Bollettino Ufficiale n. 31 del 2 / 08 / 2000
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Corte Costituzionale
Sentenza n. 281 dellanno 2000
REPUBBLICA ITALIANA
composta dai signori:
- Cesare MIRABELLI Presidente
- Francesco GUIZZI Giudice
- Fernando SANTOSUOSSO Giudice
- Massimo VARI Giudice
- Cesare RUPERTO Giudice
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI Giudice
- Annibale MARINI Giudice
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart. 18, comma 1, della
legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione,
il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), promosso con ordinanza emessa
il 5 settembre 1998 dal Pretore di Biella nel procedimento civile vertente
tra Cavaglià S.r.l. e la Provincia di Biella, iscritta al n. 785 del registro
ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
43, prima serie speciale, dellanno 1998.
Visti latto di costituzione della Cavaglià S.r.l. nonché latto di intervento
della Regione Piemonte;
udito nelludienza pubblica del 21 marzo 2000 il Giudice relatore Piero
Alberto Capotosti;
uditi lavvocato Raffaele Izzo per la Cavaglià S.r.l. e lavvocato Gustavo
Romanelli per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1. - Investito dellopposizione avverso la sanzione pecuniaria inflitta
ad una società esercente attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione
Piemonte per avere conferito nei propri impianti rifiuti speciali prodotti
al di fuori di quella regione, il Pretore di Biella, con ordinanza del
5 settembre 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dellart. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995,
n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti),
in riferimento agli articoli 3, 11, 32, 41, 117 e 120 della Costituzione.
Secondo il Pretore, la disposizione regionale, che pone il divieto di smaltire,
presso le discariche per rifiuti speciali e speciali tossici e nocivi
operanti o individuate sul territorio piemontese, rifiuti di ogni tipologia
provenienti da altre regioni, viola una serie di principi fondamentali
della legislazione statale, fissati nel loro insieme, in attuazione della
normativa comunitaria, dagli articoli 5, 11, 18 e 26 del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti,
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti
di imballaggio). In particolare, secondo il rimettente, sarebbero violati
i principi secondo cui lo smaltimento dei rifiuti deve essere realizzato
attraverso un sistema di impianti integrato a livello nazionale e deve
avvenire nellimpianto appropriato più vicino al luogo della loro produzione,
il quale, come rileva il Pretore di Biella, potrebbe trovarsi in una regione
diversa da quella nella quale i rifiuti risultano prodotti. Sarebbe altresì
violato il principio, posto espressamente dallart. 5, lettera a) del d.
lgs. n. 22 del 1997, secondo cui lobbiettivo della autosufficienza dello
smaltimento in ambiti territoriali ottimali, e comunque allinterno della
stessa regione di produzione, è limitato ai soli rifiuti urbani non pericolosi,
mentre la norma regionale, secondo il Pretore, prevede un divieto totale
e assoluto.
Ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma regionale, in quanto comporta
un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti attività di smaltimento
dei rifiuti nella Regione Piemonte rispetto a quelle operanti sul restante
territorio nazionale, si porrebbe in contrasto con lart. 3 della Costituzione
e violerebbe anche lart. 11, poiché i principi fondamentali della legislazione
statale con cui essa sarebbe in contrasto, costituiscono il frutto del
recepimento nellordinamento interno di normative comunitarie. Il rimettente
considera ancora che, a causa del danno alla salute derivante dalla inosservanza
del principio di prossimità nello smaltimento, sarebbe vulnerato anche
lart. 32 della Carta fondamentale, nonché gli articoli 41 e 120 in ragione
dei limiti ed impedimenti allesplicarsi di una attività economica, posti
indebitamente dalla disposizione impugnata.
2. - E intervenuta la Regione Piemonte, in persona del suo Presidente,
chiedendo che la questione di costituzionalità sia dichiarata manifestamente
infondata.
La Regione osserva che la direttiva comunitaria 91/156/CEE prevede ladozione
da parte degli Stati membri di programmi di gestione di rifiuti che ne
limitino i movimenti e che la norma regionale non può considerarsi incostituzionale
proprio perché il fine di ridurre il movimento dei rifiuti ben può essere
raggiunto imponendo il divieto di smaltimento di rifiuti provenienti da
altre Regioni, in applicazione dei principi di autosufficienza e di prossimità
nella fase di smaltimento.
La difesa della Regione considera inoltre che lart. 22 del decreto legislativo
n. 22 del 1997 attribuisce alla competenza regionale la pianificazione
e la programmazione degli impianti di smaltimento per i rifiuti speciali
e pericolosi, e che queste competenze sarebbero vanificate dallingresso
in regione di rifiuti di provenienza extraregionale. Né vi sarebbe compressione
irragionevole della libertà di iniziativa economica in quanto la norma
opererebbe un adeguato bilanciamento fra linteresse privato e quello della
collettività alla tutela dellambiente e della salute.
In una memoria depositata in prossimità delludienza, la Regione ricorda
che la giurisprudenza comunitaria ha stabilito il principio secondo cui
spetta a ciascuna regione, comune o altro ente locale adottare le misure
adeguate al fine di garantire laccoglimento, il trattamento e lo smaltimento
dei propri rifiuti, e considera che la Corte, con la decisione n. 196
del 1998, ha ritenuto infondata una analoga questione di costituzionalità.
Secondo la difesa della Regione, per quanto attiene ai principi della prossimità
e dellautosufficienza nello smaltimento, non può farsi alcuna distinzione
fra rifiuti pericolosi e non pericolosi, in primo luogo perché gli articoli
11 e 26 dello stesso decreto legislativo n. 22 del 1997 - richiamati dal
giudice a quo proprio per dimostrare la necessità di una gestione dei rifiuti
pericolosi integrata a livello nazionale e non a livello regionale - sono
disposizioni che incidono invece sullintera tipologia dei rifiuti; in
secondo luogo perché non può essere adottato un regime meno rigoroso per
sostanze con maggiori potenzialità lesive, delle quali per ragioni di sicurezza
occorre limitare, e non certo favorire i trasferimenti.
3. Si è costituita in giudizio la Società Cavaglià, ricorrente nel giudizio
principale, chiedendo laccoglimento della questione di costituzionalità.
La parte privata considera che la norma impugnata riguarda i rifiuti speciali
ed i rifiuti pericolosi, e che la circostanza vale a differenziare il caso
di specie da quello deciso dalla Corte con la sentenza n. 196 del 1998.
A suo avviso, il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale
- che costituisce la tipica applicazione del principio di autosufficienza,
astratto dal principio di prossimità e viene ragionevolmente limitato
dallart. 5 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ai soli rifiuti urbani
non pericolosi - è invece del tutto illogico in materia di rifiuti speciali
e pericolosi, le cui qualità e quantità non sarebbero prevedibili, e rispetto
ai quali dato il grado di specializzazione necessaria, non è concepibile
una rete di impianti di smaltimento così capillare e diffusa come per i
rifiuti urbani. Poiché per queste tipologie di rifiuti il principio di
autosufficienza andrebbe quindi contemperato con quello di prossimità,
la norma regionale sarebbe - oltre che in contrasto con i principi della
disciplina statale e comunitaria - anche irragionevole a causa dellassoluta
prevalenza data al principio di autosufficienza.
In una memoria presentata in prossimità della pubblica udienza, la società
costituita sottolinea in particolare che nel regolamento 259/93/CEE le
limitazioni alla circolazione dei rifiuti sono inserite nel titolo II,
relativo alle spedizioni di rifiuti allinterno della Comunità, restando
quindi esclusi i trasferimenti di rifiuti allinterno degli Stati membri.
Inoltre considera che il divieto contenuto nella norma impugnata potrebbe
avere come conseguenza un aumento anziché una diminuzione della circolazione
dei rifiuti, e neanche terrebbe conto del principio comunitario che deroga
rispetto ai rifiuti pericolosi il principio dellautosufficienza. Ne conseguirebbe,
secondo la parte privata, la lesione di quegli stessi valori ambientali
che la norma vorrebbe proteggere, per la possibilità che non tutte le regioni
dispongano di impianti attrezzati per smaltire qualunque tipo di rifiuti
speciali o pericolosi.
Considerato in diritto
1. La questione di legittimità costituzionale, sollevata con lordinanza
indicata in epigrafe, concerne lart. 18, comma 1, della legge della Regione
Piemonte 13 aprile 1995, n. 59, che stabilisce che presso le discariche
per i rifiuti speciali tossici e nocivi (attualmente denominati pericolosi)
della Regione è vietato smaltire i rifiuti di qualunque tipologia provenienti
da altre Regioni.
Tale norma, secondo il giudice rimettente, contrasterebbe innanzi tutto
con lart. 117 della Costituzione per la violazione dei principi fondamentali
della legislazione statale fissati, in attuazione della normativa comunitaria,
dagli artt. 5, 11, 18 e 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.
22, i quali prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti, realizzato attraverso
un sistema integrato, deve avvenire in uno degli impianti appropriati più
vicini.
La stessa norma, inoltre, secondo il giudice a quo, entrerebbe in contrasto
anche con lart. 3 della Costituzione per lo sfavorevole trattamento imposto
alle imprese esercenti attività di smaltimento nella Regione Piemonte;
con lart. 11, in quanto la violazione dei principi fondamentali della
legislazione statale attuativa della normativa comunitaria si risolverebbe
anche in una lesione di questa ultima; con lart. 32, per il danno alla
salute che potrebbe derivare dalla inosservanza del principio della prossimità
nello smaltimento, ed infine con gli artt. 41 e 120 per i limiti ed impedimenti
allesplicarsi di unattività economica determinati appunto dalla norma
regionale censurata.
2. La questione è fondata.
La disposizione regionale censurata va esaminata alla luce di un complesso
quadro normativo, che si incentra, in particolare, sul decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22, che disciplina la gestione dei rifiuti mediante
norme che si autoqualificano principi fondamentali della legislazione statale,
ai sensi dellart. 117 della Costituzione, nonché norme di riforma economico-sociale
nei confronti delle regioni a statuto speciale.
Questa Corte ha già individuato (sentenza n. 196 del 1998) nel decreto
n. 22 del 1997, in relazione alla questione del divieto di smaltimento
dei rifiuti extraregionali, il principio della necessità di una pianificazione
che realizzi, attraverso una rete integrata ed adeguata di impianti, idonea
a ridurre i movimenti dei rifiuti, lautosufficienza nello smaltimento
dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali, che
ordinariamente coincidono con quelli delle province della regione di produzione.
Il principio dellautosufficienza è oggi del tutto pacifico rispetto alla
medesima tesi accolta nella indicata sentenza n. 196 del 1998, in quanto
è ormai divenuto pienamente applicabile lart. 5, comma 5, che appunto
stabilisce che dal 1º gennaio 1999 è vietato smaltire i rifiuti urbani
non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti.
Alla luce del criterio dellautosufficienza, così interpretato, e considerando
altresì che i piani regionali debbono anche prevedere fabbisogni ed impianti
necessari ad assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi allinterno
dei predetti ambiti territoriali ottimali (art. 22, comma 3, lettere b
e c), il divieto di smaltimento dei rifiuti extraregionali appare dunque
sicuramente applicabile a quelli urbani non pericolosi, mentre per altre
tipologie di rifiuti il problema è più complesso. A questo proposito, va,
innanzi tutto, rilevato che secondo lo stesso decreto n. 22 - come, del
resto, anche secondo il previgente d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione
delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo
smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319
relativa ai rifiuti tossici e nocivi) - la gestione dei rifiuti deve essere
disciplinata in modo che, da un lato, sia assicurata unelevata protezione
dellambiente e anche della salute pubblica, tenendo conto, in particolare,
della specificità dei rifiuti pericolosi (art. 2, comma 1); dallaltro
lato sia consentito lo smaltimento in uno degli impianti appropriati
più vicini, tenendo conto della necessità di impianti specializzati per
determinati tipi di rifiuti (art. 5, comma 3, lettera b).
A questultimo riguardo va tenuto presente che la recente direttiva comunitaria
1999/31/CE del 26 aprile 1999 ha, tra laltro, sottolineato la necessità
di definire chiaramente i tipi di rifiuti che vanno accettati nelle varie
categorie di discariche, prevedendo rigorose barriere geologiche ed artificiali
contro linquinamento del suolo, delle acque freatiche e delle acque superficiali
afferenti a ciascuna delle varie categorie di discarica e disponendo che
lammissione di taluni rifiuti pericolosi stabili e non reattivi in discariche
per rifiuti non pericolosi deve essere subordinata a rigidi criteri di
valutazione del comportamento del colaticcio di tali rifiuti (art. 6,
lettera c, iii). In particolare, secondo la stessa direttiva, va evitato
sia che i rifiuti reagiscano tra di loro e con la roccia (Allegato II,
1), sia che i rifiuti pericolosi siano depositati in aree destinate ai
rifiuti non pericolosi biodegradabili (art. 6, lettera c, iii).
Da questo quadro normativo emerge dunque che mentre per i rifiuti urbani
non pericolosi il principio dellautosufficienza è pienamente applicabile,
anche sotto il profilo del divieto di smaltimento di quelli extraregionali,
in quanto lambito territoriale ottimale per lo smaltimento è logicamente
limitato e predeterminabile in relazione ai luoghi di produzione, per i
rifiuti pericolosi si deve invece ritenere prevalente, proprio in ragione
delle loro caratteristiche, il diverso criterio della necessità di impianti
appropriati e specializzati per il loro smaltimento. In materia allo
Stato è riservata la competenza a definire i criteri generali e le norme
tecniche di gestione (art. 18, comma 1, lettera b e comma 2, lettera a).
Ed in questo senso il regolamento del Ministero dellambiente 11 marzo
1998, n. 141 ha previsto specifici criteri di identificazione dei rifiuti
pericolosi al fine del loro smaltimento in discarica, così da rendere possibile
la valutazione, sul piano operativo, della compatibilità della tipologia
dellimpianto di smaltimento con il materiale da conferire.
Alla luce di queste considerazioni non appare quindi logicamente predeterminabile,
rispetto ai rifiuti pericolosi, un ambito territoriale ottimale, quale
potrebbe, in astratto, essere quello regionale, in quanto, da un lato,
la produzione di rifiuti pericolosi, che generalmente deriva da processi
industriali, è connessa a localizzazioni non necessariamente omogenee e
comunque non facilmente prevedibili; dallaltro lato, la realizzazione
di impianti specializzati per questo tipo di smaltimento comporta oneri
di individuazione di siti appropriati e di relativa costruzione particolarmente
gravosi, soprattutto in rapporto al quantitativo da smaltire. Il principio
dellautosufficienza non sembra pertanto facilmente attuabile in questo
settore, dovendosi così ricorrere al concorrente criterio, egualmente previsto
dal legislatore, della specializzazione dellimpianto di smaltimento, integrato
comunque dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico,
in modo da ridurre, il più possibile, la movimentazione dei rifiuti.
Tutto ciò porta dunque ad escludere che anche per i rifiuti pericolosi
possa essere attuato il divieto di smaltimento di quelli extraregionali,
poiché è vero che la movimentazione dei rifiuti, di per sé può costituire
un rischio ambientale, ma è altrettanto vero che smaltire rifiuti pericolosi
in discariche non compatibili o, peggio, consentire il loro deposito ed
accumulo in aree non idonee risulta sicuramente più nocivo per lambiente
e anche per la salute pubblica. Unadeguata ponderazione tra questi due
rischi, indipendentemente dal fatto che il rifiuto è pur sempre considerato
dalla normativa comunitaria un prodotto, in quanto tale tutelato, in
linea di principio, dalla libertà di circolazione delle merci, dimostra
lirrazionalità del divieto imposto dalla disposizione censurata di smaltimento
di rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale, in quanto si tratta
di una scelta che si pone in contrasto, tenendo conto della specificità
dei rifiuti pericolosi, con le finalità di protezione dellambiente e della
salute umana, le quali, ai sensi dellart. 2 del citato decreto n. 22 del
1997, debbono ispirare anche la disciplina regionale della gestione dei
rifiuti.
3. La prospettata interpretazione delle norme di principio contenute nel
decreto n. 22 del 1997 appare, daltronde, coerente anche con i principi
della normativa comunitaria in materia. Ed infatti, in una fattispecie
assai simile a quella in esame, la Corte di giustizia della Comunità europea,
interpretando la direttiva 84/631/CEE, ha avuto modo di stabilire che era
incompatibile con il diritto comunitario allora vigente il divieto imposto
dalla Regione Vallonia del Belgio di smaltimento nel proprio territorio
di rifiuti pericolosi provenienti da altre regioni, mentre non lo era con
riferimento ad altri tipi di rifiuto, in quanto esigenze imperative attinenti
alla protezione dellambiente giustificano misure limitative della libertà
di circolazione delle merci (Corte di giustizia, sentenza 9 luglio 1992,
causa C-2/90).
Le modifiche alla normativa comunitaria introdotte, in particolare dal
regolamento CEE n. 259/93, nonché dalle direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE
e 94/62/CE, delle quali il citato decreto n. 22 del 1997 costituisce appunto
attuazione, non hanno mutato significativamente il quadro di riferimento,
giacché, pur rafforzandosi la complessiva tendenza, a livello comunitario,
alladozione di misure restrittive alla circolazione dei rifiuti, ciò avviene
in modo diversificato per le varie tipologie, in ogni caso conservando
valenza prioritaria la protezione delle risorse naturali e della salute.
E proprio in questo contesto di tutela ambientale si spiega il regime speciale
riservato ai rifiuti pericolosi, come tra laltro dimostra il decimo considerando
del regolamento n. 259/93, che, pur autorizzando gli Stati a introdurre
disposizioni per vietare del tutto o in parte le spedizioni di rifiuti
destinati allo smaltimento, espressamente eccettua dal divieto il caso
di rifiuti pericolosi prodotti nello Stato membro di spedizione in quantitativi
così limitati da rendere antieconomico prevedere nuovi impianti specializzati
per lo smaltimento in tale Stato. O come anche dimostra lart. 6 della
citata direttiva 91/689/CEE, che, nel quadro di misure di controllo sulla
raccolta, trasporto e deposito temporaneo di rifiuti pericolosi, dispone
che le autorità competenti elaborano, separatamente o nellambito dei
propri piani generali di gestione dei rifiuti, piani di gestione dei rifiuti
pericolosi.
4. In definitiva, le considerazioni che precedono dimostrano che il divieto
di smaltimento per i rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale imposto
dalla norma impugnata contrasta con lart. 117 della Costituzione per violazione
dei principi fondamentali della legislazione statale contenuti nel decreto
legislativo n. 22 del 1997.
Laccoglimento della questione di legittimità costituzionale sotto questo
profilo assorbe gli ulteriori profili di censura.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara la illegittimità costituzionale dellart. 18, comma 1, della legge
della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il
riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 6 luglio 2000.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
LA CORTE COSTITUZIONALE