Bollettino Ufficiale n. 37 del 13 / 09 / 2000
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T.A.R. Piemonte
Ordinanza emessa il 10 maggio 2000 al T.A.R. per il Piemonte sul ricorso
proposto da un privato c/Azienda U.S.L. n. 8 ed altra
Il Tribunale Amministrativo Regionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
sul ricorso n. 888 del 1997 proposto da un privato, rappresentato e difeso
dallavv. Sebastiano Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliato
in Torino, via Magenta n. 36;
contro
LAzienda regionale U.S.L. n. 8, in persona del Direttore generale p.t.,
rappresentata e difesa dallavv. Mario Vecchione e presso il medesimo elettivamente
domiciliata in Torino, corso Vinzaglio n. 4;
e nei confronti
della Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta regionale
p.t., rappresentata e difesa dallavv. Giulietta Magliona ed elettivamente
domiciliata in Torino, piazza Castello n. 165;
per lannullamento
- previa sospensione - dellatto prot. n. 1183/DP/Vt del 7 aprile 1997,
con il quale il Servizio Veterinario dellAzienda regionale USL 8 di Chieri
ha intimato al ricorrente di chiudere la struttura ambulatoriale di cui
lo stesso è titolare;
di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quello
impugnato con il presente ricorso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto latto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte e dellAzienda
regionale USL 8;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi alla Camera di Consiglio del 10 maggio 2000 lavv. Zuccarello per
il ricorrente, lavv. Magliona per la Regione Piemonte e lavv. Vecchione
per lAzienda regionale USL 8.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
fatto
Con atto prot. n. 66/DP in data 4 aprile 1997 lAzienda regionale U.S.L.
n. 8 di Chieri richiedeva ai medici veterinari dipendenti di segnalare
i programmi e tempi di massima del proprio impegno professionale (art.
1, comma 2, L.R. 4/97) nonché lopzione di massima circa lambito (intra
o extra murario) entro cui si intende operare, con riferimento anche alle
tipologie professionali individuate nella L.R 4/97 (animali daffezione,
da reddito, cavallo sportivo)". Lacquisizione di queste informazioni era
diretta tra laltro, allaccertamento di eventuali situazioni di incompatibilità,
a proposito delle quali si precisava essere necessario adeguarsi alle disposizioni
della legge reg. n. 4/97 entro il 31 maggio 1997.
Indi con atto prot. n. 1183/DP/Vt in data 7 aprile 1997 il Servizio veterinario
della medesima azienda, rilevato che il ricorrente risultava ancora titolare
di struttura ambulatoriale ubicata nel Comune di Castelnuovo Don Bosco,
lo invitava a regolarizzare la propria posizione, entro il successivo 18
aprile, in conformità al disposto dellart. 2 della legge reg. n. 4/97,
che vieta lattività professionale nellambito territoriale dellazienda
sanitaria di appartenenza e preclude al veterinario la titolarità di studio
privato.
Avverso tale provvedimento ha proposto impugnativa linteressato, deducendo:
I - Questione di legittimità costituzionale.
Il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt.
1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4 per i seguenti
motivi:
1) Contrasto della disposizione contenuta nellart. 2, comma 1, della legge
reg. n. 4/97 con lart. 120, comma 3, della Costituzione.
La normativa regionale, nel disciplinare lattività libero-professionale
dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, ha posto il
divieto di svolgimento di tale attività nellambito territoriale dellazienda
sanitaria di appartenenza. Tuttavia, trattandosi di limitazione che non
appare immediatamente riconducibile allesigenza di evitare la riunione
nella medesima persona delle figure del controllore e del controllato,
e quindi allobiettivo di scongiurare situazioni di conflitto derivanti
dallesercizio delle funzioni pubbliche affidate ai veterinari, il criterio
territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dellavviso espresso in
proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. I, 20 ottobre
1993 n. 985), circa la necessità che il sistema delle compatibilità si
fondi sulla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli
per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, a prescindere
da un generico riferimento allambito territoriale. Pertanto il divieto
imposto dalla legge regionale risulta arbitrario e si pone in netto contrasto
con il precetto di cui allart. 120, comma 3, della Costituzione, a norma
del quale la Regione non può porre limiti di carattere territoriale al
diritto dei cittadini di esercitare la loro attività professionale o di
impiego.
2) Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge reg. n.
4/97 con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione.
Il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge reg.
n. 4/97 esclude in concreto leffettiva possibilità di esercizio della
libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio
sanitario nazionale, cosi violando le norme di cui agli artt. 4 e 35 della
Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro nelle sue varie. modalità
concrete di esplicazione. Né i limiti introdotti appaiono giustificati
dallesigenza di evitare pregiudizi allinteresse pubblico. Si consideri,
infatti, che il divieto di essere titolare dì struttura ambulatoriale privata
e di esservi legato da rapporto di lavoro subordinato, relativamente allattività
sugli animali daffezione (v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto
di svolgimento di tale attività, attesa la necessità che la stessa si svolga
presso un ambulatorio; senza che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare
tale preclusione, posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende
sanitarie sono diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative
agli animali da reddito, sicché alcun pregiudizio può ipotizzarsi per
il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento di unattività professionale
che riguardi gli animali daffezione. Peraltro anche gli artt. 3 e 4
della normativa regionale, disciplinando la libera professione per gli
animali da reddito e per il cavallo sportivo, hanno leffetto di sacrificare
ingiustificatamente il diritto costituzionale allesercizio dellattività
libero-professionale, ove si consideri che la stessa è consentita solo
se si verifica una permanente o temporanea carenza di veterinari liberoprofessionisti
(art. 3, comma 1), e quindi è subordinata a circostanze che non attengono
allesigenza di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico,
quanto piuttosto a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla
tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti.
3) Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4 della
legge reg. n. 4/97 con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n.
4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Violazione
dellart. 117, comma 1, della Costituzione.
La normativa regionale è in contrasto con le disposizioni statali in materia,
ed in particolare con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n.
4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Detta disciplina
affida al legislatore regionale ladozione di norme attuative, presupponendo
che non venga escluso in concreto lesercizio dellattività libero-professionale,
ma regolamentata la stessa in funzione della salvaguardia degli interessi
e pubblici. Ne consegue che avendo la legge regionale piemontese introdotto
limitazioni tali da precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati
rispettati i limiti fissati dai principi fondamentali ricavabili dalle
leggi statali, e quindi si ravvisa lulteriore contrasto con lart. 117,
comma 1, della Costituzione.
4) Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/97 con lart.
3, comma 1 e 2, della Costituzione. Disparità di trattamento.
La normativa regionale viola anche lart. 3 della Costituzione. Infatti,
lintroduzione di limitazioni sostanziali allesercizio dellattività professionale
dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nellambito
della Regione Piemonte ha determinato una evidente disparità di trattamento
tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonché tra veterinari
pubblici e veterinari liberi professionisti, e ancora fra veterinari in
servizio presso le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni.
La violazione del principio di uguaglianza emerge dalla considerazione
dellinutilità ed arbitrarietà dei divieti contenuti nella legge regionale,
i quali non sono idonei a salvaguardare linteresse pubblico, favorendo
esclusivamente i veterinari liberi professionisti, rispetto ai quali i
colleghi del servizio sanitario nazionale, in modo del tutto immotivato,
si trovano in posizione deteriore.
II - Merito.
1) Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimità derivata.
Gli indicati profili di illegittimità costituzionale viziano in via derivata
latto impugnato. La violazione delle norme e dei principi costituzionali
comporta altresì linvalidità del provvedimento per eccesso di potere,
sotto il profilo dellingiustizia manifesta e della disparità di trattamento.
Inoltre lapplicazione di una le e che favorisce in modo del tutto ingiustificato
i veterinari liberi professionisti potrebbe altresì determinare il vizio
di eccesso di potere per sviamento della causa.
2) Eccesso di potere; illogicità e contraddittorietà del comportamento
dellAmministrazione; violazione della prassi amministrativa.
Latto impugnato è altresì viziato da eccesso di potere sotto ulteriori
profili. Infatti lintimazione di chiusura dellambulatorio risulta adottata
prima ancora che si fosse completata la fase istruttoria avviata dalla
stessa Amministrazione con la richiesta di informazioni circa la posizione
del personale veterinario, sicché il provvedimento è stato assunto in violazione
della procedura individuata dallAzienda, pregiudicando il buon andamento
e limparzialità dellazione amministrativa. Inoltre il termine fissato
per la chiusura dellambulatorio (18 aprile 1997) risulta illogicamente
e contraddittoriamente anticipato rispetto sia al termine per linvio delle
informazioni sollecitate a tutto il personale veterinario (30 aprile 1997)
sia al termine per uniformarsi alla normativa di cui alla legge reg. n.
4/97 (31 maggio 1997).
3) Violazione di legge; violazione dellart. 7 della legge n. 241/90; violazione
del principio di partecipazione collaborativa dellamministrato al procedimento.
Laver intimato al ricorrente di chiudere immediatamente lambulatorio
privato, senza attendere il completamento della fase istruttoria (ovvero
lacquisizione dei dati relativi alla posizione dei vari medici veterinari
dipendenti dallazienda), ha determinato altresì limpossibilità per linteressato
di partecipare al procedimento, in violazione dellart. 7 della legge n.
241 del 1990. Considerato che la richiesta di informazioni agli interessati
si poneva come comunicazione dellavvio del procedimento, si doveva poi
consentire a tutti, e quindi anche al ricorrente, di far valere le proprie
ragioni nel corso delliter procedurale, astenendosi dalladottare prematuri
atti lesivi.
Il ricorrente conclude dunque per lannullamento dellatto impugnato, previa
rimessione degli atti alla Corte costituzionale, che invoca venga disposta
già nella Camera di Consiglio fissata per lesame dellistanza cautelare.
Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al gravame.
Con memoria del 13 maggio 1997 si è evidenziata linfondatezza della dedotta
questione di legittimità costituzionale della normativa regionale. Il legislatore
regionale sì sarebbe limitato a stabilire le modalità di esercizio della
libera professione da parte dei veterinari pubblici, in conformità ai principi
stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio allesigenza
di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici funzioni affidate
al personale veterinario del servizio sanitario nazionale, nellambito
di unattività rivolta a tutelare attraverso le profilassi pianificate
e il controllo degli alimenti. di origine animale la salute umana e leconomia
dellintero comparto agrozootecnico.
Si è costituita in giudizio anche lAzienda regionale USL 8, opponendosi
allaccoglimento del ricorso in quanto infondato.
Con ordinanza n. 518 in data 16 giugno 1997 questa Sezione ha dichiarato
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dellart. 2 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, e ne ha deferito
il sindacato alla Corte costituzionale; contestualmente ha sospeso lefficacia
dellatto impugnato fino alla Camera di Consiglio immediatamente successiva
alla comunicazione dellesito del giudizio di costituzionalità, in vista
dellulteriore corso del processo cautelare.
Con ordinanza n. 231, depositata in cancelleria il 19 giugno 1998, la Corte
costituzionale ha disposto la restituzione degli atti a questo Tribunale,
invitandolo ad effettuare un nuovo esame della rilevanza della questione
di costituzionalità alla luce delle norme sopravvenute in materia.
Con memoria del 14 luglio 1998 il ricorrente ha insistito sulla perdurante
sussistenza dei presupposti per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale,
tenuto anche conto relativamente allo ius superveniens (art. 124, comma
1, lett. a, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) del difetto di potere legislativo
della Regione Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
Con ordinanza n. 537 in data 25 luglio 1998 questa Sezione ha nuovamente
deferito la questione alla Corte costituzionale, con contestuale sospensione
dellefficacia dellatto impugnato.
Successivamente, in relazione ad un mutato quadro normativo, la Corte costituzionale
ha ancora una volta disposto la restituzione degli atti al giudice a quo,
al fine di vedere accertata la perdurante rilevanza della questione (v.
ord. n. 84/2000).
Con memorie in data 4 e 8 maggio 2000 le parti hanno insistito sulle rispettive
posizioni.
Alla Camera di Consiglio del 10 maggio 2000, ascoltati i rappresentanti
delle parti, il Collegio si è riservata la decisione sullistanza cautelare
del ricorrente.
Diritto
In servizio presso lAzienda regionale USL n. 8 in qualità di medico veterinario,
il ricorrente impugna la nota con cui lAmministrazione, rilevatane la
titolarità di un ambulatorio privato nellambito del territorio di competenza
della medesima azienda, lo ha invitato a far venir meno tale situazione
entro il 18 aprile 1997. Assume lillegittimità costituzionale della legge
Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione della quale è stato
adottato il provvedimento, giacché la sopraggiunta disciplina regionale
avrebbe introdotto tali e tante limitazioni allattività professionale
dei veterinari titolari di rapporto di pubblico impiego da precluderne
in concreto lesercizio, in violazione degli artt. 3, 4, 35, 117 e 120
della Costituzione. Nellattuale regime giuridico ogni preclusione alla
libera professione del personale veterinario dipendente pubblico dovrebbe
trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela dellinteresse alla
massima funzionalità operativa del servizio sanitario nazionale, sicché
ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita compressione del diritto
al lavoro e del diritto alluguaglianza di trattamento rispetto al restante
personale medico e al personale veterinario di altre regioni, nonché ancora
una non consentita riduzione dellambito territoriale in cui svolgere lattività
professionale (atteso il divieto in tal senso posto al legislatore regionale)
e, comunque, lesorbitanza della disciplina regionale dai limiti fissati
dalla normativa di principio. In ogni caso il provvedimento impugnato sarebbe
stato assunto prima del completamento della fase istruttoria e senza alcun
raccordo con i termini fissati in via generale per uniformarsi alla nuova
disciplina; né sarebbe stata consentita allinteressato la partecipazione
al procedimento, ai sensi dellart. 7 e segg. della legge n. 241 del 1990.
Contesta la Regione Piemonte la fondatezza dellassunto del ricorrente,
poiché le introdotte limitazioni allo svolgimento della libera professione
da parte del personale veterinario troverebbero tutte fondamento nella
necessità di scongiurare linsorgenza di conflitti di interessi legati
al contestuale esercizio di funzioni istituzionali e di attività professionale.
Occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in cui si inserisce
la questione dedotta.
Nellambito della disciplina di riforma sanitaria lart. 47 della legge
n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per lemanazione di norme idonee
a garantire con criteri uniformi il diritto allesercizio della libera
attività professionale per i medici e veterinari dipendenti delle unità
sanitarie locali ___ Con legge regionale sono stabiliti le modalità e i
limiti per lesercizio di tale attività (comma 3, n. 4). Successivamente,
in attuazione della delega conferita, si stabiliva che il personale veterinario
ha la facoltà di esercitare lattività libero-professionale, fuori dei
servizi e delle strutture dellunità sanitaria locale, purché tale attività
non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto
con gli interessi ed i fini istituzionali dellunità sanitaria locale stessa,
né incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalità e limiti previsti
dalla legge regionale (art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 761 del 1979).
Indi lart. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, sancito il principio
per cui con il servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico
rapporto di lavoro, ha disposto che lesercizio dellattività libero-professionale
dei medici dipendenti del servizio sanitario nazionale è compatibile col
rapporto unico dimpiego, purché espletato fuori dellorario di lavoro
allinterno delle strutture sanitarie o allesterno delle stesse, con esclusione
di strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale.
Da ultimo la Regione Piemonte ha inteso provvedere alla regolamentazione
dellesercizio dellattività libero-professionale dei medici veterinari
dipendenti dal servizio sanitario nazionale (legge reg. 3 gennaio 1997,
n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di esplicare tale attività
al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dellorario di servizio,
al di fuori del plus orario, al di fuori del lavoro straordinario (art.
1, comma 1), ma subordinatamente alladempimento dellobbligo di segnalare
al direttore generale dellazienda sanitaria regionale (ASR) di appartenenza
programmi e tempi di massima del proprio impegno perché lente possa accertare
e valutare lassenza di condizioni di incompatibilità (art. 1, comma 2);
incompatibilità che, relativamente agli animali daffezione, riguardano
lattività professionale esercitata nel territorio di pertinenza della
ASR presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di
pubblico dipendente (art. 2, comma 1), con contestuale divieto di essere
titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2, comma 2), e che,
relativamente agli animali da reddito comportano il generale divieto
(di svolgimento dellattività professionale, salvo che non si verifichi
una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti
(art. 3, comma 1), e comunque nel rispetto di determinati programmi operativi
e subordinatamente ad una verifica di competenza del servizio veterinario
regionale (art. 3, comma 2 e 3).
La normativa statale richiamata si iscrive in quellindirizzo costantemente
favorevole allesercizio di attività professionali al di fuori dellordinario
rapporto di lavoro, che in deroga alla disciplina generale del rapporto
di pubblico impiego, caratterizzata dal principio di esclusività - è stato
da sempre lelemento peculiare dello status del medico dipendente dal servizio
sanitario pubblico. Alla base vi è la convinzione dellinfluenza positiva
che al pubblico dipendente può derivare dalla pratica professionale, posto
che lespletamento di attività esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne
le capacità operative, sì da giustificare il regime differenziato riservato
dal legislatore a talune categorie di personale abilitato a svolgere anche
la libera professione (v. Corte cost. 23 dicembre 1986 n. 284, relativamente
al personale docente della scuola); per il personale medico, in particolare,
trattandosi di valorizzarne la professionalità, si persegue al contempo
un interesse della stessa struttura sanitaria pubblica. Lesercizio dellattività
professionale non può però incidere negativamente sullosservanza del complesso
dei doveri facenti capo al pubblico dipendente, ovvero non può trasformarsi
in un fattore di pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti dufficio.
In tal senso assumono rilievo i limiti posti dallesaminata normativa,
ovvero il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i fini
istituzionali dellAmministrazione sanitaria.
Ciò posto, deduce il ricorrente che lintervenuta disciplina regionale
si caratterizza per una indebita restrizione delle possibilità di esercizio
dellattività libero-professionale da parte dei veterinari addetti al servizio
sanitario nazionale, in contrasto con varie norme costituzionali.
La questione è rilevante e non manifestamente infondata, nei limiti che
si indicheranno.
La rilevanza ai fini del presente giudizio consegue alla circostanza che
il provvedimento impugnato è stato adottato in diretta applicazione della
normativa regionale sospettata di incostituzionalità, sicché leventuale
espunzione dallordinamento della predetta normativa comporterebbe laccoglimento
del ricorso e la caducazione dellatto lesivo. Tuttavia, poiché il provvedimento
concerne in particolare il divieto di svolgere attività professionale nellambito
del territorio dellazienda sanitaria di appartenenza, con connessa impossibilità
di essere titolare di struttura ambulatoriale privata (di qui lintimazione
a rimuovere tale causa di incompatibilità), la controversia appare circoscritta
allipotesi di cui allart. 2 della legge reg. n. 4/97, ovvero ai vincoli
inerenti lattività professionale per gli animali daffezione. Pertanto
la rilevanza della questione di costituzionalità va limitata a tale disposizione
della normativa regionale, lunica che incide sullesito del presente giudizio.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione dedotta, rileva
il Collegio, in linea con lorientamento espresso dal Consiglio di Stato
in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985/93), che la regolamentazione
dellattività libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio
sanitario nazionale implica lindividuazione di specifiche situazioni
idonee a determinare un grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario
pubblico, vietando ai medici veterinari quei comportamenti idonei a realizzarli.
Non operando nel settore il principio generale secondo cui è interdetta
qualsiasi attività professionale estranea al rapporto di lavoro (giacché
suscettibile di dar luogo ad interessi conflittuali con quelli inerenti
la posizione di pubblico dipendente), ogni deroga alla regola che consente
la libera professione medica deve trovare fondamento in ragioni direttamente
connesse alla primaria esigenza di garantire un efficiente servizio assistenziale
pubblico, ovvero deve tendere ad evitare che sia negativamente condizionato
lassolvimento dei doveri dufficio, senza tuttavia porre limiti ulteriori,
e soprattutto senza tradursi in un sostanziale annullamento delle effettive
possibilità di esercizio di tali attività aggiuntive, attraverso ladozione
di misure che in concreto vanifichino il diritto astrattamente riconosciuto.
In quanto voluto espressamente dallordinamento come uno dei contenuti
del rapporto di impiego del personale medico, il diritto allesercizio
della libera professione è riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente
protetto (artt. 4 e 35 Cost.), sicché ogni limitazione a tale facoltà si
giustifica solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti (v.
Corte cost. 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
Ne consegue che limpossibilità di svolgere attività professionale per
gli animali daffezione nel territorio dellazienda sanitaria di pertinenza,
con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata
(art. 2 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave
affievolimento delle facoltà professionali del veterinario senza raccordarsi
funzionalmente a specifiche esigenze della struttura sanitaria pubblica.
La titolarità di funzioni inerenti al servizio sanitario nazionale non
può evidentemente dar luogo ad un generalizzato divieto di esercizio di
attività private, benché limitato ad un determinato ambito territoriale,
in quanto si viene in tal modo a contraddire il principio che ammette alla
libera professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito
che i vincoli devono essere dimensionati in relazione al tipo di attività
svolte nellambito della struttura pubblica, e non anche in riferimento
al luogo in cui opera il veterinario. Il criterio territoriale non soddisfa
di per sé le esigenze che sono alla base della necessità di disciplina
dellattività professionale del personale medico, giacché ne vanifica di
fatto il diritto senza razionalmente ricondursi allobiettivo di assicurare
lottimale funzionalità del servizio sanitario pubblico. Nellattuale ordinamento
prevale il criterio sostanzialistico della potenziale situazione di conflitto,
e quindi occorre procedere alla individuazione in concreto delle situazioni
pregiudizievoli per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale,
che va considerato nella sua globalità e non nellambito delle singole
strutture in cui si articola (v. Cons. Stato, Sez. 1, n. 985/93 cit.).
Né è decisivo il richiamo alle varie competenze in materia di controllo
e vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie,
che indurrebbero i medici veterinari ad essere controllori di stessi, posto
che una volta ammesso lesercizio della libera professione non se ne può
poi escludere in toto lammissibilità, ma occorre piuttosto individuare
le misure utili ad evitare la sovrapposizione di ruoli nella medesima persona,
tenendo conto delle mansioni effettivamente assolte e dei settori operativi
cui si è assegnati, ed in tale ottica trame le conseguenze in ordine alle
modalità e ai limiti di esercizio dellattività professionale.
In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in relazione
agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacché lart. 2 della legge Reg.
Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4 risulta ingiustificatamente preclusivo delle
concrete possibilità di esercizio della libera professione da parte dei
veterinari dipendenti pubblici, e quindi lesivo del diritto al lavoro costituzionalmente
protetto.
Per quanto concerne poi lasserito contrasto con lart. 3 della Costituzione,
nega il Collegio che possa ipotizzarsi una disparità di trattamento con
i medici dipendenti pubblici da una parte e con i veterinari libero-professionisti
dallaltra, attesa levidente diversità delle situazioni poste a raffronto;
quanto, invece, alla ipotizzata disparità di trattamento con il personale
veterinario di altre regioni, è da escludersi che altre normative regionali
(o anche lassenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento per
desumere uneventuale violazione del principio di uguaglianza. Per contro,
si deve dichiarare dufficio la non manifesta infondatezza della questione,
in relazione allart. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza
di una normativa regionale che prima ammette i veterinari allesercizio
dellattività libero-professionale (v. art. 1, comma 1) e poi ne restringe
contraddittoriamente le possibilità di esplicazione del diritto fino a
vanificarlo.
Lassenza di una s giustificativa legata alla tutela della funzionalità
operativa del servizio sanitario pubblico induce a ritenere non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità anche in riferimento allart.
120, comma 3, della Costituzione, giacché il divieto di esercizio dellattività
professionale per gli animali daffezione nellambito del territorio dellazienda
sanitaria di appartenenza, privo come è di fondamento in nonne di rango
costituzionale, viene a determinare un indebito limite di spazio allo svolgimento
della libera professione.
Vanno infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la Corte
costituzionale della cognizione della norma regionale in riferimento allart.
117 Cost., atteso che lintervenuta disciplina dellattività libero-professionale
dei veterinari dipendenti pubblici appare discostarsi dai principi fondamentali
in materia, quali si desumono dalla normativa statale esaminata, che -
come si è visto - ha inteso consentire in linea di massima lesercizio
della libera professione, salvo regolamentarne le modalità di esplicazione
in relazione allobiettivo di impedire linsorgenza di situazioni di pregiudizio
al servizio sanitario pubblico. Laver gravemente compromesso il diritto
allo svolgimento dellattività professionale, senza alcun ragionevole raccordo
con le esigenze della struttura pubblica, integra quindi linosservanza
degli indirizzi fissati dal legislatore statale, con conseguente violazione
dellart. 117 Cost.
Né elementi significativi di novità rispetto allesaminata questione sono
stati in un primo tempo desunti dal Tribunale in relazione alle norme sopravvenute
in materia, quali individuate dalla Corte costituzionale con lordinanza
n. 231 (depositata in cancelleria il 19 giugno 1998) - recante linvito
ad un nuovo esame della rilevanza della questione di costituzionalità nel
presente giudizio -.
Lart. 1 del decreto legge n. 175 del 1997 (convertito dalla legge n. 272
del 1997) aveva riconosciuto al Ministro della Sanità la competenza a definire
le caratteristiche dellattività libero-professionale intramuraria del
personale medico e delle altre professionalità della dirigenza sanitaria
del Servizio sanitario nazionale, le categorie professionali e gli enti
o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sullattività intramuraria
nonché a disciplinare lopzione tra attività libero-professionale intramuraria
ed extramuraria, le modalità del controllo del rispetto delle disposizioni
sullincompatibilità, le attività di consulenza e consulto"; successivamente
erano intervenuti due decreti ministeriali, entrambi in data 31 luglio
1997, recante luno le linee guida dellorganizzazione dellattività libero-professionale
intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale
e laltro la disciplina in materia di attività libero-professionale e
incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del S.S.N. (lart.
7 di questultimo aveva fatto salva la regolamentazione introdotta con
il decreto ministeriale in data 11 giugno 1997, avente ad oggetto la fissazione
dei termini per lattivazione dellattività liberoprofessionale intramuraria).
Ebbene, da tali norme non si evinceva un regime di incompatibilità che
si sovrapponesse o sostituisse a quello fissato con la legge regionale
piemontese, atteso che come prescritto dallart. 1 del decreto legge n.
175 oggetto della nuova disciplina era esclusivamente lattività liberoprofessionale
intramuraria (ed in tal senso doveva essere conseguentemente inteso ogni
vincolo allattività professionale ivi stabilito), mentre di quella extramuraria
si teneva conto ai soli fini della definizione delle modalità di opzione
tra luna e laltra e di controllo dellosservanza delle disposizioni sulle
incompatibilità. Non si ravvisava dunque alcuna innovazione normativa suscettibile
di incidere direttamente sulla posizione del ricorrente, ancora soggetta
quanto ai limiti di esplicazione dellattività professionale esterna alla
legge regionale sospettata di incostituzionalità.
Per quel che concerne, poi, lart. 124, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59"), a norma del quale sono conservate allo Stato le
seguenti funzioni amministrative: a) la disciplina delle attività liberoprofessionali
e delle relative incompatibilità, ai sensi dellart. 4, comma 7, della
legge 30 dicembre 1991, n. 412, e dellart. 1, comma 14, della legge 23
dicembre 1996, n. 662;..." rilevava il Tribunale come la disposizione non
facesse altro che confermare una preesistente competenza statale, rispetto
alla quale la competenza regionale in materia conservava un ruolo secondario,
ovvero attuativo di principi e norme stabiliti a livello statale. In questo
quadro, quindi, la disciplina regionale restava sottordinata ai criteri
desumibili da quella nazionale, e permanevano di conseguenza le perplessità
espresse a proposito della conformità della normativa denunciata agli indirizzi
fissati dal legislatore statale.
La Corte costituzionale ha poi richiesto un ulteriore riesame della questione
alla luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229,
recante norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale,
a norma dellarticolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419" (v. ord.
n. 84/2000).
Senonché, pur essendosi in tal modo provveduto ad una organica disciplina
del rapporto di lavoro esclusivo e di quello non esclusivo dei dirigenti
sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, così come modificato dallart.
13 del d.lgs. n. 229 del 1999), non risulta sostanzialmente mutato il quadro
normativo di riferimento circa i contenuti dellattività libero-professionale
extramuraria (dispone lart. 15sexies: T rapporto di lavoro dei dirigenti
sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi dellarticolo
1, comma 10, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, abbiano comunicato al
direttore generale lopzione per lesercizio della libera professione extramuraria
e che non intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilità
nellambito dellimpegno servizio, per la realizzazione dei risultati programmati
e lo svolgimento delle attività professionali di competenza. Le aziende
stabiliscono i volumi e le tipologie delle attività e delle prestazioni
che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonché le sedi operative
in cui le stesse devono essere effettuate"). Non vi è insomma ragione per
ritenere che sia automaticamente venuta meno la previgente disciplina regionale,
perché - in assenza di incompatibilità diretta e immediata con la sopraggiunta
legge statale, che non detta nuove indicazioni in merito - quella piemontese
continua a regolare la materia in ambito regionale, definendo i limiti
di esercizio dellattività liberoprofessionale esterna nelle ipotesi di
non intervenuta opzione per il rapporto di lavoro esclusivo. Il ricorrente,
daltra parte, è tuttora inquadrato tra i dirigenti abilitati allo svolgimento
della libera professione extramuraria (v. opzione dellinteressato in data
13 marzo 2000), e quindi ha sicuramente titolo a vedere sindacata la legittimità
costituzionale della legge regionale nella specie applicata.
Ciò stante, si deve disporre limmediata trasmissione alla Corte costituzionale
degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione. Con separata
ordinanza è stata pronunciata la temporanea sospensione dellatto impugnato,
con rinvio dellulteriore corso del processo cautelare alla conclusione
del giudizio di costituzionalità.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II, visto
lart. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dellart. 2 della
legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione agli artt. 3, 4,
35, 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione.
Sospende il giudizio cautelare fino alla Camera di Consiglio immediatamente
successiva alla comunicazione dellesito del giudizio di costituzionalità,
e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata
alle parti in causa e al Presidente della Giunta regionale del Piemonte
e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Così
deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 10 maggio 2000, con lintervento
dei Signori Magistrati:
Luigi Montini Presidente
Italo Caso Primo Referendario, Est.
Paolo Corciulo Referendario
Il Presidente
LEstensore
Depositata in Segreteria
Ordinanza n. 523
per il Piemonte
Luigi Montini
Italo Caso
ai sensi di Legge il 26 maggio 2000
Il Direttore
della Sezione