Bollettino Ufficiale n. 37 del 13 / 09 / 2000
Torna al Sommario Indice Sistematico
T.A.R. Piemonte
Ordinanza emessa il 10 maggio 2000 al T.A.R. per il Piemonte sul ricorso
proposto da privati c/Azienda U.S.L. n. 16 ed altra
Il Tribunale Amministrativo Regionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
sul ricorso n. 887 del 1997 proposto da privati rappresentati e difesi
dallavv. Sebastiano Zuccarello e presso il medesimo elettivamente domiciliati
in Torino, via Magenta n. 36;
Contro
lAzienda regionale U.S.L. n. 16, non costituita in giudizio;
e nei confronti
della Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta regionale
p.t., rappresentata e difesa dallavv. Giulietta Magliona ed elettivamente
domiciliata in Torino, piazza Castello n. 165;
per lannullamento
- previa sospensione - dellatto prot. n. 4234 del 6 febbraio 1997, con
il quale il Servizio Veterinario dellAzienda regionale USL 16 Mondovi
- Ceva ha dato adempimento allart. 1, comma secondo, della legge regionale
3 gennaio 1997 n. 4;
di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quello
impugnato con il presente ricorso.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto latto di costituzione in giudizio della Regione Piemonte;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi alla Camera di Consiglio del 10 maggio 2000 lavv. Zuccarello per
i ricorrenti e lavv. Magliona per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Fatto Con atto prot. n. 4234 in data 6 febbraio 1997 il Servizio Veterinario
dellAzienda regionale U.S.L. n. 16 di Mondovi - Ceva, in dichiarato adempimento
dellart. 1, comma secondo, della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997 n.
4, invitava i medici veterinari dipendenti a segnalare, nel termine di
quindici giorni, se intendessero esercitare attività libero professionale,
e in caso positivo quali fossero i programmi ed i tempi di massima del
proprio impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilità.
Avverso tale atto hanno proposto impugnativa i ricorrenti, tutti medici
veterinari in servizio presso la suindicata Azienda sanitaria, deducendo:
I - Questione di legittimità costituzionale.
I ricorrenti sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt.
1, 2, 3 e 4 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4 per i seguenti
motivi:
1) Contrasto della disposizione contenuta nellart. 2, comma 1, della legge
reg. n. 4/97 con lart. 120, comma 3, della Costituzione.
La normativa regionale, nel disciplinare lattività libero-professionale
dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale, ha posto il
divieto di svolgimento di tale attività nellambito territoriale dellazienda
sanitaria di appartenenza. Tuttavia, trattandosi di limitazione che non
appare immediatamente riconducibile allesigenza di evitare la riunione
nella medesima persona delle figure del controllore e del controllato,
e quindi allobiettivo di scongiurare situazioni di conflitto derivanti
dallesercizio delle funzioni pubbliche affidate ai veterinari, il criterio
territoriale appare ingiustificato, tenuto conto dellavviso espresso in
proposito dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Sez. I, 20 ottobre
1993 n. 985), circa la necessità che il sistema delle compatibilità si
fondi sulla individuazione in concreto delle situazioni pregiudizievoli
per i fini istituzionali del servizio sanitario nazionale, a prescindere
da un generico riferimento allambito territoriale. Pertanto il divieto
imposto dalla legge regionale risulta arbitrario e si pone in netto contrasto
con il precetto di cui allart. 120, comma 3, della Costituzione, a norma
del quale la Regione non può porre limiti di carattere territoriale al
diritto dei cittadini di esercitare la loro attività professionale o di
impiego.
2) Contrasto degli artt. 1 (comma 2 e 3), 2, 3 e 4 della legge reg., n.
4/97 con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione.
Il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge reg.
n. 4/97 esclude in concreto leffettiva possibilità di esercizio della
libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio
sanitario nazionale, così violando le norme di cui agli artt. 4 e 35 della
Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro nelle sue varie modalità
concrete di esplicazione. Né i limiti introdotti appaiono giustificati
dallesigenza di evitare pregiudizi allinteresse pubblico. Si consideri,
infatti, che il divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata
e di esservi legato da rapporto di lavoro subordinato, relativamente allattività
sugli animali _affezione (v. art. 2), si traduce in un divieto assoluto
di svolgimento di tale attività, attesa la necessità che la stessa si svolga
presso un ambulatorio;
senza che, poi, emergano ragioni idonee a giustificare tale preclusione,
posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie sono
diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative agli animali
da reddito, sicché alcun pregiudizio può ipotizzarsi per il servizio sanitario
nazionale dallo svolgimento di unattività professionale che riguardi gli
animali daffezione. Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa regionale,
disciplinando la libera professione per gli animali da reddito e per
il cavallo sportivo, hanno leffetto di sacrificare ingiustificatamente
il diritto costituzionale allesercizio dellattività libero-professionale,
ove si consideri che la stessa è consentita solo se si verifica una permanente
o temporanea carenza di veterinari liberoprofessionisti (art. 3, comma
1), e quindi è subordinata a circostanze che non attengono allesigenza
di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto piuttosto
a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla tutela degli interessi
dei veterinari liberoprofessionisti.
3) Contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 1, 2, 3 e 4 della
legge reg. n. 4/97 con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n.
4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Violazione
dellart. 117, comma 1, della Costituzione.
La normativa regionale è in contrasto con le disposizioni statali in materia,
ed in particolare con lart. 4 della legge n. 412/91, con lart. 47, n.
4, della legge n. 833/78 e con lart. 36 del d.P.R. n. 761/79. Detta disciplina
affida al legislatore regionale ladozione di norme attuative, presupponendo
che non venga escluso in concreto lesercizio dellattività libero-professionale,
ma regolamentata la stessa in funzione della salvaguardia degli interessi
pubblici. Ne consegue che, avendo la legge regionale piemontese introdotto
limitazioni tali da precluderne in concreto lo svolgimento, non sono stati
rispettati i limiti fissati dai principi fondamentali ricavabili dalle
leggi statali, e quindi si ravvisa lulteriore contrasto con lart. 117,
comma 1, della Costituzione.
4) Contrasto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. n. 4/97 con lart.
3), comma 1 e 2, della Costituzione. Disparità di trattamento.
La normativa regionale viola anche lart. 3 della Costituzione. Infatti,
lintroduzione di limitazioni sostanziali allesercizio dellattività professionale
dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nellambito
della Regione Piemonte ha determinato una evidente disparità di trattamento
tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonché tra veterinari
pubblici e veterinari liberi professionisti, e ancora fra veterinari in
servizio presso le aziende sanitarie piemontesi e quelli di altre regioni.
La violazione del principio di uguaglianza emerge dalla considerazione
dellinutilità ed arbitrarietà dei divieti contenuti nella legge regionale,
i quali non sono idonei a salvaguardare linteresse pubblico, favorendo
esclusivamente i veterinari liberi professionisti, rispetto ai quali i
colleghi del servizio sanitario nazionale, in modo del tutto immotivato,
si trovano in posizione deteriore.
II - Merito.
- Violazione di legge. Eccesso di potere; illegittimità derivata.
Gli indicati profili di illegittimità costituzionale viziano in via derivata
latto impugnato. La violazione delle norme e dei principi costituzionali
comporta altresì linvalidità del provvedimento per eccesso di potere,
sotto il profilo dellingiustizia manifesta e della disparità di trattamento.
Inoltre lapplicazione di una legge che favorisce in modo del tutto ingiustificato
i veterinari liberi professionisti potrebbe altresì determinare il vizio
di eccesso di potere per sviamento della causa.
I ricorrenti concludono dunque per lannullamento dellatto impugnato,
previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, che invocano venga
disposta già nella Camera di Consiglio fissata per lesame dellistanza
cautelare.
Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, resistendo al gravame.
Con memoria del 13 maggio 1997 è stata innanzi tutto eccepita linammissibilità
del ricorso, in quanto proposto avverso atto recante un mero invito a comunicare
dati, e quindi inidoneo a ledere un interesse concreto e attuale, potendo
la lesione derivare solo da un successivo provvedimento avente immediato
contenuto precettivo; si tratta quindi di atto preparatorio endoprocedimentale,
non autonomamente impugnabile. Quanto alla dedotta incostituzionalità della
normativa regionale, se ne è rilevata linfondatezza, atteso che il legislatore
regionale si è limitato a stabilire le modalità di esercizio della libera
professione da parte dei veterinari pubblici, in conformità ai principi
stabiliti dalla normativa statale, e soprattutto in ossequio allesigenza
di evitare conflitti di interessi legati alle molteplici funzioni affidate
al personale veterinario del servizio sanitario nazionale, nellambito
di unattività rivolta a tutelare - attraverso le profilassi pianificate
e il controllo degli alimenti di origine animale - la salute umana e leconomia
dellintero comparto agro-zootecnico.
Con ordinanza n. 517 in data 16 giugno 1997 questa Sezione ha dichiarato
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1, secondo comma, 2, 3 e 4 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio
1997, n. 4, e ne ha deferito il sindacato alla Corte costituzionale; contestualmente
ha sospeso lefficacia dellatto impugnato fino alla Camera di Consiglio
immediatamente successiva alla comunicazione dellesito del giudizio di
costituzionalità, in vista dellulteriore corso del processo cautelare.
Con ordinanza n. 231, depositata in cancelleria il 19 giugno 1998, la Corte
costituzionale ha disposto la restituzione degli atti a questo Tribunale,
invitandolo ad effettuare un nuovo esame della rilevanza della questione
di costituzionalità alla luce delle norme sopravvenute in materia.
Con memoria del 14 luglio 1998 i ricorrenti hanno insistito sulla perdurante
sussistenza dei presupposti per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale,
tenuto anche conto relativamente allo ius superveniens (art. 124, comma
1, lett. a, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) - del difetto di potere legislativo
della Regione Piemonte nella materia oggetto della presente controversia.
Con ordinanza n. 536 in data 25 luglio 1998 questa Sezione ha nuovamente
deferito la questione alla Corte costituzionale, con contestuale sospensione
dellefficacia dellatto impugnato.
Successivamente, in relazione ad un mutato quadro normativo, la Corte costituzionale
ha ancora una volta disposto la restituzione degli atti al giudice a quo,
al fine di vedere accertata la perdurante rilevanza della questione (v.
ord. n. 84/2000).
Con memorie in data 8 maggio 2000 le parti hanno insistito sulle rispettive
posizioni.
Alla Camera di Consiglio del 10 maggio 2000, ascoltati i rappresentanti
delle parti, il Collegio si è riservata la decisione sullistanza cautelare
dei ricorrenti.
Diritto
In servizio presso lAzienda regionale USL n. 16 in qualità di medici veterinari,
i ricorrenti impugnano la nota con cui lAmministrazione, fissato un termine
di quindici giorni per pronunciarsi, li ha invitati a comunicare le loro
intenzioni circa lesercizio dellattività liberoprofessionale, ed in particolare
circa i programmi ed i tempi di massima del proprio impegno al fine di
accertare e valutare le condizioni di incompatibilità. Assumono lillegittimità
costituzionale della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in applicazione
della quale è stata formulata la richiesta dellAmministrazione, giacché
la sopraggiunta disciplina regionale avrebbe introdotto tali e tante limitazioni
allattività professionale dei veterinari titolari di rapporto di pubblico
impiego da precluderne in concreto lesercizio, in violazione degli artt.
3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione. Nellattuale regime giuridico ogni
preclusione alla libera professione del personale veterinario dipendente
pubblico dovrebbe trovare giustificazione in concrete esigenze di tutela
dellinteresse alla massima funzionalità operativa del servizio sanitario
nazionale, sicché ogni ulteriore limite determinerebbe una indebita compressione
del diritto al lavoro e del diritto alluguaglianza di trattamento rispetto
al restante personale medico e al personale veterinario di altre regioni,
nonché ancora una non consentita riduzione dellambito territoriale in
cui svolgere lattività professionale (atteso il divieto in tal senso posto
al legislatore regionale) e, comunque, lesorbitanza della disciplina regionale
dai limiti fissati dalla normativa di principio.
Eccepisce la Regione Piemonte linammissibilità del ricorso, giacché proposto
avverso atto endoprocedimentale, e quindi privo di carattere immediatamente
lesivo. Quanto alla presunta incostituzionalità della disciplina regionale,
se ne contesta la sussistenza, poiché le introdotte limitazioni allo svolgimento
della libera professione da parte del personale veterinario troverebbero
tutte fondamento nella necessità di scongiurare linsorgenza di conflitti
di interessi legati al contestuale esercizio di funzioni istituzionali
e di attività professionale.
Va preliminarmente respinta leccezione di inammissibilità del gravame.
In effetti latto impugnato, facendo carico ai ricorrenti di un adempimento
che trae origine direttamente dalla legge reg. n. 4 del 1997 (ovvero lobbligatoria
segnalazione allAmministrazione del tipo di attività professionale che
si intende svolgere), rende attuali i vincoli di legge alla libera professione
dei veterinari, quali si desumono dalla medesima disciplina regionale.
Sussiste quindi linteresse attuale dei destinatari di quella nota di veder
rimossa la causa di un obbligo di condotta che rileva immediatamente nel
rapporto di impiego, sotto il duplice profilo del dovere di comunicazione
dellattività professionale da esercitare e del connesso divieto di svolgerla
al di là dei limiti fissati dalla legge regionale.
Nel merito, occorre innanzi tutto definire il quadro normativo in cui si
inserisce la questione dedotta.
Nellambito della disciplina di riforma sanitaria lart. 47 della legge
n. 833 del 1978 recava la delega al Governo per lemanazione di norme idonee
a «garantire con criteri uniformi il diritto allesercizio della libera
attività professionale per i medici e veterinari dipendenti delle unità
sanitarie locali ... Con legge regionale sono stabiliti le modalità e i
limiti per lesercizio di tale attività" (comma 3, n. 4). Successivamente,
in attuazione della delega conferita, si stabiliva che il personale veterinario
ha la facoltà di esercitare lattività libero-professionale, fuori dei
servizi e delle strutture dellunità sanitaria locale, purché tale attività
non sia prestata con rapporto di lavoro subordinato, non sia in contrasto
con gli interessi ed i fini istituzionali, dellunità sanitaria locale
stessa, né incompatibile con gli orari di lavoro, secondo modalità e limiti
previsti dalla legge regionale (art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 761 del
1979). Indi lart. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, sancito il
principio per cui con il servizio sanitario nazionale può intercorrere
un unico rapporto di lavoro, ha disposto che lesercizio dellattività
libero-professionale dei medici dipendenti del servizio sanitario nazionale
è compatibile col rapporto unico dimpiego, purché espletato fuori dellorario
di lavoro allinterno delle strutture sanitarie o allesterno delle stesse,
con esclusione di strutture private convenzionate con il servizio sanitario
nazionale. Da ultimo la Regione Piemonte ha inteso provvedere alla regolamentazione
dellesercizio dellattività libero-professionale dei medici veterinari
dipendenti dal servizio sanitario nazionale (legge reg. 3 gennaio 1997,
n. 4), ribadendone in via di principio il diritto di esplicare tale attività
al di fuori delle strutture pubbliche, al di fuori dellorario di servizio,
al di fuori del plus orario, al di fuori del lavoro straordinario (art.
1, comma 1), ma subordinatamente alladempimento dellobbligo di segnalare
al direttore generale dellazienda sanitaria regionale (ASR) di appartenenza
programmi e tempi di massima del proprio impegno perché lente possa accertare
e valutare lassenza di condizioni di incompatibilità (art. 1, comma 2);
incompatibilità che, relativamente agli animali daffezione", riguardano
lattività professionale esercitata nel territorio di pertinenza della
ASR presso la quale il medico veterinario svolge il proprio servizio di
pubblico dipendente (art. 2, comma 1), con contestuale divieto di essere
titolare di struttura ambulatoriale privata (art. 2, comma 2), e che,
relativamente agli animali da reddito, comportano il generale divieto
di svolgimento dellattività professionale, salvo che non si verifichi
una permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti
(art. 3, comma 1), e comunque nel rispetto di determinati programmi operativi
e subordinatamente ad una verifica di competenza del servizio veterinario
regionale (art. 3, comma 2 e 3).
La normativa statale richiamata si iscrive in quellindirizzo costantemente
favorevole allesercizio di attività professionali al di fuori dellordinario
rapporto di lavoro, che in deroga alla disciplina generale del rapporto
di pubblico impiego, caratterizzata dal principio di esclusività - è stato
da sempre lelemento peculiare dello status del medico dipendente dal servizio
sanitario pubblico. Alla base vi è la convinzione dellinfluenza positiva
che al pubblico dipendente può derivare dalla pratica professionale, posto
che lespletamento di attività esterne ed aggiuntive valgono a potenziarne
le capacità operative, si da giustificare il regime differenziato riservato
dal legislatore a talune categorie di personale abilitato a svolgere anche
la libera professione (v. Corte cost. 23 dicembre 1986 n. 284, relativamente
al personale docente della scuola); per il personale medico, in particolare,
trattandosi di valorizzarne la professionalità, si persegue al contempo
un interesse della stessa struttura sanitaria pubblica. Lesercizio dellattività
professionale non può però incidere negativamente sullosservanza del complesso
dei doveri facenti capo al pubblico dipendente, ovvero non può trasformarsi
in un fattore di pregiudizio del corretto assolvimento dei compiti dufficio.
In tal senso assumono rilievo i limiti posti dallesaminata normativa,
ovvero il riferimento al possibile contrasto con gli interessi e i fini
istituzionali dellAmministrazione sanitaria.
Ciò posto, deducono i ricorrenti che lintervenuta disciplina regionale
si caratterizza per una indebita restrizione delle possibilità di esercizio
dellattività libero-professionale da parte dei veterinari addetti al servizio
sanitario nazionale, in contrasto con varie norme costituzionali.
La questione è rilevante e non manifestamente infondata.
La rilevanza ai fini del presente giudizio consegue alla circostanza che
il provvedimento impugnato è stato adottato in diretta applicazione della
normativa regionale sospettata di incostituzionalità, e in riferimento
alla complessiva regolamentazione dalla stessa impressa allattività libero-professionale
dei veterinari dipendenti pubblici, sicché leventuale espunzione dallordinamento
della predetta normativa comporterebbe laccoglimento del ricorso e la
caducazione dellatto lesivo.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione dedotta, rileva
il Collegio, in linea con lorientamento espresso dal Consiglio di Stato
in sede consultiva (v. Sez. I, 20 ottobre 1993 n. 985/93), che la regolamentazione
dellattività libero-professionale dei veterinari dipendenti del servizio
sanitario nazionale implica lindividuazione di specifiche situazioni
idonee a determinare un grave e comprovato pregiudizio al servizio sanitario
pubblico, vietando ai medici veterinari quei comportamenti idonei a realizzarli.
Non operando nel settore il principio generale secondo cui è interdetta
qualsiasi attività professionale estranea al rapporto di lavoro (giacché
suscettibile di dar luogo ad interessi conflittuali con quelli inerenti
la posizione di pubblico dipendente), ogni deroga alla regola che consente
la libera professione medica deve trovare fondamento in ragioni direttamente
connesse alla primaria esigenza di garantire un efficiente servizio assistenziale
pubblico, ovvero deve tendere ad evitare che sia negativamente condizionato
lassolvimento dei doveri dufficio, senza tuttavia porre limiti ulteriori,
e soprattutto senza tradursi in un sostanziale annullamento delle effettive
possibilità di esercizio di tali attività aggiuntive, attraverso ladozione
di misure che in concreto verifichino il diritto astrattamente riconosciuto.
In quanto voluto espressamente dallordinamento come uno dei contenuti
del rapporto di impiego del personale medico, il diritto allesercizio
della libera professione è riconducibile al diritto al lavoro costituzionalmente
protetto (artt. 4 e 35 Cost), sicché ogni limitazione a tale facoltà si
giustifica solo per la tutela di valori costituzionali concorrenti (v.
Corte cost. 2 giugno 1977 n. 103 e 23 dicembre 1993 n. 457).
Ne consegue che limpossibilità di svolgere attività professionale per
gli animali daffezione nel territorio dellazienda sanitaria di pertinenza,
con contestuale divieto di essere titolare di struttura ambulatoriale privata
(art. 2 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4), determina un grave
affievolimento delle facoltà professionali del veterinario senza raccordarsi
funzionalmente a specifiche esigenze della struttura sanitaria pubblica.
La titolarità di funzioni inerenti al servizio sanitario nazionale non
può evidentemente dar luogo ad un generalizzato divieto di esercizio di
attività private, benché limitato ad un determinato ambito territoriale,
in quanto si viene in tal modo a contraddire il principio che ammette alla
libera professione il veterinario dipendente pubblico. Va piuttosto ribadito
che i vincoli devono essere dimensionati in relazione al tipo di attività
svolte nellambito della struttura pubblica, e non anche in riferimento
al luogo in cui opera il veterinario. Il criterio territoriale non soddisfa
di per sé le esigenze che sono alla base della necessità di disciplina
dellattività professionale del personale medico, giacché ne vanifica di
fatto il diritto senza razionalmente ricondursi allobiettivo di assicurare
lottimale funzionalità del servizio sanitario pubblico.
Nellattuale ordinamento prevale il criterio sostanzialistico della potenziale
situazione di conflitto, e quindi occorre procedere alla individuazione
in concreto delle situazioni pregiudizievoli per i fini istituzionali del
servizio sanitario nazionale, che va considerato nella sua globalità e
non nellambito delle singole strutture in cui si articola (v. Cons. Stato,
Sez. I, n. 985/93 cit.). Né è decisivo il richiamo alle varie competenze
in materia di controllo e vigilanza, facenti capo ai servizi veterinari
delle aziende sanitarie, che indurrebbero i medici veterinari ad essere
controllori di stessi, posto che una volta ammesso lesercizio della libera
professione - non se ne può poi escludere in toto lammissibilità, ma occorre
piuttosto individuare le misure utili ad evitare la sovrapposizione di
ruoli nella medesima persona, tenendo conto delle mansioni effettivamente
assolte e dei settori operativi cui si è assegnati, ed in tale ottica trame
le conseguenze in ordine alle modalità e ai limiti di esercizio dellattività
professionale.
Allo stesso modo, il generale divieto di svolgere attività professionale
per gli animali da reddito (salvo il caso di carenza di veterinari liberoprofessionisti;
art. 3 della legge reg. n. 4/97) implica la soppressione di ogni possibilità
di esercizio della libera professione, e quindi sovverte quel principio
che si è più volte indicato come canone informatore del rapporto di impiego
del personale medico. Anziché individuare le ipotesi di conflitto con le
competenze dei veterinari quali dipendenti pubblici, la norma preclude
in toto lammissibilità della libera professione. Difetta quindi ogni ponderato
collegamento con le esigenze del servizio sanitario pubblico.
In conclusione, la questione appare non manifestamente infondata in relazione
agli artt. 4 e 35 della Costituzione, giacché la normativa regionale piemontese
(ed in particolare gli artt. 2 e 3, nonché lart. 4, che estende la predetta
disciplina al c.d. cavallo sportivo, nonché per connessione lart. 1,
comma 2, che fa obbligo ai veterinari di segnalare alla propria azienda
sanitaria, per le dovute verifiche, lattività libero-professionale che
intendono svolgere) risulta ingiustificatamente preclusiva delle concrete
possibilità di esercizio della libera professione da parte dei veterinari
dipendenti pubblici, e quindi lesiva del diritto al lavoro costituzionalmente
protetto.
Per quanto concerne poi lasserito contrasto con lart. 3 della Costituzione,
nega il Collegio che possa ipotizzarsi una disparità di trattamento con
i medici dipendenti pubblici da una parte e con i veterinari libero-professionisti
dallaltra, attesa levidente diversità delle situazioni poste a raffronto;
quanto, invece, alla ipotizzata disparità di trattamento con il personale
veterinario di altre regioni, è da escludersi che altre normative regionali
(o anche lassenza delle stesse) possano essere assunte a riferimento per
desumerne uneventuale violazione del principio di uguaglianza. Per contro,
si deve dichiarare dufficio la non manifesta infondatezza della questione,
in relazione allart. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza
di una normativa regionale che prima ammette i veterinari allesercizio
dellattività libero-professionale (v. art. 1, comma 1) e poi ne restringe
contraddittoriamente le possibilità di esplicazione del diritto fino a
vanificarlo.
Lassenza di una ratio giustificativa legata alla tutela della funzionalità
operativa del servizio sanitario pubblico induce a ritenere non manifestamente
infondata anche la questione di costituzionalità dellart. 2 della legge
regionale in esame, in riferimento allart. 120, comma 3, della Costituzione,
giacché il divieto di esercizio dellattività professionale per gli animali
daffezione nellambito del territorio dellazienda sanitaria di appartenenza,
privo come è di fondamento in norme di rango costituzionale, viene a determinare
un indebito limite di spazio allo svolgimento della libera professione.
Vanno infine ritenuti sussistenti i presupposti per investire la Corte
costituzionale della cognizione della normativa regionale in riferimento
allart. 117 Cost., atteso che lintervenuta disciplina dellattività libero
professionale dei veterinari dipendenti pubblici appare discostarsi dai
principi fondamentali in materia, quali si desumono dalla normativa statale
esaminata, che - come si è visto - ha inteso consentire in linea di massima
lesercizio della libera professione, salvo regolamentarne le modalità
di esplicazione in relazione allobiettivo di impedire linsorgenza di
situazioni di pregiudizio al servizio sanitario pubblico. Laver gravemente
compromesso il diritto allo svolgimento dellattività professionale, senza
alcun ragionevole raccordo con le esigenze della struttura pubblica, integra
quindi linosservanza degli indirizzi. fissati dal legislatore statale,
con conseguente violazione dellart. 117 Cost.
Né elementi significativi di novità rispetto allesaminata questione sono
stati in un primo tempo desunti dal Tribunale in relazione alle norme sopravvenute
in materia, quali individuate dalla Corte costituzionale con lordinanza
n. 231 (depositata in cancelleria il 19 giugno 1998) - recante linvito
ad un nuovo esame della rilevanza della questione di costituzionalità nel
presente giudizio.
Lart. 1 del decreto-legge n. 175 del 1997 (convertito dalla legge n. 272
del 1997) aveva riconosciuto al Ministro della Sanità la competenza a definire
le caratteristiche dellattività libero-professionale intramuraria del
personale medico e delle altre professionalità della dirigenza sanitaria
del Servizio sanitario nazionale, le categorie professionali e gli enti
o soggetti ai quali si applicano le disposizioni sullattività intramuraria,
nonché a disciplinare lopzione tra attività libero-professionale intramuraria
ed extramuraria, le modalità del controllo del rispetto delle disposizioni
sullincompatibilità, le attività di consulenza e consulto; successivamente
erano intervenuti due decreti ministeriali, entrambi in data 31 luglio
1997, recante luno le linee guida dellorganizzazione dellattività libero-professionale
intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale
e laltro la disciplina in materia di attività libero professionale e
incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del S.S.N. (lart.
7 di questultimo aveva fatto salva la regolamentazione introdotta con
il decreto ministeriale in data 11 giugno 1997, avente ad oggetto la fissazione
dei termini per lattivazione dellattività liberoprofessionale intramuraria).
Ebbene, da tali norme non si evinceva un regime di incompatibilità che
si sovrapponesse o sostituisse a quello fissato con la legge regionale
piemontese, atteso che come prescritto dallart. 1 del decreto-legge n.
175 - oggetto della nuova disciplina era esclusivamente lattività libero-professionale
intramuraria (ed in tal senso doveva essere conseguentemente inteso ogni
vincolo allattività professionale ivi stabilito), mentre di quella extramuraria
sì teneva conto ai soli fini della definizione delle modalità di opzione
tra luna e laltra e di controllo dellosservanza delle disposizioni sulle
incompatibilità. Non si ravvisava dunque alcuna innovazione normativa suscettibile
di incidere direttamente sulla posizione dei ricorrenti, ancora soggetta
- quanto ai limiti di esplicazione dellattività professionale esterna
- alla legge regionale sospettata di incostituzionalità.
Per quel che concerne, poi, lart. 124, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59"), a norma del quale sono conservate allo Stato le seguenti
funzioni amministrative: a) la disciplina delle attività libero-professionali
e delle relative incompatibilità, ai sensi dellart. 4, comma 7, della
legge 30 dicembre 1991, n. 412, e dellart. 1, comma 14, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 ___", rilevava il Tribunale come la disposizione
non facesse altro che confermare una preesistente competenza statale, rispetto
alla quale la competenza regionale in materia conservava un ruolo secondario,
ovvero attuativo di principi e norme stabiliti a livello statale. In questo
quadro, quindi, la disciplina regionale restava sottordinata ai criteri
desumibili da quella nazionale, e permanevano di conseguenza le perplessità
espresse a proposito della conformità della normativa denunciata agli indirizzi
fissati dal legislatore statale.
La Corte costituzionale ha poi richiesto un ulteriore riesame della questione
alla luce della normativa introdotta dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229,
recante norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale,
a norma dellarticolo 1 della legge 30 novembre 1998, n, 419" (v. ord.
n. 84/2000).
Senonché, pur essendosi in tal modo provveduto ad una organica disciplina
del rapporto di lavoro esclusivo e di quello non esclusivo dei dirigenti
sanitari (v. art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, così come modificato dallart.
13 del d.lgs. n. 229 del 1999), non risulta sostanzialmente mutato il quadro
normativo di riferimento circa i contenuti dellattività libero-professionale
extramuraria (dispone lart. 15-sexies: Il rapporto di lavoro dei dirigenti
sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi dellarticolo
1, comma 10, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, abbiano comunicato al
direttore generale lopzione per lesercizio della libera professione extramuraria
e che non intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilità
nellambito dellimpegno di servizio, per la realizzazione dei risultati
programmati e lo svolgimento delle attività professionali di competenza.
Le aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle attività e delle
prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonché le
sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate). Non vi è insomma
ragione per ritenere che sia automaticamente venuta meno la previgente
disciplina regionale, perché in assenza di incompatibilità diretta e immediata
con la sopraggiunta legge statale, che non detta nuove indicazioni in merito
- quella piemontese continua a regolare la materia in ambito regionale,
definendo i limiti di esercizio dellattività liberoprofessionale esterna
nelle ipotesi di non intervenuta opzione per il rapporto di lavoro esclusivo.
I ricorrenti, daltra parte, sono tuttora inquadrati tra i dirigenti abilitati
allo svolgimento della libera professione extramuraria (v. certificati
in data 4 maggio 2000), e quindi hanno sicuramente titolo a vedere sindacata
la legittimità costituzionale della legge regionale nella specie applicata.
Ciò stante, si deve disporre limmediata trasmissione alla Corte costituzionale
degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione. Con separata
ordinanza è stata pronunciata la temporanea sospensione dellatto impugnato,
con rinvio dellulteriore corso del processo cautelare alla conclusione
del giudizio di costituzionalità.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione II, visto
lart. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, secondo
comma, 2, 3 e 4 della legge Reg. Piemonte 3 gennaio 1997, n. 4, in relazione
ali artt. 3, 4, 35, 117 e 120 della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione.
Sospende il giudizio cautelare fino alla Camera di Consiglio immediatamente
successiva alla comunicazione dellesito del giudizio di costituzionalità,
e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata
alle parti in causa e al Presidente della Giunta regionale del Piemonte
e sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Piemonte.
Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 10 maggio 2000, con
lintervento dei Signori Magistrati:
Luigi Montini - Presidente
Italo Caso - Primo Referendario, Est.
Paolo Corciulo - Referendario
Il Presidente LEstensore
Ordinanza n. 522
per il Piemonte