il procedimento si conclude” (nel termine di 60 giorni fissato all’uopo) “con il rilascio o con il diniego della concessione edilizia”.

L’esigenza di disporre del titolo abilitativo edilizio è sottolineata altresì dalla precisazione, recata dal comma 1, del fatto che la domanda deve contenere, ove necessario, anche la richiesta della concessione edilizia (questa non è certo autocertificabile!), nonché alla norma del comma 2 che affida alla struttura unica il compito di dare “inizio al procedimento per il rilascio della concessione edilizia”.

Ma, come già si è detto, nel procedimento mediante autocertificazione il dato rilevante è costituito dalla circostanza che la concessione edilizia è estranea al “silenzio-assenso” di cui al comma 6 dell’art. 6.

Ove questo maturi, l’intervento è autorizzato sotto ogni profilo rispondente alle materie autocertificate: ma non è realizzabile finché on interviene altresì l’atto di assenso edilizio occorrente, oltre all’insieme delle autorizzazioni esplicite nelle materie non autocertificabili.

* * * * * *

Le modifiche introdotte nell’art. 4 del Regolamento dal D.P.R. 440/2000 (in particolare nel comma 1 di tale articolo, ed attraverso all’inserimento dell’ulteriore comma 2-bis) danno luogo ad interrogativi, attinenti al titolo abilitativo edilizio, che vanno affrontati apertamente.

La prima di tali modifiche, che ha suscitato forti perplessità e preoccupazioni, è quella secondo cui gli atti di competenza delle varie amministrazioni (“di settore”, secondo il linguaggio testuale del Regolamento: art. 4, comma 1) che devono essere coinvolte nel procedimento unico, sono da ritenere “atti istruttori” o “pareri tecnici”, comunque essi siano denominati dalle relative norme (norme che restano, peraltro, “normative vigenti”: così si esprime l’art. 4, comma 1).

Nel testo originario del D.P.R. 447/98, gli atti anzidetti venivano invece qualificati come “atti autorizzatori o di consenso” il che consentiva di coordinare la normativa sullo sportello unico con la legislazione in vigore, senza particolari problemi.

A ciò si aggiunga il fatto che l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 4 (anch’esso provenienti dal D.P.R. 440/2000) precisa che solo il provvedimento (dunque tale deve essere l’atto conclusivo del procedimento unico) con il quale ha termine il procedimento esperito dalla struttura unica “è, ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell’intervento richiesto”.

Un’applicazione acritica delle disposizioni dianzi enunciate al titolo abilitativo edilizio necessario nell’ambito di un procedimento unico (ad esempio, in modo tipico, per realizzare o ampliare o ristrutturare un impianto produttivo) condurrebbe dunque - beninteso solo nel caso in cui il titolo anzidetto fosse necessario nell’ambito anzidetto - a modificare radicalmente la natura del titolo medesimo (concessione edilizia, autorizzazione edilizia, dichiarazione di inizio dell’attività: cosiddetta d.i.a.).

La legittimazione ad iniziare e compiere i lavori non deriverebbe più dal titolo abilitativo edilizio, che assumerebbe il connotato e la valenza del mero atto istruttorio, ma dal provvedimento conclusivo del procedimento unico. Da ciò, nascerebbero conseguenze rilevanti.

Da un lato, il contributo di onerosità dovrebbe essere collegato al provvedimento predetto della struttura unica, e non più alla concessione edilizia; dall’altro lato, il rilascio del titolo che consente di effettuare la trasformazione edilizia ed urbanistica rientrerebbe nelle competenze del responsabile della struttura unica che, nelle (pur auspicate) forme associate, è soggetto che ben può essere estraneo al personale del Comune territorialmente competente per quella trasformazione urbanistica o edilizia.

Ulteriori preoccupazioni sono derivate dalla seconda modifica introdotta dal D.P.R. 440/2000 all’art. 4 del Regolamento sullo sportello unico, modifica costituita dall’aggiunta del comma 2 bis, che rende obbligatorio il ricorso allo sportello unico (nei Comuni ove questo è operante), fa divieto alle altre amministrazioni di rilasciare direttamente al richiedente gli atti di propria competenza, afferma che tali atti “operano” comunque “all’interno del procedimento unico”, ed impone alle amministrazioni diverse dallo sportello di trasmettere urgentemente a questo eventuali domande che avessero ricevuto. Il titolo abilitativo edilizio parrebbe così divenire “inoperante” come tale; esso non potrebbe essere rilasciato direttamente all’interessato; non solo: qualora fosse richiesto al Comune, peserebbe sul Comune stesso l’obbligo di “girare” la richiesta allo sportello unico, salvo - ovviamente - vedersela poi restituire per l’istruttoria edilizio-urbanistica da compiere.

Tutto ciò, si badi, vale solo per il caso del procedimento ordinario (“semplificato”), perché nel caso del procedimento mediante autocertificazione la necessità della concessione edilizia - cioè in generale del titolo abilitativo edilizio - rilasciata dal Comune secondo le modalità della legislazione edilizia è ripetutamente affermato.

Ancora maggiori sono le preoccupazioni causate dalla parte del comma 1 dell’art. 4, introdotta dal D.P.R. 440/2000, che consente alla struttura unica - e dunque, in concreto, al responsabile del procedimento - di “adottare direttamente”, e perfino di chiedere alle amministrazioni (diverse da quelle naturalmente competenti secondo la legislazione vigente) di cui intende avvalersi ai sensi dell’art. 24, comma 4, del D.lgs. 112/98, gli atti, i pareri e i consensi necessari nello specifico procedimento gestito dalla struttura stessa.

Ciò significa che il titolo abilitativo edilizio (ancorché considerato come atto endoprocedimentale) , e non solo il provvedimento conclusivo del procedimento unico, verrebbe rilasciato da soggetto della pubblica amministrazione radicalmente diverso da quello competente secondo le leggi in vigore: all’interno del Comune dotato di sportello unico esclusivamente comunale, la concessione edilizia (ad esempio) verrebbe emessa dal dirigente o dal responsabile del servizio competente per lo sportello unico, anziché da quello avente competenza per l’edilizia; ma, nel caso di esercizio dello sportello in forma associata, la concessione medesima sarebbe formata ed rilasciata dal responsabile del procedimento unico, soggetto appartenente alla struttura unica associata ed estraneo (salvo coincidenze del tutto casuali) al Comune competente per quella concessione.

E’ chiaro che le norme dianzi considerate richiedono un’interpretazione ragionata e non piattamente adagiata sul dato testuale.

Ciò, per più motivi.

Sul piano astratto, già si è detto che non è dato vedere come un regolamento governativo possa modificare le competenze dei vari enti e delle varie amministrazioni, fissate con legge.

Si è rilevato altresì che - d’altro canto - viene pacificamente ammessa la circostanza che il Regolamento sullo sportello unico non ha operato abrogazioni di sorta, in ordine a quelle leggi, definite addirittura dallo stesso art. 4, comma 1, del D.P.R. 440/2000 “normative vigenti”.

Cosicché, si deve concludere che il sistema delle competenze permane tale quale è disegnato e disciplinato da codeste normative.

Nel caso specifico del titolo abilitativo edilizio, non è intervenuta abrogazione alcuna dell’art. 4 della l. 4.12.1993, n. 493 (come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662), in tema di concessione edilizia e di d.i.a., né delle varie disposizioni di legge formale (dall’art. 48 della legge 5.8.1978, n. 457 in avanti) che hanno disciplinato l’autorizzazione edilizia: e si tratta di norme che definiscono chiaramente la competenza alla formazione e al rilascio dei titolo abilitativi in questione.

Ma neppure le disposizioni sul tema contenute nelle leggi regionali possono ritenersi abrogate: continuano quindi ad operare, in Piemonte, sia gli artt. 48 e segg., sia l’art. 56 della legge urbanistica reg. 56/1977.

Con riferimento al problema specifico qui esaminato, occorre ancora considerare che la disciplina del procedimento di formazione e rilascio della concessione edilizia (non dell’autorizzazione e della d.i.a.) è strettamente legata alla materia penale: anche sotto tale profilo, lo strumento del regolamento governativo appare inadeguato ad incidere sul quadro normativo formato dalla legge.

Il coordinamento (che si impone) fra le disposizioni del Regolamento sullo sportello unico e la legislazione statale e regionale sui titolo abilitativi edilizi comporta dunque un’interpretazione ragionata delle norme del Regolamento medesimo.

Relativamente al problema derivante dalla facoltà attribuita al responsabile del procedimento di “adottare direttamente” ovvero di avvalersi di altre amministrazioni ai sensi dell’art. 24, comma 4, del D.lgs. 112/98, si fa rimando a quanto osservato al riguardo nel precedente capitolo V, relativo al procedimento unico. In ogni caso, si sconsigliano nel modo più netto le strutture uniche dall’adottare “direttamente” atti rientranti nelle competenze di altre amministrazioni.

Quanto alle altre questioni evidenziate nelle pagine che precedono, questioni che possono avere risposta unitariamente, si ritiene che anch’esse debbano essere risolte alla luce dei criteri formulati nel capitolo V, secondo cui lo Sportello unico non va inteso tanto come ufficio di amministrazione attiva, quanto piuttosto come importante ufficio di raccordo per la gestione semplificata di procedimenti di cui sono titolari altri soggetti della pubblica amministrazione.

In tale ottica, il titolo abilitativo edilizio necessario deve essere formato attraverso al procedimento che, secondo la legislazione edilizia, va seguito nel caso specifico: a seconda cioè che occorra una concessione edilizia, oppure un’autorizzazione edilizia, oppure una d.i.a.

Tale procedimento - che rispetto al procedimento unico gestito dalla struttura unica costituisce un sub procedimento - deve essere esperito dal soggetto della pubblica amministrazione competente in via generale, e dunque del Comune territorialmente interessato.

Non è chi non veda, del resto, come tale soluzione sia quella maggiormente idonea ad assicurare la più corretta e rapida istruttoria della “pratica edilizia”.

Il Comune competente determina quindi se è dovuto o meno il contributo di onerosità della concessione, e ne calcola l’ammontare.

Nulla impedisce che, durante lo svolgimento del sub procedimento edilizio (così come alla conclusione dello stesso, relativamente al contributo di onerosità anzidetto e alle modalità di pagamento del medesimo, nonché alle formalità finali) intervengano contatti e rapporti fra l’ufficio comunale che gestisce il sub procedimento e l’impresa.

La concessione, l’autorizzazione o la d.i.a. non contrastata (competerebbe al Comune territorialmente interessato contrastare quest’ultima) costituiscono atti endoprocedimentali rispetto al procedimento unico, nel quale confluiscono.

Il titolo “per la realizzazione dell’intervento” (art. 4, comma 1, Reg.) è dato dal provvedimento conclusivo del procedimento unico, nel caso del procedimento “semplificato”; è dato invece dalla stessa concessione (o autorizzazione, o d.i.a.) in quanto confluita nel procedimento unico, nel caso del procedimento mediante autocertificazione.

Il titolo abilitativo edilizio ha dunque tutti i suoi connotati consueti, ma ne resta – per così dire - sospesa l’efficacia fino a che non sussista il provvedimento o il momento conclusivo del procedimento unico.

Conseguentemente, solo quando quest’ultima realtà si sia concretizzata, il titolo edilizio concessorio o autorizzativo assume efficacia: fino a quel momento, dunque, i lavori non possono legittimamente essere iniziati.

Quanto dianzi si è esposto in ordine al titolo abilitativo edilizio, vale anche – con gli ovvi adattamenti resi necessari dalla specificità della materia e della relativa disciplina – per i titoli abilitativi in sanatoria, di cui alla legge statale n. 47 del 1985.

Nel caso dunque del procedimento che transita attraverso allo sportello unico, (e solo in tale caso), appare opportuno rendere evidente nella stessa concessione edilizia la situazione dianzi descritta; ciò può agevolmente avvenire inserendo nel testo della concessione (o autorizzazione) medesima, nel quale – secondo la prassi generale – già sono presenti varie disposizioni nonché, quando occorre, condizioni e modalità esecutive, un’ulteriore disposizione il cui tenore può essere il seguente:

“Il presente titolo abilitativo edilizio, in quanto formato nell’ambito del procedimento unico di cui al D.lgs. 112/98 e del D.P.R. 447/98 come modificato dal D.P.R. 440/2000 in tema di “sportello unico per le imprese”, procedimento avviato, con il n. …. di protocollo, presso la Struttura Unica per le attività produttive……….., produrrà i suoi effetti, anche ai fini del legittimo inizio e della legittima esecuzione dei lavori, soltanto al momento del rilascio del provvedimento conclusivo del procedimento unico anzidetto, che sarà emanato dalla Struttura Unica”.

Parimenti opportuno è l’inserimento, nel testo della concessione (o autorizzazione) edilizia, di una disposizione finale con la quale il dirigente (o il responsabile del servizio) che ha formato la concessione stessa “dispone la trasmissione del presente provvedimento al Responsabile della Struttura Unica per le attività produttive per gli atti di competenza”.

Appare evidente il fatto che la concessione edilizia formata nell’ambito del procedimento che transita attraverso lo sportello unico, ha ad oggetto l’assentibilità della trasformazione urbanistica ed edilizia come tale; la concessione medesima, cioè, non deve essere subordinata alla certezza dell’esistenza di quegli atti che, nel procedimento edilizio ordinario, costituiscono invece presupposti indispensabili della concessione medesima, ove richiesti, quali l’autorizzazione paesaggistica o il provvedimento relativo al vincolo idrogeologico.

L’acquisizione di questi atti è infatti compito del responsabile del procedimento unico , ed è necessaria ai fini della formazione del provvedimento conclusivo di competenza del responsabile della struttura unica. A tale convinzione è inevitabile pervenire ove si ricerchi (ed è indispensabile il farlo) il coordinamento fra le disposizioni in tema di sportello unico per le attività produttive e le norme relative ai settori nell’ambito dei quali sono prescritte le autorizzazioni in questione.

A scanso di equivoci, si suggerisce al soggetto del Comune competente che forma la concessione edilizia richiesta dallo sportello unico, di trasmettere questa – come già si è detto – al responsabile del procedimento unico con una nota di accompagnamento nella quale si precisa che “la concessione edilizia (allegata) è stata formata con riguardo ai soli aspetti edilizi ed urbanistici, senza previa acquisizione di atti di assenso o di pareri attinenti ad altre materie normativamente tutelate, stante la competenza esclusiva del responsabile del procedimento unico ad acquisire gli atti e i pareri medesimi ai fini della formazione del provvedimento conclusivo di tale procedimento.”

Eguale espressione ben può essere collocata all’interno del testo della concessione edilizia.

Va ancora considerato il seguente aspetto. Nell’ambito del procedimento semplificato e nel caso in cui questo operi mediante il ricorso alla conferenza dei servizi, possono verificarsi due ipotesi: che il Comune competente abbia comunque formato la concessione edilizia; oppure che questa non sia stata formata e che, pertanto, la conferenza sia convocata anche al fine di superare – se è possibile – tale assenza.

Nel primo caso, il responsabile del procedimento acquisisce la concessione ai fini della formazione del provvedimento finale dandone atto nella conferenza.

Nel secondo caso, il Comune riversa in conferenza le proprie determinazioni in punto assentibilità edilizia: tali determinazioni confluiscono nel verbale della conferenza, ma non costituiscono una concessione in senso proprio.

Il verbale della conferenza fornirà al responsabile del procedimento unico gli elementi (di assenso edilizio, con le prescrizioni, condizioni, modalità esecutive del caso) necessari per pervenire al provvedimento unico finale ricomprendente gli elementi anzidetti, insieme agli altri necessari in quella situazione.

Nulla cambia invece per quanto attiene al contributo di onerosità della concessione edilizia, calcolato e preteso dal Comune competente.

CAPITOLO VII
RAPPORTI CON LA DISCIPLINA
DEL COMMERCIO

L’applicazione della normativa in tema di procedimento unico al commercio, stabilita in modo espresso dal comma 1-bis introdotto dal D.P.R. 440/2000 nel testo del Regolamento approvato con il D.P.R. 447/1998, pone – oltre alla questione già trattata nell’ultima parte del paragrafo 1 del capitolo 2 - alcuni problemi di coordinamento della disciplina in oggetto con la nuova regolamentazione – sostanzialmente coeva – sopravvenuta in materia appunto di commercio.

Come è noto, tale regolamentazione è data – a livello statale – dal decreto legislativo 31.3.1998, n. 114; ed è stata sviluppata in Piemonte dalla legge regionale 12.11.1999, n. 28, e quindi da una serie di provvedimenti, da un lato, del Consiglio regionale e, dall’altro, della Giunta regionale:

= la deliberazione del Consiglio Regionale 29.10.1999, n. 563-13414, recante “indirizzi generali e criteri di programmazione urbanistica per l’insediamento del commercio al dettaglio in sede fissa”;

= la deliberazione della Giunta Regionale 1.3.2000, n. 42-29532, che fornisce indicazioni operative nella prima applicazione della nuova normativa;

= la deliberazione della Giunta Regionale 1.3.2000, n. 42-29533, recante disposizioni sulle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita.

(Sul versante del commercio su area pubblica, operano in Piemonte la citata legge reg. n. 28 del 1999 (in particolare, nel Capo V, artt. 10 e 11), nonché le delibere della Giunta Reg. 1.3.2000, n. 42-29532; 2.4.2001, n. 85-2694; 14.5.2001, n. 47-2981).

Non vi è dubbio sul fatto che rientrino nella “competenza” dello sportello unico sia il commercio al dettaglio in sede fissa, sia il commercio all’ingrosso.

Ciò, alle condizioni, nei limiti e nel rispetto dei criteri che sono stati individuati in termini generali nei precedenti capitoli dei presenti indirizzi.

Come è noto, la disciplina normativa di cui dianzi si è detto distingue gli esercizi di vendita (al dettaglio in sede fissa) in tre gruppi: gli esercizi di vicinato; le medie strutture di vendita; le grandi strutture di vendita.

L’applicazione al commercio al dettaglio in sede fissa dei criteri di cui dianzi conduce ad evidenziare in primo luogo la circostanza che non comporta alcun transito attraverso allo sportello unico la semplice comunicazione (dichiarazione di inizio di attività) riguardante gli esercizi di vicinato. Ciò, quando non occorrano altri consensi, pareri, autorizzazioni, concessioni edilizie. Non ci si trova infatti, in tali casi, in presenza di procedimenti che implicano un provvedimento della pubblica amministrazione: l’attività di questa si risolve in un’azione di controllo e non già in un’attività preordinata al rilascio di atti e di titoli abilitativi.

Inoltre, non si tratta di realizzare, ampliare, ecc. impianti, ma semplicemente di “esercitare” l’attività di commercio al dettaglio.

E’ invece attivabile l’intervento dello sportello unico se l’esercizio dell’attività anzidetta comporta ulteriori azioni amministrative che conducano al rilascio (o meno) di consensi, pareri, autorizzazioni di natura diversa.

Le medie strutture di vendita richiedono invece un’autorizzazione espressa della pubblica amministrazione.

Si tratta di procedimenti complessi, la cui semplificazione ed accelerazione – secondo la disciplina del “procedimento unico” – è perseguibile (e va perseguita, secondo il D.P.R. 440/2000) attraverso l’attività dello sportello unico, ove questo sia “operante” anche per tale materia.

Evidenti (addirittura tipiche) necessità di coordinamento di più procedimenti, e dunque di riduzione degli stessi a “procedimento unico”, emergono dalle disposizioni dei commi sesto, settimo ed ottavo dell’art. 26 della legge regionale 56/1977, come sostituiti dalla legge reg. 28/1999.

Occorre peraltro tener presente, con specifico riguardo al dianzi citato comma ottavo, che non può essere chiesto allo sportello unico di approntare strumenti urbanistici; in tema di atti di pianificazione del territorio, la sola “competenza” prevista dal Regolamento D.P.R. 447/1998 e succ. mod. è quella di cui all’art. 5 del Regolamento medesimo, in tema di variante agli strumenti urbanistici vigenti, articolo peraltro interessato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 206/2001 di cui si è detto nel precedente capitolo.

Si segnala ancora la pur ovvia circostanza che alla materia oggetto del presente capitolo si applicano anche i criteri enunciati nelle precedenti parti del presente testo, in tema di formazione dell’atto di assenso: le amministrazioni competenti secondo le norme “di settore”, richieste dallo sportello unico a cui l’operatore si è rivolto, svolgono le attività loro proprie fino agli atti conclusivi delle stesse, che conservano i loro caratteri e perfino il loro “nomen iuris”; tali atti vengono però convogliati alla struttura unica, alla quale compete – anche nella materia commerciale – emettere il provvedimento unico conclusivo, costituente (secondo il D.P.R. 440/2000) il solo titolo abilitativo.



ALLEGATO 1

INDICAZIONI PER IL TESTO DEL PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO DEL PROCEDIMENTO UNICO

Non si intende, nel presente allegato, formulare un testo “regionale” del provvedimento conclusivo del procedimento unico dotato di una qualche imperatività; le funzioni relative allo sportello unico per le attività produttive sono invero, come è noto, attribuite dalla legge ai Comuni, i quali sono chiamati a svolgere le funzioni stesse nell’ambito della loro autonomia e nell’esercizio della loro responsabilità.

L’intento è invece quello di fornire ai Comuni stessi, in chiave collaborativa, un’esemplificazione di possibili modalità applicative dei criteri che – in ordine ai connotati del provvedimento finale – sono stati enunciati negli indirizzi regionali ai quali è allegato il presente testo.

Il provvedimento di che trattasi potrebbe dunque avere il seguente tenore; l’esempio ipotizza un provvedimento positivo.

STRUTTURA UNICA PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE
DI ………………………………………

PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO
DEL PROCEDIMENTO UNICO PROT. n. ………………….
n. ……………. in data ……………….

Premesso

a) che il sig. ……………….., nella sua qualità di legale rappresentante dell’impresa ……………., corrente in ……………….., codice fiscale ……………, in data ……………. ha presentato allo Sportello Unico per le attività produttive di ………….. domanda intesa ad ottenere gli assensi necessari per ………………;

b) che lo Sportello Unico anzidetto fa capo alla Struttura Unica, (eventuale) gestita in forma associata, di ……………..;

c) che la domanda dianzi indicata ha dato luogo all’avvio del procedimento unico semplificato di cui all’art. 4 del Regolamento approvato con D.P.R. 447/1998 e succ. mod. e integrazioni, avvio intervenuto il ……………….;

d) che la domanda medesima riguarda un intervento comportante l’espletamento dei seguenti procedimenti ed il rilascio dei seguenti correlativi atti:

1) ……………

2) ……………

3) ……………

4) …………… ;

e) che la Struttura Unica ha richiesto alle Amministrazioni competenti di compiere le attività amministrative corrispondenti ai procedimenti anzidetti e di pervenire alle conseguenti determinazioni, così compiendo le istruttorie necessarie per la formazione del provvedimento conclusivo del procedimento unico;

f) che le Amministrazioni medesime hanno provveduto al riguardo e sono pervenute alle seguenti determinazioni:

1) …………… (riportarne la denominazione tradizionale e gli elementi di individuazione, ma anche – in sintesi - il contenuto)

2) …………….

3) …………….

4) …………….;

g) che sono state formulate le seguenti prescrizioni (e/o apposte le seguenti condizioni):

1) da parte di ………. (enunciazione esatta o rinvio al

2) da parte di ………. testo emesso dall’Amministrazione

3) da parte di ………. di settore)

4) da parte di ……….;

h) che sussistono le condizioni per l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento unico di cui alle lettere c) e seguenti, nei termini indicati nel dispositivo che segue;

i) visto il d. lgs. 112/1998 e il D.P.R. 447/1998 come modificato dal D.P.R. 440/2000;

il Responsabile della Struttura Unica per le attività produttive di, …………………, dott. ………….., assume il seguente

provvedimento.

1) Sulla scorta dei consensi di cui in premessa, è assentita la realizzazione di …………………………..

………………….

………………….

2) La realizzazione è assentita nel rispetto delle seguenti prescrizioni, costituenti elemento inscindibile dell’assenso:

a) ………………

b) ……………… (enunciazione esatta o rinvio al testo

c) ……………… emesso dall’Amministrazione di settore)

…………………..

…………………..

(oppure/ed anche): La realizzazione medesima è assentita alle seguenti condizioni:

a) ……………….

b) ………………. (id.)

c) ……………….

……………………

……………………

3) Al presente provvedimento sono allegati i seguenti atti:

a) ………………. (allegare i consensi, ecc. – “atti istruttori” – formati e conferiti dalle varie amministrazioni) ………….

b) ………………………….

c) .………………………….

………………………………

………………………………

4) Il presente provvedimento è rilasciato al soggetto richiedente mediante .. (consegna …., oppure: notifica …….) …..; dello stesso è trasmessa copia alle amministrazioni interessate. Copia del provvedimento medesimo è trasmessa altresì all’archivio ………., dando atto che esso è priva di rilevanza contabile.

5) Si certifica che il presente provvedimento è stato pubblicato all’Albo Pretorio del Comune di …………… (nel caso di esercizio dello sportello unico in forma associata, albo del Comune competente per territorio ed albo del Comune sede della Struttura Unica) ……………. in data …………. e che vi rimarrà per quindici giorni consecutivi.

……………, (luogo), ………….. (data).

Il Responsabile
della Struttura Unica
(……………………..)

(eventualmente:)

Il Responsabile

del Procedimento unico

(………………………..)


* * * * * *

Lo schema dianzi riprodotto riguarda un provvedimento positivo.

Si rammenta che, ove il provvedimento sia invece negativo, sussiste l’obbligo di una motivazione particolarmente chiara, comprensibile e completa.


ALLEGATO 2

INDICAZIONI RELATIVE ALLA CONVENZIONE PER LA GESTIONE IN FORMA ASSOCIATA
DELLO SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE

Valgono anche per le presenti indicazioni le premesse svolte in ordine all’allegato 1: non si fornisce una “convenzione tipo regionale” da applicare, ma un insieme di suggerimenti a fini collaborativi.

Ciò, con particolare riferimento ai problemi ed alle preoccupazioni che sono insorti in conseguenza dell’emanazione del D.P.R. 440/2000.

Con tale precisazione, si ipotizza il seguente testo.


CONVENZIONE PER LA GESTIONE
ASSOCIATA DELLO SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE

L’anno ………, il giorno ……… del mese di …………, in ………… (località) ………., nel palazzo ……., sono intervenuti i sigg.:

1) ……………. (nominativo e dati) ……., nella qualità di Sindaco del Comune di ………., in nome, per conto e nell’interesse del quale agisce:

2) ……………..

3) ……………..

………………….

………………….

premesso

che il d. lgs. n. 112/98, articoli 23-26, attribuisce ai Comuni le funzioni amministrative inerenti ai procedimenti che riguardano gli impianti produttivi di beni e servizi, definendone i principi di carattere organizzativo e procedimentale e che l’articolo 24 del citato decreto consente l’esercizio di tali funzioni anche in forma associata;

che con D.P.R. n. 447/98 modificato dal D.P.R. 440/2000, è stato approvato il Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi per l’esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della L. 59/97;

che l’esercizio in forma associata di funzioni amministrative assicura una migliore qualità del servizio, una gestione uniforme sull’intero territorio interessato ed un contenimento dei costi relativi;

che ai fini dello svolgimento in forma associata di funzioni e servizi è necessario procedere alla stipula di apposita convenzione;

che i seguenti Comuni hanno espresso la volontà di stipulare la presente convenzione con le deliberazioni consiliari di seguito indicate, tutte esecutive ai sensi di legge

(elenco dei Comuni convenzionanti, con eventuali dati utili - quale il numero degli abitanti, ad esempio -, elenco delle correlative delibere, ecc.; quant’altro si ritiene opportuno)

Tutto ciò premesso, tra gli enti intervenuti, come sopra rappresentati,

si conviene

quanto segue.

Art. 1 – Oggetto –

1. La presente convenzione ha per oggetto la gestione in forma associata dello Sportello Unico per le attività produttive.

Art. 2 – Finalità –

1. La gestione associata dello Sportello Unico per le attività produttive costituisce lo strumento mediante il quale gli enti convenzionati assicurano l’unicità di conduzione e la semplificazione di tutte le procedure inerenti gli impianti produttivi di beni e servizi, nonché il necessario impulso per lo sviluppo economico dell’intero territorio.

2. L’organizzazione del servizio associato deve tendere in ogni caso a garantire economicità, efficienza, efficacia e rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa, secondo principi di professionalità e responsabilità.

Art. 3 – Principi –

1. L’organizzazione in forma associata dev’essere improntata ai seguenti principi:

• rispetto delle competenze di ciascun Comune partecipante;

• massima attenzione alle esigenze dell’utenza;

• preciso rispetto dei termini e anticipazione degli stessi, ove possibile;

• rapida risoluzione di contrasti e difficoltà interpretative;

• divieto di aggravamento del procedimento e perseguimento costante della semplificazione del medesimo, con eliminazione di tutti gli adempimenti non strettamente necessari;

• unificazione della modulistica e delle procedure;

• costante innovazione tecnologica, tesa alla semplificazione dei procedimenti e dei collegamenti con l’utenza ed al miglioramento dell’attività di programmazione.

Art. 4 – Durata –

1. La durata iniziale della convenzione è stabilita in anni tre, decorrenti dalla data di stipula della presente atto.

2. La convenzione può essere rinnovata, mediante consenso espresso, con delibera degli enti aderenti.

Art. 5 – Funzioni –

1. La gestione associata assicura, con le modalità indicate nei successivi articoli, l’esercizio delle funzioni di carattere:

• amministrativo: per la gestione del procedimento unico;

• informativo: per l’assistenza e l’orientamento alle imprese ed all’utenza in genere;

• promozionale: per la diffusione e la migliore conoscenza delle opportunità e potenzialità esistenti per lo sviluppo economico del territorio.

2. In particolare, le funzioni di carattere amministrativo comprendono, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 447/1998 e succ. mod., le procedure di autorizzazione per impianti produttivi di beni e servizi concernenti:

a) la localizzazione;

b) la realizzazione;

c) la ristrutturazione;

d) l’ampliamento;

e) la cessazione;

f) la riattivazione;

g) la riconversione;

h) l’esecuzione di opere interne;

i) la rilocalizzazione.

Art. 6 – Organizzazione del servizio –

1. Le funzioni amministrative di cui all’articolo precedente, sono coordinate dalla Struttura Unica ed esercitata da questa e dai referenti dello Sportello Unico dei Comuni associati competenti per territorio con uniformità di procedure; i rapporti con le altre amministrazioni sono curati unitariamente dalla Struttura Unica.

2. Le funzioni informative di cui all’articolo precedente sono coordinate dalla Struttura Unica ……….

3. Le funzioni promozionali di cui all’articolo precedente sono esercitate da ……………

Art. 7 – Responsabili –

1. Responsabile della Struttura Unica è il Dirigente ………. (oppure: il Responsabile del Servizio ………..) ……….

2. Al Responsabile della Struttura Unica compete l’adozione dei provvedimenti conclusivi dei provvedimenti unici, nonché gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, ivi compresi autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, con annessa responsabilità, in via esclusiva, per il conseguimento dei risultati, nell’ambito dei programmi definiti dagli organi politici.

3. Al Responsabile della Struttura Unica compete la responsabilità dell’intero procedimento per il rilascio delle autorizzazioni concernenti gli interventi di cui all’articolo 5, 2 comma. Egli sottoscrive e rilascia i provvedimenti conclusivi dei procedimenti unici. Ferma rimanendo tale responsabilità, egli può individuare altri addetti alla struttura quali responsabili di procedimento, continuando peraltro ad esercitare una diretta attività di sovrintendenza e di coordinamento.

4. La Struttura Unica esercita altresì il coordinamento, limitatamente alle attività disciplinate dalla presente convenzione, nei confronti delle altre strutture dell’ente cointeressate a dette attività.

5. Il Responsabile della Struttura Unica ed i responsabili dei procedimenti unici hanno diritto di accesso agli atti ed ai documenti delle strutture degli enti associati, utili per l’esercizio delle proprie funzioni.

6. L’incarico di Responsabile della Struttura è conferito …………; il provvedimento deve indicare l’incaricato per la sostituzione del Responsabile in caso di impedimento, ivi comprese situazioni di incompatibilità od assenza.

7. Ciascuno del Comuni associati trasmette alla Struttura Unica il provvedimento di nomina del referente incaricato, del sostituto, e di altri eventuali responsabili dei procedimenti.

(possono – se lo si ritiene utile – seguire articoli sui seguenti temi:

Art. 9 – Consulta dei Sindaci –

Art. 10 – Conferenza di referenti –

Art. 11 – Formazione e aggiornamento –

Art. 12 – Dotazioni tecnologiche –

Art. 13 – Accesso all’archivio informatico –

La convenzione può quindi proseguire con i seguenti articoli:

Art. 14 – Procedimento –

1. La domanda dell’interessato è – di norma – depositata presso lo Sportello Unico del Comune competente per territorio.

2. Ove l’interessato depositi la domanda presso lo Sportello del Comune di ………….., sede della Struttura Unica, questo ne dà immediata notizia allo Sportello unico del Comune competente per territorio e verifica con il medesimo l’opportunità di rimettergli senza ritardo la domanda stessa.

3. Lo Sportello Unico del Comune competente per territorio svolge immediatamente le istruttorie e le attività per le quali ha competenza e che possono essere condotte in breve tempo (ad es.: verifica della compatibilità con il PRG o con altri piani, programmi, ecc.), riserva lo svolgimento delle altre attività di sua competenza e trasmette la domanda, entro ……….. giorni dalla ricezione, alla Struttura Unica.

4. La Struttura Unica provvede al compimento delle attività di cui al D.P.R. 447/1998 e succ. mod., avvalendosi delle amministrazioni competenti per ciascuno dei consensi necessari al fine di pervenire al provvedimento finale, senza compiere atti di adozione diretta nelle materie di competenza dei Comuni convenzionati e considerando vincolanti le determinazioni come dianzi assunte dai Comuni convenzionati nelle materie di loro competenza.

Art. 15 – Informazione –

1. Gli Sportelli Unici esercitano servizi di informazione, rivolti in particolare alle realtà imprenditoriali, relativi a finanziamenti e agevolazioni finanziarie e tributarie, a livello comunitario, nazionale, regionale o locale.

Art. 16 – Promozione –

1. Gli Sportelli Unici assumono, previo concerto fra i Comuni convenzionati, le iniziative volte a diffondere la conoscenza del territorio e delle potenzialità economico-produttive offerte dallo stesso.

Art. 17 – Tariffe –

1. I servizi resi dagli Sportelli Unici sono soggetti al pagamento di spese o diritti determinati, in modo uniforme per tutti gli enti associati, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative.

Art. 18 – Impegni degli enti associati –

1. Gli enti associati si impegnano ad organizzare la propria struttura interna secondo quanto occorre per l’attuazione della presente convenzione, al fine di assicurare l’operatività della Struttura ed alle caratteristiche organizzative e funzionali degli Sportelli Unici.

2. Gli enti si impegnano altresì a stanziare nei rispettivi bilanci di previsione le somme necessarie a far fronte agli oneri assunti con la sottoscrizione del presente atto, nonché ad assicurare la massima collaborazione nella gestione del servizio associato.

Art. 19 – Rapporti finanziari –

1. La partecipazione finanziaria di ciascun Comune alla gestione associata è determinata in misura annua pari a ……… per abitante, con riferimento alla popolazione residente al 31 dicembre dell’anno precedente.

2. Le quote relative sono corrisposte alla Struttura Unica, e quindi al Comune ove essa ha sede, in due rate annue di pari importo, entro il 31 gennaio ed il 31 luglio di ciascun anno.

3. Per ogni istanza conclusa con un’autorizzazione è previsto il pagamento …………

4. Eventuali spese straordinarie saranno ripartite proporzionalmente con riferimento alla popolazione residente al 31 dicembre dell’anno precedente.

5. Il Responsabile della Struttura Unica redige apposito rendiconto delle spese sostenute per la gestione associata, al termine di ciascun esercizio finanziario, e lo trasmette agli enti associati entro il 31 gennaio dell’anno successivo.

6. Sono a carico di ciascun ente associato le spese relative all’esercizio delle funzioni da parte dei singoli referenti.

Art. 20 – Recesso –

1. Ciascuno degli enti associati può esercitare, dopo tre anni, il diritto di recesso unilaterale, mediante l’adozione di apposita deliberazione consiliare e formale comunicazione agli altri enti aderenti a mezzo di lettera raccomandata a.r., da trasmettere almeno sei mesi prima del termine dell’anno solare.

2. Il recesso è efficace dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello della comunicazione di cui al comma precedente; restano a carico dell’ente le spese maturate fino alla data di efficacia del recesso.

3. Il recesso può essere esercitato in qualsiasi momento, con effetto dal primo giorno del mese successivo, in caso di mancata ottemperanza alle disposizioni della presente convenzione da parte della Struttura Unica o di altri Comuni.

Art. 21 – Scioglimento della convenzione –

1. La convenzione cessa, prima della naturale scadenza, nel caso in cui venga espressa da parte degli enti aderenti, con deliberazione consiliare, la volontà di procedere al suo scioglimento che decorre, in tal caso, dal 1° gennaio dell’anno successivo.


ALLEGATO 3

INDICAZIONI RELATIVE ALLA DELIBERAZIONE DI RICONOSCIMENTO DELL’OPERATIVITA’
DELLO SPORTELLO UNICO

Anche in ordine alla bozza che segue valgono le premesse svolte relativamente all’allegato 1: non viene qui di seguito fornito un testo vincolante, ma un semplice suggerimento tratto dall’esperienza comunale.


COMUNE DI ……………….

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE
n. ………… del …………..

Premesso che presso il Comune di …………… è stato istituito lo sportello unico per le attività produttive, mediante …………

Richiamata la delibera della Giunta Comunale n. ………. in data …………., con la quale è stata approvata l’istituzione dello sportello medesimo e l’attuazione dello stesso con la concreta realizzazione di idonea struttura dedicata e la nomina del responsabile così come previsto dal 4 comma dell’art. 3 del D.P.R. 447/98.

Preso altresì atto che, in data 24.2.2001, è entrato in vigore il D.P.R. 7.12.2000, n. 440, regolamento modificativo ed integrativo del D.P.R. 447 del 20.10.1998, in tema appunto di sportello unico per le imprese.

Rilevato che la normativa anzidetta ricollega all’operatività dello sportello concrete conseguenze relative ai procedimenti di cui all’art. 1 del D.P.R. 447/98, in quanto il comma 2-bis dell’art. 4 del Regolamento D.P.R. 447/98 viene a stabilire quanto segue:

“Ove sia già operante lo sportello unico le domande devono essere presentate esclusivamente alla struttura. Le altre amministrazioni pubbliche coinvolte nel procedimento non possono rilasciare al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati. Tali atti, qualora eventualmente rilasciati, operano esclusivamente all’interno del procedimento unico. In ogni caso le amministrazioni hanno l’obbligo di trasmettere, senza ritardo e comunque entro cinque giorni, eventuali domande ad esse presentate relative a procedimenti disciplinati dal presente regolamento, alla struttura responsabile del procedimento, allegando gli atti istruttori eventualmente già compiuti e dandone comunicazione al richiedente.”

Ritenuto pertanto che si debba formalmente dichiarare, e quindi adeguatamente pubblicizzare, l’operatività o meno dello sportello unico in questione.

Considerato che, nel caso di questo Comune, è intervenuta, oltre alla deliberazione di istituzione e di nomina del responsabile di cui già si è detto, anche ………….

(eventualmente: Rilevato peraltro che …………. (considerazioni relative all’operatività solo per alcuni settori) …………)

Visto il parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D. Lgs 267 del 18.8.2000, sotto i profilo della regolarità tecnica, dal Dirigente del settore interessato.

Dato atto che la presente deliberazione non necessita di copertura finanziaria.

Ritenuto che il presente atto rientri nelle competenze attribuite alla Giunta comunale dal d. lgs. n. 267 del 18.8.2000

LA GIUNTA COMUNALE,

con voti ……………….

DELIBERA

1) di riconoscere come “operante” lo sportello unico del Comune di …….. relativamente ai procedimenti che riguardano gli impianti di produzione di beni e servizi ………………..;

2) (di rinviare, a successivo provvedimento il riconoscimento dell’estensione dell’operatività dello Sportello Unico ai procedimenti …………….., estensione che interverrà ………..;)

3) di demandare al Dirigente …………….. il compito di comunicare la presente decisione alle Amministrazioni pubbliche prevedibilmente coinvolte nei procedimenti unici di cui al D.P.R. 447/98, e di effettuare tutte le forme di pubblicità ritenute opportune;

4) di trasmettere copia del presente atto a …………………